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Mi
sembra quanto mai opportuno dedicare l’Editoriale del 1° numero del 2010 di
Consacrazione e Servizio
a tre eventi ecclesiali la cui convergenza
non è solo di ordine temporale, poiché introducono ad un orizzonte teologico e
spirituale ancora da scandagliare: l’Anno Paolino (28 giugno 2008-28 giugno
2009), la pubblicazione dell’enciclica
Caritas in Veritate
(29giugno 2009), l’indizione dell’Anno
Sacerdotale (19 giugno 2009-19 giugno 2010). Tre eventi che invitano a ripensare
le nostre radici alla luce dell’icona di Paolo; ad abitare la storia secondo le
sollecitazioni dell’enciclica; a far proprie le intenzioni che il Papa
raccomanda in questo Anno Sacerdotale. Su tutti e tre questi temi la nostra
rivista si è sintonizzata e continuerà a riflettere per alimentare così la
nostra comunione ecclesiale.
L’Anno Paolino indetto da Benedetto XVI si è
rivelato un vero e proprio dono dello Spirito alla Chiesa d’Oriente e
d’Occidente. Si è offerta la preziosa opportunità di conoscere meglio il fascino
del primo grande evangelizzatore, la cui vita è l’esempio permanente di coloro
che si consacrano alle esigenze del Vangelo. La figura di Paolo giganteggia ben
al di là della sua vita terrena e della sua morte: egli infatti ha lasciato una
straordinaria eredità spirituale. Abbiamo un debito di gratitudine per Paolo,
apostolo e pensatore, missionario e scrittore, primo teologo cristiano al quale
quasi tutti gli altri tengono dietro a fatica; il polemista che aggredisce
errori e abusi; il fondatore e l’organizzatore di comunità per le quali dichiara
di avere cuore di padre e di madre; l’infaticabile apostolo che si lascia
conquistare dal Cristo confessando: «Per me vivere è Cristo».
Raggiunto dal Risorto sulla strada di
Damasco, Paolo ne rimane abbagliato e innamorato al punto da farne «il suo
Vangelo» da annunziare a tutte le genti. Si conforma a lui in tutto e testimonia
la pienezza dell’amore di Dio e di Cristo per l’umanità, fino al martirio. Il
beato Giacomo Alberione, fondatore della Famiglia Paolina, ha scritto: «Paolo
era sempre dappertutto, con tutti e con tutti i mezzi, ad onta della salute
precaria, delle distanze, dei monti, del mare, dell’indifferenza degli
intellettuali, della forza dei potenti, dell’ironia dei gaudenti, delle catene,
del martirio…». Come qualsiasi apostolo di oggi, Paolo non ha visto di persona
Gesù, non ha vissuto con lui in Galilea mentre predicava il Regno, né, di
conseguenza, ha potuto esser educato da lui durante la lunga salita a
Gerusalemme. Neppure è stato presente alla morte di Gesù in croce, né è uno dei
primi testimoni della sua risurrezione «il terzo giorno». Nasce alla fede, come
lui stesso confessa, fuori tempo, da ultimo (1Cor 15,8). Benché convinto di
essere «l’infimo degli apostoli», indegno di tale carica (1Cor 15,9), può
affermare di aver faticato più di tutti loro, poiché la grazia di Dio in lui non
è rimasta sterile: «Per grazia di Dio sono quello che sono» (1Cor 15,10). Questa
grazia, un intervento educativo di Dio, tanto efficace quanto inatteso, fa dello
zelante persecutore un indomito apostolo, «uno strumento eletto per portare il
Nome [di Cristo] dinanzi ai popoli» (At 9,15).
Se Paolo apostolo vivesse oggi, nella nostra
età tecnologica, nel tempo dei grandi mezzi di comunicazione di massa, che
allargano gli orizzonti del singolo e insieme rimpiccioliscono il mondo, cosa
farebbe? Certamente adempirebbe i due grandi precetti: amare Dio con tutto il
cuore e amare il prossimo senza nulla risparmiarsi; egli userebbe i più alti
pulpiti eretti dal progresso moderno. Una cosa è certa: il caso di Paolo
apostolo rimane di massima attualità. Dopo la sua morte riesce a continuare ad
essere l’apostolo e l’educatore di comunità che imparano da lui a diventare e
rimanere credenti. Fino al giorno d’oggi. Possiamo ben dire che l’Anno Paolino è
stato un evento straordinario, ha fatto memoria di un gigante del cristianesimo,
il cui pensiero e le lettere continuano ad interrogare credenti e agnostici. Non
a caso Benedetto XVI nelle catechesi dedicate a san Paolo ha ricordato che
«anche oggi, come agli inizi, Cristo ha bisogno di apostoli pronti a sacrificare
se stessi… Da Paolo tutti noi abbiamo ancora da imparare. Questo è stato lo
scopo dell’Anno Paolino: imparare da san Paolo, imparare la fede, imparare il
Cristo, imparare infine la strada della retta via».
