n.5
maggio 2007

 

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Armonia e dinamismo: l'immagine evangelica
di Maria Ko

 

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La presentazione biblica di Maria ha per me, cinese, qualcosa di simile a un dipinto sulla seta che ha queste caratteristiche tipiche: poche pennellate, molto spazio bianco, colori tenui, contorni non totalmente definiti, soggetti semplici e senza pretesa, atmosfera di sacro silenzio. Le poche pennellate cadono armoniosamente in posti appropriati e sprizzano energie; grazie ad esse anche lo spazio bianco diventa denso di significato. Il tutto invita a trascendere, a lanciarsi verso l’infinito, a spiare il mistero, a fare esperienza dell’oltre, a dilatarsi nel bello.

I pochi racconti evangelici su Maria formano con il molto spazio bianco che li circonda un tutto armonioso, dinamico, affascinante. De Maria numquam satis: non solo il parlare di Maria è inesauribile, ma anche la contemplazione dei pochi tratti evangelici su Maria non ha mai fine. Le seguenti riflessioni sono frutto di una delle infinite contemplazioni di questo bellissimo capolavoro del Signore, vogliono cogliere in particolare l’armonia e il dinamismo nell’immagine evangelica di Maria facendo emergere il suo cammino interiore, la sua «peregrinazione della fede»1 in intima unione con Gesù.

Dal «quomodo fiet» al «fiat»

Contempliamo Maria nel momento in cui riceve all’improvviso l’annuncio dell’angelo. Al messaggio sorprendente di Gabriele la risposta di Maria non scatta in modo istantaneo ed irriflesso. La sua prima reazione è quella del turbamento, tipico di chi è consapevole di trovarsi di fronte a qualcosa che lo trascende infinitamente, ad una novità insospettata di cui non riesce a cogliere subito il senso. Non si tratta di un dubbio scaturito dall’incredulità, bensì del senso di stupore di fronte alla sproporzione tra la grandezza della proposta e la limitatezza effettiva della capacità di realizzazione. È l’atteggiamento dell’umile e del riflessivo, di chi cioè è cosciente della propria piccolezza e si avvicina al mistero con timidezza e discrezione, attento a penetrarne il senso. È il sentimento del povero che sa meravigliarsi di fronte ai doni gratuiti.

La seconda reazione di Maria è un’obiezione. Maria invoca luce: Quomodo fiet istud? («Come avverrà questo?») e manifesta il dilemma del suo voler acconsentire, ma non saper come. Ella domanda a Dio che cosa dovrà fare per essere in grado di obbedire. Lo spirito di Maria è come quello del salmista quando prega Dio dicendo: «Fammi conoscere la via dei tuoi precetti e mediterò i tuoi prodigi [...]. Dammi intelligenza perché osservi la tua legge e la custodisca con tutto il cuore» (Sal 119,27.34).

Dopo che l’angelo le ha manifestato in che modo è resa protagonista, luogo e testimone di «grandi cose», Maria accetta con piena disponibilità, passando così dal quomodo fiet, «come avverrà», al fiat, «avvenga». Il fiat di Maria, come quello insegnatoci da Gesù nel Padre nostro (Mt 6,10), è un abbandono fiducioso e un desiderio gioioso di realizzare la volontà di Dio. Con il suo fiat ella ricapitola tutta la schiera degli obbedienti nella fede nell’Antico Testamento e inaugura il nuovo popolo pronto ad ascoltare la voce di Dio che ora parla per mezzo del suo Figlio.

La dinamica del cammino interiore di Maria risulta ancor più chiara se si prende in considerazione il confronto intenzionale fatto da Luca tra due annunciazioni: a Zaccaria e a Maria. Zaccaria, anziano e stimato, sacerdote, uomo giusto, rappresentante ideale della religiosità anticotestamentaria, incontra l’angelo in Gerusalemme, nel tempio, durante il culto. Uomo santo, luogo santo, tempo santo: tutto sottolinea la sacralità e la solennità dell’evento. Maria, invece, una sconosciuta ragazza di Nazaret, città disprezzata, da cui non potrebbe venire qualcosa di buono (cf Gv 1,46), incontra l’angelo nella quotidianità semplice e domestica. Ma Dio capovolge le posizioni. L’angelo entra «da lei», è Maria in realtà il tempio dell’Altissimo. Ella «ha trovato grazia presso Dio», il dono divino giunge a lei gratuitamente, non a causa della sua osservanza della legge o in risposta alla sua preghiera di domanda, come è nel caso di Zaccaria. Anche la conclusione dei racconti è diversa: Maria crede, si apre e diventa collaboratrice di Dio nel salvare il mondo, mentre Zaccaria si chiude nel suo mutismo, isolato, perché chi non crede al disegno di Dio non può nemmeno parlarne.

