n. 4
aprile 2009

 

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Chiesa di martiri?
Attualità delle persecuzioni

di ANGELO AMATO

 

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La risposta alla domanda del titolo è positiva: ancora oggi ci sono martiri cristiani; ancora oggi la Chiesa è Chiesa di martiri; ancora oggi la Chiesa onora questi suoi figli, fedeli a Gesù fino al sacrificio della loro vita.

La Chiesa perseguitata

Diamo qualche esempio recente. Il 4 ottobre 2008, nella cattedrale di san Giusto Trieste,

è stato beatificato il martire Francesco Giovanni Bonifacio, nato a Pirano d'Istria (nell’odierna Slovenia) nel 1912 e morto in odio alla fede il giorno 11 settembre 1946 a Villa Gardossi (nell’odierna Croazia). Era un giovane sacerdote che, in un clima di odio antireligioso, svolgeva con dedizione il suo ministero pastorale, pregando, facendo catechesi e testimoniando con coraggio gli eterni valori del Vangelo. Un giorno, fu catturato dai miliziani titini e portato nel bosco. Dopo essere stato torturato fu scaraventato in una foiba, come la carcassa di un cane. I suoi resti non furono mai ritrovati. Non basterebbero i pianti di cento mamme per accompagnare il dolore di tanto supplizio. Il martirio di questo sacerdote è la prova concreta della sua carità verso Dio e verso il prossimo.

Il 24 novembre 2008 a Nagasaki sono stati beatificati 188 martiri giapponesi, uccisi nelle persecuzioni degli inizi del secolo XVII. Di essi, quattro erano sacerdoti, uno religioso, gli altri tutti laici, gente comune, ma anche nobili, samurai e perfino intere famiglie con donne,  bambini (18 i bambini sotto i cinque anni). Le loro storie sono commoventi come sono tutte le storie tragiche degli innocenti.

Quella, ad esempio, del samurai Zaisho Shichiemon, battezzato il 2 luglio 1608, ricorda i martiri dei primi secoli cristiani. Nonostante l’avversione del suo signore feudale e pur consapevole del rischio mortale cui andava incontro, volle ricevere il battesimo: «Ho compreso

che la salvezza sta nell’insegnamento di Gesù – diceva – e nessuno potrà separarmi da Lui». Qualche mese dopo, il 17 novembre 1608,fu messo a morte davanti a casa sua.

Nella persecuzione del 1619, Tecla Hashimoto, incinta del suo quarto bambino, fu crocifissa e bruciata viva insieme alle altre tre figlie,di cui una aveva solo tre anni. Mentre divampavano le fiamme la bambina di tredici anni grida: «Mamma, non riesco a vedere più nulla!». «Non temere – fa la mamma – non temere, fra poco vedrai tutto con chiarezza.

Tra questi martiri spicca la figura di padre Pietro Kibe. Da giovane seminarista fu esiliato a Macao. Volendo rientrare in Giappone come missionario, dopo un viaggio avventuroso per l’Asia, giunse a Roma, dove nel 1620 fu ordinato sacerdote. Nonostante i divieti delle autorità giapponesi, padre Pietro riesce a rientrare di nascosto in patria. Vive nell’ombra e celebra messe clandestine. Un giorno, si reca da un missionario apostata, per farlo ritrattare. Ma l’ex missionario rifiuta. Nel 1639, la polizia riesce a catturarlo. Portato a Edo – l’antica Tokyo – fu torturato e ucciso.

Questa carneficina di cristiani è avvenuta anche in Europa nel secolo scorso. Il 28 ottobre 2007, in Piazza san Pietro, sono stati beatificati circa cinquecento martiri spagnoli caduti durante la sanguinosa guerra civile degli anni 1934-1937. Si tratta di ben 498 fedeli – vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, madri e padri di famiglia, anziani e giovani, uomini e donne di ogni età e condizione – provenienti da molte diocesi spagnole (Barcellona, Burgos, Toledo, Cuenca, Ciudad Real, Mérida-Badajoz, Madrid, Oviedo, Jaén, Santander, Cartagena, Girona). Sono numerosissimi i religiosi: domenicani, carmelitani, fratelli delle scuole cristiane, salesiani, trinitari, maristi, agostiniani, monfortani, minori francescani. Tra le religiose martirizzate ci sono carmelitane della carità, francescane figlie della misericordia, figlie del SS. e Immacolato Cuore di Maria, serve adoratrici del SS. Sacramento.

