n. 5
maggio 2004

 

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I media in famiglia:
rischio, ricchezza, educazione

di Roberto Giannatelli*

 

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Molti, oggi, si occupano del rapporto famiglia, televisione, minori

A iniziare dai giornali. Basta monitorare i principali quotidiani italiani su questo argomento, per raccogliere un dossier piuttosto voluminoso di pareri e informazioni. L’ho fatto qualche tempo fa. “Concorso in colpa”: è l’accusa di Ettore Bernabei, già direttore storico della RAI e Presidente della LUX-Vide, rivolta ai programmi televisivi pieni di sesso e violenza (Corriere della sera, 10 ottobre 2002; vedi anche: TV qualità, terra promessa. Intervista a Ettore Bernabei, di Gabriele La Porta, Rai-Eri, Roma 2003 ); Violenza in tv: i bambini sono i primi a temerla (Ib., 13 ottobre 2002). Questa volta si tratta di una ricerca commissionata dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni alle tre università di: Milano, Salerno e Lugano. Tra i risultati, che hanno stupito gli stessi esperti, è la constatazione che i ragazzi di quarta elementare, come quelli di terza media, oggetto dell’inchiesta, sono i primi ad essere spaventati dai rischi del mezzo televisivo. Già alla fine degli anni ’80 i ricercatori nordamericani avevano calcolato che un adolescente giunto sui 14 anni aveva assistito in media a 8000 omicidi e a 100.000 atti di violenza in televisione (cfr. K. Popper-J.Condry, Cattiva maestra televisione, Reset, Milano 1996, p. 81).

Il Corriere della sera, del 30 ottobre 2003, riportava i dati della ricerca promossa dalla Henry Kaiser Foundation e pubblicati in prima pagina sul New York Times. I colossi multimediali nordamericani hanno scoperto nella prima infanzia (tra i sei mesi e i due anni) una nuova miniera d’oro e pertanto producono programmi come il “Baby Mozart” (in Dvd) che hanno il potere magico di “far smettere di piangere” il piccolo fruitore. Un’industria avida di guadagno è all’assalto della prima infanzia con DVD, videocassette, videogiochi, cartoons. L’accademia dei pediatri americani ha denunciato: «I bambini sotto i due anni che passano ore e ore di fronte a: televisione, Dvd e computer diventano videodipendenti… I bambini sotto i due anni non dovrebbero guardare la tv e nessun bambino dovrebbe avere il televisore in camera… I bambini danno il meglio con il gioco all’aperto e il contatto diretto e prolungato con i genitori». Nella stessa pagina viene riportata un’intervista con la psicologa italiana Luigia Campioni: «Mai più di due ore al giorno e in compagnia dei genitori prima dei tre anni. Mai durante i pasti. Quando inizia l’età scolastica si può anche piazzare il televisore nella camera del bambino, ma con condizioni bene precise, una specie di contratto da far rispettare senza cedimenti. Mai lasciare solo il bambino, senza controllo».

Famiglia Cristiana (2004/2) ha riportato i giudizi delle famiglie italiane sulla televisione raccolti dall’Osservatorio del Moige. «Le denunce dei genitori spaziano dall’eccessiva e morbosa attenzione data al caso di Cogne, alle scene di violenza, al linguaggio sboccato, ai costumi succinti di molte fanciulle, a film scandalosi, ai varietà a base di crassa ironia». Concludono i ricercatori: «I genitori non gradiscono la televisione volgare e di cattivo gusto e la spettacolarizzazione delle vicende private» (come avviene ora con i reality show, le vicende private portate alla spettacolarizzazione).

Anche i bambini italiani, quando vengono fatti riflettere, esprimono sostanzialmente lo stesso giudizio sui programmi della televisione. Mi riferisco alla ricerca del prof. Piero Bertolini e dalla sua équipe dell’università di Bologna (I bambini giudici della tv, Guerini e Associati, Milano 2002). 120 bambini della quarta elementare dell’hinterland bolognese sono stati interessati a tecniche di osservazione e di focus group. Anche con loro si registra il rifiuto alla violenza sia fisica che psicologica (ad es. la rappresentazione delle malattie mentali), soprattutto quando è gratuita e non funzionale allo sviluppo narrativo. Il bambino ammette di “aver paura” di fronte alla violenza in tv anche con ricadute negli incubi notturni. Un’altra violenza che viene segnalata dai bambini è quella delle scene di esplicito contenuto sessuale e di ostentazione gratuita della nudità femminile. «Mi ha dato fastidio», «Mi sono sentito a disagio», sono le ammissioni registrate dai ricercatori del prof. Bertolini. La tradizione pedagogica aveva dato una norma saggia e onesta a questo riguardo: Maxima debetur puero reverentia.

