n. 9
settembre 2005

 

Altri articoli disponibili

 

 

English

DESERTI IN OASI DI PACE

di Diana Papa

 

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

Riprendere il cammino, dopo un meritato periodo di riposo, non è sempre facile. Molteplici sono state le opportunità incontrate durante la pausa estiva e non sono mancate quelle che hanno maggiormente influito sulle scelte future.

Ritornano nella mente alcune parole pronunciate durante l’omelia del 24 aprile 2005 dal Papa Benedetto XVI. Egli ha detto che oggi l’umanità, smarrita, non trova più la strada nelle diverse forme di deserto.

Se noi consacrati/e ci sentiamo parte di questa umanità che vaga e cerca, quale valenza può avere un richiamo di questo tipo sulle nostre fraternità? Come ci interpella un mondo che fa esperienza di deserto?

 

Deserto della povertà, della fame e della sete

Come cristiani/e impegnati che nella Chiesa hanno assunto la missione di rendere visibile nel mondo tutta la cura di Dio per ogni uomo e donna, per ogni popolo e nazione, non possiamo rimanere a guardare, a credere di vivere idealmente il Vangelo da una condizione di vita protetta, mentre singole persone o gruppi, intere popolazioni muoiono di fame e di sete.

Penso alle tante persone che nelle nostre città continuano a dormire d’inverno per terra, coperti solo dal cartone, privi del necessario, abbrutite esteriormente, ma portatrici di una libertà che provoca, di una umanità che interroga sulle pagine evangeliche da noi declamate e non sempre vissute.

C’è da domandarci, a questo punto, in che modo stiamo condividendo la povertà dei fratelli e delle sorelle, soprattutto di coloro che hanno fame di pane, di acqua, di dignità, di amore, di senso... Se le strutture hanno in qualche modo soffocato la profezia che ci è stata affidata dallo Spirito di Dio, questo può essere un tempo di grazia per divenire pane spezzato, perché altri/e non vivano la povertà senza speranza. Chi vive nella miseria ha bisogno di incontrare coloro che sono chiamati/e a essere poveri in spirito per annunciare a ogni uomo, o a ogni donna, che ciascuno vale molto per Dio. La condivisione della vita dei poveri è testimonianza tangibile della presenza di Dio nella storia, attraverso l’esserci con amore.

Non possiamo chiuderci nell’intimismo durante le nostre Eucaristie. L’essere convocati da Dio quotidianamente a fare memoria dell’ultima cena di Gesù Cristo con i suoi, che amò sino alla fine, richiede la traduzione della celebrazione in gesti di carità che facciano sentire di essere fratelli e sorelle, figli/e dell’unico Padre.

Il deserto della povertà non può essere ricondotto ad una indagine sociologica o ambientale, né si può risolvere solo in conversazioni a tavolino. Chi è povero aspetta il pane e l’acqua, le cure sanitarie, una vita dignitosa, un riconoscimento del suo diritto di esistere nel mondo. Chi è povero ha bisogno di incontrare persone che amano, persone che cercano insieme il pane da mangiare e l’acqua da bere, che si mettono in ascolto dell’altro/a, che mettono a disposizione la loro vita non per camminare più avanti, ma per camminare insieme.

 

Deserto dell’abbandono e della solitudine

Quante monadi fatte di giovani, adulti, anziani sembrano girare a vuoto, senza una meta da raggiungere, senza un motivo per cui vivere, senza percorsi da intraprendere.

Anche noi consacrati/e, a volte, siamo presi dallo smarrimento, soprattutto quando abbiamo perso il centro. Sembra che, a distanza di tempo, riaffiorino le domande esistenziali che attendono una risposta: Chi sono io? Chi sono io nella fraternità? Chi siamo noi nella nostra Chiesa particolare e in quella universale?

Le nostre fraternità spesso si presentano come un arcipelago, i cui membri sembrano delle isole che non hanno alcun legame, né comunicano tra loro. Qual è la causa? Spesso, dopo l’entusiasmo iniziale, si ha paura di aderire radicalmente alla chiamata di Dio attraverso il dono di sé senza compromessi. La persona, col tempo, sembra riprendersi pian piano tutto, in particolare quando nella sua vita vive delle cose sacre e non incontra la persona di Gesù Cristo. Quando accade ciò essa si ritira immediatamente dalla relazione e si rifugia nell’isolamento.

Le solitudini del mondo sono le nostre, soprattutto quando abbiamo investito tutte le energie nella realizzazione personale nella comunità, quando non ci mettiamo in discussione, quando non viviamo con gratuità, secondo la logica del servizio evangelico, che prevede anche il lavare i piedi a chi tradisce, come ha fatto Gesù con Giuda (cfr. Gv 13,14).

