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Le
lettrici e i lettori che prendono in mano questo numero di Consacrazione e
Servizio si domanderanno quale sia il senso dell’illustrazione riprodotta in
copertina. È chiaro che l’immagine presentata da Cesare M. Pietroiusti alla
Biennale di Venezia del 1993 deve essere letta in chiave simbolica. Colpisce la
vastità dell’ambiente, ma insieme i muri divisori che impediscono ogni
comunicazione. Si tratta di compartimenti stagni e disabitati, dove non esistono
porte dalle quali uscire ma solo finestre che filtrano i raggi del sole. Una
scala è là pronta per facilitare un’uscita di sicurezza attraverso la finestra
centrale. È il simbolo della solitudine e dell’incomunicabilità non disperata,
ma aperta ad una possibile soluzione.
L’immagine è indicativa della
situazione descritta dal card. Godfried Danneels, arcivescovo di
Malines-Bruxelles, il quale ha così attirato l’attenzione sulla difficoltà di
vivere nel mondo attuale, sia a livello sociale che individuale: «La società ha
perso la fiducia in se stessa. Il fenomeno di stabilità che la manteneva in
piedi è cessata di colpo. La società “galleggia” disperatamente come
l’astronauta nella sua capsula spaziale e si aggrappa a tutto quello che gli si
presenta. Non si tratta solo dell’ambiente esteriore piuttosto deprimente, è
soprattutto nell’intimo che la persona umana è sottosopra. Cioè dentro se
stessa. In ragione del fallimento dei grandi ideali e del progetto di essere
felici nella società tutti assieme, l’uomo vive ripiegato su se stesso».1
È vero che tante persone
dall’«io» forte procedono sulla loro via senza prestare attenzione a valutazioni
critiche e valevoli nei propri riguardi. Esse resistono tetragone a ogni
osservazione o richiamo, convinte che sono gli altri a sbagliare. Questi tali,
uomini e donne, religiosi e laici, potrebbero sfociare in una forma vicina alla
pazzia che perde il contatto con la vera realtà. Più che soffrire, fanno
soffrire gli altri.
Diverso è il caso più comune che
va sotto il nome di depressione. Come ha appurato Stefano Zurlo, i pellegrini
che si recano a Cascia per implorare la guarigione da santa Rita, la santa dei
casi impossibili, sono spinti generalmente da tre malattie: il tumore, la
depressione e la sterilità. Tre drammi che attraversano come lunghe crepe
l’Italia: il cancro che annienta il corpo, la depressione che mina lo spirito e
la sterilità che rende impossibile lasciare una traccia di sé in un altro essere.2
La depressione, intesa come
«processo disfunzionale della psiche» (L. Pinkus), assume una notevole ampiezza
numerica (si parla di 17.000.000 depressi in Europa). Essa non risparmia gli
abitanti della città né quelli del villaggio. Derivante in ultima analisi da una
debolezza o ipersensibilità dell’«io», la depressione rende difficile la vita
gettando nella malinconia, nelle idee ossessive e in altri disturbi del genere.
Non sono risparmiati neppure i religiosi e le religiose, anch’essi comuni
mortali, sottoposti ad ogni tipo di malattia fisiologica e psichica, anche se
sostenuti dal senso della vocazione e della particolare appartenenza al Signore.
Si può uscire da questa
difficoltà di vivere, causata da forme depressive? L’esperienza convince che la
guarigione non è sempre a portata di mano. Piuttosto bisogna imparare a
convivere con questi disturbi, ricorrendo sapientemente, sotto il controllo
medico, anche ad aiuti farmacologici e psicoterapeutici. Molto importante a
questo scopo è la reazione della comunità che - eccetto in casi non gestibili -
è chiamata a manifestare una grande comprensione e fraternità. La sorella o il
fratello malati rafforzeranno il loro «io» quando si sentiranno circondati da
stima e affetto sinceri. In realtà «la persona è in grado di accettarsi solo
quando è accettata da un altro» (A. Cencini). E poiché l’altro che mi accetta
pienamente è soltanto Dio, è decisivo maturare l’incontro con lui per accettare
in pienezza se stessi.
Rafforzare la propria fede
attingendo alla preghiera liturgica e personale significa guardare a se stessi
con gli occhi di Dio. Sappiamo che lo sguardo benevolo del Signore costituisce
la sostanza dell’esperienza del popolo d’Israele. Proprio tale sguardo ha
sentito posarsi su di sé la Vergine di Nazaret, colmandola di gioia profonda:
«Con tutta la mia vita proclamo che il Signore è grande e sono piena di gioia
perché ha guardato a me sua povera serva» (Lc 1,46-47).
Il discorso appena abbozzato
viene ripreso nel Dossier a più voci, volte ad orientare alla ricerca di come
colmare il vuoto prodotto da certi stati depressivi. Qui basta richiamare Bruno
Secondin, docente di spiritualità all’Università Gregoriana, che introduce il
suo articolo con queste parole: «Forse potrà sembrare strano, ma di fatto di
gente dalle speranze infrante e desiderosa di tirarsi in disparte delusa, o
anche di mettere fine alla missione e perfino alla vita, è piena la sacra
Scrittura». Più in là annota: «Anche nel Nuovo Testamento non mancano depressi e
sfiniti […]. Gesù stesso non è esente da passaggi oscuri e avvilenti». Si
sofferma quindi a presentare il profeta Elia, «un gran campione di coraggio e
audacia, che però conosce anche gli abissi della paura e le vertigini della
voglia di morire».
Seguendo l’itinerario della
rivista, anche questo numero si apre con una breve meditazione biblica di Diana
Papa, delle clarisse del monastero di S. Nicolò, tutta incentrata sulla
testimonianza dei discepoli del Risorto. Molto attraente il profilo spirituale
che mons. Francesco Lambiasi traccia di madre Alessandra, una donna dal cuore
semplice e ingenuo, frutto di un fecondo cammino di maturità. Don Pasquale
Chávez, Rettor maggiore della Famiglia salesiana e Presidente dell’Unione
Superiori Generali, traccia uno spaccato della situazione della vita religiosa
nella Chiesa: niente più privilegi, ma diritto di esistere a pro della gente
bisognosa e abbandonata. Sul versante dell’eremitismo rinascente echeggia Il
canto dell’allodola, nel carteggio intercorso tra Sorella Maria, fondatrice
dell’eremo francescano di Campello sul Clitunno, e Giovanni M. Vannucci,
eminente personalità del Servi di Maria nel secolo appena concluso. La scheda di
suor Teresa Braccio sul film Water. Il coraggio di amare conclude i contributi
di questo numero, dischiudendo spiragli sulla condizione disagiata di moltissime
donne in India e altrove.
Non possiamo accomiatarci dalle
lettrici e lettori senza interpretare i loro sentimenti augurali per il nostro
Santo Padre Benedetto XVI nell’80° anno dalla sua nascita. Dio, ricco di ogni
sapienza e di amore, sostenga questo esemplare lavoratore della vigna del
Signore, lo illumini con il suo Spirito perché irradi su tutte le strade del
mondo il Vangelo del Cristo Risorto, Redentore di ogni umana fragilità, miseria,
peccato.
Maria Marcellina Pedico
delle Serve di Maria Riparatrici
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