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n. 05  2009

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Magnificat
Lectio divina su Luca 1,46-55

DI FRANCESCO LAMBIASI

 

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Luca è l’evangelista della preghiera. Non solo ne offre numerosi insegnamenti e raccomandazioni, ma ne mostra anche il posto che occupa nella vita di Gesù e degli altri personaggi del suo Vangelo e degli Atti. Non a caso, proprio nel terzo vangelo, troviamo in apertura e in chiusura delle persone in preghiera nel tempio di Gerusalemme. Nei primi versetti incontriamo il sacerdote Zaccaria che sta celebrando l’offerta dell’incenso, mentre il popolo prega fuori (Lc 1,8-10). Nei versetti finali dell’ultimo capitolo, l’evangelista presenta i discepoli di Gesù anch’essi nel tempio di Gerusalemme in preghiera (Lc 24, 52-53). Il tema della preghiera attraversa e fa da inclusione all’opera lucana.

Luca oltre a presentarci uomini e donne che pregano, offre pure esempi di preghiere. Tra queste spiccano gli inni che costellano il suo vangelo: il Benedictus, il Magnificat, il Nunc dimittis. Preghiere esemplari, tanto che la Chiesa chiede di ritmare con esse le ore della giornata e tutti i giorni della nostra vita, e le propone, rispettivamente, per la preghiera delle Lodi mattutine, per la liturgia dei Vespri a sera, per la preghiera di Compieta prima di andare a dormire.

Tra gli esempi di preghiere, primo fra tutti è il cantico di Maria. Con ragione si ritiene il Magnificat un dono: di Dio alla Vergine; di questa alla Chiesa, a ciascuno di noi. Posto sulle labbra di Maria di Nazaret, il Signore lo mette ogni giorno sulle nostre labbra. Con Paolo VI possiamo dire che è «la preghiera per eccellenza di Maria, il canto dei tempi messianici nel quale confluiscono l’esultanza dell’antico e del nuovo Israele… In esso confluì il tripudio di Abramo che presentiva il Messia (cf Gv 8,56) e risuonò, profeticamente anticipata, la voce della Chiesa… Il cantico della Vergine, dilatandosi, è divenuto preghiera di tutta la Chiesa in tutti i tempi» (Marialis cultus 18).

IL CONTESTO DEL MAGNIFICAT

Il vangelo dell’infanzia secondo Luca (cc. 1-2) è il contesto immediato del cantico. Esso è intercalato tra due annunci: a Zaccaria (Lc 1,5-22) e a Maria (Lc 1,26-38), e due racconti di nascita: di Giovanni Battista (1,57) e di Gesù (2,1-7). Fra questi due annunci e due nascite sta, come intermezzo, il canto del Magnificat situato all’interno dell’episodio della visita della Vergine ad Elisabetta (Lc 1,39-45). Le due madri «impossibili» - una sterile, l’altra vergine - s’incontrano ed è un incontrarsi anche dei due figli che portano nel grembo. Giovanni riconosce il Signore e sussulta nel grembo della madre che, sotto la potenza dello Spirito, comprende il senso di quel sussulto e riconosce il mistero che Maria porta in seno. E allora, la proclama benedetta e beata, e madre del Signore:

«Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,42-45).

A questo punto, in risposta alla benedizione-beatitudine di Elisabetta e al suo atto di fede, e davanti al mistero del Figlio che porta in grembo, riconosciuto come Signore, Maria prorompe nel canto di lode del Magnificat (Lc 1,46-55).

Secondo gli esegeti la presenza del Magnificat a quel punto del testo lucano non è essenziale nel piano della narrazione, che appare già completa in se stessa (il v. 56 poteva, in origine, seguire immediatamente il v. 45), ma rappresenta una sorta di sospensione del movimento globale della narrazione per far emergere il significato dell’evento che è stato appena raccontato, cioè l’avvenimento dell’annunciazione (Lc 1,26-38), e con linguaggio più teologico, il mistero dell’incarnazione.

