n. 1
gennaio 2011

 

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L’educazione è affare di cuore

di MICHELE PELLEREY

 

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Nella tradizione aristotelica l’agire umano, anche quello educativo, è segnato da tre dimensioni fondamentali: cognitiva, affettiva e volitiva. La dimensione affettiva nell’interazione educativa si manifesta attraverso la qualità degli atteggiamenti e delle forme del comunicare. Queste manifestazioni esprimono da parte degli educatori la valutazione che essi danno della persona e del comportamento dell’educando. Nella polarità positiva di questa dimensione sono da collocare tratti come il rispetto, la stima, il calore umano, l’accettazione incondizionata; nella polarità negativa: il rifiuto, il distacco, la freddezza, la svalutazione.

Caratteristiche dell’amore pedagogico

La dimensione affettiva può essere vissuta come amore pedagogico. Un primo tratto di tale amore è l’accettare in modo incondizionato i giovani, ossia avere la capacità d’incontrarli come persone degne di stima e rispetto, indipendentemente dalla loro struttura psichica, qualità fisiche, provenienza sociale. Un ulteriore tratto, che contribuisce a creare amorevolezza nell’interazione educativa, è l’impegnarsi da parte dell’educatore nel cercare di percepire il mondo dei giovani, fino a partecipare ed essere coinvolto pienamente nella loro vita. Se i giovani si sentono trattati come oggetti, ossia percepiscono che l’educatore non si cura dei loro sentimenti o delle loro idee, oppure se si sentono incompresi o svalutati, di conseguenza interagiscono in modo difensivo.

Quando l’educatore, invece di intervenire con modi comunicativi sbrigativi e diretti (valutazioni, interpretazioni, moralizzazioni, ecc.), si impegna a vedere la vita del giovane così come essi la vedono e sperimentano, si sentiranno spinti a comunicare sul loro mondo. L’educando svilupperà sentimenti di fiducia e sicurezza nei confronti dell’educatore. Non lo vede come uno che possiede la verità e vuole dimostrare l’abilità dei propri  ragionamenti e la validità delle proprie esperienze, ma lo percepisce come uno che s’interessa degli altri e li rispetta. Così l’educatore attraverso il processo di empatia diventerà un «alter ego» del giovane.

Nell’indicare le caratteristiche dell’amore pedagogico non si può trascurare il tratto dell’incoraggiamento. L’educatore non toglie mai la speranza ai suoi giovani, ma s’impegna a trovare una soluzione alle loro difficoltà. Uno dei modi più usati per incoraggiare i giovani consiste, anche secondo il modello educativo di don Bosco, nel porre uno stimolo per un cambiamento nella condotta verso una mèta da raggiungere, manifestando al giovane la speranza che tale scopo può essere da lui raggiunto. Inoltre vengono prese in considerazione le necessità ed esigenze dei ragazzi e ciò implica disponibilità, aiuto attivo, paziente e cordiale.

Se l’altro resiste

L’amore pedagogico implica anche il tratto della bontà, virtù che viene realizzata dall’educatore specialmente quando si dedica ai giovani più deboli e più bisognosi, senza tener conto se essi corrispondano o meno alla sua dedizione e al suo amore. Questo amore è stato riletto in chiave di filosofia femminista da Ned Noddings come il prendersi cura dell’altro, anche quando ciò diventa faticoso e denso di frustrazioni: si percepisce la resistenza dell’altro di fronte ai propri progetti educativi, ai propri obiettivi, alla propria volontà. Il giovane sfugge ai propositi e al potere dell’educatore perché non capisce, non accetta oppure porta in sé altri progetti, obiettivi, volontà.

L’amore pedagogico si celebra proprio quando si decide di non mettere da parte tale resistenza, negandola o sopraffacendola, bensì accettandola e cercando di sviluppare un lavorìo di ripensamento e riprogettazione dell’azione educativa. È un rinvio alla propria responsabilità, alla ricerca di nuove possibilità di incontro, al desiderio di comprendere e di aiutare. La manipolazione, al contrario, si colloca nella volontà ostinata di rimandare sempre all’altro la responsabilità delle difficoltà. Lévinas affermava: «Io sono responsabile dell’altro, senza attendere che questo diventi reciproco, dovesse costarmi la vita».

