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n. 7/8
luglio/agosto 2001

 

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Padre Georges Cottier (Ebraismo)

Sono qui per parlarvi dell'Ebraismo, del popolo ebraico o ebreo, delle differenze fra le due parole, e dei nuovi cristiani.

Il problema dei rapporti fra il popolo ebreo e il giudaismo, ha conosciuto una svolta decisiva col Vaticano II. Parlo si svolta, ma si potrebbe anche parlare di inizio. La prima intenzione del documento (che è stato uno dei documenti più travagliati del Concilio) era la condanna dell'antisemitismo da parte della Chiesa, dopo il dramma terribile della Shoà. Ma sono state tante resistenze e tante discussioni che hanno portato a grandi modifiche del testo che è divenuto, malgrado le intenzioni primarie, la dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane. Dico subito che, a mio avviso, questo cambiamento è stato provvidenziale. Ma questo non significa che l'intenzione iniziale sia stata tradita. Come sapete, "Nostra Aetate" parla delle religioni e delle relazioni della Chiesa con le religioni chiamate "non cristiane". Il Cap.4 tratta, a partire dal Mistero della Chiesa, il legame che unisce spiritualmente il popolo del Nuovo Testamento (Chiesa) con la discendenza di Abramo. Questo capitolo 4° contiene gli elementi essenziali che ha la teologia d'Israele. Ampliando il tema, il capitolo 5° afferma la fraternità universale di tutti gli uomini e la loro uguaglianza. Quindi, condanna ogni discriminazione. Dopo il Concilio le cose si sono sviluppate e hanno veramente avuto inizio. E’ significativo che la Commissione Religiosa per il Giudaismo sia stata affidata al Consiglio per l'unità dei cristiani, non al Consiglio per le relazioni o per il dialogo con le religioni; e questa differenza è molto significativa. Questa Commissione ha pubblicato due documenti importanti: il primo del 1974 su l'applicazione di "Nostra Aetate". Il secondo del 1985 sulla presentazione corretta degli ebrei e del giudaismo nella predicazione e nella catechesi. Il Santo Padre (penso che sarà uno dei contributi di questo Pontificato fra i più significativi) ha fatto fare dei passi avanti importantissimi in molti interventi, coi discorsi, con i gesti, la visita alla Sinagoga di Roma, la preghiera al Muro del Pianto e Gerusalemme. Ha avuto delle parole molto incisive sul tema delle nostre relazioni con quelli che ha chiamato i nostri "fratelli maggiori". Abbiamo organizzato con la Commissione teologico storica del Grande Giubileo, un Simposio sulle radici del antigiudaismo in ambiente cristiano. Era un discorso intraecclesiale, ed è stato pubblicato da Ed. Vaticane, per chi volesse leggerlo. Questo Simposio è stato un elemento di preparazione per la domanda di perdono del 12 marzo dell’anno giubilare. Nel libro c’è una introduzione di padre Marcel Du Bois, che vive da molti anni in Israele, e che segue molto attentamente il problema.

