n.4
aprile 2007

 

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«Quando vivere è difficile...»

 

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Le lettrici e i lettori che prendono in mano questo numero di Consacrazione e Servizio si domanderanno quale sia il senso dell’illustrazione riprodotta in copertina. È chiaro che l’immagine presentata da Cesare M. Pietroiusti alla Biennale di Venezia del 1993 deve essere letta in chiave simbolica. Colpisce la vastità dell’ambiente, ma insieme i muri divisori che impediscono ogni comunicazione. Si tratta di compartimenti stagni e disabitati, dove non esistono porte dalle quali uscire ma solo finestre che filtrano i raggi del sole. Una scala è là pronta per facilitare un’uscita di sicurezza attraverso la finestra centrale. È il simbolo della solitudine e dell’incomunicabilità non disperata, ma aperta ad una possibile soluzione.

L’immagine è indicativa della situazione descritta dal card. Godfried Danneels, arcivescovo di Malines-Bruxelles, il quale ha così attirato l’attenzione sulla difficoltà di vivere nel mondo attuale, sia a livello sociale che individuale: «La società ha perso la fiducia in se stessa. Il fenomeno di stabilità che la manteneva in piedi è cessata di colpo. La società “galleggia” disperatamente come l’astronauta nella sua capsula spaziale e si aggrappa a tutto quello che gli si presenta. Non si tratta solo dell’ambiente esteriore piuttosto deprimente, è soprattutto nell’intimo che la persona umana è sottosopra. Cioè dentro se stessa. In ragione del fallimento dei grandi ideali e del progetto di essere felici nella società tutti assieme, l’uomo vive ripiegato su se stesso».1

È vero che tante persone dall’«io» forte procedono sulla loro via senza prestare attenzione a valutazioni critiche e valevoli nei propri riguardi. Esse resistono tetragone a ogni osservazione o richiamo, convinte che sono gli altri a sbagliare. Questi tali, uomini e donne, religiosi e laici, potrebbero sfociare in una forma vicina alla pazzia che perde il contatto con la vera realtà. Più che soffrire, fanno soffrire gli altri.

Diverso è il caso più comune che va sotto il nome di depressione. Come ha appurato Stefano Zurlo, i pellegrini che si recano a Cascia per implorare la guarigione da santa Rita, la santa dei casi impossibili, sono spinti generalmente da tre malattie: il tumore, la depressione e la sterilità. Tre drammi che attraversano come lunghe crepe l’Italia: il cancro che annienta il corpo, la depressione che mina lo spirito e la sterilità che rende impossibile lasciare una traccia di sé in un altro essere.2

La depressione, intesa come «processo disfunzionale della psiche» (L. Pinkus), assume una notevole ampiezza numerica (si parla di 17.000.000 depressi in Europa). Essa non risparmia gli abitanti della città né quelli del villaggio. Derivante in ultima analisi da una debolezza o ipersensibilità dell’«io», la depressione rende difficile la vita gettando nella malinconia, nelle idee ossessive e in altri disturbi del genere. Non sono risparmiati neppure i religiosi e le religiose, anch’essi comuni mortali, sottoposti ad ogni tipo di malattia fisiologica e psichica, anche se sostenuti dal senso della vocazione e della particolare appartenenza al Signore.

Si può uscire da questa difficoltà di vivere, causata da forme depressive? L’esperienza convince che la guarigione non è sempre a portata di mano. Piuttosto bisogna imparare a convivere con questi disturbi, ricorrendo sapientemente, sotto il controllo medico, anche ad aiuti farmacologici e psicoterapeutici. Molto importante a questo scopo è la reazione della comunità che - eccetto in casi non gestibili - è chiamata a manifestare una grande comprensione e fraternità. La sorella o il fratello malati rafforzeranno il loro «io» quando si sentiranno circondati da stima e affetto sinceri. In realtà «la persona è in grado di accettarsi solo quando è accettata da un altro» (A. Cencini). E poiché l’altro che mi accetta pienamente è soltanto Dio, è decisivo maturare l’incontro con lui per accettare in pienezza se stessi.

Rafforzare la propria fede attingendo alla preghiera liturgica e personale significa guardare a se stessi con gli occhi di Dio. Sappiamo che lo sguardo benevolo del Signore costituisce la sostanza dell’esperienza del popolo d’Israele. Proprio tale sguardo ha sentito posarsi su di sé la Vergine di Nazaret, colmandola di gioia profonda: «Con tutta la mia vita proclamo che il Signore è grande e sono piena di gioia perché ha guardato a me sua povera serva» (Lc 1,46-47).

Il discorso appena abbozzato viene ripreso nel Dossier a più voci, volte ad orientare alla ricerca di come colmare il vuoto prodotto da certi stati depressivi. Qui basta richiamare Bruno Secondin, docente di spiritualità all’Università Gregoriana, che introduce il suo articolo con queste parole: «Forse potrà sembrare strano, ma di fatto di gente dalle speranze infrante e desiderosa di tirarsi in disparte delusa, o anche di mettere fine alla missione e perfino alla vita, è piena la sacra Scrittura». Più in là annota: «Anche nel Nuovo Testamento non mancano depressi e sfiniti […]. Gesù stesso non è esente da passaggi oscuri e avvilenti». Si sofferma quindi a presentare il profeta Elia, «un gran campione di coraggio e audacia, che però conosce anche gli abissi della paura e le vertigini della voglia di morire».

Seguendo l’itinerario della rivista, anche questo numero si apre con una breve meditazione biblica di Diana Papa, delle clarisse del monastero di S. Nicolò, tutta incentrata sulla testimonianza dei discepoli del Risorto. Molto attraente il profilo spirituale che mons. Francesco Lambiasi traccia di madre Alessandra, una donna dal cuore semplice e ingenuo, frutto di un fecondo cammino di maturità. Don Pasquale Chávez, Rettor maggiore della Famiglia salesiana e Presidente dell’Unione Superiori Generali, traccia uno spaccato della situazione della vita religiosa nella Chiesa: niente più privilegi, ma diritto di esistere a pro della gente bisognosa e abbandonata. Sul versante dell’eremitismo rinascente echeggia Il canto dell’allodola, nel carteggio intercorso tra Sorella Maria, fondatrice dell’eremo francescano di Campello sul Clitunno, e Giovanni M. Vannucci, eminente personalità del Servi di Maria nel secolo appena concluso. La scheda di suor Teresa Braccio sul film Water. Il coraggio di amare conclude i contributi di questo numero, dischiudendo spiragli sulla condizione disagiata di moltissime donne in India e altrove.

Non possiamo accomiatarci dalle lettrici e lettori senza interpretare i loro sentimenti augurali per il nostro Santo Padre Benedetto XVI nell’80° anno dalla sua nascita. Dio, ricco di ogni sapienza e di amore, sostenga questo esemplare lavoratore della vigna del Signore, lo illumini con il suo Spirito perché irradi su tutte le strade del mondo il Vangelo del Cristo Risorto, Redentore di ogni umana fragilità, miseria, peccato. 

Maria Marcellina Pedico
delle Serve di Maria Riparatrici