Con il lievito, con la scopa e con l’acqua
e con tante altre cose,
nella normalità del quotidiano,
la donna vede con il cuore,
sa andare incontro e cerca di essere di aiuto.
Con il lievito, con la scopa e con l’acqua…
Una donna prende del lievito, lo mescola alla
farina, la impasta con l’acqua. Poi lascia in disparte la massa,
aspetta che lieviti. Intanto fa altre cose, muovendosi in casa con
sicurezza, senza preoccuparsi del pane che da solo si va preparando.
E’ certa che lieviterà. E’ certa che bastava quel pochissimo
lievito per tutta quella farina. Non si preoccupa che non si veda
neppure quel pizzico di polvere che ha mescolato. Sa che si vedrà dopo
la massa cresciuta e soffice.
Il figlio guarda e impara. Impara la fiducia nella
forza del lievito, la fedeltà dei gesti che si ripetono sempre uguali,
la familiarità con qualcosa di quasi invisibile, la naturalezza
paziente dell’attesa.
Un giorno deve parlare del Regno di Dio alla gente.
Gli viene in mente sua madre con i suoi gesti di donna. Gli viene in
mente quell’insegnamento senza parole: la fiducia, la fedeltà,
l’attesa. Pensa alla femminilità di quei gesti per descrivere il
Regno. Per parlare del Regno, per far capire come è e a cosa
assomiglia, in qualche modo ha bisogno anche di quella donna e della sua
femminilità.
* * *
Una donna spazza la casa. Ha perso una monetina,
rotolata giù dal tavolo e finita chissà dove. Non può essere sparita,
dove si sarà cacciata? Una monetina non vale nulla e vale molto. C’è
bisogno di così tante piccole e grandi cose in una famiglia che non si
può sprecare nulla. Non è questione di quanto ci si può comperare, è
il fatto in sé: niente deve andare perduto. Gesti rapidi e solleciti,
preoccupazione attenta, e poi una gioia spontanea e sincera, da
condividere. Le donne parlano spesso di piccole cose: raccontarsi di una
monetina persa e ritrovata, quale uomo lo farebbe? Ma le donne ne
parlano, così sembra che perdano tempo e chiacchierino di niente, e
invece stanno cantando l’importanza di ciò che non conta niente e
quanto ciò che non conta vale per un cuore di donna.
Il figlio un giorno deve parlare della misericordia
di Dio e trova immagini di amore di padre. Ma non gli basta dire del
padre che corre incontro al figlio, non gli basta dire del pastore che
cerca la centesima pecora. Ripesca un ricordo, la madre che spazza tutta
la casa non per un figlio, non per una pecora, ma addirittura per una
monetina che vale poco. Ripesca quella sollecitudine attiva e
quell’ansia di non lasciare nulla di intentato, ripesca il radunarsi
delle donne a parlarne e festeggiare, perché il piccolo e il poco è
importante agli occhi di una donna. E gli occhi di Dio sono come gli
occhi di una donna.
* * *
Una donna si fa sulla soglia ad accogliere
l’ospite che viene da lontano. L’ospite ha camminato a lungo, è
stanco, i piedi sono impolverati e sporchi. La donna porta l’acqua in
una brocca, il catino per versarla, una pezza per asciugare i piedi. Si
china, gli lava i piedi, glieli asciuga. E’ un sollievo, come se i
chilometri fatti se ne andassero e il corpo già cominciasse a riposare.
È come se qualcuno senza parole avesse detto: qui starai bene, sei a
casa, sei benvenuto e benvoluto. Poi si offre da bere, da mangiare, da
dormire. Ma il primo accogliere è sulla soglia, completamente gratuito.
