La
configurazione attuale dell’esperienza religiosa e della ricerca di Dio
appare, senza dubbio, paradossale. Non è un caso che oggi si parli con
insistenza di un ritorno del religioso, di una sua ricollocazione nello
spazio pubblico, di una
sete
di spiritualità
che
allarga gli spazi della ricerca umana. Nondimeno, lo scenario della
cultura post-moderna è abitato da un
nuovo ateismo,
che si presenta con movenze più attente alla fragilità degli uomini e
donne, e portatore di un modo di vita meno appesantito da norme e
principi.
Dio vede il desiderio dell’uomo
Una
serie di pubblicità apparsa in diverse città europee ha dato voce ad una
proposta ironica e provocatoria: «Probabilmente non esiste alcun Dio.
Smettila di preoccuparti e goditi la vita». Evidentemente, dietro
slogans
di
facile consumo, si intravede una traiettoria più complessa e articolata,
che parte dalla profezia del filosofo F. Nietzsche sulla
morte
di
Dio
e
sulla sua inutilità per il vivere dell’uomo contemporaneo.1
Ebbene, la conseguenza di una tale ipotesi sembrava dovesse realizzarsi
nel progressivo inaridirsi del desiderio religioso, come un addio alla
ricerca di un senso custodito nel nome di Dio. Di fatto, è sempre più
presente una domanda di spiritualità, interessata alla ricerca di un
equilibrio personale e di una proposta che sappia compensare lo
stress
del
quotidiano. Il crescere, però, di esperienze religiose gratificanti e
terapeutiche, segnalano prudenza nel decretare la fine della nostalgia
del sacro, invitando ad un supplemento d’indagine sul valore e sulla
portata della domanda religiosa oggi. Tuttavia, è innegabile un dato: la
molteplicità dell’offerta religiosa mostra una pluralità di
volti
del
divino
che
intercettano il bisogno umano di trovare significato all’esistenza,
percepita nella sua problematicità. Dinanzi a tali indicazioni,
l’alternativa tra nostalgia o eclissi di Dio s’intreccia con
l’ineliminabile
bisogno di
credere
che
resiste, nonostante lo si ritenga da più parti una modalità immatura di
affrontare la vita. Proprio tale resistenza crea disagio ad una lettura
della realtà che vorrebbe mettere definitivamente in soffitta il
problema di Dio. Se, forse, si è meno interessati alla questione delle
prove della sua esistenza, ciò non significa che l’interrogativo di Dio
sia indifferente alla ricerca umana. Ma come si articola, allora, la
questione di Dio come possibilità da riscoprire e rivalutare?
Una spiritualità atea?
Partiamo da una costatazione. Il paradigma contemporaneo suggerisce (o
impone) un cambiamento radicale nei modi di comprendere Dio e il suo
rapporto con il mondo.2 L’avanzare di una conoscenza
scientifica sempre più avvertita, e l’emancipazione della ragione
filosofica hanno evidenziato l’autonomia della realtà, la quale ha leggi
proprie, che funzionano da sé. Ha ancora senso riferirsi all’«ipotesi
Dio» (P. S. Laplace) quando si parla di fenomeni che accadono nel mondo?
Non si rischia di far diventare Dio una necessità, una spiegazione che
leghi il suo nome alla lista delle ipotesi che, al primo errore
interpretativo, cade inevitabilmente nel registro del non senso?
Non
dobbiamo meravigliarci, quindi, se la ricerca scientifica pone una
questione di metodo circa il sapere dell’uomo, inteso come attendibile e
riproducibile sul mondo in cui viviamo. Di fronte a ciò, l’affermazione
di Dio sembra far fatica a giustificarsi, soprattutto se non risponde a
certi criteri. Essa rimane come lo sfondo di un bisogno dell’uomo; anzi,
un vantaggio competitivo per la specie umana nel lungo cammino della sua
crescita e identità. Attraverso una combinazione di immaginazione e
desiderio, Dio ha preso il posto dell’ignoto, dell’innominabile, cifra
di una conoscenza parziale e non adeguata. Insomma, ha supplito ad un
deficit
scientifico.
Ciò
nonostante, Dio è conveniente all’equilibrio emotivo dell’uomo, anche se
non possiede alcuna realtà al di fuori della coscienza umana. Se la
conclusione è questa, si comprende come l’interrogarsi su Dio sia già
segnato da una considerazione precisa: poiché non è sperimentabile alla
stessa stregua di altri oggetti del conoscere, ne deriva il suo
carattere di proiezione del desiderio umano, di utilità simbolica.
Insomma, funziona come spazio privato che alimenta il sogno, il
fantastico, l’emotivo. Eppure, sarebbe interessante capire il perché Dio
e il suo nome persistono, nonostante sia mostrabile il contrario.
Interrogativo cruciale, perché se l’idea di Dio fosse realmente
fantasiosa, sarebbe più logico decretarne culturalmente la fine, una
volta per tutte. Resta, comunque, l’esigenza almeno di motivare come, ad
un’irrilevanza di Dio nella vita, si accompagni la percezione che tale
idea giochi un ruolo psicologico e sociale non marginale nella realtà.
