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A
poche decine di metri dalla Basilica della Natività di Betlemme è
situato il piccolo santuario della Grotta del latte. È ubicato dentro e
sopra una grotta in materiale gessoso, che conserva una graziosa
tradizione. Quando gli sgherri di Erode il Grande vennero per trucidare
tutti i bambini di Betlemme al di sotto dei due anni di età, Giuseppe,
avvertito in sogno, si recò subito da Maria per sollecitarla a fuggire.
Maria stava allattando il piccolo Gesù. Per lo spavento e la fretta,
staccò il Bambino dal seno e una goccia di latte cadde al suolo.
Improvvisamente tutta la grotta divenne bianca.
A prescindere dal fondamento storico,
questa gentile e delicata tradizione è rimasta lungo i secoli. Il
piccolo santuario è visitato fino ai giorni nostri soprattutto da donne,
che vengono a invocare la fertilità presso la Madre di Gesù: dopo aver
pregato, grattano una parete della grotta, raccolgono un pizzico di
gesso bianco, lo portano con loro e lo bevono devotamente con un po’
d’acqua. Ciò che forse colpisce i puristi della religione, è il fatto
che arrivano indistintamente donne cristiane, ebree e musulmane a
compiere il medesimo rito. La «donna» e la «madre» Maria unisce nel
bisogno e nella richiesta di grazie tutte le donne, creando una sorta di
solidarietà femminile, che scavalca le rigide barriere delle distinzioni
di fede. In qualche modo Maria rappresenta la rivincita dell’umano sulla
rigidità, talora sterile, delle identità religiose. La pietà popolare
sente delle affinità comuni dove la teologia «accademica» tende a
dividere.
Ciò che succede presso la Grotta del
latte avviene, con caratteristiche simili e differenti secondo i luoghi
e le tradizioni, praticamente in tutti gli ambienti in cui si sono
incontrati cristiani e musulmani, dai paesi del Maghreb fino all’Asia e
al subcontinente indiano. Una specie di «ecumenismo femminile e mariano»
dei gesti, della devozione, della preghiera, della tradizione popolare,
che è difficile raccogliere ed esprimere in formule. Queste richiedono
punti di riferimento concettuali e dogmatici, che marcano differenze e
appartenenze. Gli antropologi parlerebbero forse dei miti della Grande
Madre. I teologi si affannerebbero a mettere in guardia dal rischio di
contaminazioni della fede ortodossa. Dal loro punto di vista hanno
ragione. Restano comunque i fatti - più o meno tollerati nelle galassie
cristiana e musulmana - che testimoniano il punto d’incontro in Maria
dei fedeli di ambedue le tradizioni religiose.
Ovviamente, non è possibile limitarci
a costatare il fenomeno. Occorre cercare di scendere più in profondità.
Che cosa unisce e divide cristiani e musulmani sulla figura di Maria? Al
di là del meraviglioso e viscerale sentimento femminile, che affratella
nella venerazione della Madre di Gesù, cristianesimo e islam considerano
Maria nello stesso modo? Gli studi sull’argomento rilevano che cristiani
e musulmani, quando devono cercare di esprimere «formalmente» la loro
venerazione per Maria, sono influenzati quasi esclusivamente dalla
rispettiva appartenenza religiosa. Presup-ponendo acquisita la formalità
cristiano-cattolica, vediamo che cosa dice il Corano.
Nel Libro sacro dell’islam Maria (Maryam)
è l’unica donna chiamata per nome. Due sezioni parlano di lei
diffusamente: la sura 3 (La famiglia di ‘Imrân), 33-37.42-47 e la sura
19 (Maria), 16-36. Altri versetti sparsi vi si riferiscono in maniera
diretta. Anche se agli occhi di un cristiano alcune notizie appaiono
familiari, è necessario considerare che per un musulmano l’unico testo
di riferimento autorevole e autentico è il Corano, non le
tradizioni precedenti contenute nei libri dei cristiani. Di qui nascono
le affinità e le differenze. Citerò dunque direttamente il Corano,
riportando i testi per esteso e lasciando da parte alcune difficoltà che
richiederebbero ampie spiegazioni.