Al di fuori di questo gruppo, ci sono altri martiri della stessa epoca, che attendono il riconoscimento ufficiale della Chiesa. La guerra civile fu un periodo di persecuzione spietata, che pervase la Spagna intera, provocando distruzione e morte. Tra le tante vittime, si può ricordare la figura semplice e luminosa del seminarista Manuel Aranda Espejo, della diocesi di Jaén, ucciso a vent’anni, durante le vacanze del 1936. Il suo delitto era semplicemente quello di essere cristiano e, per di più, seminarista, impegnato nella catechesi ai bambini, nella preghiera, nella preparazione dei giovani al matrimonio. Fatto prigioniero, gli proposero di calpestare le sacre immagini e di bestemmiare. Senza risultato. Lo gettarono in una cisterna, lo destinarono ai lavori più umili e mortificanti. Ma egli restò sempre fedele alla sua vocazione. L’8 agosto lo portarono fuori del paese, lo percossero e, all’ennesimo rifiuto di bestemmiare il nome del Signore, lo uccisero con tre colpi di pistola, abbandonandolo in una fossa comune. I suoi resti mortali sono ora custoditi nel santuario di Nostra Signora della città di Martos. In sua memoria, è stato fondato nel 1989 il Centro di Orientamento Vocazionale “Manuel Aranda” per gli aspiranti al sacerdozio.1

Una persecuzione planetaria

Le persecuzioni anticristiane non sono finite. Continuano ancora oggi in molte parti del mondo, soprattutto in Asia e in Africa. Appartengono alla cronaca recente l’uccisione di vescovi e sacerdoti e l’esodo in massa dei cristiani iracheni in fuga dalla loro patria. Fece scalpore sulla stampa internazionale l’uccisione in Iraq dell’arcivescovo cattolico, Paulos Faraj Rahho. Rapito il 29 febbraio 2008 a Mosul, al termine della Via Crucis, all’uscita dalla chiesa dello Spirito Santo – la stessa dove un anno prima, il 3 giugno 2007, erano stati uccisi il parroco e tre diaconi – il suo corpo fu rinvenuto il 13 marzo 2008, seppellito nei dintorni della città. Uomo di pace e di dialogo, era particolarmente vicino ai poveri, agli emarginati e agli handicappati, per i quali aveva dato vita all’associazione “Gioia e Carità”, per il sostegno di queste persone e delle loro famiglie.

Nello stato indiano di Orissa sta infuriando una spaventosa caccia ai cristiani, costretti con la minaccia di morte ad abiurare alla loro fede. Una fonte dell’All India Christian Council riporta che, da parte degli hindù, viene data una ricompensa di circa 250 dollari, più cibo benzina e superalcolici, a chi uccide un sacerdote cattolico o un pastore protestante. Nel villaggio di Kanjamedi (Orissa) è stato trovato morto, il 18 dicembre scorso, il catechista Yuvraj Digal, di quarant’anni, aggredito brutalmente qualche giorno prima. Circondato da fanatici hindù, era stato insultato e picchiato solo perché possedeva una Bibbia. Alle uccisioni vanno aggiunte la distruzione di chiese, scuole, conventi, per estirpare la presenza cristiana dal territorio.2

Il 25 agosto scorso, la giovane religiosa Meena Barwa veniva denudata, stuprata da un hindù, fatta sfilare in un villaggio e minacciata di morte. Il 24 ottobre, suor Meena, convinta dalla superiora generale delle Missionarie della Carità, coprendosi il volto, ha tenuto una conferenza stampa per denunciare la polizia, che aveva osservato tutto senza difenderla e che, anzi, aveva cercato di dissuaderla dallo sporgere denuncia.3

Le violenze sono all’ordine del giorno in India già da qualche tempo. Ad esempio, nel settembre 1999 ci fu l’uccisione del sacerdote cattolico Arul Doss. Si tratta di odio, dettato da motivazioni prettamente religiose, dall’esclusività che l’induismo rivendica nei confronti dei cittadini indiani.

