n. 2
febbraio 2011

 

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Come in una danza
Dio parla ascolta risponde

di ANTONIETTA AUGRUSO

 

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«Il Signore vi parlò dal fuoco; voi udivate il suono delle parole, ma non vedevate alcuna figura: vi era soltanto una voce. Egli vi annunciò la sua alleanza» (Dt 4,12- 13). Così Mosè evocava davanti al popolo l’esperienza fondante che lo aveva plasmato nel deserto del Sinai: una voce sovrana che il fuoco avvolgeva e su tutti si distendeva al pari della nube protettiva. La Parola ha un primato sull’uomo, esprime l’iniziativa gratuita di Dio, anche se la parola alleanza potrebbe segnalare una intesa fra pari. «Ciò che noi chiamiamo Antica e Nuova Alleanza non è un atto di intesa tra due parti uguali, ma puro dono di Dio» (VD 22).

Vi sono alcuni paragrafi nell’esortazione Verbum Domini che sono dedicati proprio alla centralità della Parola che Dio liberamente rivolge, in vari modi nel cosmo, e in special modo e direttamente agli uomini (VD 21-24). Non si tratta solo di una iniziativa che scende ed esce dall’intimo segreto di Dio e si espande dovunque; ma di una rivelazione che sollecita - proprio nell’intenzione dello stesso Dio rivelatore - ad un dialogo, ad una comunione, ad una risposta, ad una fiducia reciproca.

 

Parola come offerta di alleanza

L’esistenza del creato e delle creature è frutto della parola onnipotente ed efficace di Dio. In queste realtà Dio ha immesso il dinamismo intrinseco del suo stesso rivelarsi: ha reso il cosmo e ogni uomo destinatari della sua parola creatrice. Nello stesso tempo vi ha immesso il dinamismo della risposta, dell’appello al dialogo. «Ogni uomo appare come il destinatario della Parola, interpellato e chiamato ad entrare in tale dialogo d’amore con una risposta libera [...]. L’uomo è creato nella Parola e vive in essa; egli non può capire se stesso se non si apre a questo dialogo » (VD 22).

In altri termini, senza un’esistenza dialogica, fiduciosa e relazionale con Dio, l’uomo non comprenderà mai se stesso. E neppure comprenderà chi è Dio per lui e come rapportarsi a lui. Per questo il “Logos fatto carne” (cf Gv 1,14) è la cifra interpretativa della natura stessa dell’uomo, in quanto pienezza di ciò che Dio vuole dire, fino ad una concretezza estrema, come appunto è l’incarnazione del Verbo (la sua Parola). È la forma umana più aperta e disponibile alla vera identità dell’uomo, il vertice verso cui tende l’umanità davanti a Dio interpellante e rivelatore. Per questo la Gaudium et Spes afferma: «solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo... [perché] svela l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (GS 22).

 Da questo punto di vista, quando parliamo della parola di Dio, per stare alla vera implicazione teologica che questa espressione comporta, dobbiamo andare ben oltre il libro della Bibbia, che di fatto raccoglie in parte (e solo in parte) quanto gli uomini hanno saputo memorizzare e tramandare. Si tratta di saper cogliere sotto le tracce dello scritto, e attraverso questa finestra, che riflette coscienza e interpretazione umana, il dialogo che lo precede e travalica, in un eterno presente efficace. È il dialogo che apre alla speranza, «il nome che noi diamo alla sproporzione tra quanto ci è promesso e quanto abbiamo fra le mani. Ma quanto è promesso ci tiene in vita».1

Dio ascolta e risponde

La mentalità ebraica ha giustamente conservato questa eccedenza attraverso l’uso della parola dabar, che non indica solo la parola di Dio e quanto dice, ma molto di più. Vi si include la sua stessa identità di parlante con efficacia, la sua interiore vitalità e potenza: egli dice e realizza quanto ha detto, mette in atto quanto l’espressione vocale afferma. «Una delle immagini del paradiso offerte dall’omiletica rabbinica è quella di un betha-midrash, una casa di studio dove i maestri studieranno la Torà insieme a Dio».2

Basta pensare all’incipit della creazione: «Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu» (Gen 1,2). Questa inseparabile presenza di parola ed effetto porta a capire bene come nella stessa realtà “costituita” dalla parola creatrice sia intrinseca la forza relazionale, l’appello al dialogo, l’attrazione verso Colui che ha dato forma all’esistere con il “creare”.

