n. 1
gennaio 2010

 

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«Esci dalla tua terra e va’»

 Abramo sei tu!

di TIZIANO LORENZIN

 

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Il modo più semplice, ma veramente efficace, di rileggere la storia di Abramo per noi religiose e religiosi è metterci in ascolto di una Parola che ci interpella personalmente: Abramo sono io, Abramo sei tu. In questa storia antica Dio mi parla oggi. E quando Dio parla mi mette in movimento come mise in movimento il nostro padre Abramo. Il suo cammino ci sta davanti non come un ideale che noi ci sforzeremo di realizzare almeno in parte, ma come una parola profetica che si concretizza nella vita di colui che l’accoglie nel cuore con fede. Rileggiamo perciò con attenzione la storia del cammino di Abramo, perché è il sentiero per il quale il Signore stesso ci condurrà prendendoci per mano nella nostra vita religiosa.

Alla sequela del padre terreno

Quando la Bibbia incomincia a parlare di lui, lo vediamo come il primo di tre fratelli, che vivono obbedendo al proprio padre, Terach. Sono discendenti di un figlio di Noè, Sem, nella cui famiglia si sta diffondendo la benedizione divina dopo il diluvio. Da tanti atti d’amore sono nati figli e figlie che pur nella fatica e nel dolore obbediscono alla clausola dell’alleanza perenne di Genesi 9,7: «Siate fecondi e moltiplicatevi, siate numerosi sulla terra e dominatela».

Il luogo dove inizia la storia è Ur dei Caldei, dove avrebbe dovuto risplendere al massimo l’efficacia della benedizione. Ma invece di una terra generatrice essa si presenta come una terra di morte e di morte tragica. Infatti, il figlio di Terach, Aran, dopo aver generato Lot, muore «alla presenza di suo padre », impotente di fronte alla tragedia, ma soprattutto «prima di suo padre»: si trattò di una morte veramente prematura.

Sembra dunque che nel parentado manchi il segno della benedizione di Dio. Infatti «Sarai era sterile e non aveva figli» (Gen 11,30): si trattava di una sterilità irreversibile. Il Talmud dice che Sarai era addirittura priva anche dell’utero (Yev 64b). Tuttavia la causa più profonda della sterilità della vita in Ur secondo Giosuè 24,2 sembra essere stato il fatto che i padri, di là del fiume (Eufrate), «servirono altri dei».

In quella situazione e in quel luogo non era più possibile vivere. Ur dei Caldei è diventato non solo luogo di morte ma anche di sterilità. Il fallimento era completo. Terach capisce che bisognava uscire con tutta la sua famiglia alla ricerca di terra più adatta alla vita, il Canaan. È una terra però che egli non riesce a raggiungere. Arrivati a Carran si insediano. Non si dice di lui, come nelle altre genealogie, che ebbe figli e figlie, ma si nota solo che qui morì all’età di duecentocinque anni.

Alla sequela del Signore

Fino a quel momento Abramo aveva seguito la volontà di suo padre. D’ora in poi egli avrà davanti a sé solo il Signore. Questo viene confermato anche dal fatto che quando il Signore irrompe nella sua vita, secondo la cronologia, suo padre in realtà era ancora vivo e morirà almeno sessanta anni dopo la partenza del figlio. Questa circostanza rende ancora più attuale questa parola: una condizione fondamentale per seguire il Signore è il taglio con i legami affettivi che impediscono di camminare liberamente per la via da lui indicata. L’aveva capito bene Francesco d’Assisi, quando lasciò i suoi vestiti al padre e si incamminò in direzione di Gubbio senza più voltarsi indietro verso la sua città, cantando nel profondo del suo cuore: «Padre nostro che sei nei cieli».

Tutto inizia ascoltando una parola: è quella stessa parola di Dio che si sente risuonare nella prima pagina della Genesi per dieci volte: «E Dio disse». Con dieci parole Dio creò tutto il creato. Abramo è presentato come il vero uomo nuovo che ascolta la parola di Dio e si mette subito in movimento senza chiedere alcuna spiegazione. E con lui inizia a realizzarsi quella storia di salvezza preannunciata da Dio nella Genesi (Gen 3,15), quando promise alla donna un discendente che avrebbe schiacciato la testa al serpente, il quale tiene tutti gli uomini paralizzati dalla paura della morte.

Dio dà due ordini ad Abramo, seguiti ciascuno da tre benedizioni. Egli prima di tutto deve uscire dalla sua terra. Deve rompere con ciò che egli è: la terra, cioè la sua nazionalità, il suo parentado, ossia il luogo di nascita, il suo casato: la famiglia. Si tratta di una rottura radicale con il mondo segnato certamente dalla morte, ma che assicurava la sopravvivenza in caso di siccità e di carestia. Si tratta di buttarsi verso un avvenire sconosciuto, vivendo come un apolide, un emarginato dalla società. Abramo, come sarà poi per Francesco a Spoleto, è invitato ad abbandonare il suo personale sogno sulla sua vita accogliendo il sogno molto più bello e interessante che il Signore gli propone.

