n. 3
marzo 2009

 

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Sfida educativa: nella scuola e nell'Università

di MATTEO ARMANDO

 

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Nel suo ultimo intenso libro, dal tocco profondamente autobiografico, Il pane di ieri, il priore di Bose, Enzo Bianchi, racconta il mondo, i colori, i sapori, lo stile di vivere e di pensare del tempo della sua giovinezza. Il lettore non può non restare colpito di quanto ampia sia la distanza culturale di quel tempo dal tempo che oggi ci è dato vivere. Eppure non i secoli lo separano da quell’epoca, bensì qualche manciata di decenni, ma sono – a ben vedere – anni che hanno davvero rimesso le carte in gioco. Chiunque, infatti, abbia almeno cinquanta anni ha dovuto già assistere al cambiamento dello scenario sociale, culturale, economico, almeno tre o quattro volte. E si è trattato di cambiamenti radicali e rapidi. Al riguardo, ha ragione Aldo Schiavone quando dice che, da una parte,il futuro è giunto troppo in fretta e, dall’altra, che mai come nella nostra epoca è stato concesso così poco tempo all’umanità – e qui per umanità si intende l’uomo della strada – per adattarsi al nuovo che emerge, ricostruendo un giusto equilibrio tra desideri/bisogni e risorse/mezzi offerti dall’ambiente circostante (Storia e destino, Einaudi,Torino 2007).

Una prova di tutto ciò è il turbamento dell’esercizio della libertà umana. La libertà degli uomini e delle donne di oggi conosce infatti, da un lato, un’esaltazione e un ventaglio di possibilità mai conosciuti prima, ma nello stesso tempo registra un elevato ed impressionante tasso di ansia, di insicurezza, di blocco psicologico, che non raramente produce “vite bruciate”. Il punto di partenza, dunque, in questa riflessione sul tema della sfida educativa è esattamente la presa di consapevolezza che oggi vivere è diventato più difficile.

Una libertà s-confinata

Vivere è diventato più difficile, perché abbiamo s-confinato la nostra libertà. Nel passato, difatti, la libertà di ciascuno era limitata/confinata sia in ragione della scarsità delle risorse e delle opportunità sia in ragione di alcuni schemi rigidi con cui si interpretavano i vari stati della vita (tutti sapevano che cosa significava “andare a scuola”, “mettere al mondo un figlio”, “fare una famiglia”). Oggi la nostra libertà ha subìto un processo di espansione senza precedenti sia grazie ai molti ritrovati che la tecnica ci dona (pillole, auto, più soldi), sia grazie alla rinuncia a modelli univoci di interpretazione dell’umano. Quest’ultimo aspetto è in fondo il risultato in termini culturali della grande “sovversione culturale” del ‘68.

I nuovi ritrovati della tecnica e la sovversione, in parte giustificata, degli stili di vita tradizionali hanno allargato gli orizzonti della libertà umana, ma a tutto questo non è seguito un percorso di adattamento/ambientamento da parte delle persone. E dovrebbe essere cosa nota il fatto che a chi è offerto di più è anche richiesto di più.

È in questo orizzonte che a mio avviso si colloca la sfida educativa, di cui a giusta ragione oggi ci si inizia ad occupare con grande attenzione.

Se è pur vero che normalmente, nel parlare di tale argomento, il pensiero si rivolga  immediatamente ai giovani, in verità essa è tema che tocca il delicato e complesso tornante che l’umanità sta vivendo e che possiamo così definire: l’alfabeto della libertà che gli uomini e le donne di oggi hanno ricevuto dalla tradizione non è più in grado di reggere il passo del tempo e per questo cresce in loro un’incompetenza generalizzata per quel che riguarda la difesa e la promozione dell’umano nell’uomo.

Ogni epoca ha i giovani che si merita

Dovrebbe risultare a questo punto anche ovvio che coloro i quali di più soffrono di questo stato di cose siano gli adolescenti e i giovani. Dotati di ogni bene, nel vuoto di regole e di istruzioni condivise a livello sociale, vuoto suscitato dalla inadeguatezza/incompetenza dell’alfabeto della libertà degli adulti, si barcamenano nella loro esistenza secondo il modello dell’esperimento, spesso abitati da tanta solitudine ed esposti allo spettro del nichilismo (ove tutto è uguale a niente e quindi è uguale a tutto: studiare, fare sesso, cercare un lavoro, dar fuoco ad un barbone, pestare a sangue un compagno straniero…), secondo la nota analisi di U. Galimberti (L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano 2007).

Tutti siamo consapevoli che non si tratta qui di emettere sentenze, quanto piuttosto di una nuova dedizione di tutti verso questi adolescenti/giovani “analfabeti” dell’umano, iper-affettivi e permalosi, amanti dell’e-sperimento, cocciuti ed infine chiusi e depressi.

