n. 1
gennaio 2012

 

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La fede nelle nuove generazioni
 
Un difficile cammino

PAOLA BIGNARDI

 

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Il tema dell’educazione delle nuove generazioni alla fede e della fede costituisce oggi una delle maggiori sfide che le comunità cristiane hanno di fronte a sé; in fondo, il loro futuro dipende dal modo con cui sapranno mostrare ai ragazzi e ai giovani di oggi la grande prospettiva che si apre di fronte a chi include Dio nel proprio orizzonte di vita e a chi decide di far credito a Gesù Cristo e al suo Vangelo.

È questione di straordinaria complessità: su di essa influiscono i cambiamenti profondi in atto nella società e che si riflettono sui più giovani con un’influenza di cui è ora difficile cogliere la portata e di cui il mondo educativo, anche ecclesiale, non sembra ancora pienamente avvertito.

Qui mi limito a considerare la fede dal punto di vista delle dinamiche educative, senza tener conto del fatto innegabile che essa è anzitutto dono di Dio avvolto nel mistero. Si è abituati ad associare l’educazione alla fede ad un processo di trasmissione, a partire dalla consapevolezza che come adulti - credenti, famiglie, comunità cristiane - abbiamo ricevuto un patrimonio prezioso che abbiamo la responsabilità e la gioia di consegnare alle nuove generazioni.

Percorsi non più efficaci

Due sembrano essere i percorsi più consueti di tale trasmissione: quella familiare e quella parrocchiale.

La famiglia cristiana trasmette la fede così come la vive, come un’eredità di valore che consegna a chi verrà dopo, con la cura e la trepidazione di chi affida a chi ama ciò che gli è più caro. Per questo i genitori chiedono per i loro figli i sacramenti anche in età molto precoce e li educano alla fede. Nel trasmettere la fede, seguono lo stesso procedimento che seguono per l’educazione di ogni altro aspetto della vita: proposte e riflessioni condotte in maniera spesso informale, indicazione di comportamenti, esperienze significative finalizzate a coinvolgere, esempio della propria vita.

La parrocchia educa attraverso percorsi strutturati e tende a far comprendere quanto la fede sia importante. La Chiesa avverte la responsabilità di non disperdere il patrimonio di verità che ha ricevuto, di cui è custode e che ha il mandato di far giungere fino ai confini della terra. È quanto hanno fatto e fanno soprattutto le parrocchie con la loro catechesi, in cui attraverso la testimonianza della comunità e dei catechisti e attraverso percorsi strutturati e sempre più curati, hanno avviato i più giovani a scoprire l’importanza e il valore insostituibile della fede. Queste forme di trasmissione della fede oggi sembrano non essere più efficaci, per diverse ragioni.

Linee di tendenza sfavorevoli

Il contesto in cui i ragazzi e i giovani crescono è ormai pieno di “educatori nascosti”, che diffondono un’idea della vita diversa da quella religiosamente ispirata. Esso è caratterizzato da linee di tendenza sfavorevoli a cogliere il valore di una prospettiva cristiana: il carattere fortemente esteriore e superficiale della cultura diffusa, che porta all’affievolirsi del senso dell’interiorità e della capacità di introspezione; l’indebolirsi del senso dell’autorità a tutti i livelli, a cominciare da quello familiare. Si tratta di una tendenza che si collega alla debolezza del senso sociale e delle istituzioni e alla crisi dell’appartenenza ad una comunità.

All’influenza del contesto occorre aggiungere la condizione problematica della generazione adulta, che sembra aver rinunciato alla responsabilità di educare i più giovani, ai quali trasmette anche la propria indifferenza nei confronti della fede. Gli adulti di oggi infatti sono «una generazione che non si pone contro Dio o contro la Chiesa, ma una generazione che sta imparando a vivere senza Dio e senza la Chiesa».1

Il percorso verso la fede oggi è reso ancor più complesso da una forte esigenza di personalizzazione presente nei giovani, cioè il bisogno di avere ragioni proprie per compiere delle scelte. Si tratta di un aspetto potenzialmente positivo, dal momento che consente alla fede di radicarsi nella coscienza e di sostenersi su ragioni maturate personalmente. Tuttavia, è un percorso difficile, esposto al rischio dei molteplici elementi che tendono a distogliere i giovani da una prospettiva di vita impegnativa.

Generazioni senza Dio?

È finito il tempo della fede? I giovani, che non hanno più antenne per Dio,2 sono destinati ad essere una generazione senza Dio? La prima di una serie di generazioni senza Dio? Oppure in questo tempo inedito sotto tanti punti di vista, l’incontro dei giovani con Dio percorre vie diverse da quelle cui siamo abituati, al punto che non sappiamo immaginarle?