Il sogno di Abramo era un terreno proprio dove poter vivere lui con sua moglie e un figlio Il sogno del Signore era una terra stupenda, dove potrà abitare tutto un popolo di suoi discendenti. È vero che per ora egli potrà solo vedere questa terra. Ma lo attrae tanto da farlo partire, iniziando lo stesso cammino da oriente a occidente fatto dalla prima umanità disobbediente, che poi si costruì la torre di Babele. Egli riprende il cammino dal punto dove gli uomini avevano deviato. È questo l’inizio della vocazione di Abramo: un invito ad andarsene, a diventare libero accettando la sfida della separazione.

La vita dentro il regno della morte

Il frutto dell’ascolto è la benedizione, che si renderà visibile in una grande discendenza e in una grande fama. L’elezione non è perché l’uomo si senta migliore di qualche altro, ma per una missione da compiere. Abramo, e la sua famiglia, dovrà essere una benedizione per tutti i popoli del mondo intero. Chi accetterà di avere una relazione benevola con Abramo sarà amato e benedetto da Dio. Chi invece lo disprezzerà sarà respinto da Dio. Abramo sarà strumento di benedizione non solo per la cerchia limitata che avrà rapporti diretti con lui, ma beneficeranno degli effetti della sua presenza tutte le stirpi della terra.

Per noi religiosi, credo, sia importante soffermarci a lungo su questo testo, noi che oggi siamo così preoccupati di essere sempre di meno e ci immaginiamo un futuro peggiore della vita di oggi. Dio ha risposto all’orgoglio degli uomini della città di Babele, che stava precipitando ancora una volta gli uomini nel caos, chiamando una famigliola insignificante.

Ma saranno questi pochi il segno efficace di salvezza per il mondo intero.

La benedizione però potrà raggiungere realmente l’umanità intera solo con la partenza di Abramo: «Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore». Abramo parte confidando solo sulla parola di Dio. Egli non era certo giovane quando partì da Carran. Aveva settantacinque anni, gli anni vissuti con il padre. Ne vivrà altri venticinque senza padre né figlio, e altri settantacinque vivente Isacco. Egli lascia il mondo della schiavitù e della morte come più tardi faranno gli Israeliti dall’Egitto, ma soprattutto gli esuli in Babilonia.

Abramo risponde alla chiamata del Signore solo con i fatti. Egli con Sarai, Lot, le mandrie e i greggi, riprende il suo esodo da Ur, che si era interrotto a Carran e raggiunge la terra che suo padre desiderava raggiungere, il Canaan, una terra maledetta (cf Gen 9,25). Ora dovrà imparare a conoscere il nuovo Dio che gli ha parlato camminando con lui. Lui e Sarai incominciano a portare la benedizione nel territorio maledetto, dentro la morte stessa, mescolandosi tra i figli di Canaan, il maledetto. La sua famiglia si muove in mezzo a una società che ha impostato la vita in un modo completamente diverso dal suo. È questa la missione della piccola comunità religiosa oggi: andare controcorrente tenendo aperto il cielo per una società che ha abbandonato Dio.

Le tre tappe

Di questo viaggio sono ricordate tre tappe. La prima a Sichem, luogo di culto pagano. Ma proprio là il Signore finalmente si fa vedere e infonde coraggio ad Abramo con una promessa: «Alla tua discendenza io darò questo paese». La terra sarà posseduta dalla sua discendenza, non da lui. Ma questo basta ad Abramo. Egli si abbandona ai tempi di Dio, non pretendendo che tutto si realizzi durante la sua esistenza. La seconda tappa del viaggio è a Betel e Ai dove costruisce un altare e invoca il nome del Signore. Solo il Signore è il suo sicuro referente. «Non anteporre nulla all’amore del Signore», dirà tanti secoli più tardi un altro padre di una numerosa discendenza, san Benedetto. Abramo non ha ancora visto tutta la terra promessa e si rimette in viaggio verso sud, verso il deserto del Negheb: la terza tappa. Egli nel suo continuo levare e piantare le tende sembra mosso solo dal desiderio di giungere quanto prima nel luogo assegnatogli dal Signore.

Il religioso e la religiosa sanno che la vita piena è stare sempre con il Signore

 (1Ts 4,17), per questo non vogliono mettere le loro radici nel mondo. Vi impiantano solo i paletti di una tenda che spostano in continuità itinerando di luogo in luogo come Francesco d’Assisi voleva facessero i suoi frati. Essi come Abramo imparano a conoscere Dio camminando nella storia in mezzo agli uomini del loro tempo.

Tiziano Lorenzin, ofmconv
Facoltà Teologica del Triveneto
Via S. Massimo, 25 – 25129 Padova

 

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