n. 3
marzo 2011

 

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Il lessico della Verbum Domini

di ARMANDO MATTEO

 

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Già a prima vista e dopo un veloce sguardo all’indice, l’esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini, che il Santo Padre Benedetto XVI ha licenziato il 30 settembre 2010, si presenta come un vero e proprio “trattato” sulla parola di Dio, Se è pur vero che con questo documento egli ha inteso raccogliere e rilanciare i lavori svolti dalla XII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, svoltosi nell’ottobre del 2008, è ancor più vero che il risultato finale va molto al di là di questo obiettivo. Dicevamo che l’impressione che se ne ricava è quella di trovarsi propriamente davanti a un “trattato” sulla parola di Dio che mette insieme  teologia, spiritualità, pastorale, missiologia. Non a caso qualcuno ha parlato di una vera e propria “cattedrale” sulla parola di Dio.

La “cattedrale” della parola di Dio

Utilizzando proprio tale metafora, ci possiamo allora introdurre alla struttura del documento, indicando nelle tre parti che lo compongono quasi un altare, una navata centrale spaziosa e infine un ampio e largo sagrato.

Al centro di questa cattedrale ci sta appunto l’altare, il Verbum Domini, la parola di Dio: la prima parte dell’esortazione, infatti riprendendo il testo conciliare della Dei Verbum, mette a fuoco la singolarità del Dio cristiano che parla con il suo popolo e lo accompagna con il dono della parola, fino a diventare egli stesso, in Gesù, Parola di vita e di verità. Tutto questo trova ora attestazione nella sacra Scrittura affidata alla Chiesa perché, scrutandone e attualizzandone il messaggio, incessantemente continui e rinnovi il dialogo tra Dio e l’uomo.

La navata centrale è data dalla seconda parte: Verbum in ecclesia, la Parola nella Chiesa. Il Papa sottolinea che non ci può essere agire della Chiesa se non c’è presenza e celebrazione della Parola. Infine si trova l’ampio e largo sagrato. È la terza parte del documento: Verbum mundo, la Parola nel mondo, dove trova compimento l’intero itinerario dei passaggi precedenti. La comunità dei credenti è oggi esortata a ripartire dalla parola di Dio, a rimetterla sempre più a centro della sua vita liturgica e sacramentale, della sua attività vocazionale e formativa, al fine di far ripartire con più slancio la missione della Chiesa nel mondo e in modo particolare in quelle nazioni «dove il Vangelo è stato dimenticato o soffre l’indifferenza dei più a causa di un diffuso secolarismo» (n. 122).

Lettura familiare

I termini che ora più ricorrono nel testo sono: Dio, dialogo, familiarità e ovviamente Parola. Proprio questi concetti costituiscono la trama fondamentale del pensiero di Benedetto XVI. Da più tempo egli ricorda che il vero problema del nostro tempo è il venir meno dall’orizzonte di senso degli uomini del riferimento a Dio, al suo amore, alla speranza che egli accende nei loro cuori e che attiva una prassi di umanità segnata dalla pace e dalla riconciliazione. Fare a meno di Dio, sembra essere oggi quasi sinonimo di sano realismo, di atteggiamento da uomini maturi e pienamente emancipati.

Qui si pone, in verità, la sfida vera alla e della fede. Scrive in modo incisivo il Papa al numero 10 di Verbum Domini: «La parola di Dio ci spinge a cambiare il nostro concetto di realismo: realista è chi riconosce nel Verbo di Dio il fondamento di tutto. Di ciò abbiamo particolarmente bisogno nel nostro tempo, nel quale molte cose su cui si fa affidamento per costruire la vita, su cui si è tentati di riporre la propria speranza, rivelano il loro carattere effimero. L’avere, il piacere e il potere si manifestano prima o poi incapaci di compiere le aspirazioni più profonde del cuore dell’uomo. Egli, infatti, per edificare la propria vita ha bisogno di fondamenta solide, che rimangano anche quando le certezze umane vengono meno».

Ora la familiarità con la parola di Dio che ci aprirebbe a questo dialogo con Dio è ciò che più ci manca. E tale familiarità passa, come è noto, attraverso la lettura e la meditazione della sacra Scrittura, cosa sempre meno praticata.