 

Gli educatori non possono “stare a guardare”, né limitarsi alle lamentele

Gli esperti sono concordi nel ritenere che un certo filtro dell’adulto che aiuti il minore a elaborare gli stimoli “violenti” che riceve dalla televisione sia più che necessario. «La televisione non è diversa dal frigorifero. Nessun adulto lo lascerebbe aperto con cibi di tutti i generi a portata di mano dei bambini. Gli alimenti devono essere scelti in funzione dell’età. Così i programmi televisivi» (Corriere della Sera, 13 ottobre 2002). Possiamo richiamare l’autorità del grande psicologo Bruno Bettelheim: «Quanto più tempo passeremo a parlare con i nostri figli dei programmi che hanno visto in tv, tanto più essi diventeranno intelligenti e selettivi».

Una risposta data dalle istituzioni a questo problema sono i Codici di autoregolamentazione. Tuttavia sappiamo per esperienza che i vari codici sono stati regolarmente disattesi (anche perché è difficile monitorare tutti i programmi e nessuno ha il coraggio di prendere provvedimenti efficaci, come sarebbe l’oscuramento delle reti trasgressive). Questa è stata la sorte del cosiddetto codice Prodi (1997). Ci auguriamo che un esito migliore ottenga il nuovo codice di autoregolamentazione sottoscritto il 29 novembre 2002 dal Ministro Gasparri e dai responsabili delle reti televisive nazionali. Ma, come ha ammesso uno dei consiglieri di amministrazione della RAI: «I contenuti sono positivi; ma ora ci vogliono direttive e vigilanza». Tuttavia «i codici di condotta… restano una necessità fuori discussione, poiché ricoprono il ruolo di dare pubblica visibilità ed espressione ai principi e alle linee programmatiche che la società vuole assumersi a tutela dell’infanzia, nonché alle ragioni di fondo che devono giustificare i costi di cui la collettività deve farsi carico per mantenere in vita un sistema di controllo radiotelevisivo» (Damiano Felini, Televisione e diritti dei bambini, in Aggiornamenti sociali, luglio-agosto 2003, p. 538). I codici da soli non bastano: ci vuole più educazione, a iniziare dalla scuola e dalla famiglia. Il 29 novembre 2003 è uscito il nuovo codice di autoregolamentazione su Internet e minori (cfr. Damiano Felini, Internet e minori. Il nuovo codice di autoregolamentazione, in Aggiornamenti sociali, febbraio 2004, pp. 125-129).

Anche il cardinale Carlo Maria Martini era intervenuto sull’argomento con una lettera pastorale che aveva lasciato il segno (era stata pubblicata anche dall’Unità ed eravamo nel 1991!). Ai genitori il cardinale aveva suggerito di compiere gesti simbolici per recuperare la capacità di gestire il mezzo televisivo, del saper “aprire e chiudere” al momento opportuno. «Penso, per esempio, a una giornata di silenzio, a una sorta di black-out volontario, da indire una volta ogni tanto. E’ semplice. Si decide, per un giorno, di spegnere il televisore: tutti. Un gesto non di protesta, di condanna, di anatema, di rivalsa, bensì di gioia, perché ispirato a una piccola misura di salvaguardia vitale. Si spegne e si esce, si va a spasso, ci si ritrova, si fa festa, si ricupera il contatto personale con gli altri, si guardano le persone negli occhi. Oppure si sta in casa, si invitano gli amici, si parla, si dicono quelle cose per cui non c’è mai tempo» (Il lembo del mantello, 1991, p. 67).