Il fatto che il Magnificat interrompa la continuità naturale del racconto non significa che sia senza importanza per la comprensione profonda degli eventi che sono riferiti. Una serie di legami lo uniscono al suo contesto. Al v. 47 le parole: «il mio spirito esulta» ricorda ciò che diceva il v. 44 sull’esultanza del bambino nel seno di Elisabetta. La maniera con la quale Maria parla di se stessa al v. 48, come dell’umile «serva» di Dio, fa eco alla sua risposta all’angelo al v. 38: «Ecco la serva del Signore». Aggiungendo «tutte le generazioni mi chiameranno beata» (v. 48b), ripete la beatitudine di Elisabetta: «Beata colei che ha creduto» (v 45). Affermando «il Potente ha fatto per me grandi cose » (v. 49a), ella ricorda le parole dell’angelo: «Niente è impossibile a Dio» (v. 37). Il Magnificat dunque va letto e compreso in funzione del contesto dal quale attinge molti tratti significativi e in particolare in funzione del racconto dell’annunciazione di cui intende manifestare il senso profondo.

Dopo l’annuncio dell’angelo, a Maria viene affidato un grande segreto che la coinvolge profondamente e che non può spiegare a nessuno. In questa solitudine, racconta Luca, si unisce ad una carovana e s’incammina verso la Giudea per raggiungere la casa di Elisabetta. Ormai il registro della sua vita, la forza motrice di ogni sua azione è la «potenza dell'Altissimo» che l'avvolge.

Il suo cammino è un andare restando nel Signore, un partire dimorando in lui, un viaggiare portandolo con sé. In Maria è la vita interiore che muove, dirige e dà senso all'azione esteriore; è il silenzio che matura la parola. Alla scuola della Vergine ognuno di noi è chiamato ad imparare il segreto della sintesi vitale tra interiorità e attività, tra essere e fare, tra credere e operare, tra memoria e creatività, tra «conservare tutto nel cuore» e «camminare in fretta», tra l'accogliere il dono di Dio e il farsi dono di Dio per i fratelli.

IL TESTO

Il Magnificat è un testo antologico, le cui tessere bibliche si compongono in un mosaico unitario. Vi si riconosce il ricordo del cantico di Anna alla nascita di Samuele (1Sam 2,1-10), della gioia di Lia alla nascita dei suoi figli (Gen 29,32; 30,13), ma anche il linguaggio dell’esperienza dell’Esodo e i motivi del celebre canto del mare (Es 15,1-18). Maria si esprime come erede di una tradizione religiosa. Quale figlia del popolo eletto si nutre in continuità della parola di Dio, ed è naturale quindi che alle sue labbra affiori sempre ciò che sovrabbonda nel suo cuore.

Per quanto i termini e i motivi del cantico rimandino all’Antico Testamento,lo spirito del cantico è neotestamentario: con la venuta di Cristo si sono inaugurati i tempi nuovi. Ne consegue che la voce di Maria, pur riprendendogli accenti dell’antico Israele, anticipa e inaugura il canto della Chiesa di Cristo, che celebra con gioia una salvezza che ha trasformato in radice la storia del mondo.

Il testo del Magnificat si presenta come composizione unitaria dominata dalla tonalità di lode e di rendimento di grazie. La struttura è quella classica degli inni biblici: l’esordio, vv. 46-47, formato da due proposizioni parallele, esprime bene i sentimenti presenti nell’animo di Maria; la prima strofa, vv. 48-50, esalta i frutti della fede e dell’umile fiducia nella misericordia di Dio;

la seconda strofa, vv. 51-53, enumera le azioni salvifiche operate da Dio nella storia della salvezza; la conclusione, vv. 54-55, dilata il testo, facendone così il cantico d’Israele e il cantico della Chiesa.

L’esordio, vv. 46-47

46 «L’anima mia magnifica il Signore
47
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,

Questi due versetti contengono le uniche azioni delle quali è soggetto Maria. Ella parla in prima persona: l’anima mia… il mio spirito… mio salvatore… mi diranno beata… ha fatto in me l’Onnipotente… Il Magnificat si apre con un’esplosione di gioia dell’anima; proprio come avveniva nel Salterio: «Celebrate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome… Io gioirò nel Signore, esulterò in Dio mio Salvatore… Ti glorificherò, Signore mio re, ti loderò Dio mio Salvatore, glorificherò il tuo nome» (Sal 34,4; Ab 3,18; Sir 51,1). Fiorisce così la felicità della fede, lo stupore della contemplazione, la pace della donazione. La persona intera si trasforma in lode, divenendo «sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il culto spirituale» (Rm 12,1).

