n.5
maggio 2007

 

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Maria e l'Islam
di Valentino Cottini

 

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A poche decine di metri dalla Basilica della Natività di Betlemme è situato il piccolo santuario della Grotta del latte. È ubicato dentro e sopra una grotta in materiale gessoso, che conserva una graziosa tradizione. Quando gli sgherri di Erode il Grande vennero per trucidare tutti i bambini di Betlemme al di sotto dei due anni di età, Giuseppe, avvertito in sogno, si recò subito da Maria per sollecitarla a fuggire. Maria stava allattando il piccolo Gesù. Per lo spavento e la fretta, staccò il Bambino dal seno e una goccia di latte cadde al suolo. Improvvisamente tutta la grotta divenne bianca.

A prescindere dal fondamento storico, questa gentile e delicata tradizione è rimasta lungo i secoli. Il piccolo santuario è visitato fino ai giorni nostri soprattutto da donne, che vengono a invocare la fertilità presso la Madre di Gesù: dopo aver pregato, grattano una parete della grotta, raccolgono un pizzico di gesso bianco, lo portano con loro e lo bevono devotamente con un po’ d’acqua. Ciò che forse colpisce i puristi della religione, è il fatto che arrivano indistintamente donne cristiane, ebree e musulmane a compiere il medesimo rito. La «donna» e la «madre» Maria unisce nel bisogno e nella richiesta di grazie tutte le donne, creando una sorta di solidarietà femminile, che scavalca le rigide barriere delle distinzioni di fede. In qualche modo Maria rappresenta la rivincita dell’umano sulla rigidità, talora sterile, delle identità religiose. La pietà popolare sente delle affinità comuni dove la teologia «accademica» tende a dividere.

Ciò che succede presso la Grotta del latte avviene, con caratteristiche simili e differenti secondo i luoghi e le tradizioni, praticamente in tutti gli ambienti in cui si sono incontrati cristiani e musulmani, dai paesi del Maghreb fino all’Asia e al subcontinente indiano. Una specie di «ecumenismo femminile e mariano» dei gesti, della devozione, della preghiera, della tradizione popolare, che è difficile raccogliere ed esprimere in formule. Queste richiedono punti di riferimento concettuali e dogmatici, che marcano differenze e appartenenze. Gli antropologi parlerebbero forse dei miti della Grande Madre. I teologi si affannerebbero a mettere in guardia dal rischio di contaminazioni della fede ortodossa. Dal loro punto di vista hanno ragione. Restano comunque i fatti - più o meno tollerati nelle galassie cristiana e musulmana - che testimoniano il punto d’incontro in Maria dei fedeli di ambedue le tradizioni religiose.

Ovviamente, non è possibile limitarci a costatare il fenomeno. Occorre cercare di scendere più in profondità. Che cosa unisce e divide cristiani e musulmani sulla figura di Maria? Al di là del meraviglioso e viscerale sentimento femminile, che affratella nella venerazione della Madre di Gesù, cristianesimo e islam considerano Maria nello stesso modo? Gli studi sull’argomento rilevano che cristiani e musulmani, quando devono cercare di esprimere «formalmente» la loro venerazione per Maria, sono influenzati quasi esclusivamente dalla rispettiva appartenenza religiosa. Presup-ponendo acquisita la formalità cristiano-cattolica, vediamo che cosa dice il Corano.

Nel Libro sacro dell’islam Maria (Maryam) è l’unica donna chiamata per nome. Due sezioni parlano di lei diffusamente: la sura 3 (La famiglia di ‘Imrân), 33-37.42-47 e la sura 19 (Maria), 16-36. Altri versetti sparsi vi si riferiscono in maniera diretta. Anche se agli occhi di un cristiano alcune notizie appaiono familiari, è necessario considerare che per un musulmano l’unico testo di riferimento autorevole e autentico è il Corano, non le tradizioni precedenti contenute nei libri dei cristiani. Di qui nascono le affinità e le differenze. Citerò dunque direttamente il Corano, riportando i testi per esteso e lasciando da parte alcune difficoltà che richiederebbero ampie spiegazioni.