Esattamente qualche tempo prima dell’apertura del Sinodo sulla parola di Dio, cioè nel mese di aprile del 2008, la Commissione Biblica ha commissionato un’indagine all’Eurisko circa la conoscenza diffusa della sacra Scrittura, i cui risultati furono e sono davvero molto sconfortanti. Restando semplicemente all’ambito del nostro Paese, l’indagine ha dovuto registrare che l’86% di quell’88% degli Italiani che si dichiara cattolico ignora completamente o quasi la Bibbia. Non che manchi il testo della Bibbia nelle case dei cattolici italiani, semplicemente non viene aperto e letto.

Lettura teologica

Un altro lemma che emerge di frequente nell’esortazione è l’aggettivo “teologico”, soprattutto in riferimento alla lettura della sacra Scrittura. Pur riconoscendo la bontà degli studi esegetici che negli ultimi anni hanno arricchito la ricerca biblica, il Papa con decisione e con insistenza sottolinea l’esigenza di un’ermeneutica teologica della Scrittura ovvero di un’ermeneutica della fede. Ove questa manchi, il pericolo è che al suo posto subentri «un’ermeneutica secolarizzata, positivista, la cui chiave fondamentale è la convinzione che Dio non appare nella storia umana» (n. 35). Deve quindi ricucirsi lo strappo che oggi esiste tra esegesi, teologia, spiritualità, perché solo questo permette e sostiene un annuncio della Parola efficace e pieno.

Per rendere incisiva tale intuizione, il testo ricorre ad una struttura chiasmatica, che sigilla bene l’urgenza che sta al cuore del Papa: «Dove l’esegesi non è teologia, la Scrittura non può essere l’anima della teologia e, viceversa, dove la teologia non è essenzialmente interpretazione della Scrittura nella Chiesa, questa teologia non ha più fondamento» (n.35).

Lettura mariana

Un posto di rilievo viene riservato, nei punti di svolta del documento, alla figura di Maria e alla sua feconda testimonianza di donna della Parola. Viene ricordata al n. 27 come colei nella quale la reciprocità tra fede e parola di Dio si è compiuta perfettamente; è ancora presente al n. 88, dove si menzionano e si raccomandano le preghiere di indole mariana, tutte profondamente ispirate alla Scrittura. E infine, nell’ultimo numero del documento, il n.124, il Papa, facendo eco alle parole che Gesù proclama nel vangelo di Luca al capitolo 11,28, afferma che la piena grandezza di Maria è stata quella dell’essersi resa docile e attiva esecutrice della Parola. In questo Maria ci è di costante esempio e aiuto, «aprendo anche a noi la possibilità di quella beatitudine che nasce dalla Parola accolta e messa in pratica» (n. 124).

La testimonianza della vita consacrata

Merita, infine, di essere ricordata la parola di particolare affetto e gratitudine che il Papa rivolge alle forme di vita consacrata. In coloro che intraprendono questo cammino, nelle diverse espressioni che la vita della Chiesa conosce, vi è impressa la centralità del rapporto del credente con la parola di Dio e quindi ultimamente con Dio stesso: «La Chiesa ha più che mai bisogno della testimonianza di chi si impegna a “non anteporre nulla all’amore di Cristo” (san Benedetto). Il mondo di oggi è spesso troppo assorbito dalle attività esteriori nelle quali rischia di perdersi» (n. 83).

La vita consacrata e in modo particolare quella contemplativa -ricorda il Papa - «indica al mondo di oggi, quello che è più importante, in definitiva, l’unica cosa decisiva: esiste una ragione ultima per cui vale la pena di vivere, cioè, Dio e il suo amore imperscrutabile » (ivi).

Ritorna qui il leitmotiv di questo Pontificato: l’amore di Dio, da cercare prima e più di ogni altra cosa, in quanto proprio tale amore è l’unico in grado di sostenere il cammino storico degli uomini e delle donne, instradandolo in sentieri di giustizia e di verità, l’unico in grado di farsi garante di una speranza che non delude e che perciò autorizza una libera circolazione d’amore tra di noi.

Questo è il realismo cristiano cui la parola di Dio ci rende familiari, una Parola alla quale dobbiamo con maggiore solerzia e fiducia rendere noi stessi più familiari.

 

Armando Matteo
Assistente Nazionale della FUCI
Via F. Marchetti Selvaggiani, 22
00165 Roma

 

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