iprendere
il cammino, dopo un meritato periodo di riposo, non è sempre facile.
Molteplici sono state le opportunità incontrate durante la pausa estiva
e non sono mancate quelle che hanno maggiormente influito sulle scelte
future.
Ritornano nella mente alcune parole
pronunciate durante l’omelia del 24 aprile 2005 dal Papa Benedetto XVI.
Egli ha detto che oggi l’umanità, smarrita, non trova più la strada
nelle diverse forme di deserto.
Se noi consacrati/e ci sentiamo parte di
questa umanità che vaga e cerca, quale valenza può avere un richiamo di
questo tipo sulle nostre fraternità? Come ci interpella un mondo che fa
esperienza di deserto?
Deserto della
povertà, della fame e della sete
Come cristiani/e impegnati che nella Chiesa
hanno assunto la missione di rendere visibile nel mondo tutta la cura di
Dio per ogni uomo e donna, per ogni popolo e nazione, non possiamo
rimanere a guardare, a credere di vivere idealmente il Vangelo da una
condizione di vita protetta, mentre singole persone o gruppi, intere
popolazioni muoiono di fame e di sete.
Penso alle tante persone che nelle nostre
città continuano a dormire d’inverno per terra, coperti solo dal
cartone, privi del necessario, abbrutite esteriormente, ma portatrici di
una libertà che provoca, di una umanità che interroga sulle pagine
evangeliche da noi declamate e non sempre vissute.
C’è da domandarci, a questo punto, in che
modo stiamo condividendo la povertà dei fratelli e delle sorelle,
soprattutto di coloro che hanno fame di pane, di acqua, di dignità, di
amore, di senso... Se le strutture hanno in qualche modo soffocato la
profezia che ci è stata affidata dallo Spirito di Dio, questo può essere
un tempo di grazia per divenire pane spezzato, perché altri/e non vivano
la povertà senza speranza. Chi vive nella miseria ha bisogno di
incontrare coloro che sono chiamati/e a essere poveri in spirito per
annunciare a ogni uomo, o a ogni donna, che ciascuno vale molto per Dio.
La condivisione della vita dei poveri è testimonianza tangibile della
presenza di Dio nella storia, attraverso l’esserci con amore.
Non possiamo chiuderci nell’intimismo durante
le nostre Eucaristie. L’essere convocati da Dio quotidianamente a fare
memoria dell’ultima cena di Gesù Cristo con i suoi, che amò sino alla
fine, richiede la traduzione della celebrazione in gesti di carità che
facciano sentire di essere fratelli e sorelle, figli/e dell’unico Padre.
Il deserto della povertà non può essere
ricondotto ad una indagine sociologica o ambientale, né si può risolvere
solo in conversazioni a tavolino. Chi è povero aspetta il pane e
l’acqua, le cure sanitarie, una vita dignitosa, un riconoscimento del
suo diritto di esistere nel mondo. Chi è povero ha bisogno di incontrare
persone che amano, persone che cercano insieme il pane da mangiare e
l’acqua da bere, che si mettono in ascolto dell’altro/a, che mettono a
disposizione la loro vita non per camminare più avanti, ma per camminare
insieme.
Deserto
dell’abbandono e della solitudine
Quante monadi fatte di giovani, adulti,
anziani sembrano girare a vuoto, senza una meta da raggiungere, senza un
motivo per cui vivere, senza percorsi da intraprendere.
Anche noi consacrati/e, a volte, siamo presi
dallo smarrimento, soprattutto quando abbiamo perso il centro. Sembra
che, a distanza di tempo, riaffiorino le domande esistenziali che
attendono una risposta: Chi sono io? Chi sono io nella fraternità? Chi
siamo noi nella nostra Chiesa particolare e in quella universale?
Le nostre fraternità spesso si presentano
come un arcipelago, i cui membri sembrano delle isole che non hanno
alcun legame, né comunicano tra loro. Qual è la causa? Spesso, dopo
l’entusiasmo iniziale, si ha paura di aderire radicalmente alla chiamata
di Dio attraverso il dono di sé senza compromessi. La persona, col
tempo, sembra riprendersi pian piano tutto, in particolare quando nella
sua vita vive delle cose sacre e non incontra la persona di Gesù Cristo.
Quando accade ciò essa si ritira immediatamente dalla relazione e si
rifugia nell’isolamento.
Le solitudini del mondo sono le nostre,
soprattutto quando abbiamo investito tutte le energie nella
realizzazione personale nella comunità, quando non ci mettiamo in
discussione, quando non viviamo con gratuità, secondo la logica del
servizio evangelico, che prevede anche il lavare i piedi a chi tradisce,
come ha fatto Gesù con Giuda (cfr. Gv 13,14).
