n. 11
novembre 2009

 

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Animare la comunicazione e la cultura
Una missione possibile

di CATERINA CANGIÀ

 

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«L'avvento della società dell’informazione è una vera e propria rivoluzione culturale», così afferma il Direttorio sulle Comunicazioni Sociali nella missione della Chiesa. E continua dicendo che «nulla di ciò che l’uomo di oggi pensa, dice e fa è estraneo ai media; e i media esercitano un’influenza su tutto ciò che l’uomo di oggi pensa, dice e fa». E, dato che «compito della Chiesa è annunciare il messaggio di salvezza a questa società, a questi uomini, per riuscirci è necessario discernere e rinnovare». D’accordo, ma «per essere fedeli al Vangelo in questo nuovo conte sto, un semplice processo di adattamento o la ricerca di modalità aggiornate di comunicazione non bastano. Occorre individuare forme credibili per una comunicazione della fede in un contesto socioculturale nel quale il Vangelo deve incarnarsi senza però disperdersi e annullarsi» (n. 2). La prima delle “forme credibili”, anzi, il  contesto indispensabile è la comunicazione.

Oggi la cultura è fortemente tinteggiata dalla parola “comunicazione” e la comunicazione stessa è una cultura, cioè un modo di esistere, di stare al mondo, è un ambiente di vita, un contesto esistenziale. È, anzi, “il” contesto esistenziale dei bambini, dei ragazzi, dei giovani, delle famiglie che incontriamo ogni giorno e ai quali siamo mandati ad annunciare l’amore e la salvezza di Dio.

Ci siamo resi conto da tempo che i media sono portatori di una nuova cultura che nasce dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare, con nuovi linguaggi, nuove tecniche, nuovi atteggiamenti psicologici. I media offrono formidabili risorse se assumiamo uno sguardo e un’ottica positivi, impegnati a capire di più i “digitali nati”. In questa cultura della comunicazione la storia della salvezza va sempre e comunque letta e vissuta nella logica dell’amore di Dio per l’uomo e va soprattutto “narrata” con i codici dei mass media come il cinema, la televisione, la radio, la stampa e della multimedialità, dell’interattività e della Rete.

 

Comunicazione come relazionalità

Il contesto indispensabile dell’annuncio è il rapporto di “cura” che sta all’origine dell’essere umano. Ci sentiamo, consacrati e consacrate, protagonisti di una “missione speciale”? Ci arde nel cuore il desidero di farlo conoscere? Annuncia chi ha passione e sa comunicare soprattutto nella linea della relazione interpersonale. Annuncia chi si immerge nella cultura di oggi per leggerla e interpretarla e per farla lievitare dall’interno, come il pizzico evangelico di lievito nella pasta.

O l’annuncio è fatto nella dimensione della relazionalità o non raggiunge l’altro. Niente come la riscoperta della “relazionalità” e della “reciprocità” aiuterebbe a focalizzarsi sulla vita consacrata e sulla missione evangelizzatrice nella cultura mediatica. Chi annuncia è immagine della “rete”, in quanto chiamato ad accogliere, a mostrare apertura mentale, voglia di confronto, abilità di negoziazione. Chi annuncia promuove. Chi annuncia accetta e riconosce nella sua originalità e diversità ogni singolo giovane interlocutore in formazione immerso nella cultura del suo tempo. Lo accompagna per aiutarlo a confrontare la cultura del suo tempo con la Buona Novella. Chi annuncia è disponibile a stare accanto ai giovani, a comprenderli empaticamente, a rivelare una profonda fiducia in essi e nelle loro capacità. Chi annuncia educa a prendere posizione e a fare opinione ed è questa la meta, il punto d’arrivo al quale ci orienta il Direttorio sulle Comunicazioni Sociali.

L’onda incontrastata della storia e delle mode si deve scontrare contro la cultura cristiana che pone Gesù Cristo redentore dell’uomo quale centro del cosmo e della storia. Se Cristo è davvero questo, allora nessun condizionamento storico, nessuna differenza culturale o sociale può prevalere sulla sua presenza. Da Cristo, centro del cosmo e della storia nasce un nuovo sguardo sulla realtà, anche quella dei media, che non va contro la ragione ma, anzi, la fa lievitare dall’interno. Questa è la cultura cristiana il cui nocciolo essenziale è contenuto nei Vangeli.