Il figlio vede questa scena tante volte. Un giorno
deve dire ai suoi discepoli che li ama, che li accoglie nel suo cuore
così come sono, che vuole insegnare loro ad amare come lui, che
vorrebbe che si amassero reciprocamente come lui ama. Vuole dire che
amore è servizio. Vuole non solo dirlo, ma farlo vedere, farlo
sperimentare. Vuole mostrare cosa significa l’amore reciproco che si
mette al servizio e far capire fino a che punto deve arrivare. Ritrova
quel gesto, prende l’acqua, il catino, l’asciugatoio, si china, lava
i piedi. Pietro, uomo, non capisce. Ma il figlio non ha trovato nulla di
più significativo di un’azione così normale che diventa così
straordinaria. Quando il figlio ha dovuto scegliere un gesto di amore,
ha pensato a una donna china in un umile servizio e così ha fatto
vedere l’amore di Dio che si abbassa, si inginocchia davanti a noi e
ci serve e ci chiede di fare lo stesso.
… e con tante altre cose…
E quando dice che il Regno dei cieli è di chi è
piccolo, prende un bambino e lo accarezza e lo abbraccia come una donna
fa con i bambini. E quando vuole parlare del Padre che è provvidenza
invita a guardare i fiori e
gli uccelli, come le donne che guardano i fiori e si commuovono per i
pigolii che vengono da un nido. E quando vuole dire il suo desiderio di
tenersi vicini i suoi, non ha timore di paragonarsi a una gallina, a una
madre che raduna continuamente i suoi piccoli.
Piange alla tomba di Lazzaro come avrebbe pianto
una donna. E tutti capiscono che ama.
Trasforma l’acqua in vino perché glielo chiede
una donna e tutti si meravigliano perché non è così che farebbe un
padrone di casa.
Lascia che una donna spezzi un vaso costoso e
sprechi soldi in profumo per lui perché capisce quell’amore di donna.
Lascia che si facciano gesti inutili per lui perché capisce che non
sono inutili, come lo capisce bene una donna che invece agli occhi degli
uomini fa molte cose inutili.
Si lascia toccare per un miracolo o per un perdono,
perché capisce il linguaggio che ha bisogno di un tocco oltre che di
pensiero e parole.
Si preoccupa perché la gente non ha ancora
mangiato, come una donna che chiede subito: hai mangiato? Se ne
interessa presso i discepoli che invece ritengono esagerata e un po’
fuori posto la sua preoccupazione. Ma lui si preoccupa che tutti ne
abbiano, come una donna che non vuol far mancare il cibo e piuttosto è
lei che resta senza e non mangia e neppure le costa.
E quando deve lasciare se stesso nella nostra
storia lascia il suo corpo da mangiare come una donna che dà cibo e
vita insieme, come una madre che allatta, come la femmina del pellicano
che nutre i piccoli con il suo sangue.
E quando parla del dolore della sua passione e
morte e della gioia della resurrezione, parla di una donna che
partorisce perché non trova altro dolore e altra gioia che dicano
meglio la Pasqua; non trova altra esperienza umana più significativa
del suo mistero che quella di una donna che genera alla vita soffrendo.
E si fa incontrare dalle donne al sepolcro, perché
hanno guardato da lontano e poi sono andate vicino, fedeli a distanza
quando si può solo aspettare e fedeli nell’intimità quando ci si può
avvicinare. Si fa incontrare da loro perché sa che capiranno subito che
non può che essere vivo.
… nella normalità del quotidiano…
Una donna nella vita di Gesù ha amato così e Gesù
ha imparato da quella donna. Ma come deve averlo fatto, per dare tutto
quello spessore ai suoi gesti, quanto deve aver amato perché fossero
così trasparenti dell’Amore! Quella donna ha amato così perché era
donna e perché era piena di grazia e quindi i suoi gesti erano
completamente trasparenti e carichi di un significato più grande.
È l’amore che fa la differenza nei gesti normali
della vita quotidiana e ne viene un impastare diverso, uno spazzare
diverso, un lavare i piedi diverso.
Tuttavia, sia pure con qualche opacità e qualche
crepa in più, tutte le donne del mondo fanno quei gesti nella normalità
del quotidiano. Impastano, spazzano e servono.
Come ha detto il Papa in una frase a conclusione
della Lettera alle Donne (1995):
“…Nella normalità del quotidiano… nel suo
donarsi agli altri nella vita di ogni giorno… la donna coglie la
vocazione profonda della propria vita, lei che forse ancor più
dell’uomo vede l’uomo, perché lo vede con il cuore… lo vede nella
sua grandezza e nei suoi limiti e cerca di venirgli incontro e di
essergli di aiuto”.