Benedetto XVI, a conclusione dell’Anno
Paolino, ha voluto offrire all’intera Chiesa cattolica e a tutti «gli uomini di
buona volontà» la sua terza enciclica:
Caritas in Veritate,
un documento che apre un ampio orizzonte sulla realtà sociale del nostro mondo
globalizzato. Il Papa la firma il 29 giugno 2009, ma viene resa pubblica il 7
luglio, alla vigilia dei lavori del G8ì dell’Aquila, come se ai Grandi della
Terra egli avesse voluto inviare un messaggio ben preciso: «L’economia, per un
suo corretto funzionamento, ha bisogno di un’etica amica della persona». I
commenti alla Caritas in Veritate
sono stati positivi e spesso
entusiastici. La profondità e lo spessore umano e sociale dell’enciclica hanno
conquistato tutti, dagli economisti ai politici, a prescindere dalle convinzioni
ideologiche. C’è addirittura chi ha auspicato che al Papa, per questa enciclica,
venga assegnato il premio Nobel per l’economia. Come le altre encicliche, anche
la Caritas in
Veritate
è calata nella realtà del presente e i temi
che affronta sono quelli posti da una nuova, grande crisi planetaria, crisi non
solo economica, ma anche crisi di valori.
Il documento affronta un settore importante
nella vita della Chiesa, proponendo in modo esauriente tutti i temi divenuti
centrali nella riflessione dei capi di Stato e degli economisti: dai rischi per
l’occupazione alle possibilità di sviluppo dei Paesi poveri, dalla difesa
dell’ambiente alla centralità della dignità umana. Con un motivo conduttore di
tutta l’analisi: «No allo sfruttamento e alla mancanza
di garanzie per i deboli».
L’orizzonte dell’enciclica è molto più ampio
rispetto ai problemi e alle preoccupazioni del momento. Abbiamo tra le mani un
documento sociale che prosegue il cammino iniziato con la
Rerum
novarum,
ma al tempo stesso abbiamo un testo di grande valore teologico e antropologico,
attento ad annunciare la ricchezza del Vangelo per la vita della persona e per
tutta la persona. Rivolta a tutti, l’enciclica parla al cuore di ognuno, invita
il credente alla responsabilità verso la costruzione della città dell’uomo,
stimola ad intraprendere nuovi percorsi di ricerca, d’impegno sociale e
politico, invita a inventare nuovi modelli di trasformazione produttiva, capaci
di mettere al centro il capitale più importante da valorizzare: «l’uomo, la
persona, nella sua integrità» (n. 25). Su questa strada della testimonianza
siamo sfidati a verificare, dentro le vicende della vita, la portata della fede
in Cristo, come Colui che ci mette nelle condizioni ottimali per affrontare la
miriade di problemi di ordine economico, finanziario, sociale e politico che
l’enciclica elenca e ai quali fornisce strumenti per una possibile soluzione.
Il Papa attraverso l’enciclica ci sollecita a
ripensare le categorie guida della vita consacrata, a far nostri, rendendoli
storicamente concreti, temi come la fraternità, la solidarietà, la gratuità e il
dono, la giustizia sociale, l’equità dello sviluppo, spesso troppo dimenticati o
posti in secondo piano rispetto ad altre parole d’ordine: il «Vangelo è elemento
fondamentale dello sviluppo» (n. 18). Egli ci provoca a saper cogliere
l’essenziale: il vero manifesto per costruire un mondo diverso - scrive il Papa
- c’è da duemila anni, ed è il Vangelo. Solo vivendo l’amore così come ci è
stato rivelato da Cristo Gesù è possibile costruire una «società buona» e
realizzare uno sviluppo integrale dell’umanità.
Ora
stiamo vivendo l’Anno Sacerdotale annunciato il 16 marzo 2009 da Benedetto XVI
durante un’udienza all’assemblea plenaria della Congregazione per il Clero.
