n. 5 maggio 2001

 

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Nicola Cabásilas e la spiritualità
cristocentrica orientale

di Angelo Amato, SDB
 

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1. La spiritualità orientale

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La spiritualità cristiana è fondamentalmente unica e universale. È comunione con Gesù e vita filiale nello Spirito santo e nei suoi doni. Per cui, come dice san Paolo, «non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Ciononostante, la partecipazione alla vita divina è concretamente determinata dalla singolarità delle persone umane e dai loro diversi contesti socio-culturali e religiosi. Cirillo di Gerusalemme paragonava la grazia divina all'acqua, che sul giglio diventa bianca, rossa sulla rosa, sulle viole e sui giacinti purpurea, assumendo vari colori a seconda delle diverse specie delle cose; altra è, infatti, la rugiada sulla palma, e altra ancora sulla vite, ma è sempre la stessa acqua che dà vita e bellezza al mondo multiforme.[1]

Nel vasto arcipelago della spiritualità cristiana antica e moderna, orientale e occidentale, la spiritualità “greco-ortodossa” si presenta con una sua precisa identità, caratterizzata da un profondo distacco dal mondo e da un incondizionato anelito alla “divinizzazione” del battezzato, mediante l’impegno ascetico, la preghiera continua e, soprattutto, mediante la celebrazione e la lode liturgica. Il cristiano – e il monaco, in modo particolare, come testimonianza concreta di possibilità di realizzazione storica dell’ideale evangelico – è chiamato a vivere l’unione con Dio Trinità, mediante la preghiera continua del cuore, la vigilanza sui pensieri e sulle azioni, l’abbandono completo alla volontà di Dio.

2. L’opera di Nicola Cabásilas

La Vita in Cristo di Nicola Cabásilas (Salonicco 1322- 1392)[2] è un classico della spiritualità cristocentrica bizantina e costituisce ancora oggi uno dei vertici della letteratura spirituale cristiana. La grande armonia tra parola di Dio, vita liturgico-sacramentale e tradizione ascetico-mistica fanno di quest'opera un dono prezioso alla chiesa contemporanea. Si tratta di un'opera originalissima, senza modelli prima e senza imitazioni dopo. Essa costituisce una testimonianza di spiritualità cristiana ecumenica e «cattolica», nel senso originale del termine, e cioè «universale». Un pregio ulteriore di questo scritto è dato dalla grazia e dalla vivacità del linguaggio unito a un genuino e profondo vigore teologico. Nota fondamentale della personalissima dottrina spirituale del Cabásilas – oltremodo significativa per i consacrati oggi – è l’enfasi sulla vita liturgica, come fonte di ogni slancio ascetico, mistico e apostolico.

La vita in Cristo[3] offre una anatomia della vita spirituale - dal suo nascere, al suo sviluppo, al suo compimento -, collocata nel grande mistero dell’incarnazione del Verbo, che continua nella storia mediante la divinizzazione sacramentale dell’umanità. Il Cabásilas contempla la presenza di Cristo nelle anime attraverso i sacramenti e i frutti di trasformazione che vi produce. Nei sette libri della sua opera egli parla della vita spirituale, come vita in Cristo, e poi del battesimo, della cresima e dell’eucaristia come espansione e moltiplicazione della grazia divina nell’uomo.

3. L’esistenza cristiana come vita in Cristo

Precisiamo subito che per il Cabásilas la rigenerazione dell’umanità è opera delle tre Persone divine: «Il Padre disse, il Figlio ripeté, lo Spirito Santo divenne dono a coloro che gli sono amici».[4] Tuttavia, è soprattutto mediante l’incarnazione del Figlio che essa si realizza, dal momento che Gesù costituisce il nuovo Adamo ed è la fonte della nuova umanità. Ogni persona umana, in quanto creata fin dall’inizio come icona del Cristo, è una creatura “cristomorfa”. Fino al suo approdo al cospetto del Padre, l’uomo porta il sigillo di Cristo e il profumo della grazia del suo Spirito:

