n. 11
novembre 2002

 

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"Magdalene"
Un film provocatorio, semplice e complesso

di Donato Lacedonio
 

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È difficile parlare di un film che ha catturato l’attenzione dei critici, diviso gli opinionisti in correnti contrapposte e suscitato reazioni diverse. È difficile, soprattutto quando l’opera in questione ha… un suo fascino.

Magdalene, l’ultimo film del regista scozzese Peter Mullan, è approdato a Venezia con due prospettive: possibile fonte di polemiche e candidato al Leone d’Oro. Ambedue le attese sono state confermate e ne è seguito l’inevitabile successo al botteghino dove gli spettatori, spinti da motivazioni diverse - Leone d’Oro, regia di Mullan, film scandalo - si sono dati appuntamento. E così il cinefilo ha condiviso lo spettacolo e la visione con chi è stato occasionalmente attratto dal richiamo del battage pubblicitario e critico.

Proviamo ad analizzare il film in questione assumendo punti di vista differenti. Questa operazione, lungi dal voler essere strategia accademica, ci consentirà di tracciare una valutazione che tenga conto di diversi elementi ed assumere, così, come spettatori critici, una opinione il più possibile completa del lavoro di Mullan.

 

Il piano della fabula

 Irlanda, 1964. Tre ragazze vivono un momento particolare della propria vita: Margaret è violentata da un cugino durante una festa di matrimonio; Rose giovane ragazza madre viene drasticamente separata dal neonato e Bernadette, giovane orfana, un po’ civettuola, lascia improvvisamente il collegio. Le tre ragazze scoprono ben presto l’anima fredda e crudele del convento che le accoglie senza saperne il perché. Sorella Bridget le introduce duramente alle regole del convento. La vita si sussegue tra il lavoro rigorosamente svolto in silenzio, la refezione esigua, alcuni tentativi di fuga, le punizioni per ogni minima infrazione e le umiliazioni. Il tempo passa inesorabile mentre un martellante “perché” riempie la mente delle ragazze. Accanto a Margaret, Rose – ribattezzata Patricia da sorella Bridget per comodità – si affianca Crispina, giovane ragazza madre un po’ svanita, ma serena nelle proprie sicurezze. Margaret scopre che Crispina è, inconsapevolmente, vittima dei desideri del cappellano e ne progetta la vendetta. Nel giorno del Corpus Domini, durante il sermone, padre Fitzroy, viene assalito da un attacco di orticaria. Crispina viene furtivamente ricoverata in una clinica di cura mentale. Dopo quattro anni Margaret viene liberata dal fratello e ciò suscita in Bernadette e Rose il desiderio di fuga e di riscatto.

 

Il piano dell’intreccio

 Magdalene è un film semplice per quanto riguarda la sua linearità narrativa; complesso, invece, sul piano strutturale dove le scelte stilistiche rispondono a strategie comunicative e contenuti forti. Magdalene è un film che va osservato, quindi, senza prescindere dallo stile del suo regista, anzi… occorre partire proprio da questo.

Peter Mullan, di origine scozzese, ha esordito come regista con Orphans (1997), film che racconta una lunga notte di veglia di tre fratelli e una sorella in attesa dei funerali della madre, in cui violenza, grottesco e furore iconoclastico si alternano sino a toccare il surrealismo. Mullan conferma, anche per Magdalene, opera seconda, una continuità con le sensibilità e gli stilemi di Ken Loach, regista inglese e autore di film di successo quali La canzone di Carla (1996), My name is Joe (1998), Pane e Rose (2000) e il recente Paul, Mick e gli altri. Il modo di fare cinema e di raccontare è asciutto, descrittivo, essenziale. Le storie e i temi affrontati sono trattati, con il rischio a tratti della retorica, in modo concreto e diretto, esclusivamente in relazione al microcosmo nel quale si muovono i personaggi. È lo stile che riscontriamo in Magdalene.

La fotografia privilegia i tagli netti e i contrasti forti, l’obiettivo si sofferma volentieri sui volti per cogliere gli stati d’animo e i lunghi silenzi diventano fortemente espliciti. I dialoghi, a loro volta, sono concisi ed essenziali e la musica non predomina mai. C’è attenzione ai dettagli. Grazie a queste scelte stilistiche Mullan ha potuto caratterizzare l’intero film di un forte senso di ironia.

 Proviamo a cogliere alcuni “passi” di questa lunga danza delle beffe.

