n. 11 novembre 2002

 

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C'È UN TEMPO PER...
di Maria Pia Bonanate
 

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«C’è un tempo per cercare
e un tempo per perdere» (Qo 3,6)

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E’ sopravvissuto ai secoli e sopravviverà, Ulisse, simbolo della insaziabile sete di sapere e di ricerca dell’uomo. E’ sopravvissuto perché in ognuno di noi c’è un po’ di Ulisse, della sua ansia di scoprire sempre nuovi orizzonti, di rinnovarci e di andare oltre le colonne d’ Ercole delle nostre giornate quotidiane, dei nostri piccoli perimetri di vita per aprirci a paesaggi e a contatti umani più ampi che ci arricchiscano, che ci permettano di sentirci meno limitati di fronte alle inesauribili meraviglie dell’universo. E’ un rovello quello dell’eroe di Omero, che per fortuna cresce con noi, ha momenti intensi nella giovinezza, ma spesso riesce a mantenersi vivo anche nella maturità.

 

Ho nel cuore e nella mente tante persone, molte donne in particolare, che hanno fatto del «tempo del cercare» la loro abitudine di vita. L’ultima incontrata, una giovane ragazza torinese, una ragazza “comune” che, spinta dal desiderio di trovare un senso per la propria vita, è andata in Africa come turista, vi è tornata una seconda e una terza volta per cercare di capire la situazione di un’umanità sofferente e crocifissa, le drammatiche disparità fra il nord e il sud del mondo, poi ha lasciato tutto per vivere con la gente del Mozambico, accanto alle donne che combattono in solitudine disperate battaglie di sopravvivenza, mescolata fra gli abitanti di un bairro dove ogni giorno ha cercato di capire e di conoscere il volto sempre nuovo di una folla delle beatitudini dimenticata da tutti. «Perché hai fatto tutto questo, hai lasciato una vita interessante, un lavoro gratificante, parenti ed amici?» le ho chiesto. «Perché sentivo di dover dare un senso più profondo alla mia vita, a quella inquietudine che mi mordeva dentro e che non riuscivo ad appagare negli orizzonti quotidiani della mia esistenza pur ricca di tante soddisfazioni e prospettive. Nella mia ricerca ho incontrato l’Africa e soprattutto nel volto e negli sguardi degli ultimi ho visto quel Cristo che fino allora mi era sconosciuto».

Laura oggi ha trentatré anni e ogni mattina ricomincia la sua ricerca. Accanto a quella che è diventata la sua grande famiglia ha aperto una “Lar da Esperança”, una casa della speranza, per un centinaio di ragazzi di strada, un berçario, un nido per accogliere i neonati prematuri, rimasti senza mamma, una casa per le ragazzine incinte e aiutarle a non abortire, una scuola di alfabetizzazione per le donne dei villaggi, ha collaborato alla nascita di un lebbrosario, gestito dagli stessi lebbrosi. E non accenna a fermarsi.

Nelle lettere che ogni tanto invia c’è l’annuncio di sempre nuove iniziative che nascono dalle scoperte continue che fa dei bisogni della gente. Il suo segreto vincente è questa ricerca continua, mai appagata, che ha trovato i ritmi giusti che sono quelli del non arrendersi mai, dell’aprirsi senza risparmi agli altri, del diventare viaggiatori della vita, rabdomanti di tesori nascosti, investigatori della realtà vicina e lontana. Il tempo del cercare per Laura è il tempo del camminare con Dio.

 

Ma per realizzare tutto questo non è necessario andare in Africa o in paesi lontani. Le “chiamate” alla Laura o consimili non sono per tutti. Il tempo della ricerca può realizzarsi fra le quattro pareti della nostra casa, del nostro posto di lavoro, nel quartiere, nella città. Perché è un tempo interiore, della mente e del cuore, è una scelta di vita e di comportamento che richiede coraggio, sacrificio, generosità, ma restituisce in ricchezza umana e spirituale, intellettuale ed emotiva. Evita il più grande rischio che una persona può correre, quello di chiudersi nelle proprie certezze e sicurezze in modo definitivo, rifiutando di aggiornarsi, di rimettersi in discussione, di confrontarsi con gli altri. Ad aiutarci in questa investigazione c’è la strada, reale e simbolica, luogo teologico privilegiato per l’incontro con Cristo il quale l’assunse a coordinata determinante per la sua missione terrena.

La strada (a cominciare da quella sotto casa), in quanto via evangelica verso la salvezza, in quanto verità e vita, è il “campo” dove il nostro cercare trova linfa e nutrimento, possibilità senza fine per diventare promotori del nostro destino, contemplato in continua relazione con quello degli altri compagni di strada.

 

Ma allora perché affiancare il cercare con il perdere, come proclama il Qohelet? “C’è un tempo per perdere” può avere due significati contrapposti: quello della perdita delle ricchezze umane e spirituali, dei patrimoni conquistati, delle conoscenze accumulate, delle esperienze fatte, a causa di una recessione provocata da stanchezze, rinunce, abbandono di una ricerca che costa comunque fatiche, impegno, scelte rischiose, superamento di frontiere.

Capita a tutti di perdere qualche pezzo del tesoro che abbiamo accumulato in sentimenti, passioni, conoscenze e affetti. La vita è una traiettoria a curve e a saliscendi. L’importante è non lasciarsi sommergere da queste zone grigie dove si smarrisce l’energia acquisita e cercare aiuto per non disperdere tutto quanto abbiamo accumulato di bene e di prezioso. Cercare aiuto, a cominciare da Lui, che conosce bene il momento delle perdita che gli fece sudare sangue e poi lo tenne sepolto per tre giorni. E che è sempre pronto a stringerci fra le sue braccia perché quei momenti inevitabili non siano una sconfitta insopportabile. Si aprano alla speranza.

 

Ma «il tempo per perdere» può anche essere quello della verifica, della separazione, del patrimonio che abbiamo accumulato e che continuiamo ad accumulare, di ciò che vale veramente portare con noi e di ciò che può essere abbandonato per permetterci di arrivare sulla cima. Come capita agli alpinisti che, a volte, quando si approssima la vetta, sono costretti per raggiungerla ad abbandonare parte del loro bagaglio. Ma può anche essere quello della perdita di noi stessi e dei nostri privilegi, delle nostre sicurezze e dei nostri piccoli e grandi beni, per essere, senza ipocrisie e soprattutto con tanto amore, totale disponibilità, vicini a coloro che vivono sempre in perdita. Per sorte, per mutate condizioni di vita, per accidenti vari.

Laura, la mia giovane conterranea, ormai africana, pratica insieme al tempo della ricerca quello della perdita, privandosi di tutto quanto potrebbe farla sentire lontana o superiore o privilegiata nei confronti dei suoi nuovi amici che non hanno nulla di nulla.

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