G
Già
a prima vista e dopo un veloce sguardo all’indice, l’esortazione
apostolica postsinodale Verbum Domini, che il Santo Padre
Benedetto XVI ha licenziato il 30 settembre 2010, si presenta come un
vero e proprio “trattato” sulla parola di Dio, Se è pur vero che con
questo documento egli ha inteso raccogliere e rilanciare i lavori svolti
dalla XII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, svoltosi
nell’ottobre del 2008, è ancor più vero che il risultato finale va molto
al di là di questo obiettivo. Dicevamo che l’impressione che se ne
ricava è quella di trovarsi propriamente davanti a un “trattato” sulla
parola di Dio che mette insieme teologia, spiritualità, pastorale,
missiologia. Non a caso qualcuno ha parlato di una vera e propria
“cattedrale” sulla parola di Dio.
La
“cattedrale” della parola di Dio
Utilizzando proprio tale metafora, ci possiamo allora introdurre alla
struttura del documento, indicando nelle tre parti che lo compongono
quasi un altare, una navata centrale spaziosa e infine un ampio e largo
sagrato.
Al
centro di questa cattedrale ci sta appunto l’altare, il Verbum Domini,
la parola di Dio: la prima parte dell’esortazione, infatti riprendendo
il testo conciliare della Dei Verbum, mette a fuoco la
singolarità del Dio cristiano che parla con il suo popolo e lo
accompagna con il dono della parola, fino a diventare egli stesso, in
Gesù, Parola di vita e di verità. Tutto questo trova ora attestazione
nella sacra Scrittura affidata alla Chiesa perché, scrutandone e
attualizzandone il messaggio, incessantemente continui e rinnovi il
dialogo tra Dio e l’uomo.
La
navata centrale è data dalla seconda parte:
Verbum in ecclesia,
la Parola nella Chiesa. Il Papa sottolinea che non ci può essere agire
della Chiesa se non c’è presenza e celebrazione della Parola. Infine si
trova l’ampio e largo sagrato. È la terza parte del documento:
Verbum mundo,
la Parola nel mondo, dove trova compimento l’intero itinerario dei
passaggi precedenti. La comunità dei credenti è oggi esortata a
ripartire dalla parola di Dio, a rimetterla sempre più a centro della
sua vita liturgica e sacramentale, della sua attività vocazionale e
formativa, al fine di far ripartire con più slancio la missione della
Chiesa nel mondo e in modo particolare in quelle nazioni «dove il
Vangelo è stato dimenticato o soffre l’indifferenza dei più a causa di
un diffuso secolarismo» (n. 122).
Lettura
familiare
I
termini che ora più ricorrono nel testo sono:
Dio,
dialogo,
familiarità
e
ovviamente
Parola.
Proprio questi concetti costituiscono la trama fondamentale del pensiero
di Benedetto XVI. Da più tempo egli ricorda che il vero problema del
nostro tempo è il venir meno dall’orizzonte di senso degli uomini del
riferimento a Dio, al suo amore, alla speranza che egli accende nei loro
cuori e che attiva una prassi di umanità segnata dalla pace e dalla
riconciliazione. Fare a meno di Dio, sembra essere oggi quasi sinonimo
di sano realismo, di atteggiamento da uomini maturi e pienamente
emancipati.
Qui
si pone, in verità, la sfida vera
alla
e
della
fede. Scrive in modo incisivo il Papa al numero 10 di
Verbum Domini:
«La parola di Dio ci spinge a cambiare il nostro concetto di realismo:
realista è chi riconosce nel Verbo di Dio il fondamento di tutto. Di ciò
abbiamo particolarmente bisogno nel nostro tempo, nel quale molte cose
su cui si fa affidamento per costruire la vita, su cui si è tentati di
riporre la propria speranza, rivelano il loro carattere effimero.
L’avere, il piacere e il potere si manifestano prima o poi incapaci di
compiere le aspirazioni più profonde del cuore dell’uomo. Egli, infatti,
per edificare la propria vita ha bisogno di fondamenta solide, che
rimangano anche quando le certezze umane vengono meno».
Ora
la familiarità con la parola di Dio che ci aprirebbe a questo dialogo
con Dio è ciò che più ci manca. E tale familiarità passa, come è noto,
attraverso la lettura e la meditazione della sacra Scrittura, cosa
sempre meno praticata.
