n. 7/8
luglio/agosto 2005

 

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Percorsi di discernimento e di riconciliazione
per rendere visibile la speranza

di Enrica Rosanna, fma

 

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Carissime sorelle, vi saluto cordialmente, con affetto, con gratitudine per quello che siete e per quanto fate. Saluto la Presidente e la sua équipe che hanno preparato la 52ª Assemblea Nazionale con sacrificio e speranza scegliendo un tema attuale e profetico. Percorrere strade di discernimento e di riconciliazione per rendere visibile la speranza, per prendere il largo verso nuovi mari. Noi la vela, Dio il vento - secondo una bella immagine del filosofo Norberto Bobbio - che ci spinge al largo. 

È nel nome di Gesù risorto e vivo e con la sua forza che vogliamo prendere il largo con speranza, nonostante l’invecchiamento, la mancanza di vocazioni, le difficoltà economiche, le defezioni, il contesto ostile, la precarietà… Andiamo al largo con speranza perché crediamo che non siamo soli. Siamo inabitati dalla Trinità, siamo nella Chiesa, siamo in compagnia di tante sorelle e fratelli.

Th. Merton affermava che la vera speranza non è qualcosa che noi pensiamo di poter fare, ma è in Dio che sta suscitando qualcosa di buono dalla realtà in cui noi viviamo, in noi stessi, nei nostri Istituti, anche se tutto questo è a noi ignoto. La speranza ci fa intravedere la mano di Dio, il suo braccio disteso che ci guida. Dobbiamo crederlo e farne l’esperienza nella fedeltà allo Spirito. Fedeltà allo Spirito per cogliere i segni di Dio nell’oggi della storia e per avere il coraggio di vincere lo scoraggiamento, le ostilità, le paure e di prendere le distanze dagli pseudo-bisogni del nostro tempo, per recuperare valori obsoleti come il silenzio, l’umiltà, la pace, il dialogo, il perdono, la riconciliazione, che sono diritti di tutti e non privilegi di alcuni.

A proposito di valori, vorrei richiamare due valori indispensabili per alimentare la speranza in noi e nel mondo: la giustizia e la verginità.

Nel Vangelo, Giuseppe, a cui l’angelo annuncia il mistero della maternità di Maria, viene presentato come uomo giusto. Maria viene presentata come la vergine a cui l’angelo annuncia il disegno di Dio. E’ importante collegare questi due attributi: il giusto, la vergine.

Il giusto: l’uomo fedele all’alleanza, colui che accoglie con prontezza il piano di Dio e vi collabora. Rischia, si fida, immette il suo progetto di vita in un progetto più grande.

La vergine: la donna che accoglie un progetto di salvezza, mettendosi totalmente e prontamente a disposizione di Dio. In Maria è Dio il protagonista e la sua verginità è l’espressione, anche fisica, del progetto di Dio.

Il giusto e la vergine: i due titoli coincidono nell’indicare apertura e adesione senza riserve a Dio e al suo progetto. Il vuoto apparente della paternità legale e della verginità è in realtà pienezza, fecondità.

Anche noi, seppure ad un altro livello e in un altro contesto, siamo oggi chiamate a vivere situazioni inedite, impensate, sofferte. Non dobbiamo avere paura dell’inedito, di ciò che non capiamo, dell’imprevisto, ma dobbiamo viverlo con fede e riappropriarci del senso della sorpresa che dà sapore alla vita, che dà sapore alla speranza.

Dobbiamo scoprire che Dio, col suo progetto, è dentro questa realtà, dentro le nostre piccole realtà quotidiane, che sono per noi come delle annunciazioni. Dio vuol fecondare la nostra piccola storia facendone uno strumento della sua grande storia.

Prendere il largo nella speranza, ma insieme, in rete. Nel mondo globalizzato più che mai, abbiamo bisogno di essere insieme, di essere uniti, di darci fiducia reciproca.

Mons. Tonino Bello ha scritto: “Quando diciamo insieme, non lo facciamo perché se stiamo insieme le cose vanno meglio, nel senso che se ci mattiamo insieme si realizza di più. Questa sarebbe mentalità aziendale. Gli operatori del marketing mettono insieme gli operai; i sindacati dicono “state uniti”; i tifosi, gli sportivi si sistemano tutti insieme nella stessa curva dello stadio per gridare più forte. No, se noi diciamo insieme, non è per poter rendere di più, ma perché dobbiamo essere icona della SS. Trinità. Dobbiamo riprodurre nella nostra vita, nelle nostre comunità, nei nostri Istituti, la vita che si fa in cielo”. Dobbiamo essere agenzie periferiche della Trinità.