Dio stesso si è compromesso in questa relazione, talmente intrecciata che neppure lui può più sottrarsi al dialogo: si è messo nella posizione di dover ascoltare e accogliere la reazione “dialogante” delle sue creature. Se dall’intimo dell’uomo proviene l’esigenza di entrare in dialogo con Colui che lo ha creato come “dialogante” per essenza, quando questa struttura essenziale prende sviluppo, trova Dio stesso in attesa per ascoltare e rispondere, per tessere intese e alimentare comunione, come ricorda la riflessione del giudeo alessandrino autore del libro della Sapienza (Sap 6,12-16).

Il paragrafo 23 della Verbum Domini lo ribadisce: «In dialogo con Dio comprendiamo noi stessi e troviamo risposta alle domande più profonde che albergano nel nostro cuore». Dio porge orecchio e ascolta (Mal 4,16), scende a vedere e conosce sofferenze e angosce (Es 3,7-8), accoglie la supplica solitaria di Agar e l’angoscia intima di Abramo (Gen 16,7; 21,14-20), intercetta la voglia di morire di Elia (1Re 19,4) e la preghiera solenne di Salomone (1Re 8,27-53). Si potrebbe continuare all’infinito in questi esempi di ascolto serio e attento di Dio, non solo delle suppliche del popolo d’Israele, ma di qualunque altro popolo.

 Per questo il testo aggiunge: «Quindi è decisivo, dal punto di vista pastorale, presentare la parola di Dio nella sua capacità di dialogare con i problemi che l’uomo deve affrontare nella vita quotidiana [...]. Dobbiamo impiegare ogni sforzo per mostrare la parola di Dio come apertura ai propri problemi, come risposta alle proprie domande, un allargamento dei propri valori ed insieme come una soddisfazione alle proprie aspirazioni» (VD 23).

Una forma tutta speciale della risposta di Dio, mescolata con la nostra risposta, si ha nei Salmi e nelle preghiere di lode o supplica contenute nella Bibbia. Sono parola non solo di rivelazione di Dio, frutto dell’ispirazione dello Spirito di verità e di luce, ma anche parola che Dio ci dona per rispondergli. «Egli ci dà le parole con cui possiamo rivolgerci a lui, portare la nostra vita nel colloquio davanti a lui, trasformando così la vita stessa in un movimento verso Dio» (VD 24). La nostra abitudine a “recitare” i Salmi rischia a volte di considerarli solo come delle formule da recitare e non come rivelazione e interpretazione di Dio dei nostri problemi e nostra risposta da lui suggerita, che spiega e chiama, implora e loda.

Opportunamente l’esortazione insiste su questo punto: «In tal modo la parola che l’uomo rivolge a Dio diventa anch’essa parola di Dio,    a conferma del carattere dialogico di tutta la rivelazione cristiana, e l’intera esistenza dell’uomo diviene un dialogo con Dio che parla ed ascolta, che chiama e mobilita la vita. La parola di Dio rivela qui che tutta l’esistenza dell’uomo è sotto la chiamata divina» (VD 24).

E quando Dio non trova risposta?

Uno dei nodi del discorso sul rivelarsi di Dio e sul suo appello al dialogo è rappresentato da esperienze nelle quali Dio non sembra rispondere: rimane in silenzio, nonostante suppliche e lamenti. Certamente è un silenzio che esprime trascendenza e non manipolabilità. C’è un silenzio di adorazione e timore da coltivare; e c’è un silenzio di assimilazione, di decantazione, di essenzialità: «Taci, o dì qualcosa di più importante del silenzio», diceva un padre del deserto.

Il parlare con Dio non è semplicemente dire qualche cosa, ripetendo formule e gesti, a cui Dio dovrebbe dare risposta soddisfacente. Anche la domanda di Dio ci precede e spesso non trova da noi risposta. Come quella fatta ai primordi: «Adamo dove sei?» (Gen 3,9). In questo interrogativo c’è l’invito ad ogni essere umano a comprendersi, a fare chiarezza sui percorsi intrapresi, ad uscire dal nascondiglio costruito per paura, forse per pigrizia oppure perché si ha un’immagine di Dio congelata dai suoi schemi apparentemente reali.

