Il
modo più semplice, ma veramente efficace, di rileggere la storia di
Abramo per noi religiose e religiosi è metterci in ascolto di una Parola
che ci interpella personalmente: Abramo sono io, Abramo sei tu. In
questa storia antica Dio mi parla oggi. E quando Dio parla mi mette in
movimento come mise in movimento il nostro padre Abramo. Il suo cammino
ci sta davanti non come un ideale che noi ci sforzeremo di realizzare
almeno in parte, ma come una parola profetica che si concretizza nella
vita di colui che l’accoglie nel cuore con fede. Rileggiamo perciò con
attenzione la storia del cammino di Abramo, perché è il sentiero per il
quale il Signore stesso ci condurrà prendendoci per mano nella nostra
vita religiosa.
Alla sequela del padre terreno
Quando la
Bibbia incomincia a parlare di lui, lo vediamo come il primo di tre
fratelli, che vivono obbedendo al proprio padre, Terach. Sono
discendenti di un figlio di Noè, Sem, nella cui famiglia si sta
diffondendo la benedizione divina dopo il diluvio. Da tanti atti d’amore
sono nati figli e figlie che pur nella fatica e nel dolore obbediscono
alla clausola dell’alleanza perenne di Genesi 9,7: «Siate fecondi e
moltiplicatevi, siate numerosi sulla terra e dominatela».
Il luogo
dove inizia la storia è Ur dei Caldei, dove avrebbe dovuto risplendere
al massimo l’efficacia della benedizione. Ma invece di una terra
generatrice essa si presenta come una terra di morte e di morte tragica.
Infatti, il figlio di Terach, Aran, dopo aver generato Lot, muore «alla
presenza di suo padre », impotente di fronte alla tragedia, ma
soprattutto «prima di suo padre»: si trattò di una morte veramente
prematura.
Sembra
dunque che nel parentado manchi il segno della benedizione di Dio.
Infatti «Sarai era sterile e non aveva figli» (Gen 11,30): si trattava
di una sterilità irreversibile. Il
Talmud
dice che Sarai era addirittura priva anche dell’utero (Yev 64b).
Tuttavia la causa più profonda della sterilità della vita in Ur secondo
Giosuè 24,2 sembra essere stato il fatto che i padri, di là del fiume
(Eufrate), «servirono altri dei».
In quella
situazione e in quel luogo non era più possibile vivere. Ur dei Caldei è
diventato non solo luogo di morte ma anche di sterilità. Il fallimento
era completo. Terach capisce che bisognava uscire con tutta la sua
famiglia alla ricerca di terra più adatta alla vita, il Canaan. È una
terra però che egli non riesce a raggiungere. Arrivati a Carran si
insediano. Non si dice di lui, come nelle altre genealogie, che ebbe
figli e figlie, ma si nota solo che qui morì all’età di duecentocinque
anni.
Alla sequela del Signore
Fino a quel
momento Abramo aveva seguito la volontà di suo padre. D’ora in poi egli
avrà davanti a sé solo il Signore. Questo viene confermato anche dal
fatto che quando il Signore irrompe nella sua vita, secondo la
cronologia, suo padre in realtà era ancora vivo e morirà almeno sessanta
anni dopo la partenza del figlio. Questa circostanza rende ancora più
attuale questa parola: una condizione fondamentale per seguire il
Signore è il taglio con i legami affettivi che impediscono di camminare
liberamente per la via da lui indicata. L’aveva capito bene Francesco
d’Assisi, quando lasciò i suoi vestiti al padre e si incamminò in
direzione di Gubbio senza più voltarsi indietro verso la sua città,
cantando nel profondo del suo cuore: «Padre nostro che sei nei cieli».
Tutto inizia
ascoltando una parola: è quella stessa parola di Dio che si sente
risuonare nella prima pagina della Genesi per dieci volte: «E Dio
disse». Con dieci parole Dio creò tutto il creato. Abramo è presentato
come il vero uomo nuovo che ascolta la parola di Dio e si mette subito
in movimento senza chiedere alcuna spiegazione. E con lui inizia a
realizzarsi quella storia di salvezza preannunciata da Dio nella Genesi
(Gen 3,15), quando promise alla donna un discendente che avrebbe
schiacciato la testa al serpente, il quale tiene tutti gli uomini
paralizzati dalla paura della morte.
Dio dà due
ordini ad Abramo, seguiti ciascuno da tre benedizioni. Egli prima di
tutto deve uscire dalla sua terra. Deve rompere con ciò che egli è: la
terra, cioè la sua nazionalità, il suo parentado, ossia il luogo di
nascita, il suo casato: la famiglia. Si tratta di una rottura radicale
con il mondo segnato certamente dalla morte, ma che assicurava la
sopravvivenza in caso di siccità e di carestia. Si tratta di buttarsi
verso un avvenire sconosciuto, vivendo come un apolide, un emarginato
dalla società. Abramo, come sarà poi per Francesco a Spoleto, è invitato
ad abbandonare il suo personale sogno sulla sua vita accogliendo il
sogno molto più bello e interessante che il Signore gli propone.