Notizie «biografiche» su
Maria
Secondo il Corano Maria è
parte della «famiglia di ‘Imrân», «eletta» come «Adamo e Noè e la gente
d’Abramo» «sovra tutto il creato come progenie gli uni degli altri»
(3,33-34). La moglie di ‘Imrân (innominata nel Corano) si trovò
incinta e fece questo voto a Dio:
«O Signore! Io voto a Te ciò ch’è nel
mio seno, sarà libero dal mondo e dato a Te! Accetta da me questo dono,
ché Tu sei Colui che ascolta e conosce!» E quando la partorì, disse:
«Signore! Ecco che io ho partorito una femmina!» (Ma Dio sapeva meglio
di lei chi essa aveva partorito). «Il maschio non è come la femmina, ma
io l’ho chiamata Maria, e la metto sotto la tua protezione, lei e la sua
progenie, contro Satana, il reietto!» E il Signore l’accettò,
d’accettazione buona, e la fece germogliare, di germoglio buono
(3,35-37a).
Questo racconto della nascita di
Maria sottolinea alcuni particolari: essa è di famiglia profetica e
scelta da Dio; viene consacrata a Dio fin dal grembo materno, benché non
maschio; è sotto la protezione divina contro le insidie del demonio
insieme con la sua futura discendenza, cioè Gesù; è accettata da Dio,
che si occupa della sua crescita prodigiosa all’interno del tempio, come
viene precisato nel seguito del racconto:
E Zaccaria la prese sotto la sua
tutela, e ogni volta che Zaccaria entrava da lei nel santuario vi
trovava del cibo e le diceva: «O Maria, donde ti viene questo?». Ed essa
rispondeva: «Mi viene da Dio, perché Dio dà della sua provvidenza a chi
vuole, senza conto» (3,37b).
All’accettazione da parte di Dio
corrisponde dunque una vita appartata, di consacrazione o di ritiro da
parte di Maria, che coincide con la sua crescita nel tempio sotto la
vigile tutela da parte del «profeta» Zaccaria, futuro padre di Giovanni
Battista. La cura di Dio per Maria è espressa dal cibo celeste, che
provoca la meraviglia del tutore»
Nella sura di Maria si parla di un
«ritiro volontario» di Maria, una separazione dalla sua gente per
consacrarsi a Dio o, più probabilmente, per custodire la sua verginità:
E nel Libro ricorda Maria, quando
s’appartò dalla sua gente lungi in un luogo d’oriente ed essa prese, a
proteggersi da loro, un velo (19, 16-17a).
Risposta fedele di Maria alla
predilezione di Dio, che viene ribadita da una stupenda rivelazione
angelica, strana eco dell’Ave Maria:
E quando gli angeli dissero a Maria:
«O Maria! In verità Dio t’ha prescelta e t’ha purificata e t’ha eletta
su tutte le donne del creato. O Maria, sii devota al tuo Signore,
prostrati e adora con chi adora!». Questa è una delle notizie del mondo
invisibile che noi ti riveliamo, perché tu non stavi con loro quando
tiravano a sorte con le canne per sapere chi si sarebbe preso cura di
Maria, non eri con loro quando discutevano di questo (3,42-44).
Maria dunque è stata eletta da Dio
nella sua imperscrutabile libertà e colmata di favori tra tutte le
donne. Per questo è invitata ad adorarlo e a ringraziarlo con i gesti di
tutti coloro che lo fanno nella preghiera rituale (salât). Vi è
poi nel testo un accenno particolare, che, credo, solo coloro che
conoscono gli scritti apocrifi cristiani possono intendere rettamente.
Si riferisce all’episodio della scelta del «custode» o «tutore» di Maria,
quando, raggiunta la pubertà non poteva più abitare stabilmente nel
tempio. Gli apocrifi narrano di un bando lanciato dai sacerdoti e
affidato alla sorte, che cadde su Giuseppe. Ma il Corano non
nomina mai Giuseppe né come sposo della Vergine né come «padre» di Gesù.
Segue poi il racconto
dell’Annunciazione in due recensioni:
E Noi le inviammo il Nostro Spirito
che apparve a lei sotto forma d’uomo perfetto. Ella gli disse: «Io mi
rifugio nel Misericordioso, avanti a te, se tu sei timorato di Dio!». Le
disse: «Io sono il messaggero del tuo Signore, per donarti un fanciullo
purissimo». «Come potrò avere un figlio, rispose Maria, se nessun uomo
m’ha toccata mai, e non sono una donna cattiva?». Disse: «Così sarà.