In questo compito, è ovvio che i diversi contesti educativi – famiglia, scuola/università, parrocchia, gruppi, associazioni – debbono declinare processi educativi differenziati e specifici.

Di seguito si offre una riflessione soprattutto per quel che riguarda il mondo della scuola e dell’università.

«Tu mi interessi»

La sfida educativa interpella il mondo della scuola e quello dell’università senz’altro ad un alto livello. In modo specifico il corpo docente è sollecitato a rimettere al centro della propria azione professionale la relazione educativa, ovvero quel processo che coinvolge la soggettività di colui che deve, anche attraverso lo studio, faticare per divenire la persona che egli decide di essere. Il senso della relazione educativa si misura dal modo in cui l’adolescente e il giovane colgono di trovarsi nell’ambito dell’inter-esse del docente, della sua cura e premura. Ed è proprio in questo ambito della relazione educativa che la scuola e l’università, attraverso le proprie finalità e strumentalità specifiche, potranno efficacemente contribuire a quella ricostruzione dell’alfabeto della libertà di cui oggi vi è tanto bisogno. Senza di esso, sarà difficile avviare un rapporto “umanamente” proficuo tra desideri e mezzi a reale disposizione del singolo, tra bisogni e desideri, tra desideri e illusioni. E non ci si dimentichi di come il mercato - con la sua longa manus della pubblicità e della stampa - speculi senza scrupolo sull’incompetenza dei giovani a discernere tra ciò che offusca e ciò che fa splendere la bellezza della dignità personale di ciascuno. Davvero ci vuole forza, intelligenza, competenza e passione per contrastare l’azione che “questi autentici maestri unici” producono nel cuore delle giovani (ma non solo, forse) generazioni.

Gli esami non finiscono mai

Nello specifico, mi sembra di poter dire che l’esperienza dello studio, con il suo ritmo progressivo, con il suo costante ampliamento degli orizzonti, con il quotidiano confronto con l’estraneo nella triplice declinazione di ciò che non è più, di ciò che è altrove e di ciò che ancora

non è, con la sua dinamica di prove, verifiche, recupero e promozione, possa davvero allestire uno speciale spazio di elaborazione della consapevolezza della grandezza e della fragilità della libertà umana.

Lo studio è difatti una vera palestra di realismo: tu sei tu, non sei un Dio, ma non sei neppure un nulla. Puoi costruire qualcosa a partire da te, puoi e devi accoglierti e rispondere a quella parola e promessa che tu sei a te stesso. Devi accettare il confronto con gli altri e con il mondo, accettare il sacrificio e l’onere della prova, devi trovare il suo sentiero, il suo stile. In questo è urgente che si riscopra il carattere asimmetrico della relazione docente/discente.

Lo studio è, in secondo luogo, una palestra di “respiro”. La vita non è semplice, non puoi saltarne neppure un giorno e nessuno ne è mai uscito vivo. Ma tu puoi e devi resistere, guardare lontano, puoi e devi confidare nel futuro del tempo, puoi e devi dare “tempo al tempo”, spezzando la tirannia del presente, dei suoi comandamenti e dei suoi idoli. Solo il suo proiettarsi verso il futuro, difatti, libera il soggetto umano dall’ansia di un autocompimento, di per sé impossibile, nell’oggi e gli permette pure di corrispondere all’autentica essenza dell’essere umano, in quanto essere che sceglie di essere.

È, infine, una palestra del “pensare altrimenti”, del “pensare con coraggio”. Senza realismo e senza respiro, l’esistenza alla fine si lascia dominare dal girotondo dell’ormai: ormai non c’è più nulla da fare, ormai non posso cambiare il mio carattere, ormai non posso togliere via da me questo vizio, ormai non posso realizzare nulla di buono e nulla di bene, ormai non posso più dimagrire, ormai il mondo è destinato all’autodistruzione violenta, ormai non vale nulla aiutare gli affamati, gli ammalati, i sofferenti.

In verità nell’uomo ci sono più energie di quello che si ritiene normalmente. Non dimentichiamoci che ciascuno, con tutto il suo peso fisico e intellettuale, è venuto fuori dall’unione di due cellule piccolissime e invisibili all’occhio umano. Che energia sta dentro l’essere umano!

Questa, infine, è la sfida posta da sempre alla libertà di ciascuno: potersi immaginare altrimenti. Nessuno è costretto a sposare la parte più infelice di sé o del suo destino.

Come a dire: gli esami non finiscono mai.

 Matteo Armando
Assistente ecclesiastico nazionale della FUCI
c/o Casa Assistenti - Via F. Marchetta Selvaggiani, 22
00165 Roma

 

 

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