L’educatore è impegnato sì a esplorare il volto dell’altro, la sua domanda di umanità, di infinito, ma il riscontro di questa esplorazione è la ricerca di una più profonda e solida competenza educativa. Essa consiste nell’esplorare senza sosta gli ostacoli inerenti al discorso, nel rintracciare le formulazioni approssimative, nel cercare senza sosta nuovi esempi, dispositivi nuovi, nel moltiplicare le riformulazioni inventive, cambiare di cornice.

Questo ritorno etico caratterizza l’amore verso il prossimo, la disponibilità a prendersi cura dell’altro, la responsabilità professionale e umana di chi è impegnato in attività di servizio nei riguardi della comunità e dei singoli. P. Ricoeur descrive questa sollecitudine come «intima unione tra la prospettiva etica e la carne affettiva dei sentimenti».

L’avventura educativa

Benedetto XVI, anche se in una prospettiva diversa, ha richiamato l’attenzione su un aspetto della dimensione affettiva, quello dell’eros. «Ciò dipende innanzitutto dalla costituzione dell'essere umano, che è composto di corpo e di anima. L'uomo diventa veramente se stesso, quando corpo e anima si ritrovano in intima unità; la sfida dell'eros può dirsi veramente superata, quando questa unificazione è riuscita. Se l'uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come una eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità. E se, d'altra parte, egli rinnega lo spirito e quindi considera la materia, il corpo, come realtà esclusiva, perde ugualmente la sua grandezza. Ma l'eros ha bisogno di disciplina, di purificazione» (Deus caritas est 5).

Certamente nell’avventura educativa entra in gioco anche la componente erotica. Nei riguardi dei giovani occorre che tale dimensione sia controllata e purificata da una vigilanza attenta, per non cadere in un sentimentalismo che riconduce il tutto alla sola accettazione di una relazione affettivamente segnata, dimentica di ciò che caratterizza l’impegno educativo: promuovere la crescita umana, personale, sociale, culturale, professionale, spirituale e religiosa dei giovani. In particolare, tale vigilanza deve essere rivolta a varie possibili estremizzazioni della sollecitazione amorosa:

- un amore-passione, nel quale il fascino provato nei riguardi dell’educando porta alla ricerca di un rapporto duale privilegiato se non esclusivo;

- il tentativo di possesso, di dominio, di controllo dell’altro - anche attraverso una volontà insaziabile di conoscerlo, di scoprirne i minimi particolari personali;

- una riduzione dell’altro a oggetto, che può essere trasformato e manipolato e, a seconda dei successi o dei fallimenti ottenuti, rotto o messo in vetrina.

Ragione e fede

Nella tradizione pedagogica, la purificazione della passione amorosa viene operata dalla ragione. Nella pedagogia cristiana alla ragione si accosta la fede. È quanto con efficacia don Bosco riassumeva presentando il suo sistema educativo: basato su una dinamica integrazione tra ragione, religione e amorevolezza (cf Caritas in veritate 56). Tale integrazione deve guidare e sostenere l’azione educativa concreta. Ad esempio, l’uso della ragione (il ragionare con i giovani), la ragionevolezza dei discorsi, il metodo della persuasione, il far conoscere in modo preventivo norme e modi di agire e di relazionarsi, devono avere la meglio sull’imposizione violenta, sull’accettazione indiscussa, sull’obbedienza cieca.

L’intreccio degli apporti delle dimensioni: cognitiva, affettiva e religiosa favorisce lo sviluppo di un rapporto educativo segnato da molte qualità. Afferma P. Braido: «Le “piccole virtù” che cadono sotto il termine di amorevolezza - far conoscere che si ama, condividere le inclinazioni dei giovani - assumono dignità e consistenza, morale e pedagogica, grazie alle “grandi virtù” che ne sono il fondamento e l’animano». Le «grandi virtù» sono quelle dell’amore o carità teologale, della giustizia, disponibilità a incontrare il volto dell’altro.

Anche l’esperienza di un affetto adulto, rispettoso e disinteressato, è essenziale per sviluppare un atteggiamento positivo verso i valori connessi con l’accettare gli altri e il dedicarsi ad essi. Dalla religione deriva il fondamento più profondo dell’amore, del rispetto, della speranza e della fiducia dell’educatore nei riguardi dell’educando.

Michele Pellerey
Università Pontificia Salesiana
Piazza dell’Ateneo Salesiano 1
00139 Roma

 

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