Nella
tradizione aristotelica l’agire umano, anche quello educativo, è segnato
da tre dimensioni fondamentali: cognitiva, affettiva e volitiva. La
dimensione affettiva nell’interazione educativa si manifesta attraverso
la qualità degli atteggiamenti e delle forme del comunicare. Queste
manifestazioni esprimono da parte degli educatori la valutazione che
essi danno della persona e del comportamento dell’educando. Nella
polarità positiva di questa dimensione sono da collocare tratti come il
rispetto, la stima, il calore umano, l’accettazione incondizionata;
nella polarità negativa: il rifiuto, il distacco, la freddezza, la
svalutazione.
Caratteristiche dell’amore pedagogico
La
dimensione affettiva può essere vissuta come amore pedagogico. Un primo
tratto di tale amore è l’accettare in modo incondizionato i giovani,
ossia avere la capacità d’incontrarli come persone degne di stima e
rispetto, indipendentemente dalla loro struttura psichica, qualità
fisiche, provenienza sociale. Un ulteriore tratto, che contribuisce a
creare amorevolezza nell’interazione educativa, è l’impegnarsi da parte
dell’educatore nel cercare di percepire il mondo dei giovani, fino a
partecipare ed essere coinvolto pienamente nella loro vita. Se i giovani
si sentono trattati come oggetti, ossia percepiscono che l’educatore non
si cura dei loro sentimenti o delle loro idee, oppure se si sentono
incompresi o svalutati, di conseguenza interagiscono in modo difensivo.
Quando l’educatore, invece di intervenire con modi comunicativi
sbrigativi e diretti (valutazioni, interpretazioni, moralizzazioni,
ecc.), si impegna a vedere la vita del giovane così come essi la vedono
e sperimentano, si sentiranno spinti a comunicare sul loro mondo.
L’educando svilupperà sentimenti di fiducia e sicurezza nei confronti
dell’educatore. Non lo vede come uno che possiede la verità e vuole
dimostrare l’abilità dei propri ragionamenti e la validità delle
proprie esperienze, ma lo percepisce come uno che s’interessa degli
altri e li rispetta. Così l’educatore attraverso il processo di empatia
diventerà un «alter ego» del giovane.
Nell’indicare le caratteristiche dell’amore pedagogico non si può
trascurare il tratto dell’incoraggiamento. L’educatore non toglie mai la
speranza ai suoi giovani, ma s’impegna a trovare una soluzione alle loro
difficoltà. Uno dei modi più usati per incoraggiare i giovani consiste,
anche secondo il modello educativo di don Bosco, nel porre uno stimolo
per un cambiamento nella condotta verso una mèta da raggiungere,
manifestando al giovane la speranza che tale scopo può essere da lui
raggiunto. Inoltre vengono prese in considerazione le necessità ed
esigenze dei ragazzi e ciò implica disponibilità, aiuto attivo, paziente
e cordiale.
Se l’altro resiste
L’amore pedagogico implica anche il tratto della bontà, virtù che viene
realizzata dall’educatore specialmente quando si dedica ai giovani più
deboli e più bisognosi, senza tener conto se essi corrispondano o meno
alla sua dedizione e al suo amore. Questo amore è stato riletto in
chiave di filosofia femminista da Ned Noddings come il prendersi cura
dell’altro, anche quando ciò diventa faticoso e denso di frustrazioni:
si percepisce la resistenza dell’altro di fronte ai propri progetti
educativi, ai propri obiettivi, alla propria volontà. Il giovane sfugge
ai propositi e al potere dell’educatore perché non capisce, non accetta
oppure porta in sé altri progetti, obiettivi, volontà.
L’amore pedagogico si celebra proprio quando si decide di non mettere da
parte tale resistenza, negandola o sopraffacendola, bensì accettandola e
cercando di sviluppare un lavorìo di ripensamento e riprogettazione
dell’azione educativa. È un rinvio alla propria responsabilità, alla
ricerca di nuove possibilità di incontro, al desiderio di comprendere e
di aiutare. La manipolazione, al contrario, si colloca nella volontà
ostinata di rimandare sempre all’altro la responsabilità delle
difficoltà. Lévinas affermava: «Io sono responsabile dell’altro, senza
attendere che questo diventi reciproco, dovesse costarmi la vita».