Perché il tuo Signore ha detto: “Cosa facile è questa per me”, e noi,
per certo faremo di Lui un Segno per gli uomini, un atto di clemenza
Nostra: questa è cosa decretata». Ed essa lo concepì e s’appartò col
frutto del suo seno in luogo lontano (19, 17b-22).
E quando gli angeli dissero a Maria:
«O Maria, Iddio t’annunzia la buona novella d’una Parola che viene da
Lui, e il cui nome sarà il Cristo, Gesù figlio di Maria, eminente in
questo mondo e nell’altro e uno dei più vicini a Dio. Ed egli parlerà
agli uomini dalla culla come un adulto, e sarà dei Buoni». «O mio
Signore!, rispose Maria, come avrò mai un figlio se non m’ha toccata
alcun uomo?». Rispose l’angelo: «Eppure Dio crea ciò ch’Ei vuole:
allorché ha deciso una cosa non ha che da dire: “Sii!” ed essa è»
(3,45-47).
I due racconti, pur diversi per
alcuni aspetti, convergono su un dato fondamentale: il concepimento di
Gesù è un atto creatore di Dio e avviene in Maria senza intaccare la sua
verginità. Colpiscono alcune affermazioni coraniche a proposito di Gesù:
è una «Parola che viene da Dio», concepito per opera dello «Spirito», è
un «segno» per gli uomini e un «atto di clemenza» divina. Il Corano
e la tradizione musulmana successiva si incaricheranno di sminuire la
portata di queste espressioni, eco del messaggio cristiano. Esse
tuttavia restano come un germe fecondo nel Libro sacro dell’islam.
La nascita di Gesù avviene in
solitudine:
Ora le doglie del parto la spinsero
presso il tronco di una palma e disse: «Oh fossi morta prima, oh fossi
ora una cosa dimenticata e obliata!». E la chiamò una Voce di sotto la
palma: «Non rattristarti, ché il Signore ha fatto sgorgare un ruscello
ai tuoi piedi: scuoti verso di te il tronco della palma e questa farà
cadere su te datteri freschi e maturi. Mangiane dunque e bevi e asciuga
gli occhi tuoi! E se tu vedessi qualcuno digli: “Ho fatto voto al
Misericordioso di digiunare e non parlerò oggi a alcun uomo”». Poi venne
col bambino alla sua gente portandolo in braccio. «O Maria, le dissero,
tu hai fatto cosa mostruosa. O sorella di Aronne! Non era tuo padre un
uomo malvagio né fu peccatrice tua madre!». Ed essa indicò loro il
neonato, e dissero: «Come parleremo noi a chi è ancora nella culla
bambino?». Egli disse: «In verità io sono il Servo di Dio, il quale mi
ha dato il Libro e mi ha fatto Profeta, e m’ha benedetto ovunque io sia
e m’ha prescritto la Preghiera e l’Elemosina finché sarò in vita e m’ha
fatto dolce con mia madre, non mi ha fatto violento e scellerato. Sia
pace su di me, il dì che nacqui e il dì che muoio e il dì quando sarò
suscitato a vita!». Questo è Gesù Figlio di Maria, (secondo) parola di
verità che alcuni mettono in dubbio. Non è da Dio prendersi un figlio;
sia gloria a Lui! (19,23-35).
Il parto solitario indirizza al
rapporto unico che lega madre e figlio; le parole del figlio appena nato
sono volte prima a confortare la madre e poi a difenderla dalle accuse
dei concittadini, incapaci di comprendere il prodigio avvenuto in una
«ragazza madre»; il silenzio di Maria, un «digiuno della parola», lascia
spazio al figlio, la «Parola di verità» che si autopresenta come Servo e
Profeta di Dio, ma non Figlio di Dio.
Il silenzio di Maria si prolunga
lungo tutto il resto del Corano. Forse alla morte e alla
ricompensa nel paradiso si riferisce un versetto piuttosto enigmatico,
che la vede ancora insieme al Figlio:
E così anche del Figlio di Maria e di
sua Madre facemmo un Segno, e demmo loro un rifugio su un’altura
tranquilla e irrigata di fonti (23,50).
