n. 6
giugno 2005

 

Altri articoli disponibili

 

English

L'ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE:
una sfida per la vita religiosa femminile del terzo millennio

di Rosetta Napolitano *

 

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

«In quello stesso giorno... due
dei discepoli erano in cammino
per un villaggio distante circa
sette miglia da Gerusalemme
(...)
Mentre discorrevano e discutevano
insieme, Gesù in persona si
accostò e camminava con loro»
1.

L'immagine dei discepoli che si allontanano sfiduciati da Gerusalemme il giorno della risurrezione e che, proprio in quel momento, vengono avvicinati da Gesù che cammina con loro, e si fa loro compagno di viaggio, è forse una delle icone più toccanti e commoventi di tutto il Nuovo Testamento. Ha ispirato artisti e poeti, è stata vista come l’icona del cammino cristiano e, in modo particolare, della celebrazione eucaristica, da generazioni di cristiani e di teologi. Non è quindi fuori luogo il considerarla anche immagine privilegiata dell’accompagnamento spirituale2, soprattutto oggi che tale ministero ha perso molto dell’impostazione prevalentemente direttiva che lo caratterizzava in passato e che viene sempre più visto, ed esercitato, come un porsi accanto al fratello, o alla sorella, camminando con lui, o lei, per aiutarlo/a a discernere le vie attraverso le quali lo Spirito santo li guida.

Tale lettura non è semplicemente suggestiva, in quanto ci permette, da una parte, di cogliere la straordinaria attualità di questo carisma in un periodo storico nel quale non solo i lontani, ma anche molti credenti si sentono incapaci di leggere gli avvenimenti con gli occhi di Dio e darne una spiegazione e una risposta alla luce della fede; dall’altra parte, ci permette di vedere come questo costituisca una sfida per la vita consacrata odierna, chiamata a «inserirsi nel cammino non sempre facile né chiaro del popolo di Dio in questo mondo, ad esercitare un dialogo accogliente e capace di discernere le utopie e le ferite dell’umanità di oggi»3.

E’ in questa accoglienza e, soprattutto, nella capacità di ascoltare e soccorrere il fratello, o la sorella – sempre più confuso/a di fronte alle molteplici interpretazioni della vita che gli vengono offerte, e sempre più da esse deluso/a e ferito/a nel cuore e nello spirito, – che si situa una rinnovata comprensione del ministero dell’accompagnamento spirituale, nel quale la vita consacrata, soprattutto femminile, può giocare un ruolo importante e decisivo per un rilancio del ministero stesso.

Si può dire che ciascuna religiosa sia chiamata ad affiancarsi, insieme a Gesù, ai fratelli e alle sorelle che si trovano a “sette miglia da Gerusalemme”, per ascoltare le loro ragioni e poterli/e così illuminare e indirizzare per la strada del “ritorno a Gerusalemme”.

 

“Sette miglia da Gerusalemme...”

Chi erano i discepoli di Emmaus? Non certo degli sprovveduti, ma delle persone addentro alla fede, persone che non solo conoscevano la Legge, ma erano stati addirittura alla scuola di Gesù, erano vissuti con Lui, avevano ascoltato la sua Parola. Nonostante tutto, ecco che, di fronte allo scandalo della morte del Maestro, si lasciano prendere dallo scoraggiamento e tornano indietro.

Chi sono oggi i due personaggi che “si allontanano da Gerusalemme”? Anzitutto bisogna precisare che sono discepoli nel vero senso del termine, ossia persone che frequentano le nostre parrocchie e comunità ecclesiali, che cercano di percorrere il cammino della vita cristiana. Si tratta per lo più di giovani, ma anche di ragazzi e di persone adulte, tutti accomunati da uno stesso senso di delusione di fronte alla vita e dalla incapacità di impegnarsi fino in fondo a vivere concretamente la fede, per poter dare risposte giuste ai loro dubbi e alle loro angosce. A volte ciò dipende dall’ignoranza delle Scritture o del Magistero, più spesso dall’influenza di una mentalità, ormai dilagante, che tende a diffondere una visione pessimistica dell’esistenza, mettendo sistematicamente da parte o, addirittura, ridicolizzando, quelli che sono i valori fondamentali della nostra fede, primo fra tutti la speranza. Credo che le conseguenze negative di tale modo di pensare e di essere si possano sintetizzare in due atteggiamenti fondamentali, direttamente in contrasto con la visione di fede, riscontrabili soprattutto nei più giovani: bassa stima di se stessi e conseguente sfiducia nella misericordia divina.

