n. 1
gennaio 2012

 

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Nostalgia-desiderio-eclissi
Dio nel mondo contemporaneo

di CARMELO DOTOLO

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La configurazione attuale dell’esperienza religiosa e della ricerca di Dio appare, senza dubbio, paradossale. Non è un caso che oggi si parli con insistenza di un ritorno del religioso, di una sua ricollocazione nello spazio pubblico, di una sete di spiritualità che allarga gli spazi della ricerca umana. Nondimeno, lo scenario della cultura post-moderna è abitato da un nuovo ateismo, che si presenta con movenze più attente alla fragilità degli uomini e donne, e portatore di un modo di vita meno appesantito da norme e principi.

Dio vede il desiderio dell’uomo

Una serie di pubblicità apparsa in diverse città europee ha dato voce ad una proposta ironica e provocatoria: «Probabilmente non esiste alcun Dio. Smettila di preoccuparti e goditi la vita». Evidentemente, dietro slogans di facile consumo, si intravede una traiettoria più complessa e articolata, che parte dalla profezia del filosofo F. Nietzsche sulla morte di Dio e sulla sua inutilità per il vivere dell’uomo contemporaneo.1 Ebbene, la conseguenza di una tale ipotesi sembrava dovesse realizzarsi nel progressivo inaridirsi del desiderio religioso, come un addio alla ricerca di un senso custodito nel nome di Dio. Di fatto, è sempre più presente una domanda di spiritualità, interessata alla ricerca di un equilibrio personale e di una proposta che sappia compensare lo stress del quotidiano. Il crescere, però, di esperienze religiose gratificanti e terapeutiche, segnalano prudenza nel decretare la fine della nostalgia del sacro, invitando ad un supplemento d’indagine sul valore e sulla portata della domanda religiosa oggi. Tuttavia, è innegabile un dato: la molteplicità dell’offerta religiosa mostra una pluralità di volti del divino che intercettano il bisogno umano di trovare significato all’esistenza, percepita nella sua problematicità. Dinanzi a tali indicazioni, l’alternativa tra nostalgia o eclissi di Dio s’intreccia con l’ineliminabile bisogno di credere che resiste, nonostante lo si ritenga da più parti una modalità immatura di affrontare la vita. Proprio tale resistenza crea disagio ad una lettura della realtà che vorrebbe mettere definitivamente in soffitta il problema di Dio. Se, forse, si è meno interessati alla questione delle prove della sua esistenza, ciò non significa che l’interrogativo di Dio sia indifferente alla ricerca umana. Ma come si articola, allora, la questione di Dio come possibilità da riscoprire e rivalutare?

Una spiritualità atea?

Partiamo da una costatazione. Il paradigma contemporaneo suggerisce (o impone) un cambiamento radicale nei modi di comprendere Dio e il suo rapporto con il mondo.2 L’avanzare di una conoscenza scientifica sempre più avvertita, e l’emancipazione della ragione filosofica hanno evidenziato l’autonomia della realtà, la quale ha leggi proprie, che funzionano da sé. Ha ancora senso riferirsi all’«ipotesi Dio» (P. S. Laplace) quando si parla di fenomeni che accadono nel mondo? Non si rischia di far diventare Dio una necessità, una spiegazione che leghi il suo nome alla lista delle ipotesi che, al primo errore interpretativo, cade inevitabilmente nel registro del non senso?

Non dobbiamo meravigliarci, quindi, se la ricerca scientifica pone una questione di metodo circa il sapere dell’uomo, inteso come attendibile e riproducibile sul mondo in cui viviamo. Di fronte a ciò, l’affermazione di Dio sembra far fatica a giustificarsi, soprattutto se non risponde a certi criteri. Essa rimane come lo sfondo di un bisogno dell’uomo; anzi, un vantaggio competitivo per la specie umana nel lungo cammino della sua crescita e identità. Attraverso una combinazione di immaginazione e desiderio, Dio ha preso il posto dell’ignoto, dell’innominabile, cifra di una conoscenza parziale e non adeguata. Insomma, ha supplito ad un deficit scientifico.

Ciò nonostante, Dio è conveniente all’equilibrio emotivo dell’uomo, anche se non possiede alcuna realtà al di fuori della coscienza umana. Se la conclusione è questa, si comprende come l’interrogarsi su Dio sia già segnato da una considerazione precisa: poiché non è sperimentabile alla stessa stregua di altri oggetti del conoscere, ne deriva il suo carattere di proiezione del desiderio umano, di utilità simbolica. Insomma, funziona come spazio privato che alimenta il sogno, il fantastico, l’emotivo. Eppure, sarebbe interessante capire il perché Dio e il suo nome persistono, nonostante sia mostrabile il contrario. Interrogativo cruciale, perché se l’idea di Dio fosse realmente fantasiosa, sarebbe più logico decretarne culturalmente la fine, una volta per tutte. Resta, comunque, l’esigenza almeno di motivare come, ad un’irrilevanza di Dio nella vita, si accompagni la percezione che tale idea giochi un ruolo psicologico e sociale non marginale nella realtà.