La cultura è costume, istituzioni, ma è soprattutto filosofia, morale, arte. In altre parole è umanesimo. In questo senso una cultura “cristiana” comprende una visione della persona, del mondo e della storia nell’orizzonte della rivelazione con la felice ricaduta nel quotidiano di questa visione per attuare una promozione integrale della persona.

Non per niente “cultura” significa “coltivazione della persona”, in particolare della sua realtà interiore. Ora, la cultura cristiana è permeata dalla presenza del Cristo. Esige, sì, una conoscenza profonda e teologica, ma poi diventa amore e comunione personale con Cristo nel suo mistero pasquale di morte e risurrezione. La cultura cristiana vissuta coerentemente è una visione che abbraccia tutte le realtà – anche quella dei media vecchi e nuovi e della tecnologia in generale – con tutto il sapore che deriva dalla familiarità con Cristo e con il suo messaggio.

In pratica, come?

La fede chiede di trasformare la persona in tutte le sue dimensioni, personale, familiare, sociale. Per questo motivo la Chiesa, e i consacrati nella Chiesa, devono dar vita ad un “essere cristiani”, secondo forme che cambiano con il fluire della storia, ma che sono radicate nel messaggio evangelico. Ora, dato che la “cultura” è tutto il complesso degli elaborati umani tra cui oggi emergono le produzioni televisive, radiofoniche, di stampa di massa, in forma tradizionale e/o digitale, l’impegno di una “coltivazione cristiana della persona”, con particolare riferimento alle prime stagioni dell’età evolutiva e ai giovani, se non vuol restare soltanto un’astratta e vana affermazione di principio, deve avere i mezzi per assolvere il proprio compito.

Allora si definiranno, nelle parrocchie e nelle comunità religiose, alcuni percorsi privilegiati su cui fare leva: investire nella formazione degli operatori della comunicazione; promuovere la sala della comunità e i centri culturali; creare maggiori sinergie tra i media e la pastorale ordinaria; coinvolgere i centri di ricerca e di formazione; dare voce all'associazionismo e favorire l'impegno dei laici.

Le comunità di consacrati s’interroghino sulla nuova chiamata all’evangelizzazione nella cultura mediatica a partire dalla realtà giovanile. Dove sono i giovani? Dove stanno oggi i giovani? Come comunicano? Progettino insieme la loro presenza nella piazza virtuale? Le comunità di consacrati che operano nella pastorale e nella scuola s’impegnino a formare le famiglie proponendo attività e impegni alternativi, aiutando a creare un palinsesto familiare per il consumo televisivo, insegnando come scegliere, accompagnando nel giudizio e nel confronto con i valori.

Nel concreto: saper scegliere il proprio consumo dei media, anche in comunità; leggere critiche serie; istruirsi; dibattere, giudicare e valutare le produzioni cinematografiche e televisive più viste. Soprattutto non aver paura di far sapere il proprio modo di valutare la cultura massmediale dopo averla messa a confronto con la visione cristiana. Non trascuriamo inoltre le nuove frontiere della comunicazione: internet con il video-sharing e le reti sociali.

I mezzi di comunicazione di massa, vecchi e nuovi, possono essere una straordinaria risorsa e il Direttorio orienta ad una maggiore collaborazione tra i media d’ispirazione cattolica in vista di sviluppare una pastorale organica ben supportata da organismi e strutture della Chiesa. Chiediamoci ora: ci sentiamo e siamo operatori della comunicazione? Per esserlo è necessaria una “conversione pastorale”, convinti che quella della comunicazione sociale non è oggi “una” priorità pastorale, ma è “la” priorità. Immersi negli innumerevoli messaggi che vanno nella direzione opposta al Vangelo, siamo chiamati a testimoniare che è possibile fare cultura con i media senza annacquare la cultura cristiana. Essere capaci e coerenti. Chiudiamo con le parole di Karl Rahner: “Occorre che ci chiediamo con serietà e concretamente se nel nostro spirito e nel nostro cuore c’è un po’ di spazio per la novità e il futuro”.

 

Caterina Cangià
Docente all’Università Pontificia Salesiana
Via Cremolino, 143 – 00166 Roma

 

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