n. 12
dicembre 2006

 

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«Il mare testimonia quello che di mai stabile vi è nel mondo». È scritto in quel romanzo fondamentalmente verista che è La peste di Albert Camus. Che direbbe il noto romanziere se vivesse oggi, nell’era del “bambino digitale”, della “rivoluzione antropologica” innovata dai media, della vita e dell’amore “liquido” frutto od espressione – come scriverebbe Zygmunt Bauman – dello stress, del consumismo ossessivo, della paura sociale e individuale, di legami fragili e mutevoli? Il mare, pur quando è quieto, – definito ‘tranquillo’ – quando non vi sono particolari marosi, né soffia la tormenta, non è mai stabile. L’onda va e l’onda ritorna; sobbalza e s’acquieta. Monotona e lucente o squassante e violenta.

L’affermazione è ascrivibile anche – e molto! – a questo nostro scorcio di storia, nel quale viviamo in ‘licenza temporanea’, in attesa del definitivo passaggio nell’oltre del tempo. Decisamente, non è stabile. Non lo è stato nei mesi e anni trascorsi e non lo sarà nei giorni che restano di questo 2006. Navigando con il ricordo nei mesi andati, l’ondeggiare, la fluidità o l’instabilità appaiono inoppugnabili. Eventi forti o minuscoli si sono succeduti e si succedono, con ritmo incalzante. A livello di territorio e di Chiesa locali richiamiamo soltanto i due momenti che hanno coinvolto tutto il Paese: il cambio di governo e il Convegno ecclesiale di Verona. A livello internazionale conflitti e rappacificazioni; guerre di religioni, scontri di civiltà; ancora fame per denutrizione; ancora piaghe contagiose. A livello più circoscritto, familiare, odi e violenze assurde; ancora crisi e tensioni costanti. Ma anche: ancora impegni per l’approfondimento e la comprensione delle situazioni; ancora volontà e spinte al dialogo ed eroismi; ancora spezzoni di vita nascosti, offerti in immolazione. Ancora martiri per il Signore Gesù e per le sorelle i fratelli bisognosi e sofferenti. Ancora tanta, quotidiana, spicciola e sconfinata «passione per Cristo e per l’umanità».

In questo turbinio di eventi minuti o macroscopici, nel Nord e nel Sud del mondo, perché la vocazione umana e cristiana che ci investe ci obbliga a pensare all’universo globo, vogliamo ricordare – senza sottovalutare gli altri – due premi Nobel: quello per la pace e quello per la letteratura.

Il premio Nobel per la pace è stato assegnato al banchiere Muhammad Yunus e alla sua Grameen Bank la “banca del villaggio”, un istituto di microcredito creato in Bangladesh nel 1983. La motivazione esplicita suona così: l’economista e la sua banca, «attraverso culture e civiltà hanno dimostrato che anche i più poveri fra i poveri possono lavorare per portare avanti il proprio sviluppo».

Il banchiere investirà il milione di euro assegnato dall’accademia norvegese ancora a favore dei poveri: offrirà agli indigenti cibo a prezzi simbolici e costruirà un ospedale oftalmico. Infatti una parte del Premio sarà destinata a creare un’industria alimentare per cibo a basso costo – a un prezzo nominale, affermano – ma altamente nutritivo per i poveri. Servirebbe anche a guarire dalla ‘sindrome consumista’ da cui siamo affetti noi occidentali.

Il premio per la letteratura è stato assegnato a Orhan Pamuk, uno dei più importanti scrittori turchi contemporanei. La dedicazione è così espressa: «A chi nella ricerca dell’anima melanconica della sua città ha scoperto nuovi simboli per il contrasto e l’intreccio delle culture».

Egli stesso ha scritto: «Ho trascorso la mia vita ad Istanbul, sulla riva europea; nelle case che si affacciavano sull’altra riva, l’Asia. Stare vicino all’acqua, guardando la riva di fronte, l’altro continente, mi ricordava sempre il mio posto nel mondo, ed era un bene. E poi, un giorno, è stato costruito un ponte che collegava le due rive del Bosforo. Quando sono salito sul ponte e ho guardato il panorama, ho capito che era ancora meglio, ancora più bello di vedere le due rive assieme. Ho capito che il meglio era essere un ponte fra due rive. Rivolgersi alle due rive senza appartenere».

Muhammad Yunus e Orhan Pamuk. Ecco due ‘modelli’: sfidare la povertà, soprattutto quella dei più poveri, dei miserabili, di coloro che non hanno nulla o ben poco e sradicarli da una situazione inumana; e scrivere e pubblicare perché nel mondo possiamo tutti essere ponte; impegnare la propria collaborazione perché tutti gli uomini e tutte le donne sparse sul globo si confondano in un unico indistinto abbraccio, senza rinnegare la propria identità.

Non importa vivere da una parte o dall’altra del fiume. Non interessa essere nordici o meridionali. Appartenere all’antico o al nuovissimo continente. Mai è e sarà permesso sacrificare quella scintilla di Bene e di Vero che è ogni persona umana – creata a immagine e somiglianza di Dio, voluta da Lui – per meri interessi personali ed egoistici, utilitaristici.

Benedetto XVI, nell’omelia, allo stadio Bentegodi di Verona ha affermato: «In un mondo che cambia, il Vangelo non muta. La Buona Notizia resta sempre la stessa: Cristo è morto e risorto per la nostra salvezza! Nel suo nome recate a tutti l’annuncio della conversione e del perdono dei peccati, ma date voi primi testimonianza di una vita convertita e perdonata… Andate! Portate il lieto annunzio ai poveri, fasciate le piaghe dei cuori spezzati, proclamate la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, promulgate l’anno di misericordia del Signore (Cfr. Is 61,1-2)… Sono tante le situazioni difficili che attendono un intervento risolutore. Portate nel mondo la speranza di Dio che è Cristo Signore».

Un augurio per questo Natale 2006: l’Incarnazione del Figlio di Dio ci spinga a lasciar fiorire la speranza, concretizzata nell’azione, poggiata sulla presenza e sull’azione di Lui. Ciò porterà a vivere l’unico comandamento che concorda con tutte le culture e con le autentiche motivazioni di fondo di tutte le religioni: quello dell’amore, che è ricerca comune, è dialogo, è comprensione, è servizio gratuito.

Già lo scriveva san Paolo ai cristiani di Efeso: «Vi esorto dunque io, prigioniero del Signore, a comportarvi in maniera degna della vostra vocazione… Un solo corpo, un solo Spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione».

La Redazione