Perché la vita abbia un senso

La complessità della ricerca di Dio suggerisce di non giungere a valutazioni definitive e inappellabili. Una spiritualità atea e la religiosità degli increduli sono segnali di una lotta costante che l’uomo porta avanti nel tentativo di individuare significati che non si fermino alla superficie delle cose. Si potrebbe dire che la nostalgia di Dio entri nella vita attraverso un nuovo sacro che funge da orizzonte nel quale l’uomo traccia le coordinate del rispetto di sé, delle relazioni interpersonali, della cura del mondo. La premura per la giustizia, la pace, i diritti umani, per la qualità dei rapporti nella tenerezza e libertà, segnalano il desiderio di un mondo differente, in grado di tentare una seria opposizione al male.

Il riferimento a Dio potrebbe non essere necessario, ma è certo che rappresenta la possibilità di un diverso modo di pensare e agire nel mondo. Per cui, se la cultura post-moderna ha modificato l’immaginario di Dio e criticato alcune sue caratteristiche, al tempo stesso resta sensibile e disponibile ad un’eventuale nuova ricerca di Dio.3 In particolare, là dove sperimenta che Dio viene incontro all’uomo con la discrezione del suo agire e della sua presenza, per il fatto che condivide la stessa passione dell’uomo nel suo cammino di liberazione. Non è né un concorrente, né un tappabuchi nella natura e nella storia. Se la nostalgia di Dio seduce ancora, è perché Dio appartiene alla logica dell’amore ed è sperimentato come gratuito, compagno di viaggio che indica il sentiero della vita, ipotesi che può aiutare a ritrovare la realtà intesa come piena di senso e di una verità differente.

Un Dio che invita a ricercare

Forse, siamo alla presenza di un cambiamento nella ricerca di Dio. Qui si tratta di un pensiero che non può non aprirsi all’ascolto delle domande dell’uomo e che sperimenti la differenza di Dio non come limite, ma quale condizione per un rovesciamento di prospettiva. La domanda: dov’è Dio?, non è scomparsa affatto, ma si mostra con un’attenzione alla relazione che l’esistenza dell’uomo, la natura e la storia hanno o possono avere con Dio. Tale interrogativo, però, sa di dover  fare i conti con lo scacco e l’inadeguatezza, a motivo del fatto che Dio non coincide quasi mai con le nostre idee e rappresentazioni. Le assume, perché possano essere rielaborate in una continua riflessione che nasce dall’esperienza dell’incontro con lui.

Lo stesso linguaggio religioso formula metafore e simboli che configurano il desiderio di Dio come vitale per l’uomo. Tuttavia, ciò che emerge dalla fatica di tale ricerca e spesso dall’insuccesso delle risposte, è che Dio rimane una domanda aperta al nostro pensare e vivere, che sorge nel mezzo della vita che aspira alla fioritura del bene e della libertà. L’ipotesi, dunque, è nel collocarsi sull’interrogativo: chi è Dio?, nella consapevolezza che da tale angolatura, la ricerca può intravedere un itinerario particolare: quello che conduce alla scoperta del luogo originario del dirsi e mostrarsi di Dio.

Nel cristianesimo, tale luogo è l’evento Gesù di Nazaret, quale punto di partenza per un percorso che va da Dio al divino, piuttosto che dal divino a Dio. La sua vicenda ha aperto una crisi nell’idea comune di Dio: del Dio immaginario, costruito sulle nostre logiche e appartenenze certe, perché sollecita a scorgere le differenze; del Dio sostituto della nostra volontà di dominio, poiché indica la bellezza nell’accogliere l’alterità; del Dio autosufficiente, là dove mostra un Dio amante della vita, compassionevole nella lotta al male e alla sofferenza innocente.

«Dio può abitare solo nelle profondità della tua coscienza, nel profondo dei tuoi desideri segreti di realizzazione personale. Perché Dio non può essere diverso da quanto il tuo cuore desidera di meglio per il tuo prossimo […]. Ascolta chi ti parla di Dio dicendoti che è come una luce, a volte accecante e a volte impercettibile, che guida i tuoi passi verso il bene e la pace, mai verso la meschinità, la crudeltà o la guerra».4

1 Cf F. COSENTINO, Immaginare Dio. Provocazioni postmoderne al cristianesimo, Cittadella, Assisi 2010.

2 Cf COMITATO PER IL PROGETTOCULTURALE DELLA CEI (ed.), Dio oggi. Con lui o senza di lui cambia tutto. I dibattiti, Cantagalli, Siena 2010.

3 Cf C. DOTOLO, Una fede diversa. Alla riscoperta del Vangelo, Messaggero, Padova 2009, 73-97.

4 J. ARIAS, Un Dio per il Duemila contro la paura e per la felicità, Cittadella, Assisi 1998, 193.

Carmelo Dotolo
www.carmelodotolo.eu

 

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