«La vita in Cristo prende inizio e si sviluppa nell'esistenza presente, ma sarà perfetta soltanto in quella futura, quando giungeremo a quel giorno: l'esistenza presente non può stabilire perfettamente la vita in Cristo nell'anima dell'uomo; ma nemmeno lo può quella futura, se non incomincia qui [...]. Il profumo dello Spirito si effonde copiosamente e riempie tutto, ma non lo coglie chi non ha l'olfatto [...]. È l'esistenza presente l'officina di questa preparazione».[5]

La vita cristiana è una continua e misteriosa comunione con Gesù ed è in ininterrotta sinergia con il suo Spirito di santità. È straordinaria la ricchezza di immagini che il Cabásilas usa a questo riguardo. Per questo il suo linguaggio risulta altamente comunicativo:

«Il Salvatore [...] è sempre e del tutto presente a coloro che vivono in lui: provvede a ogni loro bisogno, è tutto per essi e non permette che volgano lo sguardo a nessun altro oggetto, né che cerchino nulla fuori di lui.

Infatti, nulla c'è di cui abbiano bisogno i santi, che non sia lui: egli li genera, li fa crescere e li nutre, è luce e respiro, per sé plasma in essi lo sguardo, lo illumina per mezzo di sé e infine offre se stesso alla loro visione. Insieme nutre ed è il nutrimento; è lui che porge il pane della vita, e ciò che porge è se stesso; la vita dei viventi, il profumo di chi respira, la veste per chi vuole indossarla.

È ancora lui che ci dà di poter camminare ed è la vita, ed anche il luogo del riposo e il termine. Noi siamo le membra, lui il capo: è necessario combattere? combatte con noi ed è lui che assegna la vittoria a chi si è fatto onore. Vinciamo? ecco, è lui la corona. Così da ogni parte riconduce a sè la nostra mente e non permette che si volga a niente altro, né che sia presa da amore per nessuna cosa [...]. Da quanto abbiamo detto risulta chiaro che la vita in Cristo non riguarda solo il futuro, ma già ora è presente per i santi che vivono ed operano in essa».[6

4. I sacramenti, porte della vita

In concreto la vita nuova in Cristo nasce nei fedeli quando varcano «le porte della vita e della giustizia»,[7] costituite dai sacramenti del battesimo, della cresima e dell'eucaristia (libri II-IV):

«Così, rappresentando la sua sepoltura e annunziando la sua morte nei sacri misteri [= sacramenti], in virtù di essi siamo generati, plasmati e divinamente congiunti al Salvatore. Ed è per essi che, come dice Paolo, in lui viviamo, ci muoviamo e siamo (Atti 17,28).

Dunque il battesimo dona l'essere, cioè l'esistere secondo Cristo. È il primo mistero [= sacramento]: prende gli uomini morti e corrotti e li introduce alla vita.

Poi l'unzione del miron [= cresima] porta a perfezione l'essere già nato, infondendogli l'energia conveniente a tale vita.

Infine la divina eucaristia sostiene e custodisce la vita e la salute: è il pane della vita, infatti, che permette di conservare quanto è stato acquisito e di serbarsi vivi. Perciò in virtù di questo pane viviamo e in virtù del miron ci muoviamo, dopo aver ricevuto l'essere dal lavacro battesimale».[8

5. Il battesimo, «forma» di Cristo

Parlando del battesimo, il Cabásilas tiene presente, ovviamente, non la cerimonia liturgica occidentale del battesimo per aspersione, ma quella orientale del battesimo per immersione. Per questo, egli usa il paragone del corpo che, immerso completamente nell’acqua battesimale, viene internamente animato dalla presenza di Cristo e ricoperto dalla sua veste di grazia:

«Risalendo dall'acqua battesimale, portiamo il Salvatore nelle anime nostre: nella testa, negli occhi, nelle viscere, in tutte le membra, puro da peccato, libero da ogni corruzione, così come risuscitò e apparve ai discepoli e ascese al cielo, quale verrà di nuovo a chiedere conto di questo tesoro.