Dal Dossier Fides 2008 apprendiamo che sono stati venti i sacerdoti, i religiosi e gli operatori di pastorale cattolici, uccisi in odio alla fede nel 2008. Tra questi ci sono Boduin Ntamenya, volontario laico, originario di Goma (Nord Kivu), 52 anni, sei figli, ucciso il 15 dicembre, e il salesiano Johnson Moyalan, il primo sacerdote cattolico ucciso nel Nepal, il 1° luglio. In complesso, tra questi venti ci sono sedici sacerdoti (9 diocesani, 7 religiosi), un religioso, due volontari laici, un uomo e una donna. Nove di questi testimoni erano originari dell’Asia (India, Sri Lanka, Kazakhstan, Filippine), sei dell’America (due messicani, un colombiano, un venezuelano, un brasiliano, un ecuadoriano), tre dell’Africa (Kenya, Nigeria, Repubblica democratica del Congo) e due dell’Europa (Inghilterra e Francia). Ancora, di questi venti, otto sono stati uccisi in Asia, cinque in America latina e due in Europa, entrambi in Russia.

Un commentatore, a ragione, parla di un mosaico di volti: «Un’immagine di Chiesa plurale, dove ogni vocazione non è esente dal “rischio” del sangue”. Una Chiesa senza frontiere, dove tutte le comunità – tanto quelle di antica tradizione quanto quelle più giovani -manifestano la loro fedeltà coraggiosa al Vangelo».4 In questi giorni, nel febbraio 2009, la persecuzione anticristiana ha raggiunto anche lo stato indiano dell’Assam, dove i cattolici sono stati costretti a subire violenza fisica e verbale ad opera di estremisti hindù. Testimoni raccontano, che, dopo aver partecipato a una funzione religiosa, sacerdoti e fedeli cattolici sono stati assaliti da una folla di seicento hindù, costretti a lasciare i loro mezzi di locomozione e a camminare fino ai battelli, per una distanza di cinque chilometri a piedi nudi, sotto gli insulti, le sassate e le minacce di percosse fisiche.5

L’uso equivoco di «martire»

Come si vede, la mappa della fede perseguitata e negata è ampia e copre tutti i secoli e tutti i continenti. Del resto, la Chiesa ha sempre dovuto navigare “controcorrente”. Il Vangelo, infatti, è la buona notizia, che, però, non trova facile udienza presso i cuori chiusi all’amore e alla verità.

Parlando degli odierni testimoni della fede non si è volutamente usata la parola martire. Il termine martire è, infatti, la qualifica ufficiale che la Chiesa dà ai suoi fedeli, dopo la verifica minuziosa dell’offerta della loro vita.

Purtroppo, tale parola viene spesso applicata in modo inesatto ai fanatici, che si fanno esplodere in nome della loro fede e in odio alla fede o alle idee altrui, provocando stragi di innocenti. Come si può subito notare, la differenza è abissale. Mentre il martire cristiano è vittima innocente di spietati carnefici, questi kamikaze, sedicenti martiri, sono dei suicidi esaltati e dei veri carnefici di vittime incolpevoli. Inoltre, il martire cristiano offre liberamente la vita per Gesù, perdonando ai loro assassini e dando una testimonianza di amore, i terroristi invece provocano la morte dei loro supposti nemici, offrendo una testimonianza di odio e di ferocia inaudita, come fu, ad esempio, la strage delle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 a New York.