Dice Angela, donna del Bangladesh, che ha dato vita
all’organizzazione Banchte Shekha (“imparare a sopravvivere”) per
la promozione e la protezione delle donne, lottando da sola contro
infinite difficoltà: “Io sono paurosa, ma quando devo affrontare
qualcuno per proteggere una donna non ho paura e non mi spiego da dove
venga tanto coraggio. Per aiutare le donne ho imparato di tutto. Il
Signore mi ha dato molta forza”.
Dice Albertina, guineana, mamma di cinque figli,
che lavora presso un centro di recupero per bambini denutriti: “Quando
un bambino non riesce a migliorare e muore ho la tentazione di
scoraggiarmi. Se succede perché le mamme non hanno collaborato bene, è
una sconfitta per noi. Molte volte la sofferenza dei bambini è frutto
anche della paura e delle nostre tradizioni che ne devono essere
liberate. Ma io ho fede e imparo dal vangelo a desiderare che la vita
sia migliore”.
Dice Germaine, del Burkina Faso, che ha partecipato
con il marito Alfred al pellegrinaggio giubilare della famiglia a Roma:
“Ho una famiglia come tante che vorrebbe vivere la solidarietà e
l’amore. Per noi, famiglia africana, vivere in mezzo ai poveri,
un’immensa maggioranza di donne e uomini che non sanno leggere né
scrivere, è un appello alla nostra coscienza di cristiani. Ho imparato
che chi vuole condividere con i più poveri non deve necessariamente
essere ricco. Se il cuore è aperto e lo desidera è sufficiente”.
Dice Tina, giovane brasiliana appartenente a un
gruppo missionario, che spende le sue ferie in una favela di San Paolo:
“In cammino verso il quartiere dove avrei lavorato mi chiedevo: perché
non me ne sono andata in ferie per un mese sulle bellissime spiagge
vicino a casa mia? Ma oggi ringrazio di aver vissuto questo tempo in una
casa che accoglie i bambini abbandonati per le strade, bambini a rischio
già fortemente segnati dalla sofferenza, già incredibilmente
indifferenti, già diffidenti verso la possibilità di un’amicizia”.
Dice Maria Wong, cinese di Hong Kong, cattolica,
impegnata in parrocchia da molti anni con il marito: “Desideravo che
mia suocera diventasse cattolica e glielo avevo proposto, ma lei si
rifiutava per paura di tradire i suoi dei. Ora ha 89 anni. Il primo
dell’anno mi ha telefonato e mi ha detto: Voglio diventare cattolica
come voi perché guardando la vostra vita ho capito che il vostro Dio è
il Dio della gioia e della pace. Non ho più paura. Credo che il vostro
Signore è più grande dei miei dei”.
Queste sono le donne semplici che, senza pensarci
troppo, mettono il loro talento femminile a servizio degli altri nella
normalità del quotidiano e ne fanno espressione di amore.
Come tutte le donne, anche le donne consacrate,
anche loro con qualche opacità e qualche crepa, anche loro nella
normalità del quotidiano, ripetono quei gesti, e li offrono perché
siano trasparenti di un amore più grande. Li consacrano.
E perciò, nella normalità del quotidiano, la
donna consacrata come tutte le donne vede con il cuore, va incontro,
cerca di essere di aiuto, ma proprio per la consacrazione vede con il
cuore oltre ogni speranza; va incontro oltre ogni difficoltà; è di
aiuto oltre ogni amabilità. Lo fa a tempo pieno. Lo fa con quel
carattere totalizzante che costituisce il dinamismo profondo della
vocazione alla vita consacrata (VC 15).
…la donna vede con il cuore…
La donna consacrata vede con il cuore: consacra il
suo impastare.
Un anno fa ho incontrato in Giordania una suora
missionaria. Non ricordo il suo nome. Ricordo la nostra conversazione e
una delle cose che aveva raccontato: che era in quella terra come
missionaria da oltre quarant’anni, sempre tra i non cristiani. E non
aveva raccolto il frutto di neppure un battesimo. Neppure uno.
