n. 11
novembre 2002

 

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di Biancarosa Magliano
 

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Novembre...

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Novembre! Tempo di memoria, di ricordi! La memoria e i ricordi ci riportano al passato, al ricordo di persone che possiamo aver conosciuto, con cui abbiamo trascorso una segmento della nostra vita, alle quali si era – e si è – legati con particolare intensità; alcune oggi potrebbero già anche essere ufficialmente elencati nel catalogo dei venerabili, dei beati o dei santi. Il presente è qui, ma, direbbe sant’Agostino, mentre pronunciamo l’asserto, già non è più. Sul tempo hanno scritto filosofi, poeti, scienziati, saggisti. E nessuno ha dato una definizione soddisfacente, appagante. Per il tempo ciò che più conta e vale in ognuno è l’esperienza. Le parole altrui possono illuminare, facilitarne e ampliarne la comprensione; fuori di lì servono a ben poco. Ciò che conta più di ogni altra cosa, è anche qui l’esperienza che pure è diversa con il passare degli anni. Il tempo viene e passa inesorabilmente. G. Ungaretti, con quel grumo di sconsolazione, angoscia e tristezza che lo affliggeva e tormentava sempre, scriveva: “Quando un giorno ti lascia, pensi all’altro che spunta. E’ sempre pieno di promesse il nascere, sebbene sia straziante e l’esperienza di ogni giorno insegni che nel legarsi, sciogliersi e durare non sono i giorni se non vago fumo”.

Il presente non è ancora espresso che già non è più. Eppure, eppure in qualche modo in questo presente è espresso qualcosa che durerà oltre il tempo, perché vi è racchiuso ed espresso l’amore, la carità, l’agape. Il resto è nulla.

Ci permettiamo riportare per intero una pericope della Prima Lettera di san Paolo ai cristiani di Corinto, una pericope che unisce il tempo all’eternità: “Se anche parlo le lingue degli uomini e degli angeli, ma non ho la carità, sono un bronzo sonante o un cembalo squillante. E se anche io ho il dono della profezia e conosco tutti i misteri e tutta la scienza; e se anche possiedo tutta la fede, sì da trasportare le montagne, ma non ho la carità, non sono niente. E se anche distribuisco tutte le mie sostanze, e se anche do il mio corpo per essere bruciato, ma non ho la carità, non mi giova nulla. La carità è magnanima, è benigna la carità, non è invidiosa, la carità non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità; tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine; le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà; la scienza svanirà; conosciamo infatti imperfettamente, e imperfettamente profetizziamo. Ma quando verrà la perfezione, sarà abolito ciò che è imperfetto. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma quando mi sono fatto adulto, ho smesso ciò che era da bambino. Adesso vediamo come in uno specchio, in immagine; ma allora vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza, e la carità; ma la più grande di esse è la carità”.

Una pericope che riporta in linguaggio di sapienza le linee di un progredire, di un succedersi, di un divenire umano e cristiano. Il ‘presente’: “parlo…, do…, sono…, è…,  distribuisco…, tutto crede, spera, sopporta…, quand’ero bambino…, quando mi sono fatto adulto”; e poi: “svanirà, scompariranno… allora vedremo…”.

In questo susseguirsi di tempi, in attesa di ciò che sarà oltre il tempo, quando non vedremo più come in uno specchio, ci tocca, come scriveva Mariapia Bonanate nel suo primo intervento su questa rivista (n.1/gennaio 2002), “riscoprire la pienezza dell’istante”, “vivere ogni momento, gioia o dolore,  felicità o lutto, come se fosse la totalità della nostra esistenza”.

Nessuno può sfuggire al suo passato, nessuno può scampare al tempo che scorre, perché nessuno può fuggire da se stesso, essendo nato e trovandosi immerso nel tempo, anche se qualche volta lo vorrebbe, pur inconsciamente. La soluzione potrebbe essere: vivere con intensità, con tutto l’essere, con una presenza somma, con entusiasmo, con gioia, l’istante, ogni istante. Vivere pienamente nell’attimo. Così vissuto il tempo non è più logorio; il susseguirsi delle ore non è più un ingranaggio che ti ghermisce e ti stritola. Pur con un progetto e un programma da realizzare, pur con impegni da non tramandare, si diventa gestori viventi e gioiosi dell’attimo, ossia ‘gestori’ sereni del lavoro, degli incontri con le persone, delle cose in cui ci si imbatte, degli avvenimenti tristi e delle vicende liete. Noa, la ragazza israeliana che ha cantato due volte in Vaticano di fronte a Giovanni Paolo II, ha esordito ultimamente con nuovo album titolato Now (Ora). E lo ha spiegato a Famiglia Cristiana: “Now significa tutto ciò che io vivo e provo in questo momento. Il passato è terribile, il futuro ci fa spavento; la cosa migliore è investire più amore possibile nel nostro oggi”. Come israeliana può anche affermare che il passato è terribile. Il futuro è, in parte, uno sconosciuto per tutti, forse un enigma. Ma questo istante, questo attimo vissuto nell’amore con intensità rimarrà un valore perenne. E sarà il tempo in cui si potrà distribuire tutto, e tutto sopportare, tutto scusare; tutto donare.

Concludiamo semplicemente così: chiamate a vivere in modo eminente la ‘nostalgia’ per la fine del tempo, siamo chiamate a porci ancor più responsabilmente dentro il tempo e dentro gli eventi. Nessun istante, infatti, dovrà essere un istante a perdere.

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