Non basta che una persona scelga di appartenere a una famiglia religiosa, è necessario che fin dal primo momento si metta nella condizione di dare la vita fino a morire, secondo il comandamento nuovo dell’amore (cfr. Gv 13,34 ). L’iniziazione alla vita consacrata non è il tempo ovattato, privilegiato, garantito perché l’individuo recuperi ciò che non ha ricevuto nel passato a livello umano, quanto il tempo donato da Dio, nella gratuità del suo amore, a chi è chiamato ad imparare ad essere come il Figlio. Il vivere in Cristo abilita la persona a conseguire la maturità personale, la cui autonomia, che non è indipendenza, diviene, nell’attimo presente, l’espressione delle scelte fondamentali evangeliche.

Se talvolta molti sembrano non capire o in alcuni casi rifiutare la VC è perché i consacrati e le consacrate non comunicano più la gioia di vivere che nasce dall’incontro familiare e quotidiano con il Signore. Un cuore innamorato che si nutre di silenzio, che si lascia amare dal Mistero che l’attraversa, non si sente mai solo e si apre alla relazione con ogni altra persona.

Quando il consacrato, o la consacrata, vive ad intermittenza la sua esistenza, si lascia fagocitare da mille cose che non favoriscono l’ascolto di un qualsiasi Tu. Ripiegato/a su se stesso/a si preoccupa di alzare steccati di difesa che portano all’isolamento, ignorando chi gli/le è accanto ed è abbandonato/a e solo/a, chi aspetta di essere riconosciuto/a nelle diverse sfaccettature dell’umana esistenza, chi si interpella sull’essere in relazione, chi si aspetta di vedere segni dell’amore di Dio nella ferialità.

La solitudine, come consapevolezza di una Presenza che attraversa la vita, diviene spazio e tempo per incontrare il Signore alla radice della propria esistenza. Nell’intimità, che non è intimismo, si sperimenta tutta la vicinanza di Dio, anche quando il buio sembra avvolgere l’esistenza. All’esperienza di abbandono e di solitudine degli uomini e delle donne, le persone consacrate a Dio possono comunicare oggi, con la vita donata con amore, che l’umanità non è mai sola, perché è Dio che si prende cura di ogni creatura.

 

Deserto dell’amore distrutto

In questo tempo sembra che non esista più l’amore per sempre. Pensiamo alle relazioni amicali, familiari e sponsali interrotte, alla costruzione di tante relazioni virtuali che si accendono e si spengono al ritmo di un clic di mouse, agli amori nati chattando.

Le nostre fraternità stanno inseguendo la moda delle relazioni non dirette che si nutrono di SMS invece che essere luoghi visibili dell’amore incarnato? Le parole non dette, i messaggi ulteriori spesso assorbono tante energie che potrebbero essere utilizzate per vivere invece radicalmente il Vangelo. Chiamati a essere testimoni dell’amore, a volte concorriamo anche noi a distruggere nel mondo l’amore, soprattutto quando nelle nostre fraternità viviamo relazioni competitive e individualistiche, quando siamo ripiegati su di noi, quando cerchiamo di definirci attraverso i talenti ricevuti, quando viviamo senza la consapevolezza di sé come persone integrate, quando ci ritiriamo dalle relazioni non speculari, quando identifichiamo l’autorità con il potere, quando non rispettiamo la dignità dell’altro/a, quando non favoriamo lo sviluppo integrale della persona creata a immagine e somiglianza di Dio.

Nonostante tutto, sembra diffondersi un senso di nostalgia di relazioni autentiche attraverso cui si cerca il riconoscimento reciproco dell’esistere. Dio, che è amore, continua ad essere presente nella storia dell’umanità. Se noi consacrati/e stiamo perdendo il gusto dell’amore fraterno, possiamo ancora attingere dalle esperienze che ci circondano la voglia di scommettere sulla fraternità convocata da Dio per essere luogo e tempo del suo amore gratuito per l’umanità. Egli è ancora visibile nel sorriso di un bambino, nella tenerezza vissuta dalle coppie che si amano e rimandano all’amore trinitario, in chi dona il suo tempo con dedizione infinita nel volontariato, in chi ha incontrato il Signore e ha scelto di servire i fratelli e le sorelle, in chi decide di condividere la propria esistenza con gli ultimi della terra, fino a morire.

Mentre con modalità diverse sembra entrare anche nella nostra vita personale e fraterna la desertificazione, Gesù Cristo continua a chiamarci, non solo per dare vita alla nostra persona attraverso il soffio dello Spirito, ma per donare ad ognuno/a la capacità di trasformare ogni deserto incontrato in un’oasi di pace.

Torna indietro