Notizie «biografiche» su Maria

Secondo il Corano Maria è parte della «famiglia di ‘Imrân», «eletta» come «Adamo e Noè e la gente d’Abramo» «sovra tutto il creato come progenie gli uni degli altri» (3,33-34). La moglie di ‘Imrân (innominata nel Corano) si trovò incinta e fece questo voto a Dio:

«O Signore! Io voto a Te ciò ch’è nel mio seno, sarà libero dal mondo e dato a Te! Accetta da me questo dono, ché Tu sei Colui che ascolta e conosce!» E quando la partorì, disse: «Signore! Ecco che io ho partorito una femmina!» (Ma Dio sapeva meglio di lei chi essa aveva partorito). «Il maschio non è come la femmina, ma io l’ho chiamata Maria, e la metto sotto la tua protezione, lei e la sua progenie, contro Satana, il reietto!» E il Signore l’accettò, d’accettazione buona, e la fece germogliare, di germoglio buono (3,35-37a).

Questo racconto della nascita di Maria sottolinea alcuni particolari: essa è di famiglia profetica e scelta da Dio; viene consacrata a Dio fin dal grembo materno, benché non maschio; è sotto la protezione divina contro le insidie del demonio insieme con la sua futura discendenza, cioè Gesù; è accettata da Dio, che si occupa della sua crescita prodigiosa all’interno del tempio, come viene precisato nel seguito del racconto:

E Zaccaria la prese sotto la sua tutela, e ogni volta che Zaccaria entrava da lei nel santuario vi trovava del cibo e le diceva: «O Maria, donde ti viene questo?». Ed essa rispondeva: «Mi viene da Dio, perché Dio dà della sua provvidenza a chi vuole, senza conto» (3,37b).

All’accettazione da parte di Dio corrisponde dunque una vita appartata, di consacrazione o di ritiro da parte di Maria, che coincide con la sua crescita nel tempio sotto la vigile tutela da parte del «profeta» Zaccaria, futuro padre di Giovanni Battista. La cura di Dio per Maria è espressa dal cibo celeste, che provoca la meraviglia del tutore»

Nella sura di Maria si parla di un «ritiro volontario» di Maria, una separazione dalla sua gente per consacrarsi a Dio o, più probabilmente, per custodire la sua verginità:

E nel Libro ricorda Maria, quando s’appartò dalla sua gente lungi in un luogo d’oriente ed essa prese, a proteggersi da loro, un velo (19, 16-17a).

Risposta fedele di Maria alla predilezione di Dio, che viene ribadita da una stupenda rivelazione angelica, strana eco dell’Ave Maria:

E quando gli angeli dissero a Maria: «O Maria! In verità Dio t’ha prescelta e t’ha purificata e t’ha eletta su tutte le donne del creato. O Maria, sii devota al tuo Signore, prostrati e adora con chi adora!». Questa è una delle notizie del mondo invisibile che noi ti riveliamo, perché tu non stavi con loro quando tiravano a sorte con le canne per sapere chi si sarebbe preso cura di Maria, non eri con loro quando discutevano di questo (3,42-44).

Maria dunque è stata eletta da Dio nella sua imperscrutabile libertà e colmata di favori tra tutte le donne. Per questo è invitata ad adorarlo e a ringraziarlo con i gesti di tutti coloro che lo fanno nella preghiera rituale (salât). Vi è poi nel testo un accenno particolare, che, credo, solo coloro che conoscono gli scritti apocrifi cristiani possono intendere rettamente. Si riferisce all’episodio della scelta del «custode» o «tutore» di Maria, quando, raggiunta la pubertà non poteva più abitare stabilmente nel tempio. Gli apocrifi narrano di un bando lanciato dai sacerdoti e affidato alla sorte, che cadde su Giuseppe. Ma il Corano non nomina mai Giuseppe né come sposo della Vergine né come «padre» di Gesù.

Segue poi il racconto dell’Annunciazione in due recensioni:

E Noi le inviammo il Nostro Spirito che apparve a lei sotto forma d’uomo perfetto. Ella gli disse: «Io mi rifugio nel Misericordioso, avanti a te, se tu sei timorato di Dio!». Le disse: «Io sono il messaggero del tuo Signore, per donarti un fanciullo purissimo». «Come potrò avere un figlio, rispose Maria, se nessun uomo m’ha toccata mai, e non sono una donna cattiva?». Disse: «Così sarà. Perché il tuo Signore ha detto: “Cosa facile è questa per me”, e noi, per certo faremo di Lui un Segno per gli uomini, un atto di clemenza Nostra: questa è cosa decretata». Ed essa lo concepì e s’appartò col frutto del suo seno in luogo lontano (19, 17b-22).