Non passa certo inosservata la scena del primo incontro delle tre ragazze con sorella Bridget. Mentre viene enunciato il programma del convento, le immagini ci mostrano monete, registri contabili, la mano della suora intenta al conteggio degli incassi. E, nella stessa scena, mentre le “regole” imposte da sorella Bridget cambiano il corso della vita delle neo arrivate, gli effetti personali vengono furtivamente sottratti; un nuovo nome viene imposto per comodità a Rose. La scena se da una parte sembra una parodia del versetto paolino “l’uomo vecchio e l’uomo nuovo”, dall’altra certamente riconvoca alcuni film sull’olocausto, dove alle ignare vittime venivano sottratti gli oggetti personali, il passato e… la vita.

 Le scritte God is just e God is Good, dipinte sulle travi della camerata delle ragazze, risuonano più come provocazioni che come giaculatorie mentre si vivono momenti di punizione, dolore, umiliazione, vuoto interiore. Al momento della refezione, lo sguardo di Bernardette passa dal contenuto del proprio piatto al ricco desco riservato alle suore dietro la grata del refettorio. Pungente la scena in cui l’anziana donna esorta prima e poi rimprovera le ragazze per la loro l’omertà ai danni della suora punita a motivo della fuga di una ricoverata.

E si potrebbe continuare nell’elencare altri episodi…

L’ironia si tinge di sarcasmo e diventa anche accusa.

Non dimentichiamo il momento in cui le ragazze, private dei propri vestiti, vengono derise amaramente da due suore; una vera e propria tortura psico-morale.

La vendetta architettata da Margaret ai danni di padre Fitzroy inizia come uno scherzo per trasformarsi in una forte denuncia. Crispina comprende che quanto sta vivendo il sacerdote molesto la coinvolge e, risvegliandosi dal torpore morale, ripetutamente urla «tu non sei un uomo di Dio» mentre sorella Bridget mellifluamente la richiama all’ordine. Certamente non è un caso che l’episodio sia inserito nella celebrazione del Corpus Domini.

Emblematico il momento in cui Bernardette e Rose riescono a fuggire grazie ad un freddo baratto di due chiavi: quella della libertà e quella del guadagno. La tragedia si trasforma in una dichiarazione di meschinità per sorella Bridget.

 

Alla luce di questa rapida analisi la storia e il messaggio di Magdalene appaiono molto forti e duri. La religione e i suoi esponenti autorevoli - padre Fitzroy, le suore - diventano, per Mullan, strumento di tortura e di annullamento della persona. Margaret, Rose e Bernadette sono vittime innocenti di una società fortemente teocratica e ingiustamente e violentemente private della propria personalità. L’eccessiva rigidità nella correzione ottiene esiti collaterali. Il continuo stillicidio opera nelle ragazze una trasformazione interiore. La semplicità di Margaret diventa ostinazione al punto di rinunciare alla fuga per attuare la vendetta per conto di Crispina. La voglia di tenerezza di Rose/Patricia si fa silente ed ostinata rassegnazione e l’arguzia di Bernadette, infine, diventa freddo egoismo, insensibile alle sofferenze delle compagne.

 Continuando sul piano dell’intreccio non possiamo non considerare i due rimandi cinefili, anch’essi non privi di una forte ironia.

Il primo è costituito dalle riprese amatoriali di padre Fitzroy intento a filmare alcuni momenti di vita del convento e nel momento in cui invita due suore ad essere naturali queste si fermano imbambolate… quasi prive di personalità! Il secondo rimando cinefilo è una citazione diretta del film Le campane di Santa Maria interpretato da Ingrid Bergman. Sorella Bridget svela una personale passione segreta… il cinema. Il gioco delle pause e del ritmo evidenziano la falsità interiore e l’insensibilità del personaggio. L’immagine materna della suora interpretata dalla Bergman, icona cinematografica, contrasta fortemente con quella delle religiose presenti in sala con le ragazze.

E così Mullan prende “per mano” lo spettatore e, prima piano piano e poi vorticosamente, lo porta nell’inferno interiore che vivono i suoi personaggi. Al termine del percorso ogni volto, sorriso, parola, gesto delle religiose diventa ipocrita ed autoaccusatorio.

 Mullan conclude il film con una serie di rapide ed incisive operazioni. Bernardette in seguito alla fuga, recuperata la propria femminilità, incontra casualmente due suore della Maddalena; sotto un’arcata, insieme ad altre persone, Bernardette in un primo momento è presa da un senso di timore, ma ben presto, rievocando alcuni momenti della propria esperienza, reagisce. Libera i capelli, segno di una libertà recuperata - gli erano stati violentemente recisi per punizione in seguito a un suo tentativo di fuga - e mentre la pioggia le rovina il trucco lancia uno sguardo pieno di odio e di sfida verso le due suore. Fermoimmagine. È un primo piano denso di significati.

Segue un rapido resoconto sul futuro delle tre ragazze che porta lo spettatore a storicizzare quanto visto. La storia di Margaret, Rose e Bernardette non è una ipotetica ricostruzione, ma personaggi realmente esistiti. Improvvisamente Magdalene sembra assumere toni documentaristici.

