n. 2
febbraio 2010

 

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Riconciliazione,giustizia e pace
Profeti e modelli

di ELENA RASTELLO

 

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L'Africa in questi ultimi anni è divenuta pure un terreno fertile per numerose vocazioni: sacerdoti, religiosi e religiose. Ringraziamo Dio per questa grande benedizione. Cari uomini e donne di vita consacrata, vi siamo grati per la testimonianza della vostra vita religiosa nei consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza, che spesso vi rendono profeti e modelli di riconciliazione, giustizia e pace in circostanze di estrema pressione. Il Sinodo vi esorta a dare la massima efficacia al vostro apostolato attraverso la comunione leale e impegnata con la gerarchia locale. Il Sinodo si congratula specialmente con voi, religiose, per la dedizione e lo zelo nel vostro apostolato nel campo della sanità, dell’educazione e di altri aspetti dello sviluppo umano". [Dal Messaggio al popolo di Dio, 23 ottobre 2009, 21]

E’ bello lasciarci stupire da queste parole, appassionare dal soffio dello Spirito, rivisitare la vita consacrata alla luce dell’evento definito "nuova Pentecoste" (Propositio 2) che è stato il Sinodo per l’Africa (4-25 ottobre 2009), e ritrovare così un modo inedito di abitare concretamente la storia presente dell’Africa e del mondo, e di agire inserite in questo ricco e controverso contesto sociale.

Lo ha detto con fermezza il Papa Benedetto XVI e poi l’hanno ripreso i Vescovi italiani al termine della loro 60° Assemblea generale: "L’Africa rappresenta un "polmone spirituale" per un’umanità in crisi di fede e di speranza. La forza straordinaria della mentalità africana è di essere, con la sua prorompente spiritualità popolare, la sua istintiva fede nel Dio creatore, la sua sbalorditiva attitudine religiosa, una costante provocazione per tutti i sazi e i distratti del mondo cosiddetto sviluppato".

È a partire da questa convinzione - emersa nitidamente nel corso della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi - che i vescovi italiani hanno individuato nell’apertura al mondo e nella dinamica missionaria la cifra dell’attuale stagione ecclesiale.

Accogliamo queste due istanze individuate dalla Chiesa che è in Italia come categorie per riscoprire il messaggio di profonda sfida che la Chiesa che è in Africa propone a noi, donne e uomini consacrati, africani e missionari. Raccogliamo i contenuti attorno a poche parole in lingua swahili,1 che simboleggiano ed evocano realtà molto vive.

Siamo certamente stati testimoni di un’Africa dono per l’umanità che si costruisce sul sangue, il sudore, l’inventività e le risorse infinite delle sue donne e dei suoi giovani.

Il Messaggio finale del Sinodo per l’Africa - un messaggio spirituale e concreto, di speranza per l’Africa e per il mondo - è a tratti provocatorio: è un messaggio indirizzato principalmente all’Africa in tutte le sue componenti, sia ecclesiali che socio-politiche. Esso ci dice che l’Africa è già cambiata, non sta perdendo tempo e non si abbandona alla disperazione. I partecipanti al Sinodo, chiaramente rappresentativi di tutto il continente, hanno narrato di un’Africa-Chiesa adulta, della loro decisa assunzione di responsabilità, di politici santi come Senghor e Nyerere, che hanno lavorato per il bene comune.

Alzati, popolo della pace!

Alzatevi, giovani africani, che lottate nel silenzio del quotidiano! Alzatevi, donne d’Africa, custodi della vita sempre pronte a camminare "macinando miglia, ingoiando polvere, caricando pesi e coltivando sogni, inventando futuro", come scrive la giornalista comboniana eritrea suor Elisa Kidanè, che ha partecipato al Sinodo per l’Africa in veste di esperta, su invito del Papa. Alzati, grande popolo in cammino, non solo crocifisso, ma già risorto!