Agenzie periferiche della Trinità che si fidano di Dio, che sono “memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù” (VC 22), che sentono ardere nel cuore la passione per la santità di Dio e dopo averne accolto la Parola nel dialogo della preghiera, la proclamano con la vita, con le labbra, con i gesti, facendosi portavoce di Dio contro il male e il peccato. Nella libertà, senza denaro, né provviste, né compromessi, né paure… Senza vergognarsi. Affermava padre De Foucauld: “Di una cosa sola dovremmo vergognarci: non amarlo abbastanza”.

Perché la gente, soprattutto chi è più nell’indigenza, chieda a noi religiose: “Sentinella, a che punto è la notte?…” (Is 21, 11) occorre che vedano in noi sentinelle vigilanti, donne che hanno una parola da dire da parte di Dio. Donne che non si vergognano del Vangelo di Gesù, che nella routine della vita sanno introdurre semi di gioia e di speranza, semplici ma efficaci, come hanno fatto, nel loro tempo e con la semplicità della vita, i nostri fondatori e le nostre fondatrici.

Si racconta che “un pubblicitario che passeggiava lungo una strada frequentata vide sul marciapiedi un mendicante cieco e notò che nel suo cappello aveva solo pochi spiccioli. Si inchinò e versò altre monete, poi, senza chiedere il permesso dell’uomo, prese il cartello, lo girò e scrisse un’altra frase. Quello stesso pomeriggio il pubblicitario tornò dal non vedente e notò che il suo cappello era pieno di monete e di banconote. Il non vedente riconobbe il passo dell’uomo e chiese se non fosse stato lui ad aver riscritto il suo cartello e che cosa avesse scritto. Il pubblicitario rispose: “Niente che non sia vero. Ho solo scritto il tuo in maniera diversa”. Sorrise e andò via. Il non vedente non seppe mai che ora sul cartello c’era scritto: “Oggi è primavera… e io non la posso vedere”.

È un fioretto francescano… È un dettaglio di un uomo che crede nella vita e nella gioia.

Vogliamo e dobbiamo essere gente che sceglie di navigare al largo, di stare in frontiera, pur avendo imparato dalla vita che non è comodo né facile…Siamo certi che la vela può contare sul vento di Dio. Ha scritto Saint-Exupery: “Se vuoi costruire una barca, non radunare insieme delle persone per procurare la legna, preparare gli attrezzi, distribuire i compiti e organizzare il lavoro, ma piuttosto risveglia in esse la nostalgia per il mare aperto e infinito”.

Oggi abbiamo bisogno di parresia, di coraggio perché ogni nostra sorella sogni il mare aperto e infinito, per dare cuore, volto e mani al messaggio di Gesù, per dare cuore, volto, mani ai nostri carismi nelle situazioni concrete in cui viviamo. Ma con un’attenzione: non lasciarci vincere dalla tentazione del generico e del vago: abbiamo un’originalità che ci è propria e sulla quale possiamo contare per tradurre nell’oggi il discorso della montagna. Beati i poveri in spirito, beati i misericordiosi,… beati voi quando vi perseguiteranno a causa del mio nome… Tocca a ciascuna di noi … fare questi miracoli. E dove essi accadono, dobbiamo crederlo, soffia lo Spirito di Dio e nasce il futuro. È tutto qui il segreto della speranza e della fecondità nella vita consacrata: la fedeltà allo Spirito: credere che la nostra vela è guidata nel mare aperto, sia nei tempi di bonaccia, sia in quelli di burrasca, dal vento di Dio. E con Lui remare.

Siamo nel tempo di Pasqua, in cui le donne sono particolarmente protagoniste. Come Maria di Magdala e le altre donne del Vangelo corriamo allora ad annunciarlo con timore e gioia grande, diciamo con la nostra vita: Cristo è vivo, è risorto, è veramente risorto. Cristo è la mia, la nostra, speranza.

È questo il mio augurio che si fa preghiera per ciascuna di voi e per le vostre sorelle tutte.

 

   

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