A ragione, quindi, si parla di uso distorto del concetto di martirio da parte dei fondamentalisti musulmani. Il loro non è martirio, ma assassinio e crimine. Le consuete immagini di giovani con in mano il Corano e la cintura imbottita di tritolo, più che testimonianze di fede, sono icone tragiche di crisi, di disperazione e di solitudine, che provocano solo orrore e repulsione.6

 

Il concetto cristiano di martire

Qual è allora il significato cristiano di martire? Nella tradizione cattolica, il martirio è un atto supremo di amore verso Dio. Più concretamente, il martirio è la volontaria accettazione e sopportazione della morte per testimoniare la propria fede in Cristo. Mediante l’effusione del sangue, il martire è reso simile a Gesù, che liberamente accettò la morte in croce per la salvezza del mondo. Il martirio è quindi una compartecipazione al sacrificio redentore di Cristo. Per questo è stato sempre altamente stimato dalla Chiesa come dono insigne e come suprema prova di carità.

A cominciare dal primo martire cristiano, il diacono santo Stefano, e dai dodici Apostoli, la maggior parte dei quali morì martire, molti battezzati sono stati chiamati a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce durante le persecuzioni, che non sono mai mancate nella storia della Chiesa. Tristemente famose restano le persecuzioni antiche, promosse dagli imperatori romani, ma altrettanto spietate – oltre a quanto è stato accennato prima – sono risultate anche le persecuzioni del secolo scorso, in Messico, in Spagna, nei paesi comunisti, durante il regime nazista.

Si può dire che accanto al filo dorato dell’Eucaristia c’è anche il filo rosso del martirio, che raccoglie in un’unica offerta spirituale al Padre i venti secoli del cristianesimo. Le persecuzioni restano una costante della vita della Chiesa. E la madre Chiesa opera un continuo discernimento per la valorizzazione delle testimonianze martiriali dei suoi figli.

Si pensi al martirio di due grandi figure di consacrati: del conventuale polacco, san Massimiliano Kolbe, ucciso nel lager di Auschwitz, e di Edith Stein, l’ebrea convertita al cristianesimo, diventata carmelitana col nome di Teresa Benedetta della Croce, sterminata nel contiguo lager di Birkenau e canonizzata da Giovanni Paolo II nel 1998.

Ma resteranno per sempre sconosciuti gli innumerevoli volti dei testimoni periti durante i regimi atei e totalitari, il cui sacrificio si consumò nella quasi assoluta clandestinità, senza lasciar traccia, se non i loro corpi straziati (e talvolta neppure questi).

L’identità del martire: «Sono cristiano»

Studi più approfonditi sul martirio ne hanno rivelato il significato.7 Il martire è il battezzato fedele a Cristo fino al dono della vita. La  loro vera e unica identità è quella di “essere cristiani”. Così, infatti, rispondeva il diacono Santo, uno dei martiri di Lione, ai suoi giudici e ai suoi carnefici. Ecco il racconto di Eusebio di Cesarea, nella sua Storia Ecclesiastica: «Quanto a Santo, anch’egli sopportò coraggiosamente tutte le brutalità che con smisurata e inumana violenza gli furono inflitte dagli uomini. Speravano, gli empi, con l’insistenza e la durezza dei supplizi, di strappargli di bocca qualcosa di blasfemo, ma quegli fece loro fronte con fermezza [...]. Qualsiasi cosa gli fosse chiesta rispondeva, in lingua latina: “Sono cristiano”. Questo e soltanto questo egli invariabilmente dichiarava quale nome, cittadinanza, stirpe, tutto».8

L’identità del martire è il suo battesimo in Cristo, al di là della sua nazione, della sua cultura, della sua stessa famiglia. E la loro tenacia nella fede era certo frutto di una volontà virtuosa, ma soprattutto dono di grazia da parte di Dio: «Non vedi che i cristiani vengono gettati alle belve perché rinneghino Cristo, e non sono vinti? Non vedi che, più ne condannano a morte, più si accrescono di numero? È chiaro: questo non può essere frutto dell’agire umano, ma della potenza di Dio, ed è una prova della sua presenza».9

La Chiesa fin dall’inizio è stata segnata dal martirio, secondo la parola profetica del Signore Gesù: «Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia» (Mt 5,10-11).

«Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi» (Mt 10,17-20).

Il martirio è il sigillo della Chiesa pellegrina sulla terra: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15-20).

