Che
cosa distingue teologicamente la professione religiosa nei confronti
della vita laicale?”». «Una nuova e speciale consacrazione». «Ma non
basta la consacrazione del battesimo per diventare santi?». Non ho udito
questo dialogo in un circolo protestante, ma nientemeno che a un Sinodo
dei vescovi. Non sui laici, ma sulla vita consacrata. Naturalmente non
soltanto in questa sede, perché il dibattito, ridotto all’osso o
amplificato con opportune categorie teologiche, antropologiche,
sociologiche, veniva ripetuto in varie sedi. Tanto che il Sinodo,
piuttosto perplesso, o quanto meno incerto, pregò il Santo Padre di
chiarire la questione, che si trascinava dal tempo del Concilio. In
questo dialogo emerge il confronto tra la democrazia del battesimo
tipica dei laici e l’aristocrazia della vita consacrata, tra la “novità”
del battesimo fonte di uguale dignità e la tradizionale eccellenza della
vita consacrata.
La
difficoltà di armonizzare le due posizioni sembrava particolarmente
difficile, per un approccio al problema che si rifaceva, più o meno
inconsciamente, ad un’analogia con le strutture della società civile la
quale o è democratica o è aristocratica. Ma ad un approccio biblico, che
poi è quello fondante, la questione si chiarifica: il Signore Gesù ha
predicato a tutti la conversione e ad alcuni ha rivolto l’invito a
seguirlo, lasciando ogni cosa. A tutti ha chiesto di seguire la sua
dottrina e il suo esempio, ad alcuni ha chiesto anche di seguirlo nella
sua missione di itinerante, che esigeva la massima libertà da ogni
vincolo. La teologia dirà poi: per tutti c’è il battesimo, per alcuni
c’è anche la professione religiosa o l’ordine sacro. Questa seconda
forma nasce da una nuova e speciale chiamata, che implica un nuovo e
speciale dono dello Spirito, che realizza una nuova e speciale
consacrazione. Infatti dal battesimo non nasce necessariamente il fiore
della verginità. Ma vi deve essere seminato appositamente.
Così
nella Chiesa possono convivere la democrazia del battesimo e
l’aristocrazia di chi è chiamato a dedicarsi completamente alla missione
di Gesù. Aristocrazia ben curiosa, perché viene da un servizio più
intenso, più gratuito, dal momento che la nobiltà nel Regno di Dio è
proporzionata alla dedizione del servizio svolto, a immagine del Signore
Gesù che è venuto per servire e non per essere servito. Forse è per
questo che oggi è così poco ambita l’aristocrazia della vita consacrata?
Certo ci vuole del coraggio a prendere sul serio una vita di servizio
non sempre gratificante e sempre da considerarsi “inutile”. È ovvio che
il Papa abbia scelto la via biblica della convivenza delle due
possibilità di vita e di missione nello statuto del Regno.
Consacrarsi?
Se
l’analogia con la società civile aveva aggrovigliato la comprensione del
rapporto tra consacrazione del battesimo e consacrazione religiosa,
l’influsso della cultura antropocentrica aveva influenzato alcuni
settori della riflessione teologica circa il soggetto della
consacrazione. Naturalmente in questo clima di centralità dell’uomo, è
la persona che si consacra a Dio, come il buon medico si consacra al
servizio dei suoi ammalati e una brava madre ai suoi figli. Certo questo
è vero, ma non è tutto, dal momento che il Signore Gesù dice: «Non voi
avete scelto me, ma io ho scelto voi». Non siete voi che decidete di
consacrarvi, ma sono io che vi consacro. Cioè vi riservo per me e per la
mia causa.
Il
soggetto primo della consacrazione è Dio a cui corrisponde la risposta
della persona umana che accetta di venire consacrata e quindi dà il suo
assenso e “si consacra”. Una bella sintesi teologica viene offerta da
Vita
consecrata:
il Padre riserva per sé una persona, cioè la consacra a sé, ponendola
alla sequela di Cristo, in un progetto carismatico approvato dalla
Chiesa. La persona risponde consacrandosi al Padre, essendo stata
sedotta da Cristo, sul quale lo Spirito getta una luce di splendore
affascinante e irresistibile.
E la
missione?
Nel
laborioso periodo di preparazione al Sinodo si era evidenziata l’urgenza
della missione, tanto da suggerire che fosse al centro dell’interesse
dell’Assemblea sinodale. La missione era oltretutto una categoria più
dinamica, più atta a rispondere al cambiamento in atto, certamente più
di quella della consacrazione, che sottolineava la staticità, la
permanenza del legame con l’eterno e che non poche volte era stata
utilizzata per bloccare auspicati sviluppi. Il Sinodo ha riconosciuto la
missione come finalità della vita consacrata, ma ha messo la
consacrazione come parte integrante della sua missione.
La
vita consacrata è in missione in primo luogo con la sua speciale
consacrazione, che richiama il primato di Dio, l’esemplarità di Cristo,
e «l’infinita potenza dello Spirito Santo, mirabilmente operante nella
Chiesa». In questa prospettiva anche i contemplativi sono in missione,
dal momento che immettono energie positive nel corpo della Chiesa e si
considerano anzi nel cuore della Chiesa, se non il cuore stesso della
Chiesa. Ma anche la persona consacrata che è sui ponti dell’attività,
porta l’annuncio della singolarità di Cristo, offrendo lo spettacolo
della sua vita “cristiforme”, accolta o contestata che sia.
Il
fondamento
La
consacrazione fonda la missione anche per un altro motivo. Essa nasce
dalla scoperta della persona del Signore Gesù e della sua unicità,
compresa la sua forma di vita, che rivela un amore folle da parte del
Creatore verso la sua creatura. La consacrazione è l’espressione di
questo amore “folle” come risposta all’amore folle del Figlio di Dio che
ha assunto quella forma di vita, così sconcertante e così diversa da
ogni attesa umana, così umanamente poco desiderabile.
La
consacrazione è l’effetto della comprensione teorico-pratica del fatto
incontestabile, anche se paradossale, che la forma di vita di Cristo è
il modo divino di vivere la vita umana. «Essere con Cristo in tutto»
fino a riprodurre la sua forma di vita, che vuol dire «essere per Dio»
ed «essere per gli altri». E così la consacrazione fonda la missione. La
consacrazione è un decentramento, dall’io a Dio, dall’io al noi, dall’io
ai fratelli, un decentramento iscritto nella forma e lo stile di vita di
Cristo.
Interdisciplinarità?
Per
far comprendere meglio agli alunni in che cosa consiste in pratica la
“nuova e speciale consacrazione” della professione religiosa, qualche
volta concludevo con un richiamo, piuttosto insolito,
all’interdisciplinarità: dalla teologia alla zoologia, anche se una
zoologia piuttosto popolare. Si racconta che un giorno un maialino e una
gallina girovagando per un cortile e giungendo sotto le finestre di una
casa colonica, sentono venire dalla cucina un profumino di un piatto che
doveva essere a base di uova e prosciutto. «Come vedi - dice la gallina
al maialino - finiamo tutti e due alla stessa maniera!». «Un momento -
risponde il maialino - tu dai le uova, io do la vita. Il tuo è un dono,
il mio è un olocausto». A questo punto non c’era più bisogno di
continuare perché tutto diventava chiaro. Oh potere dell’immaginario
popolare (e del buon senso!).
Pier
Giordano Cabra csf
Via Piamarta, 6 - 25121 Brescia