Non basta che una persona scelga di
appartenere a una famiglia religiosa, è necessario che fin dal primo
momento si metta nella condizione di dare la vita fino a morire, secondo
il comandamento nuovo dell’amore (cfr. Gv 13,34 ). L’iniziazione alla
vita consacrata non è il tempo ovattato, privilegiato, garantito perché
l’individuo recuperi ciò che non ha ricevuto nel passato a livello
umano, quanto il tempo donato da Dio, nella gratuità del suo amore, a
chi è chiamato ad imparare ad essere come il Figlio. Il vivere in Cristo
abilita la persona a conseguire la maturità personale, la cui autonomia,
che non è indipendenza, diviene, nell’attimo presente, l’espressione
delle scelte fondamentali evangeliche.
Se talvolta molti sembrano non capire o in
alcuni casi rifiutare la VC è perché i consacrati e le consacrate non
comunicano più la gioia di vivere che nasce dall’incontro familiare e
quotidiano con il Signore. Un cuore innamorato che si nutre di silenzio,
che si lascia amare dal Mistero che l’attraversa, non si sente mai solo
e si apre alla relazione con ogni altra persona.
Quando il consacrato, o la consacrata, vive
ad intermittenza la sua esistenza, si lascia fagocitare da mille cose
che non favoriscono l’ascolto di un qualsiasi Tu. Ripiegato/a su se
stesso/a si preoccupa di alzare steccati di difesa che portano
all’isolamento, ignorando chi gli/le è accanto ed è abbandonato/a e
solo/a, chi aspetta di essere riconosciuto/a nelle diverse sfaccettature
dell’umana esistenza, chi si interpella sull’essere in relazione, chi si
aspetta di vedere segni dell’amore di Dio nella ferialità.
La solitudine, come consapevolezza di una
Presenza che attraversa la vita, diviene spazio e tempo per incontrare
il Signore alla radice della propria esistenza. Nell’intimità, che non è
intimismo, si sperimenta tutta la vicinanza di Dio, anche quando il buio
sembra avvolgere l’esistenza. All’esperienza di abbandono e di
solitudine degli uomini e delle donne, le persone consacrate a Dio
possono comunicare oggi, con la vita donata con amore, che l’umanità non
è mai sola, perché è Dio che si prende cura di ogni creatura.
Deserto
dell’amore distrutto
In questo tempo sembra che non esista più
l’amore per sempre. Pensiamo alle relazioni amicali, familiari e
sponsali interrotte, alla costruzione di tante relazioni virtuali che si
accendono e si spengono al ritmo di un clic di mouse, agli amori
nati chattando.
Le nostre fraternità stanno inseguendo la
moda delle relazioni non dirette che si nutrono di SMS invece che essere
luoghi visibili dell’amore incarnato? Le parole non dette, i messaggi
ulteriori spesso assorbono tante energie che potrebbero essere
utilizzate per vivere invece radicalmente il Vangelo. Chiamati a essere
testimoni dell’amore, a volte concorriamo anche noi a distruggere nel
mondo l’amore, soprattutto quando nelle nostre fraternità viviamo
relazioni competitive e individualistiche, quando siamo ripiegati su di
noi, quando cerchiamo di definirci attraverso i talenti ricevuti, quando
viviamo senza la consapevolezza di sé come persone integrate, quando ci
ritiriamo dalle relazioni non speculari, quando identifichiamo
l’autorità con il potere, quando non rispettiamo la dignità
dell’altro/a, quando non favoriamo lo sviluppo integrale della persona
creata a immagine e somiglianza di Dio.
Nonostante tutto, sembra diffondersi un senso
di nostalgia di relazioni autentiche attraverso cui si cerca il
riconoscimento reciproco dell’esistere. Dio, che è amore, continua ad
essere presente nella storia dell’umanità. Se noi consacrati/e stiamo
perdendo il gusto dell’amore fraterno, possiamo ancora attingere dalle
esperienze che ci circondano la voglia di scommettere sulla fraternità
convocata da Dio per essere luogo e tempo del suo amore gratuito per
l’umanità. Egli è ancora visibile nel sorriso di un bambino, nella
tenerezza vissuta dalle coppie che si amano e rimandano all’amore
trinitario, in chi dona il suo tempo con dedizione infinita nel
volontariato, in chi ha incontrato il Signore e ha scelto di servire i
fratelli e le sorelle, in chi decide di condividere la propria esistenza
con gli ultimi della terra, fino a morire.
Mentre con modalità diverse sembra entrare
anche nella nostra vita personale e fraterna la desertificazione, Gesù
Cristo continua a chiamarci, non solo per dare vita alla nostra persona
attraverso il soffio dello Spirito, ma per donare ad ognuno/a la
capacità di trasformare ogni deserto incontrato in un’oasi di pace.