Così, una volta generati e come coniati nell'immagine e nella forma del Cristo, perché non possiamo introdurre alcun'altra forma estranea, egli occupa le vie per le quali entra la vita: poiché la vita del corpo si sostiene con l'aria e col cibo, egli si insinua nelle anime nostre per le stesse vie dell'aria e del cibo, e fa sue entrambe le porte, l'una come unguento e profumo, l'altra come cibo appropriato.

Infatti lo respiriamo ed egli diventa il nostro cibo; così, mescolandosi e fondendosi a noi in tutto, fa di noi il suo corpo e diviene per noi quello che il capo è per le membra. Ecco perché abbiamo in comune tutti i suoi beni: egli è il capo, ed è necessario che passi nel corpo tutto ciò che è del capo».[9]

La vita in Cristo si forma in noi col battesimo. Per illustrare in modo efficace la trasformazione operata da questo sacramento, il Cabásilas cita le esperienze degli antichi martiri cristiani, i quali furono completamente rigenerati dalla grazia, passando, come Paolo, dal disprezzo di Cristo alla sua testimonianza suprema nel martirio di sangue. Per questo, non esita a narrare la passione di alcuni martiri «commedianti», come Porfirio e Gelasio, martire sotto Diocleziano nel 297. Del primo racconta che fu colpito dalla grazia, proprio mentre derideva la cerimonia cristiana del battesimo:

«[Porfirio] era un commediante e, mentre esercitava la sua arte, ebbe perfino questa audacia: per muovere al riso, incominciò a parodiare il battesimo e si immerse nell'acqua, inginocchiandosi sulla scena e invocando la Trinità. Ridevano gli spettatori, cui era presentato il dramma, ma per lui quello che stava accadendo non era più questione di riso o di scena, era veramente una nascita e una nuova creazione: insomma proprio il mistero del battesimo. Uscì dall'acqua con l'anima non più da commediante, ma da martire, con un corpo nobile, come se fosse esercitato alla sapienza e ai patimenti, con una lingua pronta ad attirarsi l'ira anzichè il riso del tiranno. Fu così alacre e serio, lui che in vita era stato un buffone, arse di tale desiderio per il Cristo, che, dopo aver sofferto molti tormenti, morì con gioia, per non tradire nemmeno con la lingua il suo amore.

Così anche Gelasio amò il Cristo e lo conobbe allo stesso modo. Si affrontarono infatti come se fossero nemici, per combattersi; ma, quando colui cui muoveva guerra gli ebbe aperti gli occhi dell'anima e mostrata la propria bellezza, subito egli fu fuori di sé e mostrò una volontà del tutto cambiata, da nemico divenuto amante».[10

6.  Lo sviluppo della vita in Cristo (il miron

Dopo il battesimo, col sacramento della confermazione (il miron), la vita in Cristo si sviluppa ulteriormente e si arricchisce di nuove energie e doni spirituali. Se agli inizi del cristianesimo, lo Spirito Santo elargiva con abbondanza carismi straordinari, ora i suoi doni sono meno appariscenti, ma più profondi. Dice, infatti, il Cabásilas:

«Nei primi tempi questo sacramento dispensava ai battezzati carismi di guarigioni, di profezia, di lingue e simili: essi erano chiara dimostrazione a tutti gli uomini della sovraeminente potenza del Cristo [...]. Tuttavia, i carismi che il miron attira sempre nei cristiani e per i quali ogni tempo è opportuno, sono quelli della pietà, della preghiera, dell'amore, della sobrietà e gli altri doni utili a coloro stessi che li ricevono [...].

Dunque lo Spirito comunica realmente agli iniziati i suoi doni distribuendo a ciascuno in particolare come vuole, e non cessa mai di beneficarci il Signore che ha promesso di essere sempre con noi. Infatti l'iniziazione del miron non è conferita invano: come dal divino lavacro riceviamo la remissione dei peccati e dalla sacra mensa il corpo di Cristo, e questi doni non possono mai venir meno finché non venga manifestamente colui che ne è la causa; allo stesso modo è assolutamente necessario che i cristiani godano il frutto del divinissimo miron ed abbiano parte ai doni dello Spirito santo».[11