 

Il Papa, i media, le famiglie

Il Papa Giovanni Paolo II si è pronunciato più volte su questo argomento. Mi riferisco, tra i tanti interventi, al messaggio per la XXVIII Giornata mondiale per le comunicazioni sociali (15 maggio 1994) che ha come titolo Criteri per sane abitudini nel vedere. I criteri sono improntati alla saggezza educativa: anticipare i figli circa i contenuti dei programmi; fare scelte consapevoli, decidere insieme se vedere o non vedere; guardare con i figli alcuni programmi televisivi e discutere con loro le proposte di valori e stili di vita, l’opportunità di alcune scene, ecc.

Il nuovo messaggio del Papa per la prossima Giornata Mondiale della Comunicazione Sociale del 23 maggio 2004 sposta l’asse dell’attenzione: I media in famiglia: un rischio e una ricchezza. Certamente i media in famiglia (ed oggi la casa è diventata una piccola centrale mediatica: radio, televisore, stereo, computer, Internet, telefonini vari…) possono rappresentare un “rischio” per i minori come avviene con l’energia elettrica, i vari elettrodomestici, ecc.; ma sono anche e forse soprattutto una “ricchezza” che i genitori devono saper valorizzare e governare, una nuova risorsa per l’educazione.

Come afferma il prof. Pier Cesare Rivoltella dell’Università Cattolica di Milano «i media sono in primo luogo normali, sono una presenza costante nella nostra vita quotidiana». I media sono il nostro ambiente, la nostra cultura che pone problemi di alfabetizzazione, di acculturazione, di giudizio etico e di gestione, come avviene per ogni altro elemento della cultura ambiente. E il bambino ha in se stesso le energie per reagire positivamente alla nuova situazione culturale in cui viene a vivere, se accompagnato da genitori ed educatori. L’immagine del bambino come essere fragile e ingenuo da tutelare è una rappresentazione sociale da superare. «Il bambino, fin da molto piccolo, è perfettamente in grado di capire cosa gli consente di preservare la propria integrità e come può collaborare con i genitori per aiutarli a risolvere gli eventuali problemi della famiglia». I genitori possono fare affidamento su questa competenza nativa dei loro figli. «Un’educazione capace di ascoltare il suo destinatario, in grado di conoscere la sua competenza, attenta ai contesti e non semplicemente preoccupata delle tecnologie (o delle protezioni!) è l’educazione che la società dell’informazione richiede» (Pier Cesare Rivoltella, Educare nella società dell’informazione, in Vita e Pensiero 2002/2, pp. 358-357).

La prima risposta degli educatori e della Chiesa al “potere” dei media è dunque il “contropotere” dell’educazione: non demonizzare, ma alfabetizzare, educare, fornire nuove competenze; non lamentarsi, ma coscientizzare ed esercitare la propria cittadinanza; non fare campagne del “tutto e subito”, ma promuovere strategie di formazione degli adulti e di educazione dei minori, esigere che la scuola si faccia promotrice del curricolo scolastico di educazione ai media (cfr. Roberto Giannatelli, Cinque proposte al Ministro Moratti sulla Media education, in Intermed, ottobre 2003).

 

Come intervenire

Il messaggio del Papa per la 38a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali suggerisce tre risposte che la società odierna deve dare al “rischio” dei media e sfruttare le loro potenzialità:

Una prima parola è rivolta ai professionisti della comunicazione: la loro responsabilità è grande. Giovanni Paolo II ha espresso in modo efficace il suo insegnamento parlando a Los Angeles, nella “capitale” della produzione cinematografica e televisiva, ai produttori e professionisti dei media: «I comunicatori devono cercare di comunicare con la gente. Devono imparare a conoscere i bisogni reali della gente, essere informati sulle loro lotte; devono saper presentare tutte le forme di comunicazione con quella sensibilità che la dignità dell’uomo esige… Sono i custodi e gli amministratori di un immenso potere spirituale che appartiene al patrimonio dell’umanità ed è inteso ad arricchire l’intera comunità umana» (15 settembre 1987).