Non si può non riconoscere che oggi il percorso verso la fede è difficile; lo è soprattutto per i giovani, ai quali mancano guide adatte. Non parlo di guide disponibili e generose, che oggi ancora sono presenti, ma di guide capaci di capire che la questione di Dio e l’apertura al Vangelo percorrono strade inedite, forse incomprensibili per gli adulti di oggi, culturalmente, antropologicamente molto più lontani dai giovani di quanto l’una o due generazioni che li separano da essi potrebbe far supporre.

L’educazione alla fede dei giovani è difficile perché è di scarso spessore l’educazione, cioè quel percorso attraverso il quale un giovane prende in mano la propria vita e decide non solo che cosa vuole farne in termini materiali - lavoro, amore, carriera, luogo dove andare a vivere… -, ma soprattutto chi vuole essere e chi vuole diventare. Il vuoto educativo di oggi è difficile da immaginare, pur dentro le condivise affermazioni sulla crisi dell’educazione, o sull’emergenza educativa. E poi, questo tempo inedito come può avere maestri?

Forse può avere solo compagni di viaggio, disposti ad accompagnare nella ricerca e disposti ad ascoltare i giovani, per capire in loro quali sono le domande di vita e le aperture allo Spirito, e anche per leggere nella loro vita la direzione che la società sta prendendo. È difficile l’annuncio del Vangelo e una proposta di vita cristiana a giovani che non sono stati educati a riflettere su di sé e a lavorare sulla propria umanità. Generazioni orientate a vivere alla superficie di se stesse, abituate al gusto dell’effimero e spinte a misurarsi solo con obiettivi esteriori sono quasi estranee a se stesse e alla propria interiorità, non sanno frequentare quelle domande che al fondo della coscienza rivelano un bisogno di senso, oltre che di carriera; di pienezza, oltre che di realizzazione di sé.

Trasmettere la fede generandola nel cuore

Non che le domande non ci siano, compresse al fondo di sé; ma finché non trovano la strada per rivelarsi e per esprimersi generano sofferenza e malessere, più che ricerca e cammino di vita. Per parlare di fede ai giovani occorre aiutarli a dare parole alle domande, a riconoscerle nella coscienza, a scavare nell’umanità e sulle questioni di senso che essa racchiude. In fondo, è quello che ha fatto il Signore Gesù con le persone che ha incontrato: ha assunto la loro vita, ha accolto e portato a pienezza la loro domanda di vita, di felicità, di amore. Inoltre, per parlare ai giovani di fede in una società post-cristiana occorre “cancellare la lavagna”. La “lavagna” che i giovani portano dentro di sé ha già scritto parole cristiane: quelle della fede, della tradizione o di qualche devozione… Si tratta di parole vere o sconnesse, appropriate o approssimative, vere o presunte tali, ma parole e pensieri che danno l’impressione di una qualche familiarità con una prospettiva cristiana della vita.

Difficile sorprendere con l’annuncio della bellezza del Vangelo persone che pensano di saperlo già e spesso di averlo conosciuto come un messaggio che mortifica la vita, che impone divieti, che chiede sacrifici e rinunce … Difficile percorrere la strada dell’annuncio di una “buona notizia”, di un discorso che affascina, di una proposta di vita che apre orizzonti che vanno al di là dei propri desideri.

Infine, la stessa comunità cristiana deve interrogarsi su quanto il suo modo di vivere quotidiano, i suoi linguaggi, lo stile della sua vita e della sue relazioni possano fare da schermo che la separa dai giovani, anziché favorire l’incontro con essi, per la trasparenza attraverso cui fa intuire il mistero e sollecitare il desiderio di esso.

Questo è il tempo in cui occorre interrogarsi sui percorsi generativi della fede, se non si vuole che le parole e le esperienze più importanti della vita cristiana restino senza eco nella coscienza dei giovani e, nel caso di giovani che li accolgono con disponibilità, restino avulsi dalla loro esistenza, un capitolo a parte della loro vita.

Forse invece questo è il tempo in cui la fede si trasmette non consegnandola come un patrimonio consolidato, ma generandola nel cuore delle persone, perché' esse la custodiscano, la curino, la facciano crescere a modo loro. Anche s. Paolo usa questo termine: «Figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore…», scrive ai Galati (Gal 4,19); e ai Corinti: «Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il Vangelo» (1Cor 4,15).

1 A. MATTEO, La prima generazione incredula, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2010,16.

2 Cf MATTEO, cit.

 

Paola Bignardi
Membro del Comitato per il Progetto culturale
promosso dalla Chiesa Italiana
Via Aldo Moro, 7 - 26010 Olmeneta (Cremona)

 

 

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