Donne, giovani, laici impegnati nel cambiamento, che non si scoraggiano davanti a nulla, un popolo che vive quotidianamente la benedizione di affrontare e superare le avversità, il dono della parresia, cioè il coraggio della verità e, quindi, della denuncia e della proposta. Parresia intesa come coraggio di osare: la franchezza di dire e testimoniare il vero e il buono, per denunciare ingiustizia, mancanza di solidarietà, corruzione, odio, emarginazione della donna, guerra, fame, e proporre consapevolmente la missione: evangelizzare, mettere l’uomo in piedi, crescere cattolici ben formati.

Mentre il capitalismo globalizzato sta saccheggiando il Pianeta, l’Africa, facendo leva sul proprio patrimonio culturale, può, deve, vuole apportare una visione più armoniosa e più equilibrata del rapporto tra gli esseri umani e la natura. Coloro che hanno vissuto in Africa hanno fatto la gioiosa esperienza, nei gesti quotidiani, della cultura dell’inclusione, e del rapporto fecondo tra persone, spesso così diverse. E l’Africa evangelizzata dalla chiesa cattolica, se pure è solo una minoranza del continente, ne è un’espressione viva, attiva, impegnata. Una minoranza che, per di più, dialoga con le altre presenze religiose, con le chiese protestanti, con l’islam, con la religione tradizionale africana ancora vitale; e dunque porta in sé le preoccupazioni, le angosce e le attese dell’intera popolazione del continente. Oltre 50 nazioni. Quasi un miliardo di persone.

Al centro di tutta questa vita c’è la persona del Signore Gesù,il Dio che dice "Alzati!", che risponde alle questioni nodali dell’umanità, quali pane e giustizia, il Salvatore che libera gli oppressi, con gratuità assoluta: alla sua luce valutiamo la nostra esperienza di consacrate e consacrati per essere Chiesa oggi. Usiamo alcune parole, simbolicamente evocative.

Shikamoo: umanizzazione e stupore

Il nostro essere religiosi e religiose in Africa oggi credo testimoni la sfida dell’umanizzazione dal basso, quel processo umano che promuove la vita in abbondanza per tutti. La nostra vita

consacrata e missionaria trova il suo significato in questa umanizzazione dal basso ed i bambini la attualizzano e mettono in pratica anche attraverso un rito caratteristico, che ho visto compiere spesso in Tanzania. I bambini, in genere dai tre ai sette anni di età, salutano ogni persona adulta mettendo la loro manina sul capo dell’adulto e ripetendo molte volte Shikamoo, che vuol dire: "Sono ai tuoi piedi". Per essere toccati sul capo gli adulti devono abbassarsi al livello dei bambini, e così facendo, si ridimensionano. A volte, chi sperimenta questo gesto, può non essere pienamente consapevole del senso che, visto da fuori, è alquanto significativo. Ci parla del bisogno di diventare piccoli, e dell’accoglienza della sfida dei piccoli passi quotidiani della nostra testimonianza, passi a volte apparentemente insignificanti, ma che preparano le grandi trasformazioni per tutti, proprio quelle trasformazioni che invitano allo stupore, in un atteggiamento di gratitudine, di grazia.

Quando ci avviciniamo alla grazia, alla spiritualità della nostra vita consacrata e missionaria con apertura, scopriamo i veri padri e le vere madri nella Chiesa. Essi - come i fondatori e le fondatrici delle congregazioni a cui apparteniamo - hanno voluto offrire e ricevere grazia (e non cose, servizi, ecc.), si sono stupiti delle persone con gioia, del sorriso accogliente di un bimbo, del pianto silenzioso di una mamma, dell’umiltà profonda di un’anziana logorata da una vita semplice e sacrificata.

Shikamoo, cioè benedetti dai bambini, dai poveri. Così possiamo vivere, fare memoria, condividere la fede con tanti fratelli e sorelle. Fare memoria significa fare eucaristia, cioè umilmente stabilire dei legami e, spogli, costruire e ricostruire degli incontri, con persone, chiese, nazioni, popoli.

