n. 11
novembre 2009

 

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Linguaggio dei media e personalità

di LUIGI ZAFFAGNINI

 

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Con grande saggezza e realismo, Benedetto XVI ha trattato, in occasione della 43a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, questo tema di straordinaria importanza: Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia (24 gennaio 2009).

Siamo dunque sempre nell’orbita dell’emergenza educativa, alla quale occorre dare una risposta, non solo di buon senso, ma soprattutto con efficacia scientifica. C’è uno strumento cognitivo, che può dare notevole aiuto a genitori e ad educatori per affrontare questa emergenza: si tratta degli studi di Nazareno Taddei sulla comunicazione. Essi individuano nel linguaggio dei mass media l’aspetto che oggi più influisce sulla personalità individuale, plasmandola con una mentalità di massa.

Se, infatti, prendiamo in considerazione quello che,. accanto all’esperienza, contribuisce a creare il “modo di pensare” e, quindi il comportamento, ci troviamo, inevitabilmente di fronte al fenomeno della comunicazione. E oggi, dire comunicazione significa, prima di tutto, dire comunicazione massmediale.

Ogni comunicazione è veramente tale quando, tramite un linguaggio, si riescono a mettere in “comune” le idee. Sono i segni costitutivi di ogni linguaggio che, quando sono letti correttamente, permettono di arrivare al significato dei messaggi

Concetti e contorni

Tutto ciò, a prima vista, sembra non solo logico e scontato, ma anche semplice da verificare. In realtà però, le cose non sono così semplici, perché i linguaggi con cui l’uomo può esprimersi sono, sostanzialmente, due: quelli regolati dalla convenzione e quelli regolati dalla connaturalità. Sono linguaggi differenti nella natura, differenti nel modo di significare e differenti nell’influire sulla forma mentis e sul comportamento di chi li usa.

Da un lato abbiamo i linguaggi concettuali (parola e segnaletica simbolica), dall’altro abbiamo i linguaggi contornuali (immagini e alcuni tipi di gesto). I primi significano in base a una convenzione stabilita dagli uomini, i secondi significano in base alla capacità di riprodurre i contorni di quanto in realtà si può percepire con i sensi. I linguaggi contornuali sono distinguibili in linguaggi dell’immagine normale (pittura e scultura) e linguaggi dell’immagine tecnica (fotografia, cinema, tv, computer).

Il linguaggio dei media, fondato sull’immagine tecnica, assume un potere preoccupante, perché il suo effetto, sotto il profilo psico-comportamentale, può arrivare a una perdita dell'interiorità, a causa della superficialità di incontro e della sostituzione della verità con l'opinione.

Basterebbe questa considerazione per indagare sulla pericolosità di un certo uso delle immagini e per prevenirne quindi gli effetti negativi. A prima vista sembrerebbe che un’immagine favorisce una più immediata percezione del concetto, perché richiama direttamente l’aspetto esteriore della cosa, ma non è così. O meglio: non è più così da quando l’uso del linguaggio dell’immagine non si fonda più sul solo disegno o sulla sola pittura e scultura, ma è costituito in modo massiccio dall’immagine prodotta dall’uomo attraverso una macchina (fotografia, cinema, televisione, computer).

 

L’immagine tecnica

 

La pittura, la scultura e gli affreschi esistono fin dall’antichità (immagine normale), ma il loro effetto sulla mentalità è molto diverso da quello prodotto dal cinema o dalla televisione (immagine tecnica).

Il primo tipo d’immagine dipende dall’abilità e volontà del l’uomo di attenersi a una qualche corrispondenza tra cosa reale (il soggetto) e cosa rappresentata (la riproduzione del soggetto), grazie all’immagine mentale elaborata dal cervello in base alla percezione del mondo reale.