Terzo ed ultimo tocco del finale: la fredda constatazione «300.000 sono le ragazze… L’ultima lavanderia ha chiuso nel 1996».

  

Il piano del paratesto

 Magdalene è reso ancora più caustico dalle varie informazioni che giungono dall’esterno del film: il paratesto. Ogni film che promette scandalo – spesso frutto di strategia pubblicitaria – suscita attenzione e guida, e a volte condiziona la visione stessa dell’opera. Interviste, rotocalchi, riviste specializzate, trailer, dichiarazioni e siti internet connotano il nostro personale bagaglio informativo e, soprattutto, interpretativo. Da un punto di vista paratestuale Magdalene è caratterizzato da quattro input esterni: le dichiarazioni ufficiali, le notizie inerenti alle location ed attori, la documentazione e, infine, il parere della critica.

Mullan ha apertamente dichiarato la personale opposizione al mondo cattolico. Non ha lesinato, nelle varie conferenze stampa, dettagli circa le motivazioni e le fasi di documentazione, preparazione e location del film.

«Non posso considerare (questo film, n.d.r.) strettamente autobiografico, piuttosto tratta di vicende che sono accadute intorno a me. Io sono cattolico, o meglio, mia madre mi ha consegnato alla Chiesa quando avevo due settimane di vita; mio padre era alcolista e quando mi è capitato di vedere un documentario sulle case “Magdalene” ho subito capito cosa significhi essere prigionieri a livello mentale… Quando ero piccolo ho lavorato per una suora irlandese che ci chiedeva sempre di pregare, ma che era una delle persone più crudeli che abbia mai conosciuto, pur avendo un sorriso che definirei da cherubino. Il lato “cattivo” della Chiesa è la sua assenza di dubbi su ciò che è giusto o sbagliato, sono convinti di essere benedetti da Dio. La suora in questione non capiva che era crudele, vedeva la compassione come una debolezza. Questo è il vero problema della Chiesa, ha dimenticato la compassione e dovrebbe riconsiderare ciò che ha fatto nel XX secolo (e ciò che sta facendo ora) e magari chiedere scusa»1.

È lo stesso regista a dichiarare di essersi imbattuto in un forte ostruzionismo da parte delle autorità e della gente da dover trasferire le riprese dall’Irlanda alla Scozia.

Phyllis McMahon, attrice chiamata per il ruolo di sorella Augusta, ha richiamato la propria esperienza di ex sorella della Misericordia.

«La Chiesa cattolica fa parte della mia vita, io sono ancora cattolica – dice - ma in quel convento ho visto una crudeltà enorme, la società ha la colpa di aver segregato quelle donne lì dentro. La Chiesa cattolica deve guardarsi in profondità. Non sono stata obbligata ad entrare in convento, avevo una forte vocazione. Ero stata influenzata pesantemente dall’educazione cattolica delle suore e a 17 anni decisi di prendere i voti e dedicare la mia vita a Dio perché tramite me facesse cose stupende. I miei genitori erano contrari alla mia scelta. Ero talmente idealista che i primi anni non volevo rendermi conto di quel che vedevo. Poi a 21 anni sono stata mandata a dirigere un istituto di 100 ragazze e lì ho capito che non ce la facevo a diventare come quelle suore che terrorizzavano altre donne. E così ho preso la decisione e aiutata dai miei genitori sono scappata e sono diventata attrice»2.

Mullan ha dichiarato anche di essersi ampiamente documentato raccogliendo, non senza difficoltà a motivo della riluttanza, varie testimonianze. Emanuela Audisio riporta in un suo articolo3, una intervista a Mary Norris, ex “madallenina”.

«Dopo la morte di papà, mia madre cominciò a frequentare un uomo della zona, che spesso si fermava a dormire da noi. […] presero noi bambini e ci fecero marciare fino al tribunale, sotto gli occhi di tutti. Su volere del parroco che considerava la mamma una cattiva donna. Finimmo in un orfanatrofio a Killarney, separati dai nostri fratelli, ma noi la mamma l’avevamo. Mi guardi: sono una vera Maria Maddalena, non un fantasma. Sono una di quelle di cui parla il film di Peter Mullan che ha vinto a Venezia. Una di quelle schiave messe a marcire nei conventi, gestiti dalle Suore della Misericordia, per conto della Chiesa cattolica».