Maria «magnifica», «rende grande» o meglio, «proclama la grandezza di Dio», proclama i doni speciali a lei concessi; quindi «esulta», «gioisce», «si rallegra in Dio» con una gioia piena ed esuberante che coinvolge tutta la sua persona; una gioia che trova in Dio la sua sorgente e il fondamento. I verbi «magnificare», «esultare», definiscono Maria completamente in relazione a Dio, a quel Dio di cui ha conosciuto l’operato nella propria esistenza. Maria non è autoreferenziale, è donna de-centrata da sé e rivolta al Signore di cui celebra l’azione: Dio è il motivo della sua gioia, Dio ella esalta. Nel Commento al Magnificat di Lutero leggiamo: «Maria non dice: “L’anima mia magnifica se stessa”…; essa magnifica esclusivamente Dio, a cui tutto attribuisce. Si spoglia di tutto e tutto offre a Dio, dal quale l’ha ricevuto ».

Nell’inizio del suo canto, dunque, Maria esprime il programma della sua vita totalmente donata a Dio: «Non mettere se stessa al centro, ma fare spazio a Dio… non rendere grande se stessa, ma riconoscere grande solo Dio. Ella è umile: non vuole essere nient’altro che l’ancella del Signore (cf Lc 1,38.48): Ella sa di contribuire alla salvezza del mondo non compiendo una sua opera, ma solo mettendosi a piena disposizione delle iniziative di Dio» (Benedetto XVI, Deus caritas est 41).

Non a caso l’esultanza di Maria è spiegata dall’esperienza che lei fa di Dio come suo Salvatore. Quel «mio Salvatore» (eco di Ab 3,18) sottolinea come la salvezza non sia un’idea astratta, ma una relazione personale con Dio. Fin da questi primi versetti Maria appare la prima salvata: non è lei la salvatrice, ma colei che rinvia all’unico Salvatore, narrato, cantato, confessato con amore. Inoltre, non può sfuggire in questo inizio del cantico l’abbondanza dei titoli divini: «Signore» (v. 46), «Salvatore» (v. 47), «Onnipotente » e «Santo» (v. 49 e 49b). Questi appellativi si riferiscono evidentemente a Dio, ma è significativo che l’evangelista li riferisca spesso a Gesù: Signore (Lc 1,43; 2,11; 5,8.12; At 1,21; …); Salvatore (Lc 2,11; At 13,23; …); Santo (Lc 1,35; At 3,14; 4,27.30). L’esperienza della salvezza di Dio fatta da Maria potrà essere conosciuta per fede dai cristiani nel Figlio Gesù Cristo.

La fede fa sorgere il rendimento di grazie e la lode. L’umile serva del Signore che con il suo fiat si era resa disponibile per il misterioso e sconcertante progetto di Dio, continua ora il suo cammino di obbedienza celebrando la grandezza del Dio d’Israele e del suo piano di salvezza.

La prima strofa, vv. 48-50

48perché ha guardato l`umiltà della sua serva.
`ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
49Grandi cose ha fatto in me l`Onnipotente
e Santo è il suo nome:
50 di generazione in generazione la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono.

Dopo l’esordio, Luca presenta subito la motivazione della lode di Maria: essa risiede anzitutto nel fatto che Dio si è mostrato salvatore nei suoi confronti «guardando alla sua piccolezza». La distanza fra il Signore e la serva, fra il Potente e la povera, fra l’Altissimo e colei che è contrassegnata dalla tapeinosis, dalla piccolezza, è colmata dallo sguardo che dall’alto si posa

su Maria. Dio in tal modo dà risposta anche all’attesa di tutti coloro che confidano in lui e lo temono. La storia dei suoi atti salvifici comincia con il fatto che egli vede la miseria degli oppressi, vede la povertà, l’umiliazione, l’oppressione del suo popolo. Un popolo schiacciato, senza alcun titolo per pretendere un intervento divino. L’espressione Dio vede significa che egli interviene nella storia, negli avvenimenti, esprime già la sua azione salvifica, dice che egli sta operando a favore di qualcuno, perché il suo guardare porta sempre salvezza.

