«L'avvento
della società dell’informazione è una vera e propria rivoluzione
culturale», così afferma il
Direttorio
sulle
Comunicazioni Sociali nella missione della Chiesa.
E continua dicendo che «nulla di ciò che l’uomo di oggi pensa, dice e fa
è estraneo ai media; e i media esercitano un’influenza su tutto ciò che
l’uomo di oggi pensa, dice e fa». E, dato che «compito della Chiesa è
annunciare il messaggio di salvezza a questa società, a questi uomini,
per riuscirci è necessario discernere e rinnovare». D’accordo, ma «per
essere fedeli al Vangelo in questo nuovo conte sto, un semplice processo
di adattamento o la ricerca di modalità aggiornate di comunicazione non
bastano. Occorre individuare forme credibili per una comunicazione della
fede in un contesto socioculturale nel quale il Vangelo deve incarnarsi
senza però disperdersi e annullarsi» (n. 2). La prima delle “forme
credibili”, anzi, il contesto indispensabile è la comunicazione.
Oggi la cultura è
fortemente tinteggiata dalla parola “comunicazione” e la comunicazione
stessa è una cultura, cioè un modo di esistere, di stare al mondo, è un
ambiente di vita, un contesto esistenziale. È, anzi, “il” contesto
esistenziale dei bambini, dei ragazzi, dei giovani, delle famiglie che
incontriamo ogni giorno e ai quali siamo mandati ad annunciare l’amore e
la salvezza di Dio.
Ci siamo resi conto da
tempo che i media sono portatori di una nuova cultura che nasce dal
fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare, con nuovi linguaggi,
nuove tecniche, nuovi atteggiamenti psicologici. I media offrono
formidabili risorse se assumiamo uno sguardo e un’ottica positivi,
impegnati a capire di più i “digitali nati”. In questa cultura della
comunicazione la storia della salvezza va sempre e comunque letta e
vissuta nella logica dell’amore di Dio per l’uomo e va soprattutto
“narrata” con i codici dei mass media come il cinema, la televisione, la
radio, la stampa e della multimedialità, dell’interattività e della
Rete.
Comunicazione come
relazionalità
Il contesto
indispensabile dell’annuncio è il rapporto di “cura” che sta all’origine
dell’essere umano. Ci sentiamo, consacrati e consacrate, protagonisti di
una “missione speciale”? Ci arde nel cuore il desidero di farlo
conoscere? Annuncia chi ha passione e sa comunicare soprattutto nella
linea della relazione interpersonale. Annuncia chi si immerge nella
cultura di oggi per leggerla e interpretarla e per farla lievitare
dall’interno, come il pizzico evangelico di lievito nella pasta.
O l’annuncio è fatto
nella dimensione della relazionalità o non raggiunge l’altro. Niente
come la riscoperta della “relazionalità” e della “reciprocità”
aiuterebbe a focalizzarsi sulla vita consacrata e sulla missione
evangelizzatrice nella cultura mediatica. Chi annuncia è immagine della
“rete”, in quanto chiamato ad accogliere, a mostrare apertura mentale,
voglia di confronto, abilità di negoziazione. Chi annuncia promuove. Chi
annuncia accetta e riconosce nella sua originalità e diversità ogni
singolo giovane interlocutore in formazione immerso nella cultura del
suo tempo. Lo accompagna per aiutarlo a confrontare la cultura del suo
tempo con la Buona Novella. Chi annuncia è disponibile a stare accanto
ai giovani, a comprenderli empaticamente, a rivelare una profonda
fiducia in essi e nelle loro capacità. Chi annuncia educa a prendere
posizione e a fare opinione ed è questa la meta, il punto d’arrivo al
quale ci orienta il
Direttorio sulle
Comunicazioni
Sociali.
L’onda incontrastata
della storia e delle mode si deve scontrare contro la cultura cristiana
che pone Gesù Cristo redentore dell’uomo quale centro del cosmo e della
storia. Se Cristo è davvero questo, allora nessun condizionamento
storico, nessuna differenza culturale o sociale può prevalere sulla sua
presenza. Da Cristo, centro del cosmo e della storia nasce un nuovo
sguardo sulla realtà, anche quella dei media, che non va contro la
ragione ma, anzi, la fa lievitare dall’interno. Questa è la cultura
cristiana il cui nocciolo essenziale è contenuto nei Vangeli.