«Camminare in fretta» e «conservare tutto nel cuore»

La premura del cammino verso Ain Karim, come poi la sollecitudine alle nozze di Cana, mostrano lo stile attivo, intraprendente, creativo, risoluto di Maria. Il suo andare in fretta è immagine della Chiesa missionaria che, subito dopo la Pentecoste, investita dallo Spirito Santo, si mette in cammino per diffondere la buona novella fino agli estremi confini della terra. Paolo conosce bene questa fretta: «È l’amore di Cristo che ci spinge» (2Cor 5,14).

Maria non guarda alle distanze, ai rischi possibili, non calcola il tempo, non misura la fatica. L’ardore nel cuore le mette ali ai piedi. Ella si sente spinta, mandata da quel Dio che porta dentro. Ma il camminare di Maria non è solo movimento esterno, è un andare restando nel Signore, un partire dimorando in lui, un viaggiare portandolo dentro di sé. È la vita interiore che muove, dirige, avvolge e dà senso all’azione esteriore; è il silenzio che matura la parola. Ella unisce la contemplazione nell’incontro col mistero alla concreta azione nell’esperienza del servizio; fonde in armonia il più grande trasporto nei confronti di Dio e il più grande realismo nel confronti del mondo e della storia.

Alla sollecitudine e laboriosità esterna corrisponde un’attività vivace interna. Maria «conserva tutte le cose nel cuore meditando» (Lc 2,19.51). Luca ha voluto sottolineare l’atteggiamento riflessivo e sapiente di Maria di fronte al mistero ripetendo questa frase per due volte. È un’espressione che apre profondi spiragli sulla vita interiore di Maria. Maria, Vergine sapiente, Vergine in ascolto, è una donna dal cuore grande, capace di conservare le «grandi cose» operate da Dio in lei nella storia, capace di far memoria delle meraviglie di Dio, capace di collegare dentro di sé il passato con il presente, trasformando tutto in seme di futuro. Ella non capisce subito tutto, ma ospita tutto nel suo cuore, si apre al mistero lasciandosi coinvolgere e rispettando i ritmi della rivelazione storica di Dio.

Questo atteggiamento di Maria, Gesù lo insegna anche ai suoi discepoli: «Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato» (Gv 16,14). «Il seme caduto sulla terra buona sono coloro che, dopo aver ascoltato la parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza» (Lc 8,15).

I discepoli di Gesù, in particolare le persone consacrate, devono imparare da Maria, Maestra sapiente, il segreto dell’unificazione vitale tra interiorità e attività, tra essere e fare, tra credere e operare, tra preghiera e lavoro, tra memoria e creatività, tra concentrazione e diffusione della parola di Dio, tra «conservare tutto nel cuore» e «camminare in fretta», tra l’accogliere il dono di Dio e il farsi dono di Dio per gli altri.

«Vedere un segno» e «essere segno»

Maria parte da Nazaret e si mette in cammino dietro un «segno» datole dall’angelo: «Vedi, anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio» (Lc 1,36). Nella modesta casetta del sacerdote Zaccaria, l’anziana Elisabetta attende il figlio donatole per grazia sorprendente. Questo fatto deve essere per Maria una prova della potenza di Dio a cui «nulla è impossibile» (Lc 1,37).

Quando Sara, moglie di Abramo, rideva incredula al pensiero di poter ancora partorire nella vecchiaia, il Signore le fece questa domanda: «C’è forse qualche cosa impossibile per il Signore?» (Gn 18,14). Isaia invita il popolo scoraggiato e travolto dalla sofferenza a fidarsi di colui che può tutto: «Ecco non è troppo corta la mano del Signore da non poter salvare; né tanto duro è il suo orecchio, da non poter udire» (Is 59,1).

Maria cammina verso la montagna animata dalla fiducia in Dio. Come dirà poi nell’esplosione di gioia del Magnificat, il Signore è per lei «Salvatore», «l’Onnipotente», un Dio che «si ricorda della sua misericordia» e la stende «di generazione in generazione su quelli che lo temono» (Lc 1,47.49-50).