Esattamente qualche tempo prima dell’apertura del Sinodo sulla parola di
Dio, cioè nel mese di aprile del 2008, la Commissione Biblica ha
commissionato un’indagine all’Eurisko circa la conoscenza diffusa della
sacra Scrittura, i cui risultati furono e sono davvero molto
sconfortanti. Restando semplicemente all’ambito del nostro Paese,
l’indagine ha dovuto registrare che l’86% di quell’88% degli Italiani
che si dichiara cattolico ignora completamente o quasi la Bibbia. Non
che manchi il testo della Bibbia nelle case dei cattolici italiani,
semplicemente non viene aperto e letto.
Lettura
teologica
Un
altro lemma che emerge di frequente nell’esortazione è l’aggettivo
“teologico”, soprattutto in riferimento alla lettura della sacra
Scrittura. Pur riconoscendo la bontà degli studi esegetici che negli
ultimi anni hanno arricchito la ricerca biblica, il Papa con decisione e
con insistenza sottolinea l’esigenza di un’ermeneutica
teologica
della Scrittura ovvero di un’ermeneutica della fede. Ove questa manchi,
il pericolo è che al suo posto subentri «un’ermeneutica
secolarizzata,
positivista, la cui chiave fondamentale è la convinzione che Dio non
appare nella storia umana» (n. 35). Deve quindi ricucirsi lo strappo che
oggi esiste tra esegesi, teologia, spiritualità, perché solo questo
permette e sostiene un annuncio della Parola efficace e pieno.
Per
rendere incisiva tale intuizione, il testo ricorre ad una struttura
chiasmatica, che sigilla bene l’urgenza che sta al cuore del Papa: «Dove
l’esegesi non è teologia, la Scrittura non può essere l’anima della
teologia e, viceversa, dove la teologia non è essenzialmente
interpretazione della Scrittura nella Chiesa, questa teologia non ha più
fondamento» (n.35).
Lettura
mariana
Un
posto di rilievo viene riservato, nei punti di svolta del documento,
alla figura di Maria e alla sua feconda testimonianza di donna della
Parola. Viene ricordata al n. 27 come colei nella quale la reciprocità
tra fede e parola di Dio si è compiuta perfettamente; è ancora presente
al n. 88, dove si menzionano e si raccomandano le preghiere di indole
mariana, tutte profondamente ispirate alla Scrittura. E infine,
nell’ultimo numero del documento, il n.124, il Papa, facendo eco alle
parole che Gesù proclama nel vangelo di Luca al capitolo 11,28, afferma
che la piena grandezza di Maria è stata quella dell’essersi resa docile
e attiva esecutrice della Parola. In questo Maria ci è di costante
esempio e aiuto, «aprendo anche a noi la possibilità di quella
beatitudine che nasce dalla Parola accolta e messa in pratica» (n. 124).
La
testimonianza della vita consacrata
Merita, infine, di essere ricordata la parola di particolare affetto e
gratitudine che il Papa rivolge alle forme di vita consacrata. In coloro
che intraprendono questo cammino, nelle diverse espressioni che la vita
della Chiesa conosce, vi è impressa la centralità del rapporto del
credente con la parola di Dio e quindi ultimamente con Dio stesso: «La
Chiesa ha più che mai bisogno della testimonianza di chi si impegna a
“non anteporre nulla all’amore di Cristo” (san Benedetto). Il mondo di
oggi è spesso troppo assorbito dalle attività esteriori nelle quali
rischia di perdersi» (n. 83).
La
vita consacrata e in modo particolare quella contemplativa -ricorda il
Papa - «indica al mondo di oggi, quello che è più importante, in
definitiva, l’unica cosa decisiva: esiste una ragione ultima per cui
vale la pena di vivere, cioè, Dio e il suo amore imperscrutabile »
(ivi).
Ritorna qui il
leitmotiv
di
questo Pontificato: l’amore di Dio, da cercare prima e più di ogni altra
cosa, in quanto proprio tale amore è l’unico in grado di sostenere il
cammino storico degli uomini e delle donne, instradandolo in sentieri di
giustizia e di verità, l’unico in grado di farsi garante di una speranza
che non delude e che perciò autorizza una libera circolazione d’amore
tra di noi.
Questo è il
realismo
cristiano cui la parola di Dio ci rende familiari, una Parola alla quale
dobbiamo con maggiore solerzia e fiducia rendere noi stessi più
familiari.
Armando Matteo
Assistente Nazionale della FUCI
Via
F. Marchetti Selvaggiani, 22
00165 Roma