Lo sguardo ha la capacità di esprimere tutta l’ampia gamma delle relazioni e dei sentimenti. Nel caso di Maria lo sguardo di Dio è sinonimo del suo essere compassionevole. Per Dio la compassione non è un vago sentimento di pietà, ma sempre assunzione di responsabilità nei confronti di chi si trova nel bisogno e si tramuta in concreta sollecitudine, gesti, azioni che tendono a ridare pienezza di vita, in una parola, «salvezza».

Dio dunque ha rivolto il suo sguardo su Maria (v 48a) ed ha agito, è concretamente intervenuto. Il v. 49 aggiunge come motivo della lode di Maria il fatto che Dio «ha compiuto per lei cose grandi». Il richiamo qui è ai prodigi attuati dal Signore nella storia a favore del suo popolo, ma soprattutto al tempo dell’esodo e della liberazione dall’Egitto (Dt 10,21; 11,7; Sal 106,21; …). Il richiamo all’esodo è ben evocato anche nel v. 51: «Ha fatto cose potenti con il suo braccio». È significativo che Maria collochi l’intervento di Dio nella sua vita, lungo la scia del grande evento dell’esodo. Quale figlia d’Israele, trova nella confessione di fede e nella preghiera del suo popolo parole e immagini per descrivere l’azione che Dio ha compiuto in lei. Ciò che è avvenuto – la concezione del Messia – è evento di salvezza e di liberazione.

Il fatto che tali prodigi non riguardino solo la persona di Maria, ma abbiano destinazione più ampia, è sottolineato dall’apertura verso il futuro contenuta nel v. 48b: «D`ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata». L’evento compiuto da Dio in Maria si ripercuote nei secoli attraverso il riconoscere e proclamare la beatitudine di Maria. Dichiararla beata non significa sovraesaltarla, ma vederla con gli occhi di Dio, individuare in lei la donna povera, umile e obbediente che ha consentito il dispiegarsi storico del disegno divino di salvezza. Ora il compito è affidato a noi e a tutte le generazioni presenti e future. Anche quando, con il Rosario in mano, nella solitudine o in una grande assemblea, pregando diciamo: «Benedetta tu fra le donne…», noi siamo il popolo della profezia.

Dopo aver riconosciuto l’intervento di Dio, Maria ne proclama la santità: «Santo è il suo nome», e la misericordia: «di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono» (vv. 49-50). La santità distingue certamente Dio dall’uomo: «Io sono Dio, non uomo, io sono il Santo in mezzo a te», dice Osea 11,9. Dio è il “separato”, ma tale distinzione è finalizzata all’incontro, all’alleanza, alla comunione. Il riconoscimento della santità di Dio si accompagna alla confessione della sua misericordia eterna, che abbraccia chi lo teme per la distesa delle generazioni. Inoltre il v. 50 annovera di fatto Maria tra coloro che «temono» Dio, cioè che lo amano e gli obbediscono riconoscendone la santità, la distanza, l’alterità.

La seconda strofa, vv. 51-53

51Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
52ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
53ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.

In questa seconda strofa Maria prosegue il suo canto elencando le gesta salvifiche di Dio, la cui azione raggiunge potenti oppressori e piccoli depauperati, capovolgendone radicalmente le sorti. La lode e la gioia proclamate nei primi versetti riguardano non soltanto lei e quanto il Signore ha operato per lei, ma anche i piccoli e gli affamati sottratti al dominio di ricchi e potenti oppressori (vv. 52-53).

Ora la storia personale di Maria s’inserisce nella storia della promessa fatta ad Abramo. Ciò che è avvenuto in lei è conforme a come Dio «aveva parlato ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza in eterno» (Lc 1,55). In questa storia il concepimento del Messia rappresenta il compimento della promessa, alla cui luce si scorge la continuità e la novità dell'azione di Dio. Infatti, I'agire di Dio è stato sempre così: riprendendo espressioni dell’Antico Testamento Maria afferma che Dio ha disperso i superbi (cf 2Sam 22,28; Sal 89,11), ha rovesciato i potenti dai troni (cf Gb 12,19; Sir 10,14), ha innalzato gli umili (cf Gb 5,11; Sal 147,6; Ez 21,31), ha colmato di beni gli affamati (cf 1Sam 2,5; Sal 107,9), ha rimandato i ricchi a mani vuote (cf Sal 34,11). Il Dio del Magnificat è il Dio che muta le sorti, accordando la sua predilezione agli umili e piccoli, ai poveri e indifesi.