La figura di Maria nel
Corano
Abbiamo già visto alcuni tratti
caratteristici di Maria trattando della sua «biografia». Essa è
presentata come scelta da Dio due volte: la prima per sé, in
quanto appartenente alla «famiglia di ‘Imrân» e consacrata a Dio (3,33),
la seconda in quanto madre del Cristo (3,42). La qualifica della
maternità è senz’altro la più importante: Maria è madre del Cristo
senza concorso umano, per cui è lei a dare la filiazione legittima a
Gesù: fatto più unico che raro nella tradizione araba antica. E così
lungo tutto il Corano Gesù continua a essere nominato
esclusivamente come «Figlio di Maria» (2,87.253; 5,17.46.72.75; ...),
senza padre, perché creato nel suo grembo direttamente da Dio, come a
suo tempo Adamo.
La seconda caratteristica peculiare
di Maria è la verginità, ribadita non solo nei versetti finora
citati ma anche in altri contesti del Libro: «E rammenta ancora colei
che custodì la sua verginità...» (21,91); «E Maria figlia di ‘Imrân, che
si conservò vergine...» (66,12), tanto che ci sono parole durissime
contro gli ebrei che non credettero al concepimento verginale di Gesù (cf
4,156: «per aver detto contro Maria calunnia orrenda»). Questa
caratteristica di Maria è veramente peculiare in una cultura e in una
religione che esigono per una donna la verginità solo prima e in
funzione del matrimonio ma non la incoraggiano per nulla in quanto tale
e non favoriscono affatto la verginità consacrata.
Maria e suo Figlio sono stati resi da
Dio un segno per i mondi (21,91; 23,50). Il termine «segno» (âya)
è ricco di significati. In questo contesto sembra indicare non tanto un
modello da imitare, quanto la testimonianza delle meraviglie di cui il
Creatore ha dotato il mondo, per spingere gli uomini a credere e ad
affidarsi a lui. È questa l’ultima caratteristica coranica di Maria,
chiamata la santa (siddîqa) (5,75), perché ha «dichiarato
vere» (saddaqat), cioè ha creduto alle parole e ai Libri del suo
Signore (66,12).
Si noti tuttavia che il termine
tradotto con «santa» non ha rapporti in arabo con la radice qadasa,
adoperata per indicare la santità e la trascendenza di Dio. Maria, come
suo Figlio, resta creatura umana «che mangia cibo» (5,75) e sono
in gravissimo errore coloro che la divinizzano, attentando all’unità e
unicità dell’unico Signore, come attesta un passo del Corano, nel
quale Dio stesso interroga Gesù:
«O Gesù figlio di Maria! Sei stato tu
che hai detto agli uomini: “Prendete me e mia madre come dei oltre a
Dio”?». E rispose Gesù: «Gloria a Te! Come mai avrei potuto dire ciò che
non ho il diritto di dire? ... Io non dissi loro se non quello che Tu mi
ordinasti di dire, cioè: “Adorate Iddio, mio Signore e Signor vostro”»
(5,116-117).
Perfettamente umana,
perfettamente donna. Vergine e madre ricolma del
favore di Dio, santa perché ha creduto alla parola di Dio e ha
dato alla luce la parola di Dio grazie al soffio dello Spirito.
Perfettamente musulmana nella sua sottomissione e nella sua
adorazione di Dio. Segno, insieme con il Figlio, delle meraviglie
compiute da Dio nel mondo. Così simile eppure così diversa dall’immagine
cristiana, Maria condivide con Gesù l’essere «segno di contraddizione».
Ma la sua condizione di donna e di madre, che vive in funzione ma anche
defilata rispetto al Figlio, l’avvicina a tutte le donne, musulmane e
cristiane, che l’ammirano, la pregano e la sentono compagna di viaggio
nelle sofferenze e nelle gioie della vita.
Ed essa, continuando a indirizzare i
musulmani a Dio e i cristiani a Gesù, rimane punto di incontro non
necessariamente conflittuale per tutti coloro che la considerano
sorella, signora o madre.
Valentino
Cottini
Studio Teologico San Zeno
Via B. Bacilieri, 1 – 37139 Verona
Bibliografia minima
A. Bausani,
Il Corano, BUR, Milano 41994.
M. Borrmans,
«Presenza di Maria nell’islam», in Islam e cristianesimo. Le vie del
dialogo, Paoline, Cinisello Balsamo 1993, 75-84.
M. Masini,
Maria di Nazaret nel conflitto delle interpretazioni, Messaggero,
Padova 2005.
E. Peretto
(ed.), Maria nell’ebraismo e nell’islam oggi, Edizioni Marianum -
EDB, Roma-Bologna 1987.
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