"Viviamo in un mondo pieno di contraddizioni e in piena crisi. La scienza e la tecnologia fanno passi da gigante in tutti gli aspetti della vita, fornendo all’umanità tutto ciò che occorre per fare del nostro pianeta un luogo meraviglioso per tutti noi. Tuttavia situazioni tragiche di rfugiati, povertà estrema, malattie e fame uccidono tuttora migliaia di persone ogni giorno. In tutto questo, l’Africa è la più colpita… ".2 Interpellati dalle sfide dei vari contesti, dei nuovi areopaghi dell’annuncio nel continente africano trasformati dall’esempio di vita di tante persone, in un humus profondamente religioso e spirituale, ciascuno di noi ha certamente recuperato la spiritualità come essenzialità, come una vita nuda e fortemente umana.

Una spiritualità ha mille impronte, e non è univoca.

Sono multiformi sentieri, cammini sperduti nei colli e nelle montagne che vanno raccolti nella loro diversità e che si capiscono solo mentre li si percorre. L’esperienza della nostra vita consacrata missionaria è probabilmente un ripartire continuo senza niente, con l’atteggiamento di chi pazientemente impara a riconoscere la bellezza dell’altro, popoli e persone. Certamente nelle nostre comunità siamo state affascinate da sorelle, fratelli fortemente appassionati che hanno avuto una pazienza lunga per raccogliere, anche là dove altri dicevano che non c’era niente da raccogliere: nella solitudine e miseria delle baraccopoli, tra i malati di AIDS ed i piccoli abbandonati e orfani, tra le donne che resistono anche di fronte alla disperazione, tra le minoranze senza voce, in un campo profughi, al confine con la guerra…

La comunità ecclesiale, di cui ha parlato Benedetto XVI nell’omelia dell’Eucaristia di chiusura del Sinodo per l’Africa, è quella che "lavora con la sua concezione personalista e comunitaria, per orientare il processo in termini di relazionalità, di fraternità e di condivisione".

Nyumbani: entrare nella storia per cambiarla

Nyumbani significa: a casa, sentirsi a casa. Ujisikie nyumbani diciamo, accogliendo un’altra persona. Dicevo prima che i veri padri e le vere madri nella Chiesa hanno dato e ricevuto grazia, non cose.

È servire l’opera di Dio: non si fanno delle cose (anche benedette... costruiamo, organizziamo, portiamo lo sviluppo, ci diamo da fare...), ma si entra nella grande passione e nel sogno di Dio: vivere e servire un sogno.

Vuol dire che consideriamo la storia come casa, luogo sacro, serviamo la storia e facciamo politica: le nostre presenze di vita comunitaria diventano luoghi sociali alternativi, in un certo senso ‘luoghi politici’. È lo sporcarsi le mani di tanti consacrati e laici al lavoro insieme, entrando nella realtà, toccandola, cogliendone i limiti e gli errori, lasciando che le vicende della storia entrino nella vita personale e comunitaria. Anche quando solo i piccoli passi sono illuminati, non tutto il quadro, e la luce a volte è molto debole, illumina un solo passo e non si conosce cosa verrà dopo.

Nyumbani è la chiamata ad essere presenti alla storia del nostro tempo in Africa come in Italia, in preghiera. Preghiamo molto per entrare nella sintonia della compassione, che non è solamente una sensibilità epidermica o passeggera, ma è l’impegno a non sfuggire dalla sofferenza della storia, proprio quella storia che i partecipanti al Sinodo hanno penetrato con sguardo di fede: "Ai grandi poteri di questo mondo rivolgiamo una supplica: trattate l’Africa con rispetto e dignità. […]. Molti dei conflitti, guerre e povertà dell’Africa derivano principalmente da strutture ingiuste […]. Un ordine mondiale nuovo e giusto non è soltanto possibile, ma necessario per il bene di tutta l’umanità […]. È possibile che nessuno sia capace e voglia interrompere questi crimini contro l’umanità?".3

Questa è una provocazione profonda: forse non sapremo mai come rispondere alle grandi sofferenze personali e sociali della gente che ci è stata affidata dal disegno provvidente del Padre. Non abbandoniamo la storia, non pensiamo che il male sia solo da eliminare, o mettere a tacere: lo possiamo raccogliere e portare senza aver paura, come tante donne che affrontano e superano le avversità, e le incontriamo al mercato, al pozzo, a Soweto e a Korogocho, nei campi-profughi, in preghiera mai rassegnata. In quella storia umana c’è l’aspetto del mistero: è la storia di Dio, anche se certe volte non la capiamo.