San Paolo, il persecutore di Cristo e dei cristiani, divenuto poi predicatore della buona novella di Gesù, ci offre la chiave per comprendere la fortezza e la costanza dei martiri. È la grazia di Cristo che trasforma la loro debolezza in testimonianza eroica: «Ed egli mi ha detto:

"Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza". Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte»  (cf 2Cor 12,9-10).

Spiritualità del martirio

San Paolo ha per primo tracciato una vera e propria spiritualità del martirio, quando nella Lettera ai Romani confessa che niente può separare il cristiano dall’amore di Cristo: «Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,35-39).

Il martire, infatti, risulta vincitore in Cristo risorto, mentre l’aguzzino rimane nella valle oscura della morte. Per il martire vivere è Cristo e morire un guadagno (cf. Fil 1,21): «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20).

La compartecipazione alla croce di Cristo rende il martire solidale nella redenzione dell’umanità. Le sue sofferenze sono il sigillo della sua appartenenza a Cristo: «Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo quello che nella mia carne manca ai patimenti di Cristo» (Col 1,24).

La sequela Christi è la sequela dell’Agnello immolato. Nella comunione con Gesù i martiri non temono la sofferenza, la rinuncia e perfino la perdita della loro vita. Passati attraverso la grande tribolazione, essi lavano le loro vesti nel sangue dell’Agnello per godere eternamente la visione beata di Dio: «Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: "Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono?". Gli risposi: "Signore mio, tu lo sai". E lui: "Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l'Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi"» (Ap 7,13-17).

Nei martiri si realizza l’identità mistica con Cristo. L’assalto contro il martire è un ulteriore assalto contro Cristo, che è presente e soffre col suo testimone fedele. «Non temere: sono qua io, combatterò con te», dice Gesù a Perpetua.10 E la donna si avvia serena al supplizio. Infatti, non va a morire ma a vivere con Gesù.

Il martirio diventa la porta della vita: «”Perché hai fretta di morire?” – fu chiesto a Pionio prima del martirio. “Non di morire – fu la risposta – ma di vivere”».11

È la realizzazione della parola di Gesù: «Chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16,25).

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Queste brevi considerazioni sul martirio e sui martiri possono ricordare ai consacrati e alle consacrate il loro “martirio bianco” e cioè il loro impegno di fedeltà cordiale alla sequela Christi per tutta la vita, mediante i voti di povertà, castità e obbedienza. La Chiesa e il mondo, oggi più che mai, hanno bisogno di questa loro testimonianza di santità.

 

NOTE

1. Cf. A. Aranda Clavo, «Martitio y vocacione: el testimonio de un seminarista mártir» in Conferencia Episcopal Española, Mártires del siglo XX en España, Mardrid, Edice 2008, 153-162.

2.  Si vedano gli articoli contenuti nel quotidiano Avvenire del 23 novembre 2008 p. 3, del 19 dicembre 2008 p. 23, del 31 dicembre 2008, p. 7.

3.  Cf L.LARIVERA, «Le persecuzioni contro i cristiani in India», in La Civiltà Cattolica 159 (2008), IV, 410.

4.  G. FAZZINI, «Una lezione di vita dai testimoni scomodi della fede», in Avvenire, 31 dicembre 2008, 2.

5. Cf «Nello Stato indiano dell’Assam nuove violenze sui cattolici», in L’Osservatore Romano, 3 febbraio 2009, 6.

6. Cf l’analisi al riguardo di K. FOUAD ALLAM, «Il martirio nell’Islam contemporaneo», in Amore di Dio, Brescia, Morcelliana 2008, 275-287.

7. Cf ad esempio, lo studio di M. SUSINI, Il martirio cristiano esperienza di incontro con Cristo, Dehoniane, Bologna 2002.

8. EUSEBIO DI CESAREA, Storia Ecclesiastica, V, 1,20.

9. A Diogneto, VII,7.

10. Passione di Perpetua, 10,4.

11. Martirio di Pionio, 20,5.

Angelo Amato
Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi
Piazza Città Leonina, 1 - 00193 Roma

 

 

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