Si racconta di Rabbi Shneur Zalman - il Rav della Russia - che, mentre è in prigione per calunnia, un giorno il capo delle guardie entra nella sua cella e si mette a conversare con lui, chiedendogli spiegazioni sulla domanda che Dio fa ad Adamo: “Dove sei?” (Gen 3,9). Il sapiente maestro chiede alla guardia: “Credete voi che la Scrittura è eterna e che abbraccia tutti i tempi, tutte le generazioni e tutti gli individui?”. “Sì, lo credo”, disse. “Ebbene, riprese lo zaddik (il giusto), in ogni tempo Dio interpella ogni uomo: Dove sei nel tuo mondo? Dei giorni e degli anni a te assegnati ne sono già trascorsi molti. Nel frattempo tu fin dove sei arrivato nel tuo mondo? Dio dice per esempio: Ecco sono già quarantasei anni che sei in vita. Dove ti trovi?”.3 La guardia sentì il cuore tremare. Il rabbino gli aveva presentato una prospettiva altra, le sue aspettative non erano certamente quelle di dover interrogarsi sulle sue azioni e il pensiero che le aveva generate. La risposta mirava a dirgli che Dio si rivolgeva proprio a lui, chiedendogli: “Dove sei?”.

Quando Dio non risponde

L’esortazione Verbum Domini sembra particolarmente attenta alla problematica del silenzio di Dio, di cui forse più che in altre epoche soffriamo noi oggi. Infatti lo evoca più volte, anzitutto in chiave cristologica, in particolare là dove si parla del «Mistero Pasquale». «Qui siamo posti di fronte alla “Parola della croce” (1Cor 1,18). Il Verbo ammutolisce, diviene silenzio mortale, poiché si è “detto” fino a tacere, non trattenendo nulla di ciò che ci doveva comunicare [...]. La libertà di Dio e la libertà dell’uomo si sono definitivamente incontrate nella sua carne crocifissa, in un patto indissolubile, valido per sempre» (VD 12).

Un secondo richiamo si riscontra al paragrafo 21, che cerca di applicare l’esperienza di Cristo alla nostra esperienza. In poche righe ben sette volte ricorre la parola silenzio, ad indicare (implicitamente) preoccupazione e sofferenza che cercano luce e spiegazione. «Questa esperienza di Gesù è indicativa della situazione dell’uomo che, dopo aver ascoltato e riconosciuto la parola di Dio, deve misurarsi anche con il suo silenzio. [...]. In questi momenti oscuri egli parla nel mistero del suo silenzio. È un’esperienza vissuta da tanti santi e mistici, e che pure oggi entra nel cammino di molti credenti» (VD 21).

Benedetto XVI ha sviluppato questo argomento nelle Omelie, perché sente il tormento della nostra cultura e delle nostre vicende tragiche, come quella dell’Olocausto. La sobrietà del paragrafo 21 segnala il suo rispetto e la sua teologia: si ferma alle soglie del mistero della Parola per antonomasia, che diviene muta e risponde col silenzio al grido e all’orrore: «Pertanto nella dinamica della Rivelazione cristiana, il silenzio appare come un’espressione importante della parola di Dio» (VD 21). Il silenzio è anche elemento indispensabile per accogliere la Parola e lasciare che si realizzi: di questo si parla al n. 66 dedicato al rapporto tra «Parola e silenzio», «per mezzo del quale, con l’aiuto dello Spirito Santo, la parola di Dio viene accolta nel cuore».

Stupiti dall’audacia di Dio

La comunicazione di Dio, fuori di sé, è passata e passa per un percorso creativo, dinamico, composito, fatto di parole e silenzi, eventi e memorie, risposte e distanze. Dio sorprende, è semper maior. Ma si è fatto vicino, viandante con noi viandanti, mendicante con noi medicanti, carne della nostra carne, volto fra i nostri volti. Ha danzato sull’orbe terracqueo creando e ornando il cosmo; ha danzato attorno alle genti e ad ogni singola persona con l’offerta del dialogo e la sua passione per una fedeltà innamorata.

«La tradizione cristiana ha spesso posto in parallelo la Parola divina che si fa carne con la Parola che si fa libro» (Messaggio del Sinodo, 5). Questa dimensione “carnale” sublima la dimensione dialogale: si fanno insieme esperienza ardita e ispirazione per una prossimità rivelatrice del nostro Dio. «Il silenzio ti aiuta a diventare luce tenue, che non pretende di soffocare il buio, ma lo invita a diventare a sua volta luce».4

1 E. RONCHI, Il futuro ha un cuore di tenda, a cura di Luca Buccheri, Romena, Pratovecchio (AR) 2010, 42.

2 P. DE BENEDETTI, Ciò che tarda avverrà, Qiqajon, Comunità di Bose 1992, 19.

3 M. BUBER, Il cammino dell’uomo secondo l’insegnamento chassidico, Qiqajon, Comunità di Bose 1990, 17-21.

4 E. OLIVERO, Per una Chiesa scalza, Priuli &Verlucca, Torino 2010, 71.

                                                                                   

Antonietta Augruso
Docente di Religione
Via Eurialo, 91 - 00181 Roma

 

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