7. Il culmine della vita in Cristo: l’eucaristia

La vita in Cristo raggiunge la sua vetta nel sacramento dell'eucaristia, che è incontro col Signore risorto e partecipazione alla sua nuova vita. Qui si compie una vera e propria trasfigurazione cristica. Il fango non è più fango, ma diventa il corpo glorioso del re:

«Dopo il miron, veniamo alla mensa: qui è il culmine della vita, giunti qui non mancherà più nulla alla felicità che cerchiamo. La mensa non ci dà più soltanto la morte e il sepolcro e la partecipazione a una vita migliore, ma lui stesso, il risorto; non più i doni dello Spirito, per quanto grandi si possano ricevere, ma lo stesso benefattore, il tempio stesso su cui è fondato tutto l'universo dei doni [...].

Quando [Gesù] conduce l'iniziato alla mensa e gli dà in cibo il proprio corpo, lo trasforma interamente e lo muta nella propria sostanza. Il fango non è più fango: avendo ricevuto la forma regale, diventa il corpo stesso del re; e di questo nulla si può pensare di più beato».[12]

Il Cabásilas si sofferma a illustrare gli effetti della recezione di questo sacramento nei cristiani. La presenza di Cristo eucaristico protegge dai mali esterni e sradica i mali interni. Con l’eucaristia il fedele non ospita solo un raggio di luce, ma il sole stesso in tutto il suo splendore:

«Come il buon olivo innestato nell'olivo selvatico lo cambia completamente nella propria natura, sicché il frutto non ha più le proprietà dell'oleastro; allo stesso modo anche la giustizia degli uomini per sé non giova nulla, ma, non appena siamo uniti al Cristo e abbiamo ricevuto la comunione della sua carne e del suo sangue, può produrre immediatamente i massimi beni, quali la remissione dei peccati e l'eredità del regno, beni che sono frutto della giustizia del Cristo. Infatti, non appena alla sacra mensa prendiamo il corpo di Cristo [...], anche la nostra giustizia, per effetto della comunione, diviene una giustizia cristiforme».[13]

L'eucaristia unisce perfettamente i fedeli al Cristo, che li pervade e li eleva con l’unguento profumato della sua carità e della sua vita. Mediante l'eucaristia «il Cristo si riversa in noi e con noi si fonde, ma mutandoci e trasformandoci in lui come una goccia d'acqua versata in un oceano infinito di unguento profumato. Tali effetti può produrre questo unguento in coloro che lo incontrano: non li rende semplicemente profumati, non solo fa loro respirare quel profumo, ma trasforma la loro stessa sostanza nel profumo di quell'unguento che per noi si è effuso: Siamo il buon odore di Cristo» (2Cor 2,15).[14]

Nell'eucaristia si realizza l'unione mistica di Cristo con la Chiesa: «Sono queste le nozze tanto lodate nelle quali lo Sposo santissimo conduce in sposa la Chiesa come una vergine fidanzata. È qui che il Cristo nutre il coro di coloro che lo circondano e, solo per questo sacramento, noi siamo carne della sua carne e ossa delle sue ossa».[15] Questo sacramento dona energie nuove alla vita della carne, nutrendola di doni spirituali, per cui la «carne spirituale» lotta e vince «la carne terrestre»:[16]

«Ecco perché abbiamo sempre bisogno della carne di Cristo e continuamente gustiamo di quella mensa: perché sia efficace in noi la legge dello Spirito, perché non vi sia alcun spazio per la vita della carne, e la carne non abbia il tempo di essere attratta alla terra, come i corpi pesanti quando viene a mancare il sostegno».[17]

L’eucaristia è il nutrimento della vita nello Spirito. È la fonte della spiritualità cristiana. Purificandoci nella carità, ci rende capaci di offrire a Dio Trinità il culto perfetto. Nell’eucaristia il Signore Gesù non ci offre solo alcune gocce del suo sangue o qualche briciola del suo corpo, ma si dona tutto intero, diventando così la fonte della nostra vita. In tal modo, egli unisce a sè tutto il nostro essere, il nostro cuore, la nostra mente, la nostra volontà, in modo che, assimilati totalmente a lui, possiamo andare incontro al suo abbraccio glorioso

