 |
 |
 |
 |
Novembre! Tempo di memoria, di ricordi! La memoria e i
ricordi ci riportano al passato, al ricordo di persone che possiamo aver
conosciuto, con cui abbiamo trascorso una segmento della nostra vita, alle quali
si era – e si è – legati con particolare intensità; alcune oggi potrebbero già
anche essere ufficialmente elencati nel catalogo dei venerabili, dei beati o dei
santi. Il presente è qui, ma, direbbe sant’Agostino, mentre pronunciamo
l’asserto, già non è più. Sul tempo hanno scritto filosofi, poeti, scienziati,
saggisti. E nessuno ha dato una definizione soddisfacente, appagante. Per il
tempo ciò che più conta e vale in ognuno è l’esperienza. Le parole altrui
possono illuminare, facilitarne e ampliarne la comprensione; fuori di lì servono
a ben poco. Ciò che conta più di ogni altra cosa, è anche qui l’esperienza che
pure è diversa con il passare degli anni. Il tempo viene e passa
inesorabilmente. G. Ungaretti, con quel grumo di sconsolazione, angoscia e
tristezza che lo affliggeva e tormentava sempre, scriveva: “Quando un giorno ti
lascia, pensi all’altro che spunta. E’ sempre pieno di promesse il nascere,
sebbene sia straziante e l’esperienza di ogni giorno insegni che nel legarsi,
sciogliersi e durare non sono i giorni se non vago fumo”.
Il presente non è ancora espresso che
già non è più. Eppure, eppure in qualche modo in questo presente è espresso
qualcosa che durerà oltre il tempo, perché vi è racchiuso ed espresso l’amore,
la carità, l’agape. Il resto è nulla.
Ci permettiamo riportare per intero una
pericope della Prima Lettera di san Paolo ai cristiani di Corinto, una
pericope che unisce il tempo all’eternità: “Se anche parlo le lingue degli
uomini e degli angeli, ma non ho la carità, sono un bronzo sonante o un cembalo
squillante. E se anche io ho il dono della profezia e conosco tutti i misteri e
tutta la scienza; e se anche possiedo tutta la fede, sì da trasportare le
montagne, ma non ho la carità, non sono niente. E se anche distribuisco tutte le
mie sostanze, e se anche do il mio corpo per essere bruciato, ma non ho la
carità, non mi giova nulla. La carità è magnanima, è benigna la carità, non è
invidiosa, la carità non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non
cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non
gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità; tutto scusa, tutto crede,
tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine; le profezie
scompariranno; il dono delle lingue cesserà; la scienza svanirà; conosciamo
infatti imperfettamente, e imperfettamente profetizziamo. Ma quando verrà la
perfezione, sarà abolito ciò che è imperfetto. Quand’ero bambino, parlavo da
bambino, ragionavo da bambino. Ma quando mi sono fatto adulto, ho smesso ciò che
era da bambino. Adesso vediamo come in uno specchio, in immagine; ma allora
vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in parte, ma allora conoscerò
perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose:
la fede, la speranza, e la carità; ma la più grande di esse è la carità”.
Una pericope che riporta in linguaggio
di sapienza le linee di un progredire, di un succedersi, di un divenire umano e
cristiano. Il ‘presente’: “parlo…, do…, sono…, è…, distribuisco…, tutto crede,
spera, sopporta…, quand’ero bambino…, quando mi sono fatto adulto”; e poi:
“svanirà, scompariranno… allora vedremo…”.
In questo susseguirsi di tempi, in
attesa di ciò che sarà oltre il tempo, quando non vedremo più come in uno
specchio, ci tocca, come scriveva Mariapia Bonanate nel suo primo intervento su
questa rivista (n.1/gennaio 2002), “riscoprire la pienezza dell’istante”,
“vivere ogni momento, gioia o dolore, felicità o lutto, come se fosse la
totalità della nostra esistenza”.
Nessuno può sfuggire al suo passato,
nessuno può scampare al tempo che scorre, perché nessuno può fuggire da se
stesso, essendo nato e trovandosi immerso nel tempo, anche se qualche volta lo
vorrebbe, pur inconsciamente. La soluzione potrebbe essere: vivere con
intensità, con tutto l’essere, con una presenza somma, con entusiasmo, con
gioia, l’istante, ogni istante. Vivere pienamente nell’attimo. Così vissuto il
tempo non è più logorio; il susseguirsi delle ore non è più un ingranaggio che
ti ghermisce e ti stritola. Pur con un progetto e un programma da realizzare,
pur con impegni da non tramandare, si diventa gestori viventi e gioiosi
dell’attimo, ossia ‘gestori’ sereni del lavoro, degli incontri con le persone,
delle cose in cui ci si imbatte, degli avvenimenti tristi e delle vicende liete.
Noa, la ragazza israeliana che ha cantato due volte in Vaticano di fronte a
Giovanni Paolo II, ha esordito ultimamente con nuovo album titolato Now
(Ora). E lo ha spiegato a Famiglia Cristiana: “Now significa tutto
ciò che io vivo e provo in questo momento. Il passato è terribile, il futuro ci
fa spavento; la cosa migliore è investire più amore possibile nel nostro oggi”.
Come israeliana può anche affermare che il passato è terribile. Il futuro è, in
parte, uno sconosciuto per tutti, forse un enigma. Ma questo istante, questo
attimo vissuto nell’amore con intensità rimarrà un valore perenne. E sarà il
tempo in cui si potrà distribuire tutto, e tutto sopportare, tutto scusare;
tutto donare.
Concludiamo semplicemente così: chiamate
a vivere in modo eminente la ‘nostalgia’ per la fine del tempo, siamo chiamate a
porci ancor più responsabilmente dentro il tempo e dentro gli eventi. Nessun
istante, infatti, dovrà essere un istante a perdere.
 |