Il sogno di
Abramo era un terreno proprio dove poter vivere lui con sua moglie e un
figlio Il sogno del Signore era una terra stupenda, dove potrà abitare
tutto un popolo di suoi discendenti. È vero che per ora egli potrà solo
vedere questa terra. Ma lo attrae tanto da farlo partire, iniziando lo
stesso cammino da oriente a occidente fatto dalla prima umanità
disobbediente, che poi si costruì la torre di Babele. Egli riprende il
cammino dal punto dove gli uomini avevano deviato. È questo l’inizio
della vocazione di Abramo: un invito ad andarsene, a diventare libero
accettando la sfida della separazione.
La vita dentro il regno della morte
Il frutto
dell’ascolto è la benedizione, che si renderà visibile in una grande
discendenza e in una grande fama. L’elezione non è perché l’uomo si
senta migliore di qualche altro, ma per una missione da compiere.
Abramo, e la sua famiglia, dovrà essere una benedizione per tutti i
popoli del mondo intero. Chi accetterà di avere una relazione benevola
con Abramo sarà amato e benedetto da Dio. Chi invece lo disprezzerà sarà
respinto da Dio. Abramo sarà strumento di benedizione non solo per la
cerchia limitata che avrà rapporti diretti con lui, ma beneficeranno
degli effetti della sua presenza tutte le stirpi della terra.
Per noi
religiosi, credo, sia importante soffermarci a lungo su questo testo,
noi che oggi siamo così preoccupati di essere sempre di meno e ci
immaginiamo un futuro peggiore della vita di oggi. Dio ha risposto
all’orgoglio degli uomini della città di Babele, che stava precipitando
ancora una volta gli uomini nel caos, chiamando una famigliola
insignificante.
Ma saranno
questi pochi il segno efficace di salvezza per il mondo intero.
La
benedizione però potrà raggiungere realmente l’umanità intera solo con
la partenza di Abramo: «Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il
Signore». Abramo parte confidando solo sulla parola di Dio. Egli non era
certo giovane quando partì da Carran. Aveva settantacinque anni, gli
anni vissuti con il padre. Ne vivrà altri venticinque senza padre né
figlio, e altri settantacinque vivente Isacco. Egli lascia il mondo
della schiavitù e della morte come più tardi faranno gli Israeliti
dall’Egitto, ma soprattutto gli esuli in Babilonia.
Abramo
risponde alla chiamata del Signore solo con i fatti. Egli con Sarai, Lot,
le mandrie e i greggi, riprende il suo esodo da Ur, che si era
interrotto a Carran e raggiunge la terra che suo padre desiderava
raggiungere, il Canaan, una terra maledetta (cf Gen 9,25). Ora dovrà
imparare a conoscere il nuovo Dio che gli ha parlato camminando con lui.
Lui e Sarai incominciano a portare la benedizione nel territorio
maledetto, dentro la morte stessa, mescolandosi tra i figli di Canaan,
il maledetto. La sua famiglia si muove in mezzo a una società che ha
impostato la vita in un modo completamente diverso dal suo. È questa la
missione della piccola comunità religiosa oggi: andare controcorrente
tenendo aperto il cielo per una società che ha abbandonato Dio.
Le tre tappe
Di questo
viaggio sono ricordate tre tappe. La prima a Sichem, luogo di culto
pagano. Ma proprio là il Signore finalmente si fa vedere e infonde
coraggio ad Abramo con una promessa: «Alla tua discendenza io darò
questo paese». La terra sarà posseduta dalla sua discendenza, non da
lui. Ma questo basta ad Abramo. Egli si abbandona ai tempi di Dio, non
pretendendo che tutto si realizzi durante la sua esistenza. La seconda
tappa del viaggio è a Betel e Ai dove costruisce un altare e invoca il
nome del Signore. Solo il Signore è il suo sicuro referente. «Non
anteporre nulla all’amore del Signore», dirà tanti secoli più tardi un
altro padre di una numerosa discendenza, san Benedetto. Abramo non ha
ancora visto tutta la terra promessa e si rimette in viaggio verso sud,
verso il deserto del Negheb: la terza tappa. Egli nel suo continuo
levare e piantare le tende sembra mosso solo dal desiderio di giungere
quanto prima nel luogo assegnatogli dal Signore.
Il religioso
e la religiosa sanno che la vita piena è stare sempre con il Signore
(1Ts 4,17),
per questo non vogliono mettere le loro radici nel mondo. Vi impiantano
solo i paletti di una tenda che spostano in continuità itinerando di
luogo in luogo come Francesco d’Assisi voleva facessero i suoi frati.
Essi come Abramo imparano a conoscere Dio camminando nella storia in
mezzo agli uomini del loro tempo.
Tiziano Lorenzin,
ofmconv
Facoltà
Teologica del Triveneto
Via S.
Massimo, 25 – 25129 Padova