Perché la vita abbia un senso
La
complessità della ricerca di Dio suggerisce di non giungere a
valutazioni definitive e inappellabili. Una spiritualità atea e la
religiosità degli increduli sono segnali di una lotta costante che
l’uomo porta avanti nel tentativo di individuare significati che non si
fermino alla superficie delle cose. Si potrebbe dire che la nostalgia di
Dio entri nella vita attraverso un
nuovo sacro
che
funge da orizzonte nel quale l’uomo traccia le coordinate del rispetto
di sé, delle relazioni interpersonali, della cura del mondo. La premura
per la giustizia, la pace, i diritti umani, per la qualità dei rapporti
nella tenerezza e libertà, segnalano il desiderio di un mondo
differente, in grado di tentare una seria opposizione al male.
Il
riferimento a Dio potrebbe non essere necessario, ma è certo che
rappresenta la possibilità di un diverso modo di pensare e agire nel
mondo. Per cui, se la cultura post-moderna ha modificato l’immaginario
di Dio e criticato alcune sue caratteristiche, al tempo stesso resta
sensibile e disponibile ad un’eventuale nuova ricerca di Dio.3
In particolare, là dove sperimenta che Dio viene incontro all’uomo con
la discrezione del suo agire e della sua presenza, per il fatto che
condivide la stessa passione dell’uomo nel suo cammino di liberazione.
Non è né un concorrente, né un tappabuchi nella natura e nella storia.
Se la nostalgia di Dio seduce ancora, è perché Dio appartiene alla
logica dell’amore ed è sperimentato come gratuito, compagno di viaggio
che indica il sentiero della vita, ipotesi che può aiutare a ritrovare
la realtà intesa come piena di senso e di una verità differente.
Un
Dio che invita a ricercare
Forse, siamo alla presenza di un cambiamento nella ricerca di Dio. Qui
si tratta di un pensiero che non può non aprirsi all’ascolto delle
domande dell’uomo e che sperimenti la
differenza
di
Dio non come limite, ma quale condizione per un
rovesciamento
di
prospettiva.
La domanda:
dov’è
Dio?,
non è scomparsa affatto, ma si mostra con un’attenzione alla relazione
che l’esistenza dell’uomo, la natura e la storia hanno o possono avere
con Dio. Tale interrogativo, però, sa di dover fare i conti con lo
scacco e l’inadeguatezza, a motivo del fatto che Dio non coincide quasi
mai con le nostre idee e rappresentazioni. Le assume, perché possano
essere rielaborate in una continua riflessione che nasce dall’esperienza
dell’incontro con lui.
Lo
stesso linguaggio religioso formula metafore e simboli che configurano
il desiderio di Dio come vitale per l’uomo. Tuttavia, ciò che emerge
dalla fatica di tale ricerca e spesso dall’insuccesso delle risposte, è
che Dio rimane una
domanda aperta
al
nostro pensare e vivere, che sorge nel mezzo della vita che aspira alla
fioritura del bene e della libertà. L’ipotesi, dunque, è nel collocarsi
sull’interrogativo:
chi
è Dio?,
nella consapevolezza che da tale angolatura, la ricerca può intravedere
un itinerario particolare: quello che conduce alla scoperta del
luogo originario
del
dirsi e mostrarsi di Dio.
Nel
cristianesimo, tale luogo è l’evento Gesù di Nazaret, quale punto di
partenza per un percorso che va da Dio al divino, piuttosto che dal
divino a Dio. La sua vicenda ha aperto una crisi nell’idea comune di
Dio: del Dio immaginario, costruito sulle nostre logiche e appartenenze
certe, perché sollecita a scorgere le differenze; del Dio sostituto
della nostra volontà di dominio, poiché indica la bellezza
nell’accogliere l’alterità; del Dio autosufficiente, là dove mostra un
Dio amante della vita, compassionevole nella lotta al male e alla
sofferenza innocente.
«Dio
può abitare solo nelle profondità della tua coscienza, nel profondo dei
tuoi desideri segreti di realizzazione personale. Perché Dio non può
essere diverso da quanto il tuo cuore desidera di meglio per il tuo
prossimo […]. Ascolta chi ti parla di Dio dicendoti che è come una luce,
a volte accecante e a volte impercettibile, che guida i tuoi passi verso
il bene e la pace, mai verso la meschinità, la crudeltà o la guerra».4
1 Cf F. COSENTINO,
Immaginare Dio. Provocazioni postmoderne al cristianesimo,
Cittadella, Assisi 2010.
2
Cf COMITATO PER IL PROGETTOCULTURALE DELLA CEI (ed.),
Dio oggi. Con lui o senza di lui cambia tutto. I
dibattiti,
Cantagalli, Siena 2010.
3 Cf C. DOTOLO,
Una fede diversa. Alla riscoperta del Vangelo,
Messaggero, Padova 2009, 73-97.
4 J. ARIAS,
Un Dio per il Duemila contro la paura e per la felicità,
Cittadella, Assisi 1998, 193.
Carmelo Dotolo
www.carmelodotolo.eu