8. La perseveranza nella vita in Cristo

Dopo aver parlato dell'apporto che dà alla vita in Cristo il rito della consacrazione dell'altare (libro V), il Cabásilas dedica i libri VI e VII rispettivamente alla custodia della vita in Cristo nei fedeli e alla loro trasformazione nella carità. Quasi rievocando l’entusiasmo cristico di San Paolo, egli parla con efficacia e lucidità dell’intima unione del battezzato con Cristo. Tale unione viene da lui vista come più intima e vitale della stessa adesione della pelle al corpo:

«Le nostre membra sono membra di Cristo, sono sacre e contengono, come in una coppa, il suo sangue, anzi meglio sono ricoperte del Salvatore tutt'intero, non come ci si riveste di un mantello e nemmeno della nostra pelle, ma in un modo ancora più perfetto, perché questa veste aderisce a coloro che la indossano molto più della pelle alle ossa. Ossa e pelle infatti, anche nostro malgrado, ce le possono strappare, ma il Cristo nessuno ce lo può portare via, né gli uomini, né i demoni, non le cose presenti, né le future, dice Paolo (Rm 8,39), né l'altezza, né la profondità, nè qualunque altra creatura, per quanto superiore a noi per potenza. Il maligno può togliere la pelle ai martiri di Cristo, può scorticare per mano dei tiranni, può amputare le membra, spezzare le ossa, riversare gli intestini, strappare le viscere, ma non può spogliare i beati di questa veste e privarli del Cristo. Anzi i suoi disegni falliscono a tal punto che senza saperlo li riveste del Cristo molto più di prima, proprio con quei mezzi con i quali credeva di spogliarli».[18]

Per mantenere questa unione con Cristo bisogna avere il pensiero continuamente rivolto a lui. La sua memoria deve essere incessante in modo da possedere totalmente il cuore. Un pensiero intermittente non può accendere nessuna passione d'amore per Nostro Signore: «infatti null'altro accende nell'anima l'amore del bene quanto il fatto che la mente si volga a considerarlo e impari a conoscerne la bellezza».[19]

Per questo il Cabásilas afferma icasticamente che «pensare a Cristo è l'occupazione propria delle anime battezzate».[20] Il frutto di questa contemplazione sono le beatitudini: la povertà in spirito, la contrizione dei peccati, la mitezza, la misericordia, la purezza di cuore, la pace, la giustizia, la costanza nelle persecuzioni. Comunque, è il sacramento dell'eucaristia che rende il cristiano capace di pensare incessantemente al Cristo:

«Se saremo così uniti al Cristo nel sacramento, nella preghiera, nella meditazione, nei pensieri, eserciteremo l'anima ad ogni virtù, conserveremo - come ordina Paolo - il deposito che ci è stato affidato, e custodiremo la grazia infusa in noi dai sacramenti. Lui solo infatti ci inizia ai sacramenti ed è i sacramenti; lui solo egualmente custodisce in noi il dono che ci ha fatto e ci dispone a perseverare in ciò che abbiamo ricevuto, perché, dice, senza di me non potete fare nulla (Gv 15,5)».[21]

La vita in Cristo produce la rettitudine della volontà e la massima gioia nell'amare Dio per se stesso. La custodia della carità rende autentica l’esistenza cristocentrica:

«Sono questi i veri viventi che nutrono la bella passione della carità, mentre sono tutti morti gli esseri che ne sono privi [...]. Questa è la vita in Cristo: così è nascosta e così appare alla luce delle opere buone, luce che è la carità. Nella carità, infatti, risiede lo splendore di ogni virtù ed essa costituisce la vita in Cristo, per quel che riguarda lo sforzo dell'uomo; perciò non si sbaglierebbe chiamandola semplicemente vita. La carità è unione con Dio, e questo è vita; come sappiamo che la morte è separazione da Dio. Perciò il Salvatore, alludendo alla carità, dice: Il comando di lui è vita eterna (Gv 12,50); e ancora: Le parole che io vi dico sono Spirito e vita (Gv 6,63); il vertice e la somma delle sue parole è la carità. Ancora: Chi rimane nella carità, rimane in Dio e Dio in lui (1Gv 4,16); cioè rimane nella vita e la vita in lui; infatti il Signore dice: Io sono la vita (Gv 11,25)».[22