La fiducia di Maria è rafforzata dal «segno» offertole da Dio, ma in realtà, ella stessa è un segno di Dio dato all’umanità, «un segno di speranza e di consolazione».2 Infatti Maria segna l’aurora che precede il sorgere del sole, segna l’irrompere della salvezza nella storia, segna «la pienezza del tempo» (Gal 4,4). Mentre Isacco, il bambino di Sara, e Giovanni, il bambino di Elisabetta, portano il messaggio che Dio può tutto, il bambino di Maria è il Dio che può tutto, il Dio onnipotente fattosi uomo debole e nascosto.

Nel cammino di fede di Maria, c’è una circolarità tra lo scoprire il segno di Dio negli altri e l’essere segno di Dio per altri. Si tratta della meravigliosa solidarietà tra i credenti. L’incontro tra Maria e Elisabetta la rivela nella sua piena bellezza.

Maria e Elisabetta: due donne protese verso il futuro del loro grembo, due donne che custodiscono dentro di sé un mistero ineffabile, un miracolo stupendo. La coscienza d’essere rese oggetto di particolare predilezione di Dio le unisce, la missione comune di collaborare con Dio per un progetto grandioso le entusiasma e le fa esplodere in benedizione e in canto di lode, l’esperienza della maternità prodigiosa le rende solidali. Il prodigio di Dio in Elisabetta è per Maria un «segno» che l’aiuta a pronunciare il suo fiat; ora il prodigio di Dio in Maria è segno per Elisabetta, un segno che suscita in lei una confessione di fede. Così le due donne sono, l’una per l’altra, luogo di scoperta di Dio, epifania della sua grandezza e motivo per cui lodarlo e ringraziarlo. Nel riconoscersi reciprocamente come segno di Dio, la loro comunicazione, densa di intuizione e di intesa profonda, permeata dal rispetto per il mistero, si fa benedizione, si fa canto e poesia. Il confronto vicendevole nella fede fa sgorgare la profezia vicendevole, animata dalla forza dello Spirito. Insieme, tutte e due, diventano segno della solidarietà di Dio con tutta l’umanità.

Dal fiat al magnificat

Mentre Maria percorre in fretta le vie tortuose della montagna, dentro di lei si snoda un itinerario interiore di fede che va dall’adesione docile del fiat all’esplosione gioiosa del Magnificat, dall’essere visitata da Dio all’essere visita di Dio per altri.

Salendo sulla montagna Maria sente di non essere sola. Il Figlio di Dio è presente, nascosto in lei. Luca descrive questo viaggio in chiara analogia con il trasferimento dell’arca dell’alleanza verso Gerusalemme, narrato in 2Samuele 6,2-11. Il sobbalzare di Giovanni nel grembo materno richiama la gioia di Davide davanti all’arca e le parole con cui Elisabetta saluta Maria riproducono da vicino l’esclamazione del re: «Come è possibile che l’arca del Signore venga da me?». Il saluto dell’angelo a Nazaret, «il Signore è con te», che Maria fatica a comprendere, ora si fa esperienza reale e convinzione profonda. Maria, Madre del Dio-con-noi, è ora l’arca della nuova alleanza, la nuova dimora di Dio, nuova trasparenza della presenza divina tra gli uomini, nuovo motivo di gioia per tutti.

Con il suo camminare per vie scomode per raggiungere l’altro a casa sua, Maria inaugura lo stile di Dio, lo stile di servizio, di abbassamento, di solidarietà verso chi ha bisogno. In lei il Dio incarnato si fa il Dio che entra nella trama umana e permea di sé anche la sfera del quotidiano. La salvezza acquista tonalità domestica. «Oggi devo entrare in casa tua», «Oggi la salvezza è entrata in questa casa» (Lc 19, 5.9): ciò che Gesù dirà più tardi nell’incontro con Zaccheo è in qualche modo realtà anticipata per mezzo di Maria.

Maria porta gioia e speranza. Dalla Galilea alla Giudea ella percorre lo stesso tratto di strada che più tardi avrebbe dovuto fare Gesù. Camminando in fretta sui monti, Maria evoca il celebre testo profetico: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di un lieto annuncio...» (Is 52,7). La buona novella portata da Maria emana gioia contagiosa, fa esultare un bambino nel grembo materno, rende felice un’anziana. «I giovani e i vecchi gioiranno. Io cambierò il loro lutto in gioia, li consolerò e li renderò felici» (Ger 31,13). I bambini che nascono e gli anziani che giungono alla pienezza della loro vita si incontrano e si uniscono nell’esultanza lodando lo stesso Dio che è «amante della vita» (Sap 113,9).