L’attesa che il lievito fermenti la massa si allunga a dismisura. Qui
occorre davvero, per resistere, aver deciso e deciso ancora, per grazia,
di dare tutto.
La donna consacrata è una donna e perciò vede con
il cuore. È una donna che ha dato tutto e per questo vede sempre oltre,
vede molto oltre. È capace di aver fede nelle persone oltre ogni
apparenza e delusione, di aver fiducia nel domani. Per questo continua a
sperare e quindi perdona. Sa aspettare, non pretende subito, sa
seminare. Spera contro ogni speranza, e perciò sa dare speranza. I
gesti dell’amore consacrato diventano un particolare annuncio di
speranza.
Oggi c’è un bisogno grande di qualcuno che
continui a sperare davanti a quelli che ci sembrano tanti segni di
fallimento, e sperare con l’intelligenza di chi sa che ha messo il
lievito nella pasta.
La donna consacrata è evangelizzatrice e, con
semplicità, mette il suo lievito nella realtà che trova e aspetta.
…sa andare incontro…
La donna consacrata va incontro: consacra il suo
spazzare la casa.
Sr. Veronica lavora tra gli indios dell’Amazzonia.
Chilometri non di terra ma di acqua, ore e ore di barca per raggiungere
villaggi arrampicati sugli argini del Rio. Villaggi piccoli di gente
semplice. In proporzione alla fatica del viaggio, pochissime persone
vengono raggiunte. Ma se non va lei, non va nessuno. E questa è la
ragione del suo andare.
La donna consacrata è una donna e perciò va
incontro. È una donna che ha dato tutto e per ciò va incontro a tutti,
anche quando non conviene, anche quando è difficile, anche quando
sembra fallimentare. Andare incontro a qualcuno, a una qualche categoria
di persone, a un qualche tipo di sofferenza, a un qualche tipo di
problema è stato tante volte, o sempre, la ragione del fondare nuove
famiglie religiose, dell’aprire nuove comunità, del partire.
Attiva, creativa, si dà da fare, non desiste,
cerca, va incontro, è sollecita, interessata, preoccupata degli altri.
Non ci sono infatti donne consacrate dappertutto? Spazzano il mondo per
cercare chi si è perso. Ogni moneta è un dono, ogni persona è un
dono, ogni figlio è comunque un figlio.
…e cerca di essere di aiuto
La donna consacrata viene in aiuto: consacra il suo
lavare i piedi.
Sr. Teophine è morta nel novembre scorso, di
cancro. Ha lavorato tutta la vita in lebbrosario. Quarant’anni di vita
religiosa tra i lebbrosi. Ha lavato i piedi a loro e non è una
metafora. E’ semplicemente vero. Si è inginocchiata davanti ai più
poveri e non è un modo di dire. Lo ha proprio fatto e non una volta
sola, era il suo servizio quotidiano.
La donna consacrata è una donna e perciò cerca di
essere di aiuto. È una donna che ha dato tutto e per ciò cerca di
essere di aiuto soprattutto a chi non ha nessuno che lo aiuti. C’è
gente che non è difficile aiutare: quando i problemi sono facilmente
risolvibili, per esempio, quando è solo questione di trovare soldi.
C’è gente che è piacevole aiutare perché è amabile, riconoscente.
Ma c’è chi non lo è, non sa esserlo, non riesce ad esserlo; chi non
sa accettare l’aiuto, chi tutti si stancano di cercare di aiutare.
La donna consacrata lava i piedi e serve non solo
chi è amabile, ma chi non lo sembra. Sa di aver ricevuto abbastanza
amore da poterlo dar via gratis, senza attendersi neppure comprensione.
La sua ricompensa è la gioia degli altri, il benessere degli altri, il
poter servire.
Angela, Albertina, Germaine, Tina, Maria, la suora
in Giordania, sr. Veronica, sr. Teophine sono persone che esistono
davvero. Ognuno può aggiungere altri nomi, si scriverebbe un libro.
Sono donne come tante che vivono la loro femminilità come espressione
di amore.
i
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