Nel Magnificat potenti e umili, affamati e ricchi, orgogliosi e fedeli si confrontano, ma Dio ha fatto la sua scelta. Egli è, come in tutta la Bibbia, schierato coi poveri, «coi malati, coi tormentati da vari dolori e infermità; con gli indemoniati, gli epilettici e i paralitici» (cf Mt 4,24) e a loro rivolge il suo appello: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11,28). Questo agire divino «d'ora in poi» (Lc 1,48) sarà mostrato nella vita,

nelle parole e nelle azioni di colui che nascerà dal grembo di Maria.

Gesù, infatti, come rivelerà Simeone nel tempio di Gerusalemme, «è posto a rovina e risurrezione di molti in Israele e a segno di contraddizione affinché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2,34-35). In questi versetti è implicito tutto il successivo svolgimento del vangelo che possiamo condensare nella logica delle beatitudini, logica espressa da Luca in netto contrasto fra beatitudini proclamate a poveri, affamati, afflitti, e guai annunciati a ricchi, sazi, gaudenti (cf Lc 6,20-26).

Questo giudizio attuato da Dio mostra che l'accoglienza della salvezza passa attraverso una crisi: è essenziale la conversione del cuore e della vita, in tutte le dimensioni relazionali che la contraddistinguono, in particolare quella sociale, economica e politica, come appare dal nostro testo che parla di potenti e ricchi, per conoscere la beatitudine annunciata da Cristo. La pagina lucana della «conversione» di Zaccheo (Lc 19,1-10) mostra che l'accoglienza della salvezza è ormai direttamente accoglienza di Cristo stesso, e che questo comporta un concreto movimento di spogliazione, di impoverimento, di abbassamento, in una parola, implica la metanoia (cf Lc 5,32).

Il cantico raggiunge ancora una volta la situazione del lettore che si sente coinvolto dall'invito alla conversione e riconosce che l'azione di Dio elegge un resto anche all'interno del suo popolo. Maria, nella sua piccolezza-povertà, è l'erede del «popolo povero e umile» di cui Sofonia parla come del resto santo all'interno della stessa comunità dell'alleanza (Sof 3,12). Nell'obbedienza al Cristo, che sta in mezzo ai suoi come «colui che serve » e sull'esempio di Maria «la serva del Signore» (Lc 1,38), anche la Chiesa, la comunità eucaristica, deve darsi una fisionomia di serva e povera per vivere la propria presenza tra la gente come diaconia e testimonianza evangelica del Signore, che abbatte superbi e potenti, e innalza umili e poveri.

Ancora una volta le parole del Magnificat arrivano ad interpellare e ad inquietare la coscienza del credente di oggi.

Conclusione: vv. 1,54-55

54Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
55come aveva promesso ai nostri padri,
ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre».

Nella conclusione il cantico di Maria riprende espressioni veterotestamentarie (per il v. 54: Is 41,8-9; Sal 98,3; per il v. 55: Gen 12,3; 22,17; Mi 7,20), evocando l'aiuto concesso da Dio a Israele, «servo del Signore» (cf Is 49,3) fino a risalire alla promessa fatta ad Abramo. In questo modo il Magnificat è il canto della memoria e della fedeltà di Dio: Dio non manda a vuoto le sue promesse. Non a caso il v. 54 parla di Dio che si ricorda della sua misericordia, richiamando l'evento dell'annuncio a Maria della nascita del Messia. Da Abramo al Messia attraverso Israele e, infine, a Maria è l'«itinerario» che il Magnificat fa percorrere per celebrare quella fedeltà di Dio che copre tutta la storia, anche il futuro. Il lettore-ascoltatore del Magnificat, colui che lo prega, è portato a questo punto a rinnovare a sua volta la confessione di fede nella fedeltà di Dio, una fedeltà da saper discernere anche nella propria vita, negli eventi quotidiani nei quali Dio si fa presente.