Ma chi sono i nostri interlocutori? Immagino che il problema sia lo stesso con tutte le religioni, ma con l'ebraismo la questione deve essere molto sottolineata. Ho parlato del popolo "ebraico" oppure "ebreo", e anche della religione ebraica. La differenza deve essere fatta perché forse la maggioranza, o almeno una grande percentuale di ebrei che vivono oggi sono, come nel nostro Occidente, marcati dal secolarismo, hanno perso la fede di patria: si sono "secolarizzati". E questo crea alcuni probemi perché dato che la Bibbia per loro non ha più funzione di riferimento religioso, cercano altri punti di riferimento e qualcuno ha potuto fare a meno della religione prendendo come riferimento il Shoà, come se il nodo centrale fosse questo terribile dramma del passato. Quindi c'è un dialogo, ma un dialogo dove gli elementi religiosi sono pochissimi, per lo più sul livello di coscienza storica davanti ai drammi storici ed eventuali responsabilità dei cristiani. L'antigiudaismo è in opposizione alla religione ebraica, ma in molte popolazioni cristiane ha molto indebolito la resistenza cristiana davanti l'antisemitismo moderno di radici pagane (Hitler, il nazismo e la religione pagana sono anticristiane). Ma perché occuparsi anche dei primi non credenti? Perché non trattarli come tutti i non credenti? Perché appartengono al popolo ebraico. E questo popolo è il popolo dei nostri antenati spirituali, dei nostri fratelli maggiori, e lo rimangono anche quando non hanno più fede. Ma quello che ci interessa, e dovrebbe interessarci di più, è il contatto, il dialogo con il giudaismo. La prima osservazione da fare è che ci sono molte correnti del giudaismo, non è una realtà omogenea: e qualche volta il fatto di parlare al "gruppo", si chiude la porta al "singolo" da parte nostra che dobbiamo ricercare il dialogo con tutti. Ma alcuni sono più vicini, altri più lontani, alcuni rifiutano il dialogo. La pluralità delle posizioni è il primo fatto fa affrontare. Il secondo è che quando si tratta della realtà sia del popolo ebraico, sia del giudaismo c'è un legame molto profondo, radicale fra tre realtà: il popolo e la religione. La religione ebraica non si capisce senza il popolo ebraico e la sua storia. Questo popolo e questa religione sono poi attaccati ad una terra, la Terra Santa. Noi cristiani abbiamo devozione per una "terra di Gesù", ma non abbiamo una "terra cristiana". La Terra Santa per loro è veramente un centro religioso, un punto di partenza. A questo si sovrappone la creazione dello Stato di Israele. Il mondo ebraico è formato da una grande parte che è secolarizzata, ma quello che ci interessa sono i religiosi. Come ho detto i religiosi sono gli ebrei religiosi, ma religiosi che vivono della religione ebraica. Si dividono in molte correnti che dipendono della loro storia, origine. C'è tutta una gamma di situazioni molto differenziata: abbiamo dei fatti nuovi (ad esempio ho incontrato dei cattolici che si chiamano "ebrei cattolici", che desiderano che la loro origine, la loro stirpe ebraica non sia dimenticata). Come? E' un problema che teologicamente dobbiamo affrontare. Abbiamo anche i "messianici", un movimento che si sviluppa negli Stati Uniti e che è anche presente in Israele. Sono ebrei che riconoscono Gesù come Messia, per alcuni di loro il Messia è anche figlio di Dio, ma si considerano non convertiti al cristianesimo: "siamo ebrei e abbiamo trovato il nostro Messia". E perché il contatto è tanto difficile con i cristiani? Perché hanno la memoria di tante persecuzioni, tante sofferenze. Mi ricordo l'incontro con un giovane in Israele, che veniva dall’America, dagli Stati Uniti. Mi raccontò che suo padre trascorse la guerra nascosto, senza sostegno alcuno. Insegnò al figlio a fare un giro largo quando vedeva una chiesa cristiana, non doveva passarci davanti. Questo giovane io l'ho incontrato al monastero dei cattolici: aveva fatto un cammino straordinario per arrivare a superare la "repulsione" ai cattolici che gli era stata insegnata. Ne dobbiamo tenere conto, perché il loro non è un pregiudizio, ma la traduzione in fatti della tristissima persecuzione che hanno subìto. Il dialogo con gli ebrei deve essere molto personalizzato. La cosa che mi colpisce di più è l’inquietudine della gente ebraica. Penso che Dio non li lasci mai tranquilli. Molti di loro sono traumatizzati. Questo giovane di cui dicevo prima, mi raccontò che i suoi nonni, che vivevano in Germania, fuggirono in Belgio; ma quando Hitler iniziò le sue rappresaglie, vennero in Svizzera (io sono Svizzero), e sappiamo che la Svizzera non è stata proprio "edificante" nei suoi atteggiamenti: il Governo chiuse le frontiere al flusso di immigrati. Così, la Gestapo li arrestò, e morirono ad Auschwitz. Molti ebrei hanno lo stesso tipo di ferite, dunque dobbiamo stare attenti a queste cose nell’avere un dialogo con loro. La via primordiale del dialogo è, da parte nostra, la preparazione e la conoscenza delle loro traduzioni, del loro modo di interpretare la Bibbia. Ma la cosa principale è l’amicizia. Essa apre molte porte nei cuori, a partire dal nostro.

 

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