Tali caratteristiche sono da collegarsi strettamente con il mito dell’efficienza e del successo a tutti i costi, tipico della nostra società. Esso fa sì che anche nell’ambito della vita cristiana si cerchino risultati facili e immediati, sia per quanto riguarda la propria vita spirituale, sia per ciò che concerne l’attività apostolica. Di conseguenza, le inevitabili cadute – dovute alla debolezza della natura umana, come anche gli insuccessi nell’apostolato, spesso frutto non di incapacità nell’agire ma della libertà umana di accogliere o meno la grazia di Dio – non vengono accettate né perdonate a se stessi e agli altri.

Questo genera un profondo senso di frustrazione nella persona, che non riesce più a vedersi come un capolavoro di Dio e, invece di trarre forza dalla propria debolezza volgendo lo sguardo alla misericordia divina, tende a colpevolizzarsi e a scoraggiarsi perdendo la forza e gli stimoli per andare avanti. Nello stesso tempo, il ripiegamento su se stessi e l’incapacità di affidarsi a Dio nella propria miseria, impedisce di fare l’esperienza fondamentale dell’incontro con l’amore e il perdono del Padre, presupposto necessario e indispensabile per diventare, a nostra volta, strumenti di misericordia per il prossimo. Da qui la decisione, a volte inconscia, ma più spesso perfettamente consapevole, di lasciar stare, di allontanarsi da un cammino di fede più impegnato, per ritornare a un’esistenza più “tranquilla” e meno problematica, senza alcun tipo di impegno concreto nella comunità.

Abbiamo così cristiani sinceramente affascinati dalla persona e dal messaggio di Gesù che, in teoria, accettano e condividono, ma che poi, in pratica, seguono il comportamento della massa, sconfessando nella vita ciò che praticano nella liturgia. E, cosa ancora più grave, anche quando si rendono conto di questa discrepanza, non riescono comunque a fare marcia indietro, perché circondati da “maestri” sempre pronti a trovare mille ragioni per farli continuare su quella strada.

Può sembrare strano infatti, eppure questi moderni discepoli hanno più facilità a trovare, tra queste persone, compagni di viaggio disposti ad ascoltarli e a camminare con loro che non tra i cristiani stessi, sacerdoti e religiosi compresi, presi spesso da tanti impegni, al punto da non trovare più il tempo per il contatto personale con i loro fratelli e sorelle nella fede, dei quali, e delle quali, non riescono più a capire ragioni e drammi e che, quindi, sono più propensi a giudicare che non a sanare con una vicinanza discreta e continua.

Accade, così, che la tentazione di chiudersi in se stessi, di cedere allo scoraggiamento, allontanandosi dalla meta della vita e della speranza divina che si è chiamati a testimoniare tra i fratelli e le sorelle, diventi sempre più forte e insidiosa, come anche quella di continuare a “lamentarsi”, comunicandosi a vicenda i reciproci dubbi, senza rischiararli alla luce di quella fede che pure si è ricevuta e sperimentata. E’ in tal modo che, lentamente, il “noi speravamo...” dei discepoli di Emmaus prende il posto della speranza cristiana e della capacità di invertire la rotta e darsi da fare per adempiere la missione alla quale sì è chiamati come cristiani.

 

«Gesù... si accostò e camminava con loro...»

Una simile situazione di disagio e di infermità spirituale non può essere curata che con un intervento personale nei confronti di questi nostri fratelli e sorelle, così come ha fatto Gesù con i due discepoli del Vangelo. E’ molto bello vedere come Egli, guardando al loro sconforto, che pure è causato da una mancanza di fede e di speranza, prenda l’iniziativa non solo di cercarli e di accostarsi, ma anche di camminare con loro per un tratto di strada, nella direzione opposta a quella di Gerusalemme, ascoltando le loro ragioni.

D’altra parte, non è certo la prima volta che Gesù agisce così. Rientra nel suo stile e nella sua pedagogia il prevenire, cercare, accogliere, ancor prima di essere cercato. In questo caso, tuttavia, è da sottolineare, in modo particolare, la sua delicatezza nel portare i discepoli a prendere coscienza essi stessi del loro stato interiore, a partire da un dialogo fondato sull’attenzione alle loro persone, alla situazione concreta che stanno vivendo.

Dalle parole di Luca si nota come, prima di prendere la parola per istruirli alla luce della Sacra Scrittura, li fa parlare, ascoltandoli con pazienza, nonostante già conosca ciò che vogliono dire. Il clamore di ciò che era successo avrebbe giustificato anche un intervento di tipo diverso, più immediato, dal momento che i due sono meravigliati che il misterioso viandante non conosca i fatti. Eppure il Maestro preferisce che siano essi stessi a esporli, dando loro, in questo modo, la possibilità di riordinare le idee, guardarsi dentro e fare il punto sui loro sentimenti profondi.