Il Magnificat, dunque, non è una preghiera chiusa, chiede di essere proseguita e personalizzata da ciascuno nella propria esistenza. Non rimanda al passato, ma proietta nel futuro; non si sofferma sull'uomo, ma contempla Dio e la sua fedeltà: che è «per sempre» (v. 55b). In questo futuro si colloca chiunque legga e preghi il Magnificat nel corso della storia. Anch'egli chiamato a riconoscere alla sera di ogni giornata ciò che il Signore ha fatto per lui, a confessarlo e a rendergli grazie; che la promessa di Dio non è venuta meno in quel giorno, ma si è realizzata; che la fedeltà del Signore anche in quel giorno si è compiuta con prodigi e miracoli d'amore  da saper vedere e riconoscere: aver conservato la fede, essere rimasti fedeli alla vocazione ricevuta...

CANTARE LA MISERICORDIA DI DIO

Maria proclama che l’agire di Dio, imprevedibile e sorprendente, illimitato e salvifico, è «diverso» da quello umano (cf Os 11,9). Gli uomini agiscono per interesse, per capriccio o per consuetudine. Dio agisce solo per amore. La Vergine scorge nella Scrittura, che è il più grande e più suggestivo poema dell'amore di Dio, le profondità del cuore dell'Altissimo.

La parola greca «misericordia» (eleos), che ancor oggi usiamo a volte nella liturgia per domandare a Dio di essere pietoso con noi (cf Kyrie eleison), racchiude una ricca terminologia ebraica. In particolare in essa sono presenti due termini dell'esperienza spirituale raccontata nell'Antico Testamento. Anzitutto «misericordia» traduce il termine hesed, che ordinariamente viene reso con «bontà», «benevolenza», «fedeltà», Complessivamente possiamo dire «grazia» in senso forte. Inoltre «misericordia» traduce anche il termine rachamîm, che viene espresso con «viscere materne», che «si commuovono per il loro frutto» e impediscono alla madre di dimenticare il figlio. In un testo celebre di Isaia la bontà di Dio è paragonata a quella della madre e infinitamente di più: «Si dimentica forse una madre del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo grembo? Anche se vi fosse una donna che si dimenticasse del suo bambino, io mai mi dimenticherò di te» (Is 49,15-16).

I due vocaboli ebraici (hesed e rachamîm) indicano con sfumature diverse un preciso concetto di amore-tenerezza, fatto di puro dono, di pura gratuità, di amore che accoglie, comprende, perdona. Esso rimanda sia alla straordinaria benevolenza di Dio, cioè alla grazia dell'alleanza, sia alla tenerezza paterna-materna di Dio, che prevale sul peccato e sull'infedeltà del popolo fino a cancellarne il ricordo. Dice Isaia: «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto diventeranno bianchi come neve, se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana» (Is 1,18).

Il v. 50 del Magnificat si collega in modo evidente a vari passi dell'Antico Testamento, in particolare al Salmo 103. Questo salmo innico, considerato uno dei più belli del Salterio, non solo proclama l'amore misericordioso di Dio, ma addirittura anticipa la grande definizione neotestamentaria: «Dio è amore» (1Gv 4,8.16).

Si può dire che anche il Salmo 103 è una sorta di Magnificat, interamente incluso nell'espressione: «Benedici il Signore, anima mia» (vv. 1 e 22). Esso riprende tre versetti del cantico: «grande è il suo amore per chi gli è fedele» (v. 11), «il Signore è tenero con i suoi fedeli» (v. 13), «la sua grazia si estende di padre in figlio per chi non dimentica il suo patto» (v. 17). Nel cuore del Salmo 103 si trova l'autodefinizione di Dio offerta dall'esodo, quando JHWH proclama il proprio nome davanti a Mosè: «Il Signore è bontà e misericordia; è paziente, costante nell'amore» (Es 34,6 e Sal 103,8).

Attorno a questa citazione il salmista sviluppa il tema della grazia dell'alleanza e quello della tenerezza materna di JHWH. Ambedue, grazia e tenerezza, «si estendono su coloro che temono Dio» (vv. 11 e 13). La grazia si estende nello spazio, grande e ampio come il manto protettivo del cielo sulla terra; e si estende anche per tutto l'arco del tempo: «di generazione in generazione », «verso i figli dei figli» (v. 17). La tenerezza si estende invece nel senso dell'intensità, della profondità, della "totalità" dell'uomo. Infatti Dio Padre «sa di che siamo plasmati» e «ricorda che noi siamo polvere» (v. 14).