Il mistero della salvezza che si realizza nella storia umana. Quante volte ci siamo avvicinati all’altro, sofferente, piccolo, povero, intelligente, capace ed abbiamo compatito (da cum-patio), condiviso il dolore, siamo entrate nyumbani, a casa ed abbiamo lasciato che la passione ci toccasse e ci trasformasse dal di dentro! Ed abbiamo constatato con gioia il passaggio dal dialogo tra le persone al dialogo tra le culture e poi alla cultura del dialogo. E certamente ci siamo trovati talvolta stretti tra la realtà, che si propone con forza, e la fedeltà ad un sogno, che abbiamo firmato con le lacrime: come dire al Signore della vita che prima o poi arriverà un cambiamento della storia e noi gli chiediamo di affrettarlo!

Karibu: farsi prossimi

Karibu non vuol dire solo "benvenuto/a!", bensì prossimità. Questa realtà di vicinanza sottolinea l’importanza dell’esperienza della solitudine e di saper resistere nella solitudine. È impossibile pensare oggi di voler cambiare alcuni tratti della storia, anche dei nostri paesi, senza passare per un cammino di solitudine: respiriamo l’aria della globalizzazione e siamo figli e figlie di un tempo storico che moltiplica l’esclusione, la visibilità delle ingiustizie, i conflitti sociali. Siamo figli e figlie di diverse culture e religiosità, inseriti in questo contesto specifico, e corriamo il rischio di costruire assistenze ed elemosine senza ricercare le cause, seppur complesse, che favoriscono l’impoverimento.

I partecipanti alla Seconda Assemblea Speciale per l’Africa hanno proposto un Messaggio piuttosto ‘politico’. Hanno detto che la nostra azione non è mai neutrale. In questa linea, la denuncia di situazioni di ingiustizia e di oppressione è anch’essa annuncio salvifico: parole che smascherano, senza compromessi, anche il nostro peccato di omissione, talvolta nel nome del nostro essere religiosi.

Respiriamo questa complessa realtà e siamo chiamate a scegliere il ministero della prossimità, Karibu, appunto, che si vive così intensamente in tante Piccole Comunità di Base, dove è possibile che si realizzi la partecipazione attiva del popolo di Dio, dei laici, delle donne, dei giovani. La nostra sensibilità per la vita ferita, l’impegno per contrastare le ingiustizie sul versante dell’accoglienza, del servizio, ma anche il coinvolgimento in una vigilanza critica per diventare sentinelle dei diritti altrui qualora siano calpestati o negati: tutto questo rivela quanto potere di conversione ha la storia, quante luci vengono dalla nostra storia consacrata e missionaria, vero e proprio luogo di apprendimento e di sperimentazione della fraternità e della rettitudine, talvolta attraverso un cammino in salita, di purificazione!

Harambee: debolezza feconda

Harambee significa tirare insieme, con vigore. È un nuovo tipo di eloquenza, di autorità, al di là di potere, ruoli e titoli. In Africa il Vangelo ci ha chiamato spesso ad identificarci con l’esclusione, con ciò che normalmente non fa storia nei sistemi economici, religiosi, culturali o sociali. In tanti luoghi e nazioni abbiamo visto crescere il numero degli emarginati e degli esclusi, le lotte per la giustizia, la pace, i diritti, le malattie, l’AIDS soprattutto che, come la lebbra nel Vangelo, è una malattia di grande eloquenza sociale, perché denuncia il fallimento della società, dell’economia, della politica, della cultura.