Una seconda parola è indirizzata alle autorità pubbliche. «Senza ricorrere alla censura, è fondamentale che esse attuino delle politiche e delle procedure di regolamentazione per assicurare che i mezzi di comunicazione sociale non agiscano contro il bene della famiglia» (n. 4). Nello stesso messaggio il Papa denuncia la manipolazione della famiglia che sovente viene operata dai mezzi di comunicazione sociale: «Il matrimonio e la vita familiare troppo spesso vengono rappresentati in modo inadeguato dai mezzi di comunicazione. L’infedeltà, l’attività sessuale al di fuori del matrimonio e l’assenza di una visione morale e spirituale del contratto matrimoniale vengono ritratti in modo acritico, sostenendo, talvolta, al tempo stesso il divorzio, la contraccezione, l’aborto e l’omosessualità» (n. 3). Già Paolo VI aveva sottolineato che i responsabili delle comunicazioni sociali devono «conoscere e rispettare le esigenze della famiglia, e questo suppone a volte in essi un vero coraggio e sempre un alto senso di responsabilità» (Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 1969).

L’ultima e accorata parola è per i genitori, come «primi e più importanti educatori dei loro figli» (n. 5). Essi sono chiamati a formare i figli «nell’uso moderato, critico, vigile e prudente dei mezzi della comunicazione sociale» (Familiaris consortio, n. 76). «Anche ai bambini molto piccoli si può insegnare qualcosa d’importante sui mezzi di comunicazione… I bambini non devono accettare o imitare in modo acritico ciò che riscontrano nei mezzi di comunicazione sociale» (n. 6). I genitori, infine, «devono anche regolare l’uso dei mezzi di comunicazione a casa. Questo significa pianificare e programmare l’uso degli stessi, limitando severamente il tempo che i bambini dedicano ad essi e rendendo l’intrattenimento un’esperienza familiare, proibendo alcuni mezzi di comunicazione e, periodicamente, escludendoli tutti per lasciare spazio ad altre attività familiari. Soprattutto, i genitori devono dare ai bambini il buon esempio, facendo un uso ponderato e selettivo dei mezzi di comunicazione» (n. 5). I genitori moderni devono essere dei media educators.

  

Famiglia e media: nuovi compiti nel campo dell’etica e dell’educazione

La famiglia, come ha ricordato il Papa, interviene sui valori messi in gioco dai media, sulle norme di comportamento individuale e sociale, e sugli orizzonti di senso. E’ proprio dei genitori accompagnare i loro figli sulle strade della vita, indicandone le mete e dando per primi la grande lezione della testimonianza. Anche nei nuovi territori dei media.

Il problema famiglia e media si pone in fondo sullo stesso piano del rapporto famiglia-ambiente-cultura. L’elemento nuovo rappresentato dalla cultura dei media è che si tratta di una cultura che si sostituisce alla tradizionale trasmissione dei valori ed è inquinata da quella malattia endemica che è la loro dipendenza da interessi economici (dal “mercato”) e da strumentalizzazioni ideologiche. I media sono diventati “merce”, più che proposta culturale.

Si può reagire? Il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali ha ricordato che i media «non sono forze cieche della natura alle quali l’uomo non si può sottrarre» (Etica delle comunicazioni sociali, n. 1). I media rivolgono un appello alle responsabilità dell’uomo, ai genitori in primo luogo.

Infatti, all’origine delle produzioni mediali ci sono uomini e gruppi di potere con determinate finalità e interessi. I produttori vanno responsabilizzati. Nel momento della ricezione dei messaggi mediali troviamo, ugualmente, delle persone con le loro responsabilità. I recettori, a iniziare dai bambini, vanno educati.

I media sono in definitiva soltanto dei “mezzi”. Dipende dall’uomo renderli buoni o malvagi, far in modo che contribuiscano alla sua felicità o al suo fallimento, che siano un “rischio” o una “ricchezza”.

Al centro dei problemi sollevati dai media, si pone, innanzi tutto, la questione etica dei valori in gioco, della cittadinanza, della responsabilità dei singoli e della società, dei genitori e degli insegnanti ed educatori. La Chiesa cattolica, e in particolare le congregazioni insegnanti, trovano qui un nuovo campo di evangelizzazione e promozione umana.

 

Darsi un codice di comportamento

E’ bene stabilire in famiglia alcune norme per il “governo” quotidiano del mezzo televisivo e degli altri media, come ci ricordano i messaggi del Papa Paolo VI e Giovanni Paolo II.

Ecco, ad esempio, un “decalogo del buon uso della televisione in famiglia”:

Per ridurre le ore passate davanti al televisore, offrire alternative in famiglia.

Stabilire di comune accordo un “tetto” di ore giornaliere.

Far uso di video e programmi registrati in precedenza.