Il fatto che Dio abbia deciso di colmare ogni distanza tra sé e l'uomo con l'infinita sua bontà e tenerezza, suscita nel salmista uno sguardo contemplativo, umile e pensoso, sulla fragilità della creatura umana: la colpa, la malattia, la morte invocano perdono, guarigione, «redenzione dalla fossa» (vv. 3-4 e 9-10).

L’OGGI DELLA MISERICORDIA

Da questa rapida rassegna di testi dell'Antico Testamento si vede in ogni caso come le parole di Maria («la sua misericordia di generazione in generazione su coloro che lo temono») ne riassumano tutta la ricchezza. Maria non guarda più a sé, nota lo svolgersi della misericordia di Dio lungo tutta la storia, di generazione in generazione, e vede questa misericordia di Dio legata alla fedeltà di Dio alle sue promesse: «si è ricordato della promessa fatta ai Padri» (v. 55).

Non solo. Le parole di Maria proclamano l'oggi di questa misericordia, del perdono di Dio in favore dell'umanità, l'oggi e il «per sempre» di questa misericordia «di generazione in generazione». Non si tratta soltanto di un'esperienza del momento: quella misericordia che si è rivelata in Maria e, per mezzo di Maria, nel mondo, è ormai la misericordia che si estende lungo tutta la storia, di generazione in generazione, per ogni uomo e ogni donna. Ciò che si è compiuto in Maria con l'incarnazione dell'Unigenito è la rivelazione che la misericordia di Dio si è ormai realizzata in tutta la sua pienezza di perdono e di grazia. Dio è stato fedele alle sue promesse. I tempi della misericordia di Dio sono ormai un oggi. È quanto continua a esprimere Maria stessa nel Magnificat con il v. 54: «Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia».

Secondo la predicazione dei profeti, i tempi messianici sarebbero stati i tempi della manifestazione della misericordia di Dio verso Israele, e attraverso Israele, verso tutta l'umanità: «Tutti i popoli vedranno la misericordia di Dio» (cf Is 52,10). Maria proclama che questi tempi annunciati dai profeti si sono ormai realizzati: Dio si è ricordato della sua misericordia, «come aveva promesso ai Padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre» (v. 54).

Il cantico del Magnificat, il commento più bello alla misericordia di Dio, non può lasciare indifferenti. Ognuno di noi e la Chiesa tutta è chiamata a sviluppare al massimo grado una pastorale della misericordia e della compassione. La fede nel Dio, Creatore e Padre, Salvatore e Santificatore, provoca alla misericordia, alla bontà nei riguardi dei nostri fratelli.

Ogni credente, memore che il Padre nel Figlio suo ci ha sollevato dalle nostre colpe e dai nostri dolori, si sente debitore di misericordia verso tutti. Cantare il Magnificat con Maria, immagine vivente della misericordia di Dio, «madre di misericordia» e «consolatrice degli afflitti», vuol dire fare quanto raccomanda Paolo ai Colossesi: «Rivestitevi, dunque, come amati da Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda, e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi» (Col 3,12-13).

Allora saremo persone che, avendo ricevuto misericordia, trasmettono misericordia, in sintonia con Dio «ricco e grande nell'amore», con Maria dal cuore materno, pieno di tenerezza. Perché gratuitamente abbiamo ricevuto, gratuitamente dobbiamo ridare.

 

Segnalazioni

AA.VV., Il canto della Figlia di Sion (Lc 1,46-55). Numero monografico di Theotokos 5 (1997), n. 2, 391-706.

G. GROSSO, Con Maria Figlia di Sion. In ascolto della Parola, Messaggero, Padova 2002.

P. BIGNARDI - F. LAMBIASI, Eccomi, Signore. Esercizi di vita cristiana sulle orme di Maria, Ave, Roma 2004.

S. PANIMOLLE - A. SERRA - A. VALENTINI - T. VETRALI, Maria di Nazaret nella Bibbia, Borla, Roma 2005.

A. SERRA, La Donna dell’Alleanza. Prefigurazioni di Maria nell’Antico Testamento, Messaggero, Padova 2006.

A. VALENTINI, Maria secondo le Scritture, Dehoniane, Bologna 2007.

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