E quando gli angeli dissero a Maria: «O Maria, Iddio t’annunzia la buona novella d’una Parola che viene da Lui, e il cui nome sarà il Cristo, Gesù figlio di Maria, eminente in questo mondo e nell’altro e uno dei più vicini a Dio. Ed egli parlerà agli uomini dalla culla come un adulto, e sarà dei Buoni». «O mio Signore!, rispose Maria, come avrò mai un figlio se non m’ha toccata alcun uomo?». Rispose l’angelo: «Eppure Dio crea ciò ch’Ei vuole: allorché ha deciso una cosa non ha che da dire: “Sii!” ed essa è» (3,45-47).

I due racconti, pur diversi per alcuni aspetti, convergono su un dato fondamentale: il concepimento di Gesù è un atto creatore di Dio e avviene in Maria senza intaccare la sua verginità. Colpiscono alcune affermazioni coraniche a proposito di Gesù: è una «Parola che viene da Dio», concepito per opera dello «Spirito», è un «segno» per gli uomini e un «atto di clemenza» divina. Il Corano e la tradizione musulmana successiva si incaricheranno di sminuire la portata di queste espressioni, eco del messaggio cristiano. Esse tuttavia restano come un germe fecondo nel Libro sacro dell’islam.

La nascita di Gesù avviene in solitudine:

Ora le doglie del parto la spinsero presso il tronco di una palma e disse: «Oh fossi morta prima, oh fossi ora una cosa dimenticata e obliata!». E la chiamò una Voce di sotto la palma: «Non rattristarti, ché il Signore ha fatto sgorgare un ruscello ai tuoi piedi: scuoti verso di te il tronco della palma e questa farà cadere su te datteri freschi e maturi. Mangiane dunque e bevi e asciuga gli occhi tuoi! E se tu vedessi qualcuno digli: “Ho fatto voto al Misericordioso di digiunare e non parlerò oggi a alcun uomo”». Poi venne col bambino alla sua gente portandolo in braccio. «O Maria, le dissero, tu hai fatto cosa mostruosa. O sorella di Aronne! Non era tuo padre un uomo malvagio né fu peccatrice tua madre!». Ed essa indicò loro il neonato, e dissero: «Come parleremo noi a chi è ancora nella culla bambino?». Egli disse: «In verità io sono il Servo di Dio, il quale mi ha dato il Libro e mi ha fatto Profeta, e m’ha benedetto ovunque io sia e m’ha prescritto la Preghiera e l’Elemosina finché sarò in vita e m’ha fatto dolce con mia madre, non mi ha fatto violento e scellerato. Sia pace su di me, il dì che nacqui e il dì che muoio e il dì quando sarò suscitato a vita!». Questo è Gesù Figlio di Maria, (secondo) parola di verità che alcuni mettono in dubbio. Non è da Dio prendersi un figlio; sia gloria a Lui! (19,23-35).

Il parto solitario indirizza al rapporto unico che lega madre e figlio; le parole del figlio appena nato sono volte prima a confortare la madre e poi a difenderla dalle accuse dei concittadini, incapaci di comprendere il prodigio avvenuto in una «ragazza madre»; il silenzio di Maria, un «digiuno della parola», lascia spazio al figlio, la «Parola di verità» che si autopresenta come Servo e Profeta di Dio, ma non Figlio di Dio.

Il silenzio di Maria si prolunga lungo tutto il resto del Corano. Forse alla morte e alla ricompensa nel paradiso si riferisce un versetto piuttosto enigmatico, che la vede ancora insieme al Figlio:

E così anche del Figlio di Maria e di sua Madre facemmo un Segno, e demmo loro un rifugio su un’altura tranquilla e irrigata di fonti (23,50).