La cultura è costume,
istituzioni, ma è soprattutto filosofia, morale, arte. In altre parole è
umanesimo. In questo senso una cultura “cristiana” comprende una visione
della persona, del mondo e della storia nell’orizzonte della rivelazione
con la felice ricaduta nel quotidiano di questa visione per attuare una
promozione integrale della persona.
Non per niente
“cultura” significa “coltivazione della persona”, in particolare della
sua realtà interiore. Ora, la cultura cristiana è permeata dalla
presenza del Cristo. Esige, sì, una conoscenza profonda e teologica, ma
poi diventa amore e comunione personale con Cristo nel suo mistero
pasquale di morte e risurrezione. La cultura cristiana vissuta
coerentemente è una visione che abbraccia tutte le realtà – anche quella
dei media vecchi e nuovi e della tecnologia in generale – con tutto il
sapore che deriva dalla familiarità con Cristo e con il suo messaggio.
In pratica, come?
La fede chiede di
trasformare la persona in tutte le sue dimensioni, personale, familiare,
sociale. Per questo motivo la Chiesa, e i consacrati nella Chiesa,
devono dar vita ad un “essere cristiani”, secondo forme che cambiano con
il fluire della storia, ma che sono radicate nel messaggio evangelico.
Ora, dato che la “cultura” è tutto il complesso degli elaborati umani
tra cui oggi emergono le produzioni televisive, radiofoniche, di stampa
di massa, in forma tradizionale e/o digitale, l’impegno di una
“coltivazione cristiana della persona”, con particolare riferimento alle
prime stagioni dell’età evolutiva e ai giovani, se non vuol restare
soltanto un’astratta e vana affermazione di principio, deve avere i
mezzi per assolvere il proprio compito.
Allora si definiranno,
nelle parrocchie e nelle comunità religiose, alcuni percorsi
privilegiati su cui fare leva: investire nella formazione degli
operatori della comunicazione; promuovere la sala della comunità e i
centri culturali; creare maggiori sinergie tra i media e la pastorale
ordinaria; coinvolgere i centri di ricerca e di formazione; dare voce
all'associazionismo e favorire l'impegno dei laici.
Le comunità di
consacrati s’interroghino sulla nuova chiamata all’evangelizzazione
nella cultura mediatica a partire dalla realtà giovanile. Dove sono i
giovani? Dove stanno oggi i giovani? Come comunicano? Progettino insieme
la loro presenza nella piazza virtuale? Le comunità di consacrati che
operano nella pastorale e nella scuola s’impegnino a formare le famiglie
proponendo attività e impegni alternativi, aiutando a creare un
palinsesto familiare per il consumo televisivo, insegnando come
scegliere, accompagnando nel giudizio e nel confronto con i valori.
Nel concreto: saper
scegliere il proprio consumo dei media, anche in comunità; leggere
critiche serie; istruirsi; dibattere, giudicare e valutare le produzioni
cinematografiche e televisive più viste. Soprattutto non aver paura di
far sapere il proprio modo di valutare la cultura massmediale dopo
averla messa a confronto con la visione cristiana. Non trascuriamo
inoltre le nuove frontiere della comunicazione: internet con il
video-sharing e le reti sociali.
I mezzi di
comunicazione di massa, vecchi e nuovi, possono essere una straordinaria
risorsa e il
Direttorio
orienta ad una maggiore collaborazione tra i media d’ispirazione
cattolica in vista di sviluppare una pastorale organica ben supportata
da organismi e strutture della Chiesa. Chiediamoci ora: ci sentiamo e
siamo operatori della comunicazione? Per esserlo è necessaria una
“conversione pastorale”, convinti che quella della comunicazione sociale
non è oggi “una” priorità pastorale, ma è “la” priorità. Immersi negli
innumerevoli messaggi che vanno nella direzione opposta al Vangelo,
siamo chiamati a testimoniare che è possibile fare cultura con i media
senza annacquare la cultura cristiana. Essere capaci e coerenti.
Chiudiamo con le parole di Karl Rahner: “Occorre che ci chiediamo con
serietà e concretamente se nel nostro spirito e nel nostro cuore c’è un
po’ di spazio per la novità e il futuro”.
Caterina Cangià
Docente
all’Università Pontificia Salesiana
Via
Cremolino, 143 – 00166 Roma