Lungo tutta la sua vita Maria continua a moltiplicare e diffondere dappertutto la gioia pura di cui ella è ripiena, quella gioia scaturita dal saluto dell’angelo «Rallegrati Maria» e resa più intima e profonda dal suo fiat. Alla nascita di Gesù questa gioia si estenderà ai pastori di Betlemme attraverso l’annuncio dell’angelo: «Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo» (Lc 2,10). Portando Gesù nel tempio Maria farà ancora trasalire di gioia l’anziano Simeone e la profetessa Anna. A Cana, poi, la gioia non verrà a mancare al banchetto delle nozze grazie all’intercessione di Maria presso il suo Figlio. A Maria, portatrice della Buona Novella e madre del Dio della gioia, si potrebbe applicare la parola del salmista: «Al tuo passaggio stilla l’abbondanza [...], tutto canta e grida di gioia» (Sal 65, 12-14).

Dal fiat al magnificat diventa l’itinerario esemplare di ogni cristiano che compie il suo pellegrinaggio della fede dall’adesione iniziale al progetto di Dio verso il pieno godimento della bellezza di questo progetto, passando attraverso una «salita» graduale: il servizio, la gratuità del quotidiano, l’andare con sollecitudine verso chi ha bisogno, l’incontro di amicizia nella comunità, lo sforzo missionario nel portare Gesù in casa altrui, l’annunciare la buona novella con gioia suscitando gioia di salvezza nella gioventù che si apre alla vita.

«Avvolgerlo in fasce» e «cercarlo con ansia»

Nel racconto della nascita di Gesù Luca riporta il gesto delicato di Maria: «Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia» (Lc 2,7). È un gesto semplice che esprime tutto l’affetto materno, tenero e rispettoso di Maria verso questo bambino che è figlio di Dio e figlio suo. Quando poi l’angelo annuncia la buona notizia della nascita del bambino ai pastori, darà loro questo come segno: «troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Lc 2,13). Venti secoli sono passati e ancor oggi nelle nostre scene natalizie il bambino si presenta con questo segno dell’amore della madre.

A Betlemme Maria insieme a Giuseppe si trova coinvolta in questo mistero nascosto da secoli nella mente di Dio e che è diventato realtà davanti ai loro occhi: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Maria e Giuseppe sono i primi testimoni di questa nascita, avvenuta in condizioni umili e poveri, primo passo di quell’«annientamento» (cf Fil 2,5-8), che il Figlio di Dio liberamente sceglie per la salvezza di tutta l’umanità. E questo bambino è affidato alla loro cura ed educazione. L’amore tenero della madre espresso nel momento della nascita accompagnerà il figlio in ogni fase della vita.

Il lungo periodo della vita «nascosta» a Nazaret, durante il quale Gesù si prepara alla sua missione messianica, è riassunto da Luca in poche parole. Egli racconta un solo episodio della vita di Gesù adolescente: quello della Pasqua a Gerusalemme, quando Gesù aveva dodici anni. La narrazione è incorniciata da due versetti che sottolineano l’idea della crescita di Gesù: «Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e la grazia di Dio era sopra di lui» (Lc 2,40). «Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). Il viaggio alla città santa di Gesù dodicenne segna una tappa della crescita di Gesù, è l’anticipazione di un altro viaggio a Gerusalemme che culminerà nella sua Pasqua.

L’episodio segna anche la crescita della madre. Ritrovato Gesù nel tempio dopo tre giorni, Maria gli domanda: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48) Nel «perché» di Maria è il riassunto di tanti perché dell’umanità intorno al mistero della croce e, nella sua ansia, l’angoscia di tante persone che cercano faticosamente Dio. Alla domanda della madre, Gesù dà per risposta due altre domande: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Egli ha un «deve» nel disegno del Padre, con la crescita in età e in sapienza egli cresce soprattutto nella coscienza della sua missione. Anche Maria cresce nell’accoglienza dell’identità di Gesù - questo figlio che ella ha avvolto in fasce alla nascita non è solo figlio suo - e cresce nella consapevolezza d’essere anche lei depositaria del mistero di Dio; lo sapeva già fin dal momento dell’annuncio dell’angelo, ora tutto appare più vivo e reale, e allo stesso tempo più duro e più incomprensibile. Accanto al suo Figlio anche Maria ha un «deve» nelle cose del Padre.