L’educatore è impegnato sì a esplorare il volto dell’altro, la sua
domanda di umanità, di infinito, ma il riscontro di questa esplorazione
è la ricerca di una più profonda e solida competenza educativa. Essa
consiste nell’esplorare senza sosta gli ostacoli inerenti al discorso,
nel rintracciare le formulazioni approssimative, nel cercare senza sosta
nuovi esempi, dispositivi nuovi, nel moltiplicare le riformulazioni
inventive, cambiare di cornice.
Questo ritorno etico caratterizza l’amore verso il prossimo, la
disponibilità a prendersi cura dell’altro, la responsabilità
professionale e umana di chi è impegnato in attività di servizio nei
riguardi della comunità e dei singoli. P. Ricoeur descrive questa
sollecitudine come «intima unione tra la prospettiva etica e la carne
affettiva dei sentimenti».
L’avventura educativa
Benedetto XVI, anche se in una prospettiva diversa, ha richiamato
l’attenzione su un aspetto della dimensione affettiva, quello dell’eros.
«Ciò dipende innanzitutto dalla costituzione dell'essere umano, che è
composto di corpo e di anima. L'uomo diventa veramente se stesso, quando
corpo e anima si ritrovano in intima unità; la sfida dell'eros può dirsi
veramente superata, quando questa unificazione è riuscita. Se l'uomo
ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come una
eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro
dignità. E se, d'altra parte, egli rinnega lo spirito e quindi considera
la materia, il corpo, come realtà esclusiva, perde ugualmente la sua
grandezza. Ma l'eros
ha
bisogno di disciplina, di purificazione» (Deus
caritas est
5).
Certamente nell’avventura educativa entra in gioco anche la componente
erotica. Nei riguardi dei giovani occorre che tale dimensione sia
controllata e purificata da una vigilanza attenta, per non cadere in un
sentimentalismo che riconduce il tutto alla sola accettazione di una
relazione affettivamente segnata, dimentica di ciò che caratterizza
l’impegno educativo: promuovere la crescita umana, personale, sociale,
culturale, professionale, spirituale e religiosa dei giovani. In
particolare, tale vigilanza deve essere rivolta a varie possibili
estremizzazioni della sollecitazione amorosa:
- un
amore-passione, nel quale il fascino provato nei riguardi dell’educando
porta alla ricerca di un rapporto duale privilegiato se non esclusivo;
- il
tentativo di possesso, di dominio, di controllo dell’altro - anche
attraverso una volontà insaziabile di conoscerlo, di scoprirne i minimi
particolari personali;
-
una riduzione dell’altro a oggetto, che può essere trasformato e
manipolato e, a seconda dei successi o dei fallimenti ottenuti, rotto o
messo in vetrina.
Ragione e fede
Nella tradizione pedagogica, la purificazione della passione amorosa
viene operata dalla ragione. Nella pedagogia cristiana alla ragione si
accosta la fede. È quanto con efficacia don Bosco riassumeva presentando
il suo sistema educativo: basato su una dinamica integrazione tra
ragione, religione e amorevolezza (cf
Caritas in veritate
56).
Tale integrazione deve guidare e sostenere l’azione educativa concreta.
Ad esempio, l’uso della ragione (il ragionare con i giovani), la
ragionevolezza dei discorsi, il metodo della persuasione, il far
conoscere in modo preventivo norme e modi di agire e di relazionarsi,
devono avere la meglio sull’imposizione violenta, sull’accettazione
indiscussa, sull’obbedienza cieca.
L’intreccio degli apporti delle dimensioni: cognitiva, affettiva e
religiosa favorisce lo sviluppo di un rapporto educativo segnato da
molte qualità. Afferma P. Braido: «Le “piccole virtù” che cadono sotto
il termine di
amorevolezza
-
far conoscere che si ama, condividere le inclinazioni dei giovani -
assumono dignità e consistenza, morale e pedagogica, grazie alle “grandi
virtù” che ne sono il fondamento e l’animano». Le «grandi virtù» sono
quelle dell’amore o carità teologale, della giustizia, disponibilità a
incontrare il volto dell’altro.
Anche l’esperienza di un affetto adulto, rispettoso e disinteressato, è
essenziale per sviluppare un atteggiamento positivo verso i valori
connessi con l’accettare gli altri e il dedicarsi ad essi. Dalla
religione deriva il fondamento più profondo dell’amore, del rispetto,
della speranza e della fiducia dell’educatore nei riguardi
dell’educando.
Michele Pellerey
Università Pontificia Salesiana
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