E’ solo a questo punto che interviene con forza, richiamandoli a mettere al centro la Parola di Dio e a interpretare alla sua luce gli avvenimenti. Egli lo fa, cosa molto importante, senza fermarsi, continuando a condividere il loro cammino, fino a quando essi stessi non lo invitano a fermarsi con loro, lo riconoscono e ritornano finalmente a Gerusalemme, profondamente cambiati e pronti per adempiere la loro missione di testimoni del Risorto.

Il Maestro ci lascia, così, un esempio luminoso di come agire, anche nel nostro contesto, per poter aiutare i fratelli e le sorelle in difficoltà a “ritornare a Gerusalemme”. Si tratta, in pratica, di riscoprire il ministero dell’accompagnamento spirituale nel suo senso più genuino di “cammino”, fatto insieme a un fratello o a una sorella nella fede, che aiuti a discernere l’azione dello Spirito nella persona, e anche come questo possa essere un mezzo privilegiato di apostolato, quasi una sfida, per la vita consacrata odierna. C’è bisogno, infatti, non solo di recuperare quell’attenzione alla persona che era tipica già dei padri e delle madri del deserto, sempre disponibili ad accogliere e ad ascoltare coloro che si recavano da loro per consiglio e aiuto spirituale, ma anche di riuscire a intuire e precedere tale richiesta, oggi spesso inespressa, attraverso una testimonianza quotidiana di vicinanza fraterna e di attenzione al vissuto di chi ci è accanto, per fargli capire l’importanza di un cammino di fede più impegnato.

 

Sulle orme del Maestro... con cuore di donna

Inteso in questo modo, si capisce come l’accompagnamento spirituale rappresenti un ambito privilegiato d’azione per tutta la vita consacrata, sia maschile che femminile. Vorrei, tuttavia, sottolineare in modo particolare l’apporto specifico che possono darvi le religiose, dal momento che si tratta di un campo che per molto tempo, in quanto donne, è stato loro interdetto, almeno a livello ufficiale4. Esso era considerato come esclusivamente legato alla confessione sacramentale e, quindi, in stretta correlazione con il sacerdozio ministeriale, lasciando intendere che si potesse fare un cammino di vita spirituale solo con l’aiuto di un sacerdote.

La storia della spiritualità ha dimostrato invece come la prassi in molti casi abbia smentito questa affermazione5, tanto che oggi non è più un problema, sia pure a livello teorico, il fatto di riconoscerlo come un carisma non legato, in quanto tale, né al sesso, né al ministero sacerdotale6. Le resistenze, tuttavia, permangono ancora in campo pratico, non solo all’esterno, ma anche e soprattutto tra le religiose stesse, in quanto si nota una certa fatica a vedere questo servizio come un’opera di apostolato vero e proprio e a dedicargli il tempo e l’attenzione che merita. Penso che ciò sia dovuto, principalmente, a una comprensione troppo limitata del concetto stesso di “apostolato”, che viene molto spesso inteso nel senso riduttivo di “fare” qualcosa per gli altri mentre, in realtà, è da intendersi nel senso più ampio di “donare se stessi”.

In questa accezione, anche offrire il proprio tempo per l’ascolto è apostolato e, data la situazione attuale, ne rappresenta la forma più urgente, alla quale devono tendere e cooperare tutte le altre forme di azione e di impegno della vita religiosa femminile. Le religiose, infatti, sono forse le persone più adatte a svolgere questo tipo di ministero, non solo per la particolare vicinanza con la gente nelle varie opere apostoliche e per la maggiore libertà d’azione derivante dal non essere legate dagli impegni propri del ministero sacerdotale, ma anche per il loro essere femminile, che le rende particolarmente adatte all’accoglienza e alla comprensione materna.

La donna, predisposta già nel suo corpo ad essere “spazio accogliente” per vita, ne è la custode privilegiata nel suo svolgersi successivo e questo le consente di sviluppare, anche in campo spirituale, un atteggiamento di grande pazienza nei confronti della germinazione della vita, seguendone il successivo sviluppo con amore e speranza7. Questo la porta a privilegiare e curare in modo particolare l’ambito delle relazioni interpersonali, piuttosto che quelle di massa, e ad avere una sensibilità e un rispetto particolare per il cammino spirituale di ciascuno, riconoscendolo/a come unico/a e irripetibile.