Il secondo tipo, invece, anche se dipende da volontà e abilità tecnica dell’uomo, risulta completamente subordinato all’influsso della tecnologia. Tra cosa in sé (l’oggetto) e cosa rappresentata (l’oggetto riportato su pellicola o card), s’intromette la macchina che riproduce i contorni reali, dando l’“impressione di realtà”. I risultati ottenuti mediante la macchina, infatti, fanno dimenticare all’osservatore che quello che gli pare l’“esatta” copia della realtà, è invece frutto della scelta e della predisposizione (quindi della volontà) dell’autore, che si serve della macchina in un dato modo.

Chi riprende la realtà con la macchina (anche nel caso usi gli automatismi), non si limita a riprodurre oggetti e persone, bensì esprime, in modo più o meno riuscito, ciò che vuole dire di quella realtà che ha davanti. In tal modo egli seleziona una porzione di spazio e riproduce solo cosa e solo come la macchina è in grado di riprendere in virtù del modo in cui è utilizzata. L’autore, cioè, interpreta sempre.

Comunicazioni menzognere

Le cosiddette comunicazioni inavvertite, responsabili di molteplici travisamenti, nascono proprio in questa fase. Esse, infatti, ingannano chi non è capace di leggere a fondo l’immagine, perché consentono all’operatore di mentire sistematicamente, poco o tanto, sul rapporto con la realtà, cioè con la verità. Possono far credere che oggetti e persone siano corredati di atmosfere attraenti o, al contrario, ripugnanti anche quando tali aloni non esistono. Possono fingere collegamenti inesistenti tra persone e persone o tra persone e ambienti. Possono, infine, ed è l’aspetto più pericoloso e sfuggente, costringere lo spettatore a trarre conclusioni morali (positive o negative) nei confronti di una persona o di un evento, anche quando i presupposti di tale giudizio sono inesistenti sia per la persona, sia per l’evento reale.

Come dire, in parole molto semplici, che si può giustificare e assolvere un delinquente e, invece, condannare, ridicolizzandolo, un innocente, convincendo della giustizia di tale atto lo spettatore, senza che questi si accorga di aderire a un metro di giudizio intrinsecamente errato.

Questa è la strategia che non permette di condannare il male, che viene mascherato come ammissibile grazie al particolareuso dell’immagine. Si sovverte, così, la gerarchia di principi e di valori collegati alla legge naturale e alla dignità umana, perché comportamenti e modi di pensare discutibili vengono proposti, a livello di opinione comune, come imitabili e tollerati nella vita quotidiana, in quanto considerati relativisticamente un diritto di libertà soggettiva. Se si riguardano le leggi sul divorzio e sull’aborto, nonché, nella prospettiva, quella sull’eutanasia e altre simili, ci si accorgerà che la natura del consenso, che le ha imposte o le imporrà, dipende proprio da un modo di ragionare che ha origine in quanto sopra s’è detto.

Le comunicazioni inavvertite, quindi, sono “inevitabilmente menzognere”, perché sono strutturalmente parte del linguaggio dell’immagine. Esse, dunque, vanno poste in relazione con il non piccolo problema della testimonianza e del rispetto della verità.

 Al lettore attento, corre dunque l’obbligo di prepararsi per riconoscerle e per smascherarle, anche là dove esse divengono particolarmente subdole. A chi fa comunicazione, invece, si pone il problema, oltre che linguistico, soprattutto morale e di buon uso del proprio libero arbitrio, per ridurre, al livello più basso possibile, ogni rischio di comunicazione inavvertita.

Non confondere libertà con arbitrio

L’autore della comunicazione deve conoscere bene la natura del linguaggio che adopera. Non può far passare come obiettiva e reale quella che invece è la sua interpretazione soggettiva, sfruttando proprio le caratteristiche del linguaggio. Deve essere consapevole del fatto che, usare in funzione significante un linguaggio comporta un criterio morale, senza il quale si confonde libertà con arbitrio.