9.  L’umanità rinnovata in Cristo

L'esemplarità di Cristo nei confronti dell'umanità non è solo estrinseca. Cristo, cioè, non è solo il modello da imitare, ma l'immagine e allo stesso tempo la sorgente del rinnovamento dell'uomo. L'influsso di Cristo sull'umanità precede il peccato, dal momento che l'uomo ha una struttura ontologica cristiforme: è stato creato da lui e ha la vita da lui, in lui e per lui. Essere in Cristo, vivere in lui e tendere a lui fa parte della struttura intima di ogni uomo.

La storia della salvezza dell'umanità non è, quindi, un ritorno al primo Adamo ma un cammino verso il Cristo. Solo in Lui si compie la creazione. Per cui l’autenticità di ogni essere umano si misura dal suo adeguamento alla forma di Cristo, nel quale ogni realtà vive ed esiste in verità. Il fine dell'umanità è la divinizzazione in Cristo. A questa assimilazione cristica sono ordinati i sacramenti e l'impegno del battezzato per perseverare e compiere la sua cristificazione. La storia della salvezza è l'itinerario della conformazione di ogni persona umana a Cristo, per mezzo dell'economia sacramentale e del suo impegno virtuoso

10. «Ripartire da Cristo

Essenzialità di linguaggio e profondità di contenuto biblico e teologico fanno dell’opera del Cabásilas un manuale moderno di spiritualità cristologica e trinitaria, profondamente radicata nella vita ecclesiale sacramentale. È Gesù, il Signore della gloria, che nei sacramenti realizza la divina “economia” della nostra trasfigurazione in lui. È lui l’ambiente divino della nostra esistenza terrena. La sua presenza efficace nei sacramenti e soprattutto nell’eucaristia rende ogni ora della nostra giornata e ogni anno della nostra vita un tempo opportuno di santificazione.

L’attualità della proposta di questo ispirato teologo ortodosso, così vicino alla sensibilità della spiritualità cattolica, è evocata dal magistero del Santo Padre, il quale, a conclusione dell’anno giubilare, invita a contemplare il volto di Cristo e a ripartire da lui.

La pedagogia cristiana non ha altro maestro che Gesù, non ha altra legge che il suo amore, non ha altra metodologia che la sacramentalità della Chiesa. Di fronte alle sfide della nuova spiritualità il Papa risponde che non una formula ci salverà, ma una persona e la certezza della sua presenza efficace accanto a noi e in noi:

«Non si tratta, allora, di inventare un “nuovo programma”. Il programma c’è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla vita Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste».[23]

È questo il programma della spiritualità del terzo millennio. «Iesu dulcis memoria, dans vera cordis gaudia»: è dolce il ricordo di Gesù, fonte di vera gioia del cuore.

[1]Cf. Catechesi 16,12: PG 33, col. 933A.

[2]Cf. Y. SPITERIS, Cabasilas: teologo e mistico bizantino, Lipa, Roma 1996.

[3] Cf. N. CABASILAS, La vie en Christ, Cerf, Paris 1989-1990 (Sources Chrétiennes  355-361: introduction, texte critique, traduction, annotation et index par Marie-Hélène Congourdeau). Per l’edizione italiana, cf. N. CABASILAS, La vita in Cristo, UTET, Torino 1971: traduzione curata da Umberto Neri. Precisiamo che i numeri in nota si riferiscono rispettivamente al libro e al paragrafo.

[4] II n. 23.

[5] I n. 1-2.

[6]I n. 13-15.

[7]I n. 25, 29.

[8]I n. 18-19.

[9] II n. 61-62.

[10] II n. 81-82.

[11]Ib. III n. 9-11.

[12] IV n. 1-2.

[13] IV n. 24.

[14] IV n. 28.

[15] IV n. 30.

[16] IV n. 32.

[17] IV n. 34.

[18] VI n. 20.

[19] VI n. 38.

[20] VI n. 44.

[21] VI n. 104.

[22] VII n. 107.

[23] GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), n. 29.

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