Dal fiat al facite

Maria è diventata Madre di Dio perché ha «creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45): è l’interpretazione del fiat di Maria fatto da Elisabetta, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. A lei fa eco Agostino quando dice: «Maria, piena di fede, concepì Cristo prima nel cuore che nel grembo»3. Alla pienezza di grazia da parte di Dio corrisponde la pienezza di fede da parte di Maria.

Abbandonata a Dio completamente, impegnata nell’avanzare costantemente nella «peregrinazione della fede», Maria si è sintonizzata lentamente e profondamente con Dio. Per la sua viva fede ella arriva a una forte intesa con lui, a un acclimatamento di tutto il suo essere con la sfera divina, ad avere un’intuizione del pensiero di Dio, a saper discernere spontaneamente la sua volontà, a sentir palpitare dentro di sé il cuore di Dio. La Lettera agli Ebrei, elogiando la fede degli antenati di Israele, dice di Mosé che vive «come se vedesse l’invisibile» (Eb 11,27). Così Paolo, avendo raggiunto un grado di unione con Cristo da poter dire «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20), afferma senza retorica e senza vanto: «Noi abbiamo il pensiero di Cristo» (1Cor 2,16). Tutto questo può essere detto di Maria. A Cana di Galilea la troviamo così, semplice, discreta, fiduciosa accanto al suo Figlio, sicura di essere esaudita perché intimamente sintonizzata con lui.

A Cana Maria riveste un ruolo profetico. È «portavoce della volontà di Dio, indicatrice di quelle esigenze che devono essere soddisfatte, affinché la potenza salvifica del Messia possa manifestarsi».4 Le due parole pronunciate da Maria a Cana: «Non hanno più vino» (Gv 2,3) e «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,5) mettono in risalto questa dimensione. Maria legge in profondità la storia umana, ne individua i problemi ancora nascosti, raccoglie i gemiti non ancora verbalizzati, scorge la sofferenza ancora senza nome. Ella scopre il nodo essenziale del guazzabuglio e lo presenta al suo Figlio, l’unico che lo può sciogliere. E intanto prepara i servi all’accoglienza dell’aiuto divino con un’indicazione sicura.

«Fate quello che egli vi dirà» è tra le poche parole pronunciate da Maria nel Vangelo, l’unica indirizzata agli uomini, per questo a ragione viene considerata «il comandamento della Vergine». È anche l’ultima parola sua registrata nel Vangelo, quasi un «testamento spirituale». Dopo questo Maria non parlerà più; ha detto l’essenziale aprendo i cuori a Gesù, lui solo ha «parole di vita eterna» (Gv 6,68). In questa parola di Maria si percepiscono gli echi della formula dell’alleanza sinaitica. A conclusione dell’alleanza il popolo promette: «Quello che il Signore ha detto, noi lo faremo» (Es 19,8; 24,3.7; Dt 5,27). Maria non solo personifica Israele obbediente all’alleanza, ma è anche colei che induce all’obbedienza, ormai non più all’alleanza, ma a Gesù, da cui prende inizio una nuova alleanza e un nuovo popolo. Ciò emerge con maggior evidenza se si legge questa parola di Maria in parallelo con le ultime parole di Gesù Risorto nel Vangelo di Matteo: «Fate discepoli tutti i popoli [...] insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19).

Maria conduce dunque a seguire Gesù, a obbedire alla sua parola e a considerarlo come riferimento assoluto. Maria aiuta a formare la comunità nuova di Gesù, anzi, aiuta Gesù a farsi degli amici nel senso che Egli stesso ha detto: «Voi siete miei amici, se farete ciò che vi comando» (Gv 15,14).

Il «Fate quello che egli vi dirà» pronunciato da Maria non è un invito teorico, astratto, ma è un’esortazione maturata dall’esperienza personale. La parola va nel cuore e nella vita dell’interlocutore solo se è scaturita dal cuore e dalla vita di chi parla. Maria, esperta nel fidarsi della parola di Dio, ora può aiutare altri a fare altrettanto. La sua fede è contagiosa, il fiat vissuto in profondità da lei diventa facite convincente rivolto ad altri.

È necessario per noi, persone consacrate, come Maria, avere le antenne contemporaneamente tese verso Dio e verso la storia. Solo una profonda intesa con Dio e una saggia comprensione del mondo possono dare efficacia alle nostre parole e azioni. Il facite con cui aiutiamo gli altri deve scaturire sempre dal nostro personale fiat in adesione a Dio.