Queste le sue parole: «Proprio per favorire la tensione dei sacerdoti verso la
perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l’efficacia del loro
ministero, ho deciso di indire uno speciale “Anno Sacerdotale”, che andrà dal 19
giugno prossimo fino al 19 giugno 2010. Ricorre infatti il 150° anniversario
della morte del Santo Curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney, vero esempio di
Pastore a servizio del gregge di Cristo». L’Anno Sacerdotale è in continuità con
quello dedicato all’apostolo Paolo e contribuirà a sensibilizzare la vocazione «paolina»
alla missione e alla nuova evangelizzazione, sollecitando il dono del sacerdozio
regale di ogni battezzato e del dono del sacerdozio ministeriale. «Mentre
infatti si va concludendo l’Anno Paolino - ha detto Benedetto XVI all’udienza
generale del 24 giugno 2009 – questo nuovo anno giubilare ci invita a guardare
ad un povero contadino diventato umile parroco, che ha consumato il suo servizio
pastorale in un piccolo villaggio. Se i due Santi differiscono molto per i
percorsi di vita che li hanno caratterizzati […] c’è però qualcosa di
fondamentale che li accomuna: ed è la loro identificazione totale con il proprio
ministero, la loro comunione con Cristo che faceva dire a san Paolo: “Sono stato
crocifisso con Cristo. Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”».
Scrivono i vescovi italiani nel
Messaggio per la 14 a Giornata
Mondiale della vita consacrata: «La luce che promana dalla santità del Curato
d’Ars illumina i cuori cristiani e, in particolare, apre una finestra sul cielo
alle anime di vita consacrata. A loro chiediamo di fare proprie le intenzioni
che il Papa raccomanda a tutti in questo Anno Sacerdotale, prima fra tutte
quella di pregare perché i sacerdoti siano immagine viva del Signore Gesù e
portino l’amore di Dio alle comunità loro affidate». Da parte loro i vescovi
invitano a «coltivare la compagnia dei santi». È chiaro che dopo la svolta del
Concilio Vaticano II l’Anno Sacerdotale impegna tutti i fedeli non solo a
collaborare con i ministri ordinati nelle varie parrocchie, ma anche a
riflettere sul sacerdozio eterno di Cristo e sul sacerdozio battesimale,
all’interno dei quali e al loro servizio si pone«l’insediamento pneumatico nel
ministero» (J. Ratzinger).
Amiche lettrici e cari lettori, il numero di
Consacrazione e Servizio
che avete tra mano - il primo dell’anno
2010 - si apre con una nuova rubrica:
«Figlie della promessa»,
affidata al biblista Tiziano
Lorenzin. L’espressione s’ispira e
richiama il tema della Presidenza
Nazionale dell’USMI - «Affidate ad
una promessa. Il percorso di
Abramo» - con l’intento di offrire
un contributo del Centro Studi alla
comune riflessione.
Continuano le rubriche:
«Anno Sacerdotale»
e
«Orizzonti».
Nella
prima Paola Bignardi intervista don Lucio
Greco, parroco della diocesi
di Otranto, osservatore attento e
pastore appassionato dei giovani. La
seconda arricchisce il fascicolo
con due contributi: il primo, di Luciano
Sandrin, preside del Camillianum,
fa memoria dei venticinque anni
della
Salvifici doloris
(11 febbraio 1984) di Giovanni Paolo II;
l’altro,
della prof.ssa Maria Campatelli del Centro
Aletti, presenta la sintesi
delle sue due relazioni tenute al convegno
svoltosi nei giorni 6-7 novembre
2009 presso la sede dell’USMI.
Una parola particolare per il
«Dossier».
Sotto l’espressione latina: «Caritas in Veritate» e il sottotitolo: «L’enciclica
della fraternità universale », sono raccolti sette studi sull’enciclica sociale
di Benedetto XVI. Affidati a vari studiosi e studiose, gli articoli risultano un
valido contributo della rivista
Consacrazione e Servizio che si
aggiunge al coro di commenti e riflessioni che ogni giorno vanno moltiplicandosi
in Italia.
Oltre alle consuete esplorazioni sui film e
le segnalazioni di libri, va richiamata l’attenzione sulla nuova rubrica:
«Facce di preti»,
affidata alla teologa Cettina Militello, che rilegge in maniera critica i
romanzi classici sui preti. Inizia la serie il
Diario di un curato di campagna
del celebre romanziere Georges Bernanos.
Anche questo primo numero del 2010 si
presenta pertanto ricco di proposte e sollecitazioni su cui soffermarsi e
riflettere.
Maria Marcellina Pedico
Serve di Maria Riparatrici
Via Monte Velino, 30 - 00141 ROMA
m.pedico@smr.it
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