La tv deve essere guardata in ore specifiche, mai durante i pasti.

I genitori devono guardare alcuni programmi con i loro figli.

I genitori e i loro figli devono partecipare a corsi di media education.

Occasionalmente i genitori potranno analizzare un programma televisivo (possibilmente in collegamento con la scuola).

I genitori devono essere informati su come funziona l’industria televisiva.

Si devono discutere in famiglia le regole del buon uso della televisione.

I genitori dovranno riflettere su come possono esercitare la propria cittadinanza anche a riguardo della televisione e dei media.

Ugualmente importante è collaborare con la scuola per l’educazione dei bambini e dei ragazzi alla televisione e agli altri media. I genitori devono chiedere alla scuola di educare i loro figli alla comprensione critica e all’uso dei media. E la scuola può offrire ai genitori collaborazioni molteplici, anche corsi di aggiornamento circa i media e la comunicazione moderna.

Il MED (l’associazione che ho fondato nel 1996 con Pier Cesare Rivoltella e altri media educators) ha coinvolto le famiglie mentre proponeva alle scuole una ricerca-azione per l’introduzione del curricolo di media education (cfr. R. Giannatelli e P.C. Rivoltella, Teleduchiamo, Elledici, Leumann 1994).

 

E oggi Internet

Il computer e Internet sono entrati rapidamente nella scuola e nelle pratiche quotidiane delle famiglie italiane. La loro penetrazione è in costante aumento… (cfr. Censis, Terzo rapporto sulla comunicazione in Italia, ottobre 2003).

Internet offre nuove risorse e pone nuovi problemi, in particolare quelli connessi con la pornografia e la pedofilia. Il Ministro Gasparri ha sottoscritto il 19 novembre 2003, come si è già ricordato, un nuovo codice di autoregolamentazione: Internet e minori. Ma l’intervento per assicurare una “navigazione sicura” è in primo luogo educativo. Riferisco ora la proposta elaborata da Patrizia Adiamoli per il Corecom-Veneto:

dedicate un po’ di tempo insieme a vostro figlio (o ai vostri educandi) per imparare l’uso di Internet;

mettete il computer non nella stanza dei ragazzi, ma in un luogo comune a tutti i membri della famiglia;

incoraggiate i vostri figli a comunicarvi se si imbattono in siti sconvenienti e lodateli per averlo detto;

date rilievo ai siti “buoni” e al materiale che offrono;

insegnate ai vostri figli a utilizzare responsabilmente la posta elettronica;

insegnate a non dare a nessuno, su Internet, informazioni personali;

non permettete ai vostri figli di usare chat non sorvegliate e non adatte ai ragazzi;

non permettete ai vostri figli di avere incontri con persone conosciute su Internet;

stabilite con i vostri figli quanto tempo dare al giorno a Internet;

la miglior protezione sono le buone relazioni tra genitori e figli.

Internet chiama a nuove responsabilità non solo i genitori, ma anche altre agenzie educative. Lo aveva ricordato due anni fa il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali: «Molte persone e molti gruppi hanno responsabilità in questa materia. Tutti gli utenti di Internet sono obbligati a utilizzarlo in modo informato e disciplinato, per scopi moralmente buoni. I genitori dovrebbero guidare e supervisionare l’uso che i figli fanno di Internet. Le scuole e le altre istituzioni e programmi educativi dovrebbero insegnare l’uso perspicace di Internet quale parte di una media education completa, che includa non solo l’acquisizione di abilità tecniche, ma anche della capacità di valutare in modo informato e sagace i contenuti. Coloro le cui decisioni e azioni contribuiscono a forgiare la struttura e i contenuti di Internet hanno il dovere di praticare la solidarietà al servizio del bene comune» (Etica in Internet, 22 febbraio 2002, n. 15).

Concludendo: il cantiere dell’educazione è oggi più che mai aperto. Ci vogliono nuovi operai per la media education, è necessaria una nuova competenza mediale per i genitori. Si chiede una nuova collaborazione di tutte le forze vive della Chiesa cattolica, delle religiose in modo particolare. La prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (23 maggio) offre una bella occasione per illustrare alle famiglie delle nostre scuole e oratori il pensiero del Papa.

 

* Professore dell’Università Salesiana e Presidente del MED (Media Education).

 

 

   

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