Tocchiamo le ferite del nostro tempo, non ne siamo solo osservatori privilegiati. Abbiamo la forza di raccogliere i pezzi e di ricostruire le piccole comunità cristiane e la relazione con i piccoli, i poveri. Sì, i poveri, simbolo di una società a pezzi, che attende che loro, o alcuni popoli, muoiano, perché disturbano. "La conseguenza negativa di tutto ciò sta davanti al mondo intero […] Come si può essere orgogliosi di "presiedere" su un tale caos? […]. Questo Sinodo lo proclama forte e chiaro: è tempo di cambiare abitudini, per amore delle generazioni presenti e future".4

Nel cammino dell’amore sperimentato nel servizio della vita consacrata, abbiamo certamente potuto ritrovare come soggetti (non come problemi!) i poveri ed esserne compagni e compagne di cammino. Da questo criterio evangelico della debolezza – harambee, appunto - nasce una spiritualità più missionaria.

La Chiesa che è in Africa è consapevole della sordità del mondo e per questo motivo ha chiamato all’unione di tutte le forze interne, "tutti i membri della Chiesa - e delle altre Chiese

e religioni - devono essere mobilitati a lavorare insieme nell’unità che fa la forza. Siamo provocati e incoraggiati dal proverbio africano che dice che un esercito di formiche ben organizzate può abbattere un elefante".5

Tuko pamoja: essere per gli altri

Vuol dire: siamo qui – con tutto noi stessi - insieme! È il tuko pamoja che evangelizza, che dà iniziativa, identità, che fa sperimentare la gioia non di parlare per i poveri, e neanche di essere

voce dei poveri, bensì di far parlare i poveri, aprire la bocca dei muti o delle realtà che la società ha reso tali. Restituire la parola e restituirla nella compassione e nella grazia, è un balsamo. La persona si sente bene, perché riscopre la sua dignità, è finito il tempo in cui è trattata da ignorante e ha solo bisogni materiali: è un uomo, è una donna, sono bambini, giovani. L’identità dell’altro è troppo preziosa per trascurarla o per considerarla solamente in quanto povera e mendicante. È una proposta non solo di grazia, ma di consolazione nel senso vero. I popoli nomadi africani ci insegnano ad essere itineranti che, con inquietudine, camminano e camminano, raccogliendo dei frammenti e sapendo che mettendoli insieme nasce qualcosa. E quei frammenti diventano il vangelo di Gesù via, verità e vita.

Aiutati dalla nostra gente, capiamo sempre più che, invece che credere ai grandi programmi, possiamo compiere cammini che si aprono là dove ci sono persone fedeli che, giorno dopo giorno, fanno dei passi, persone riconciliate, operatrici di giustizia e di pace; "sale e luce" in mezzo alla società degli uomini e delle nazioni. Testimonianze commoventi durante il Sinodo per l’Africa, ci hanno mostrato che, anche nei momenti più bui della storia umana, lo Spirito Santo è all’opera e trasforma i cuori delle vittime e dei persecutori perché si riconoscano fratelli e sorelle.

Aiutati dalla nostra gente, ci educhiamo reciprocamente ad un atteggiamento nonviolento e significativo: l’intercessione, che non si percepisce sempre, perché tante persone, soprattutto donne, lo vivono segretamente, lo portano dentro. È un atteggiamento che incontra la storia ed è profondamente etico: solo una persona libera intercede sempre per l’altro.

Aiutati dalla riflessione sinodale, approfondiamo il metodo del "vedere, giudicare, agire" in atteggiamento contemplativo, per scoprire nella realtà quel Dio inedito, che si rivela solo come lui vuole e fa di noi comunità riconciliata e potente lievito di riconciliazione nei singoli Paesi e in tutto il continente africano. È questa l’impegnativa missione dei consacrati nel cuore della Chiesa pellegrina nell’Africa del terzo millennio.

1 Lo swahili è la lingua africana più diffusa e parlata nel mondo, usata prevalentemente in Africa orientale.

2. Messaggio al popolo di Dio, nn. 4-5.

3 Messaggio al popolo di Dio, nn. 32-33.

4 Messaggio al popolo di Dio, n. 37.

5 Messaggio al popolo di Dio, nn. 15. 38.

Elena Rastello fma
Missionaria in Tanzania e Kenia
Via dell’Ateneo Salesiano 81
00139 Roma

 

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