Tale aspetto specifico rende l’accompagnamento spirituale al femminile particolarmente adatto proprio per le persone portate allo scoraggiamento e alla mancanza di fiducia in se stesse. Così come, infatti, sul piano naturale la madre interviene con dolcezza e fermezza a sostenere e incitare i figli ad andare avanti, nonostante le difficoltà, così su quello spirituale, la donna che ha ricevuto il carisma di guida nello Spirito sa incoraggiare e incitare, pur senza indulgere a compromessi, ad avanzare con fiducia sulla via che ella percepisce tracciata da Dio per la persona concreta che ha davanti. Non credo sia un caso che Luca annoti come, in un periodo non certamente facile per i discepoli, quale era quello immediatamente precedente alla Pentecoste, Maria fosse abitualmente presente con loro nel Cenacolo, senza dubbio quale punto di riferimento e presenza materna incoraggiante per tutti e per ciascuno.

Si capisce come, in tale prospettiva, sia particolarmente urgente incrementare, in tutte le opere di apostolato, queste nostre caratteristiche peculiari, mettendole al servizio della grazia, soprattutto attraverso il potenziamento dei rapporti interpersonali. I fratelli e le sorelle in difficoltà infatti, sentendosi cercati e accolti nella quotidianità del loro cammino, e avvertendo la nostra disponibilità all’ascolto dei loro problemi, anche diversi da quelli della fede, si sentono incoraggiati ad aprire il loro animo, anche perché oggi è sempre più difficile trovare persone che abbiano il tempo, la voglia e, forse, anche la capacità di ascoltare. Certo, inizialmente essi lo fanno solo per sfogarsi o per chiedere consiglio e aiuto, senza alcuna intenzione di iniziare un rapporto di accompagnamento spirituale, proprio come è accaduto ai discepoli di Emmaus. Questo potrebbe dare l’impressione alla religiosa di star perdendo il proprio tempo, di “camminare con loro nella direzione opposta a quella di Gerusalemme” invece che riportarli sulla strada giusta. Eppure è proprio qui, in questa fase iniziale, che si gioca il futuro del ministero.

Se, come il Maestro, ma con la sensibilità propria del nostro essere femminile, riusciamo ad avere la costanza di accompagnarli/e maternamente per questo scorcio di strada, ascoltandoli/e con pazienza nei loro dubbi, nelle loro ragioni, essi/e riusciranno ad esprimere il proprio vissuto, manifesteranno le proprie ferite, prendendone finalmente coscienza. Solo a questo punto, con grande fermezza, ma anche con il rispetto verso l’opera dello Spirito nella persona, si può cominciare il cammino di accompagnamento vero e proprio, che consiste, soprattutto, nel portarli/e all’incontro con Cristo, presente nell’Eucaristia, attraverso la sua Parola, unica Luce che può illuminare la vita di ogni credente che l’accoglie con fede e amore, dando una risposta autentica ai suoi dubbi e alle sue paure. E’ questo incontro che permetterà loro di capire l’importanza della guida spirituale per un cammino di fede, che non perda di vista la meta alla quale si è chiamati/e, portandoli/e a chiedere esplicitamente aiuto in tal senso, anche perché certi di trovare la disponibilità della religiosa.

Si capisce che, per poter arrivare a questo, l’accompagnatrice non può prescindere da una vita spirituale impegnata ed autentica8 che la porti giorno dopo giorno a fare personalmente l’esperienza di Dio e della sua misericordia nella preghiera e nella meditazione della Parola. Infatti, «sperimentando Dio, sperimentiamo un amore grande per l’essere umano, in particolare il più piccolo e il più debole; incontrando il povero e il ferito, il nostro cuore si commuove e i nostri occhi scorgono in questi l’immagine di Dio, anche se sfigurata e disprezzata»9. In tal modo diventiamo, quasi senza accorgercene, con la nostra stessa vita, trasparenza di quel volto materno di Dio sempre pronto a chinarsi sull’uomo malato, nel cuore e nello spirito, per sollevarlo e sanarlo, testimoniando come questo amore sia più forte di tutte le debolezze della natura umana, e ridonando speranza a chi è preso dallo scoraggiamento e dalla tentazione di lasciarsi andare.

E’ per questo che è particolarmente urgente prendere coscienza di come il potenziale insito nel nostro essere donne e religiose sia importante per un ministero che, come poche forme di apostolato oggi, risponde alle esigenze dei tempi. C’è solo bisogno di un po’ di coraggio per uscire da schemi apostolici forse un po’ troppo consolidati e metterci in cammino, sulle orme del Maestro, per la strada di Emmaus, facendoci con Lui pellegrine di amore e di speranza per e con i nostri fratelli e le nostre sorelle.

Torna indietro