Ed, infine, non possiamo tralasciare le voci che si sono alzate a favore e, soprattutto, contro Magdalene. «Si ha come l’impressione che la giuria si sia fatta influenzare dalle polemiche più che dal film», ha dichiarato Andrea Piersanti, presidente del cattolico Ente dello spettacolo. «Chi ha premiato il film lo ha fatto solo per il suo contenuto anticattolico». «Evidentemente il fascino del film è appunto in questo» ha detto padre Gianni Baget Bozzo. Il cardinal Ersilio Tonini e la mediatica suor Paola, tifosa della Lazio, hanno invocato un maggior rispetto per il lavoro e, soprattutto, per le motivazioni delle suore. Lo stesso Valerio Riva, membro del Consiglio di amministrazione della Biennale, ha preso le distanze dal verdetto della giuria rifiutandosi di presenziare alla premiazione4.

 

Quale valutazione

È giusto allora, alla luce di quanto riportato finora, distinguere il cosa è stato raccontato dal come. È giusto farlo perché le due dimensioni hanno oggetti differenti e, in questo caso, richiedono valutazioni diverse.

Magdalene è un film ben costruito. Sa raccontare bene la tragedia interiore di ogni personaggio riportandone ogni sfumatura. Riesce a trascinare lo spettatore nello stesso movimento di odio e di repulsione verso una morale rigidista. Mullan si inserisce con dignità nel filone di quei registi che preferiscono un cinema critico desideroso di colpire nello stomaco il pubblico e la storia.

Ma è giusto osservare che ogni film, come ogni esperienza umana, racconta una storia, un sentimento, dei personaggi esprime il punto di vista del suo autore e non un descrizione oggettiva. Le dichiarazioni su riportate ci aiutano a comprendere che Magdalene è un film che parte da una precisa volontà accusatoria.

Magdalene suscita interrogativi ai quali solo gli storici, con onestà ed autenticità, potranno rispondere. Con gli ultimi dittici «300.000 ragazze sono state ospiti …. L’ultima lavanderia ha chiuso nel 1996» Mullan estende la vicenda delle protagoniste a tutto l’operato delle suore della Maddalena senza operare contestualizzazioni storiche o sociali. Da più parti si è fatto notare che i conventi delle suore della Maddalena erano pii riformatori gestiti dalle religiose per conto dello stato. In nessun passaggio del film emerge la responsabilità o, perlomeno, la presenza di altri soggetti. Mullan sembra aver scelto alcune vicende di ragazze innocenti ed inserite, estendendole a tutto l’operato delle suore, in un contesto rieducativo particolare.

La critica alla cultura cattolica non è diretta solo alle religiose ma investe a trecentosessanta gradi tutta la realtà. All’origine delle varie vicende c’è una famiglia, una madre, un padre eccessivamente rigidi. «Mamma perché non lo guardi?», è l’esortazione disperata di Rose. Margaret è imputata in un processo dove non ha possibilità di replica. Significativo il succedersi dei vari dialoghi coperti dalla musica della festa mentre si definisce il verdetto della ragazza; freddo il silenzio dell’allontanamento da casa all’alba del giorno successivo. È questo il primo trauma che le due ragazze vivono: le persone che amano non sono disposte ad essere misericordiose. Già, è proprio la misericordia che sembra mancare al film! Ma non si può certo affermare che la Chiesa, nonostante i suoi limiti ed errori storici, non ne abbia affatto vissuto!

C’è solo un momento. Il freddo volto di sorella Bridget, sembra attraversato dal segno del rimorso quando Crispina viene portata via in una casa di cura mentale. Ma, ahimè!, è una sola inquadratura isolata che sviluppa nessun tema. Forse vuole esprimere l’incapacità del personaggio a saper riconoscere e vivere un sentimento di misericordia, di angoscia o, eventualmente, a doverlo sacrificare per una ragione più conveniente!

Magdalene è un film crudo e diretto. A noi è piaciuta la qualità registica e le strategie comunicative attuate da Mullan. Il film va visto certamente con un certo distacco e senso critico, non dimentichiamo che è una accusa esplicita di un regista. Possiamo raccogliere dalla continua serie di provocazioni che Magdalene offre una buona lezione che resta valida al di là delle esattezze storiche del film o degli errori compiuti come Chiesa: il messaggio cristiano ha bisogno di testimoni credibili.

Il lavoro di Mullan ci stimola come cattolici a “raccontare” con modalità nuove, senza escludere anche quella cinematografica, le meraviglie, le fatiche e la storia di un messaggio che da sempre si è incarnato e continua a farlo ancora oggi in un cammino storico.


1. http://www.filmup.com/speciale/petermullan/int01.htm - FilmUP 21 settembre 2002.

2. http://www.ilnuovo.it/nuovo/foglia/0,1007,149266,00.html - Il Nuovo Cinema 29 settembre 2002.

3. Audisio Emanuela, La mia vita da schiava in un convento-lager, La Repubblica 13 settembre 2002; Cf www.larepubblica.it.

4. Cf Corriere della Sera, 8 settembre 2002.

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