La figura di Maria nel Corano

Abbiamo già visto alcuni tratti caratteristici di Maria trattando della sua «biografia». Essa è presentata come scelta da Dio due volte: la prima per sé, in quanto appartenente alla «famiglia di ‘Imrân» e consacrata a Dio (3,33), la seconda in quanto madre del Cristo (3,42). La qualifica della maternità è senz’altro la più importante: Maria è madre del Cristo senza concorso umano, per cui è lei a dare la filiazione legittima a Gesù: fatto più unico che raro nella tradizione araba antica. E così lungo tutto il Corano Gesù continua a essere nominato esclusivamente come «Figlio di Maria» (2,87.253; 5,17.46.72.75; ...), senza padre, perché creato nel suo grembo direttamente da Dio, come a suo tempo Adamo.

La seconda caratteristica peculiare di Maria è la verginità, ribadita non solo nei versetti finora citati ma anche in altri contesti del Libro: «E rammenta ancora colei che custodì la sua verginità...» (21,91); «E Maria figlia di ‘Imrân, che si conservò vergine...» (66,12), tanto che ci sono parole durissime contro gli ebrei che non credettero al concepimento verginale di Gesù (cf 4,156: «per aver detto contro Maria calunnia orrenda»). Questa caratteristica di Maria è veramente peculiare in una cultura e in una religione che esigono per una donna la verginità solo prima e in funzione del matrimonio ma non la incoraggiano per nulla in quanto tale e non favoriscono affatto la verginità consacrata.

Maria e suo Figlio sono stati resi da Dio un segno per i mondi (21,91; 23,50). Il termine «segno» (âya) è ricco di significati. In questo contesto sembra indicare non tanto un modello da imitare, quanto la testimonianza delle meraviglie di cui il Creatore ha dotato il mondo, per spingere gli uomini a credere e ad affidarsi a lui. È questa l’ultima caratteristica coranica di Maria, chiamata la santa (siddîqa) (5,75), perché ha «dichiarato vere» (saddaqat), cioè ha creduto alle parole e ai Libri del suo Signore (66,12).

Si noti tuttavia che il termine tradotto con «santa» non ha rapporti in arabo con la radice qadasa, adoperata per indicare la santità e la trascendenza di Dio. Maria, come suo Figlio, resta creatura umana «che mangia cibo» (5,75) e sono in gravissimo errore coloro che la divinizzano, attentando all’unità e unicità dell’unico Signore, come attesta un passo del Corano, nel quale Dio stesso interroga Gesù:

«O Gesù figlio di Maria! Sei stato tu che hai detto agli uomini: “Prendete me e mia madre come dei oltre a Dio”?». E rispose Gesù: «Gloria a Te! Come mai avrei potuto dire ciò che non ho il diritto di dire? ... Io non dissi loro se non quello che Tu mi ordinasti di dire, cioè: “Adorate Iddio, mio Signore e Signor vostro”» (5,116-117).

Perfettamente umana, perfettamente donna. Vergine e madre ricolma del favore di Dio, santa perché ha creduto alla parola di Dio e ha dato alla luce la parola di Dio grazie al soffio dello Spirito. Perfettamente musulmana nella sua sottomissione e nella sua adorazione di Dio. Segno, insieme con il Figlio, delle meraviglie compiute da Dio nel mondo. Così simile eppure così diversa dall’immagine cristiana, Maria condivide con Gesù l’essere «segno di contraddizione». Ma la sua condizione di donna e di madre, che vive in funzione ma anche defilata rispetto al Figlio, l’avvicina a tutte le donne, musulmane e cristiane, che l’ammirano, la pregano e la sentono compagna di viaggio nelle sofferenze e nelle gioie della vita.

Ed essa, continuando a indirizzare i musulmani a Dio e i cristiani a Gesù, rimane punto di incontro non necessariamente conflittuale per tutti coloro che la considerano sorella, signora o madre.

Valentino Cottini
Studio Teologico San Zeno

Via B. Bacilieri, 1 – 37139 Verona

Bibliografia minima

A. Bausani, Il Corano, BUR, Milano 41994.

M. Borrmans, «Presenza di Maria nell’islam», in Islam e cristianesimo. Le vie del dialogo, Paoline, Cinisello Balsamo 1993, 75-84.

M. Masini, Maria di Nazaret nel conflitto delle interpretazioni, Messaggero, Padova 2005.

E. Peretto (ed.), Maria nell’ebraismo e nell’islam oggi, Edizioni Marianum - EDB, Roma-Bologna 1987.

 

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