n. 3
marzo 2012

 

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VERSO IL 50° DELL'USMI
  Testimone di un cammino
 
Consacrazione

PIER GIORDANO CABRA

 

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Che cosa distingue teologicamente la professione religiosa nei confronti della vita laicale?”». «Una nuova e speciale consacrazione». «Ma non basta la consacrazione del battesimo per diventare santi?». Non ho udito questo dialogo in un circolo protestante, ma nientemeno che a un Sinodo dei vescovi. Non sui laici, ma sulla vita consacrata. Naturalmente non soltanto in questa sede, perché il dibattito, ridotto all’osso o amplificato con opportune categorie teologiche, antropologiche, sociologiche, veniva ripetuto in varie sedi. Tanto che il Sinodo, piuttosto perplesso, o quanto meno incerto, pregò il Santo Padre di chiarire la questione, che si trascinava dal tempo del Concilio. In questo dialogo emerge il confronto tra la democrazia del battesimo tipica dei laici e l’aristocrazia della vita consacrata, tra la “novità” del battesimo fonte di uguale dignità e la tradizionale eccellenza della vita consacrata.

La difficoltà di armonizzare le due posizioni sembrava particolarmente difficile, per un approccio al problema che si rifaceva, più o meno inconsciamente, ad un’analogia con le strutture della società civile la quale o è democratica o è aristocratica. Ma ad un approccio biblico, che poi è quello fondante, la questione si chiarifica: il Signore Gesù ha predicato a tutti la conversione e ad alcuni ha rivolto l’invito a seguirlo, lasciando ogni cosa. A tutti ha chiesto di seguire la sua dottrina e il suo esempio, ad alcuni ha chiesto anche di seguirlo nella sua missione di itinerante, che esigeva la massima libertà da ogni vincolo. La teologia dirà poi: per tutti c’è il battesimo, per alcuni c’è anche la professione religiosa o l’ordine sacro. Questa seconda forma nasce da una nuova e speciale chiamata, che implica un nuovo e speciale dono dello Spirito, che realizza una nuova e speciale consacrazione. Infatti dal battesimo non nasce necessariamente il fiore della verginità. Ma vi deve essere seminato appositamente.

Così nella Chiesa possono convivere la democrazia del battesimo e l’aristocrazia di chi è chiamato a dedicarsi completamente alla missione di Gesù. Aristocrazia ben curiosa, perché viene da un servizio più intenso, più gratuito, dal momento che la nobiltà nel Regno di Dio è proporzionata alla dedizione del servizio svolto, a immagine del Signore Gesù che è venuto per servire e non per essere servito. Forse è per questo che oggi è così poco ambita l’aristocrazia della vita consacrata? Certo ci vuole del coraggio a prendere sul serio una vita di servizio non sempre gratificante e sempre da considerarsi “inutile”. È ovvio che il Papa abbia scelto la via biblica della convivenza delle due possibilità di vita e di missione nello statuto del Regno.

Consacrarsi?

Se l’analogia con la società civile aveva aggrovigliato la comprensione del rapporto tra consacrazione del battesimo e consacrazione religiosa, l’influsso della cultura antropocentrica aveva influenzato alcuni settori della riflessione teologica circa il soggetto della consacrazione. Naturalmente in questo clima di centralità dell’uomo, è la persona che si consacra a Dio, come il buon medico si consacra al servizio dei suoi ammalati e una brava madre ai suoi figli. Certo questo è vero, ma non è tutto, dal momento che il Signore Gesù dice: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi». Non siete voi che decidete di consacrarvi, ma sono io che vi consacro. Cioè vi riservo per me e per la mia causa.

Il soggetto primo della consacrazione è Dio a cui corrisponde la risposta della persona umana che accetta di venire consacrata e quindi dà il suo assenso e “si consacra”. Una bella sintesi teologica viene offerta da Vita consecrata: il Padre riserva per sé una persona, cioè la consacra a sé, ponendola alla sequela di Cristo, in un progetto carismatico approvato dalla Chiesa. La persona risponde consacrandosi al Padre, essendo stata sedotta da Cristo, sul quale lo Spirito getta una luce di splendore affascinante e irresistibile.

E la missione?

Nel laborioso periodo di preparazione al Sinodo si era evidenziata l’urgenza della missione, tanto da suggerire che fosse al centro dell’interesse dell’Assemblea sinodale. La missione era oltretutto una categoria più dinamica, più atta a rispondere al cambiamento in atto, certamente più di quella della consacrazione, che sottolineava la staticità, la permanenza del legame con l’eterno e che non poche volte era stata utilizzata per bloccare auspicati sviluppi. Il Sinodo ha riconosciuto la missione come finalità della vita consacrata, ma ha messo la consacrazione come parte integrante della sua missione.

La vita consacrata è in missione in primo luogo con la sua speciale consacrazione, che richiama il primato di Dio, l’esemplarità di Cristo, e «l’infinita potenza dello Spirito Santo, mirabilmente operante nella Chiesa». In questa prospettiva anche i contemplativi sono in missione, dal momento che immettono energie positive nel corpo della Chiesa e si considerano anzi nel cuore della Chiesa, se non il cuore stesso della Chiesa. Ma anche la persona consacrata che è sui ponti dell’attività, porta l’annuncio della singolarità di Cristo, offrendo lo spettacolo della sua vita “cristiforme”, accolta o contestata che sia.

Il fondamento

La consacrazione fonda la missione anche per un altro motivo. Essa nasce dalla scoperta della persona del Signore Gesù e della sua unicità, compresa la sua forma di vita, che rivela un amore folle da parte del Creatore verso la sua creatura. La consacrazione è l’espressione di questo amore “folle” come risposta all’amore folle del Figlio di Dio che ha assunto quella forma di vita, così sconcertante e così diversa da ogni attesa umana, così umanamente poco desiderabile.

La consacrazione è l’effetto della comprensione teorico-pratica del fatto incontestabile, anche se paradossale, che la forma di vita di Cristo è il modo divino di vivere la vita umana. «Essere con Cristo in tutto» fino a riprodurre la sua forma di vita, che vuol dire «essere per Dio» ed «essere per gli altri». E così la consacrazione fonda la missione. La consacrazione è un decentramento, dall’io a Dio, dall’io al noi, dall’io ai fratelli, un decentramento iscritto nella forma e lo stile di vita di Cristo.

Interdisciplinarità?

Per far comprendere meglio agli alunni in che cosa consiste in pratica la “nuova e speciale consacrazione” della professione religiosa, qualche volta concludevo con un richiamo, piuttosto insolito, all’interdisciplinarità: dalla teologia alla zoologia, anche se una zoologia piuttosto popolare. Si racconta che un giorno un maialino e una gallina girovagando per un cortile e giungendo sotto le finestre di una casa colonica, sentono venire dalla cucina un profumino di un piatto che doveva essere a base di uova e prosciutto. «Come vedi - dice la gallina al maialino - finiamo tutti e due alla stessa maniera!». «Un momento - risponde il maialino - tu dai le uova, io do la vita. Il tuo è un dono, il mio è un olocausto». A questo punto non c’era più bisogno di continuare perché tutto diventava chiaro. Oh potere dell’immaginario popolare (e del buon senso!).

Pier Giordano Cabra csf
Via Piamarta, 6 - 25121 Brescia

 

 

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