Nel campo della comunicazione di massa, la violenza contro la dignità e i diritti della persona comincia, prima ancora che da certi contenuti, proprio dall’uso, appositamente calcolato, delle peculiarità del linguaggio dell’immagine in funzione dell’asservimento mentale e della perdita della libertà individuale. Pertanto, chi maneggia l’arma del linguaggio dell’immagine deve essere consapevole che, in assenza di un’etica robusta, si rende complice del progressivo appiattimento intellettuale del suo pubblico, cioè di un sistematico indebolimento delle difese della coscienza di fronte alla massificazione globale.

Il modo di ragionare, che già oggi scaturisce da questo panorama e che, domani, sarà sempre più diffuso, sarà quello di un pensiero sequenziale (come quello del succedersi delle azioni in un film), destinato ad accontentarsi dell’aspetto superficiale dei fenomeni solo in forza di esempi sempre più semplici e infantili, ma non in senso evangelico. Un modo di ragionare, quindi, che non permette di arrivare al significato inequivocabile dei fenomeni, ma che si accontenta solo di un superficiale riferimento ad esempi relativi, con la pretesa, però, di generalizzarli e renderli legge universale (i cosiddetti “stereotipi”).

Viene a mancare così la capacità di un pensiero gerarchico, costruito in modo argomentativo, capace di spiegare cause, effetti, collegamenti e dipendenze di valori e livelli. C’è già oggi, e ci sarà sempre più domani, un pensiero unico, narrativo, seriale, sempre più rudimentale, incapace di suggerire la ricerca del perché e del senso delle cose, inadeguato a collocare gli aspetti fondanti della cultura e della società, nonché i valori della religione e della morale, al livello giusto nell’architettura della vita privata e pubblica.

Distorsione educativa del linguaggio dei media

Basta guardarsi un poco intorno per ritrovare l’esempio di tutto ciò in tanti comportamenti di oggi. Esagerazione e superficialità delle conversazioni a causa dell’uso dei cellulari. Abitudini e comportamenti indotti da modelli televisivi e da frequentazioni on-line. Questa società si frantuma e cozza contro gli scogli di un individualismo esasperato, unito a un conformismo delle idee. Individualismo nella vocazione egoistica e meschina della tendenza al puro consumo e possesso materiale; conformismo nell’imitazione acritica di modelli di comportamento che includono la più sfrenata irragionevolezza nel non tenere conto dell’esistenza degli altri e dei loro diritti anche nella semplice vita quotidiana.

Paradossalmente, quindi, a causa di un lassismo morale dilagante, tendente ad autogiustificare i propri comportamenti e rivolto a condannare quelli altrui, si fa strada un’intolleranza diffusa.

Aggressività e violenza sono, pertanto, scatenate come normali metodi che caratterizzano le comuni manifestazioni di opinione o le rivendicazioni e le trasformano in strumenti d’imposizione e ricatto a tutti costi.

I doveri, al contrario, in tale sistema di rapporti di relazione, non fanno più parte dell’impegno personale, ma solo di quello preteso dagli altri.

Nessuno ha il coraggio di affermarlo apertamente, ma una società così, è, di fatto, un sistema incivile, disgregato ed anarchico e, potenzialmente, preda di un giustizialismo sommario.

La causa va, dunque, in gran parte, ricercata in seno ai grandi media, che contribuiscono a fomentare tale stato con irresponsabilità e a favorire emotività e superficialità a scapito di ogni ragionevolezza. Ma, anche il non avere affrontato il problema del linguaggio dei media, in chiave educativa, ha avuto le sue conseguenze.

Esse, però, sarebbero ancora arginabili, se solo si adottassero i giusti strumenti formativi per fronteggiare quella cultura della confusione che, rapidamente, va imponendosi su quella della chiarezza e del rigore nelle riflessioni morali.

Luigi Zaffagnini
Formatore di formatori del Progetto EDACOF
del Ministero Pubblica Istruzione
Membro del Comitato di Direzione edav - CiSCS di Roma
Via Vicini 48
48024 Massa Lombarda (Ravenna)

 

 

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