Da «Ecco concepirai un figlio» a «Ecco tuo figlio»

Maria è Madre di Dio. È l’unica in tutto l’universo e in tutta la storia umana a poter dire, rivolta a Gesù, ciò che gli dice il Padre celeste: «Tu sei mio Figlio; io ti ho generato!» (Sal 2,7; Eb 1,5). Maria, la Theotókos, la Madre di Dio, è l’epifania di uno dei misteri, dei paradossi più alti del cristianesimo, delle sorprese d’amore più sconcertanti di Dio fatte all’umanità. L’esperienza unica e prodigiosa di generare nella carne l’Autore della vita ha riempito di stupore la stessa Maria. Il suo Magnificat è infatti tutto un’esclamazione di meraviglia e di gioia: «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente». Elisabetta, coinvolta nello stesso stupore di Maria, la chiama «madre del mio Signore». La Chiesa riconosce in questo mistero il primo e fondamentale dogma su Maria e per secoli lo contempla nella liturgia. Un antico responsorio di Natale così esclama: «Quello che i cieli non possono contenere, si è racchiuso nelle tue viscere, fatto uomo». Né il ragionamento concettuale, né gli inni e le poesie, né i suoni e la musica, né i colori e l’arte riescono ad esprimere adeguatamente la grandezza di questo mistero.

Ma l’essere madre per Maria non è una realtà statica che si acquista una volta per sempre. Lungo la sua «peregrinazione della fede» ella ha fatto un cammino di crescita e di maturazione nella sua maternità vivendo tutta una gamma di sentimenti materni. C’è l’attesa silenziosa nel contemplare il lento dipanarsi del segreto dentro di sé, la gioia intima alla nascita e l’amore di tenerezza verso il figlio neonato, la soddisfazione e la fierezza nel presentarlo ai pastori e ai magi. C’è il dolore della fuga e dell’esilio per proteggere e salvare la vita di colui che è la Vita del mondo. C’è dolcezza d’intimità negli anni di Nazaret. C’è poi l’esperienza difficile e sconcertante dello smarrimento di Gesù dodicenne nel tempio. Anche nel corso della vita pubblica di Gesù l’unione della madre con il figlio continua a svilupparsi e ad approfondirsi. Con sobrietà e discrezione Maria è presente «non come una madre gelosamente ripiegata sul proprio Figlio divino, ma come donna che con la sua azione favorì la fede della comunità apostolica in Cristo e la cui funzione materna si dilatò, assumendo sul Calvario dimensioni universali».5

L’avanzare nella peregrinazione della fede è per Maria contemporaneamente un avanzare nello sviluppo della sua maternità. Come la peregrinazione della fede culmina nell’evento pasquale del Figlio, così anche il cammino di maternità. Giovanni Paolo II parla di una «nuova maternità di Maria», che è «frutto del ‘nuovo amore’, che maturò in lei definitivamente ai piedi della croce, mediante la sua partecipazione all’amore redentivo del Figlio».6 Già Agostino diceva in modo analogo riflettendo su Maria, Madre non solo del Capo, ma anche delle membra del corpo mistico di Gesù generato dalla sua morte redentiva.7 Innalzato sulla croce, il Figlio di Maria si rivela «il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29); intorno a lui si radunano in unità tutti «i figli dispersi di Dio» (Gv 11,52), e Maria si scopre madre di una moltitudine di figli. È Gesù che glieli affida. A Nazaret Maria iniziava il suo cammino di maternità accettando il progetto misterioso di Dio: «Ecco concepirai un Figlio»; ora è questo Figlio che le propone una nuova maternità universale. A Cana, Maria si poneva in mezzo facendo la mediatrice tra il suo Figlio e gli uomini; ora è il suo Figlio che fa da mediatore tra lei e gli uomini dicendole: «Donna, ecco il tuo figlio!». Il racconto di Giovanni termina con: «E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa» (Gv 19,27). Da quel momento, mentre l’umanità redenta accoglie la Madre, Maria accoglie ogni figlio affidatole personalmente dal suo Figlio e lo introduce nel suo cuore materno, per sempre.

Maria Ko Ha Fong
Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione «Auxilium»
Via Cremolino, 141 – 00166 Roma

 

1. Lumen Gentium 58; Redemptoris Mater 2.

2. Lumen Gentium 68.

3. Sermones 215,4.

4. Redemptoris Mater 12.

5. Marialis cultus 37.

6. Redemptoris Mater 23

7. De sancta virginitate 5.

 

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