Nel
corso del suo viaggio apostolico in Benin (18-20 novembre 2011),
Benedetto XVI ha firmato l’Esortazione apostolica
Africae munus,1
cioè il documento conclusivo della Seconda Assemblea Speciale per
l’Africa del Sinodo dei vescovi, svoltasi a Roma dal 4 al 25 ottobre
2009, e l’ha solennemente consegnata ai vescovi africani presenti e alle
delegazioni che li accompagnavano. La firma al documento è stata apposta
dal Papa nella basilica dell’Immacolata Concezione di Ouidah, una città
situata a 40 chilometri dalla capitale Cotonou e tristemente nota perché
era uno dei porti africani dai quali partivano le navi cariche di
schiavi neri destinati ai mercati americani (circa 20.000 all’anno). Il
mausoleo che lo ricorda si chiama significativamente «Porta del non
ritorno». Ma da questa località è anche iniziata l’evangelizzazione
della regione, nel 1861, quando arrivarono i primi missionari della
Società delle Missioni Africane. Il Papa stesso ha voluto specificare
che «la “Porta del non ritorno” ci spinge a denunciare e a combattere
ogni forma di schiavitù».
L’arcivescovo Nikola Eterovic´, segretario generale del Sinodo dei
vescovi, ha sottolineato in una breve introduzione i temi del Sinodo e
quindi anche del documento: pace, giustizia, riconciliazione. Il Papa a
sua volta ha aggiunto che «una Chiesa riconciliata al suo interno potrà
diventare un segno profetico di riconciliazione a livello della società,
di ciascun Paese e dell’intero Continente».
L’Esortazione apostolica
L’Africae
munus
comprende un testo di 136 pagine, nella consueta edizione a cura della
Segreteria di Stato, suddiviso in 177 paragrafi. È composta da due
parti. La prima, intitolata: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap
21,5), si divide a sua volta in due capitoli, che intendono esaminare le
strutture portanti della missione per un’Africa che aspira alla
riconciliazione, alla giustizia e alla pace. Si esaminano poi tutti i
vari settori nei quali è necessario impegnarsi perché queste parole si
incarnino nella società e nella Chiesa. La seconda parte, intitolata: «A
ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene
comune» (1Cor 12,7), comprende tre capitoli. In essi si elencano tutti i
membri della Chiesa a cui questa missione è affidata, i principali campi
di apostolato (educazione, salute e mondo della comunicazione), e si
conclude con un’esortazione finale nella quale il Papa incoraggia
l’Africa a farsi protagonista della propria rinascita trovando in se
stessa, e nella propria fede in Cristo, la forza per riprendere il
cammino.
L’intera Esortazione è di fatto un inno alla speranza che deve animare
il continente africano senza lasciarsi tentare dallo scoraggiamento.
L’accento è posto sin dall’inizio sulla riconciliazione, da porre come
fondamento di una solida pace: «La pace degli uomini che si ottiene
senza la giustizia è illusoria ed effimera. La giustizia degli uomini
che non trova la propria sorgente nella riconciliazione attraverso la
verità nella carità (cf Ef 4,15) rimane incompiuta: essa non è autentica
giustizia» (n. 18). «Riconciliazione è un concetto pre-politico e una
realtà prepolitica, che proprio per questo è della massima importanza
per il compito della stessa politica» (n. 19).
L’Esortazione apostolica non scende ad analisi sociologiche o politiche,
ma si mantiene su un livello molto spirituale, indicando le radici
profonde dell’atteggiamento necessario: la riconciliazione ristabilisce
la comunione tra Dio e l’umanità e quella tra gli uomini. «La
costruzione di un ordine sociale giusto compete senza dubbio alla sfera
politica. Tuttavia, uno dei compiti della Chiesa in Africa consiste nel
formare coscienze rette e recettive delle esigenze della giustizia» (n.
22). Ma, «per diventare effettiva, questa riconciliazione dovrà essere
accompagnata da un atto coraggioso e onesto: la ricerca dei responsabili
di quei conflitti, di coloro che hanno finanziato i crimini e che si
dedicano ad ogni sorta di traffici, e l’accertamento delle loro
responsabilità. Le vittime hanno diritto alla verità e alla giustizia»
(n. 21). La Chiesa è direttamente impegnata in questa incessante opera
di formazione civica dei cittadini, accompagnandoli anche nei processi
elettorali in vari Paesi.
Il
Papa denuncia come inaccettabile, perché immorale, «la confisca dei beni
della terra da parte di una minoranza a scapito di popoli interi»,
affermando nello stesso tempo che «l’Africa è capace di assicurare a
tutti gli individui e a tutte le Nazioni del Continente le condizioni di
base, che consentano di partecipare allo sviluppo» (n. 24). Ma, ancora
una volta, «la giustizia divina offre alla giustizia umana, sempre
limitata e imperfetta, l’orizzonte verso il quale deve tendere per
realizzarsi pienamente» (n. 25). A questo proposito il Papa cita
l’episodio di Zaccheo, nel quale i presenti mormorano contro Gesù che
entra in casa di un peccatore, con una critica che vuole essere
espressione di amore per la giustizia, ma che ignora la giustizia
dell’amore, che si apre sino all’estremo. La giustizia di Dio si compirà
soltanto alla fine dei tempi, ma già ora si manifesta là dove i poveri
sono consolati e ammessi al banchetto della vita.
Con
la sua capacità di riconoscere il volto di Cristo in quello del bambino,
del malato, del bisognoso, la Chiesa contribuisce a forgiare la nuova
Africa. Ogni volta che i popoli gridano verso di essa, con la suggestiva
immagine del profeta Isaia (cf Is 21,11): «Sentinella, quanto resta
della notte?», la Chiesa vuole essere pronta a rendere ragione della
speranza di cui è portatrice, indicando l’alba che spunta all’orizzonte.
I
«cantieri» per la riconciliazione, la giustizia, la pace
Seguendo le indicazioni dei membri del Sinodo, Benedetto XVI si impegna
a mettere nel cuore degli africani la volontà di impegnarsi
effettivamente a vivere il Vangelo nella loro esistenza e nella società.
La conversione si vive in particolare nel sacramento della
riconciliazione, spesso trascurato dai cristiani africani, che sono
invece molto scrupolosi nell’applicare i riti tradizionali di
riconciliazione. Per questo il Papa, pur rivendicando il ruolo
insostituibile del sacramento, ricorda che «sarebbe bene che i vescovi
facessero studiare seriamente le cerimonie tradizionali africane di
riconciliazione per valutarne gli aspetti positivi e i limiti» (n. 33),
anche se le mediazioni pedagogiche tradizionali possono contribuire
soltanto a ridurre lo strappo vissuto da alcuni fedeli, per aprirsi con
maggiore profondità a Cristo. Questo della cristianizzazione degli
aspetti accettabili delle religioni tradizionali è un tema che ricorre
più volte nel documento pontificio. Del resto «le iniziative della
Chiesa per l’apprezzamento positivo e la salvaguardia delle culture
africane sono conosciute» (n. 38), ma occorre un discernimento
approfondito per distinguere gli aspetti della cultura tradizionale che
promuovono i valori del Vangelo da quelli che ne ostacolano
l’incarnazione.
Il
Papa ricorda poi il valore della famiglia, minacciata dalla cultura
attuale (tipica del mondo occidentale, aggiungiamo noi) che distorce la
nozione di matrimonio, banalizza l’aborto e svaluta la maternità,
indulgendo al relativismo di una «nuova etica». Sottolinea come molto
positivo il fatto che gli anziani siano circondati in Africa da una
venerazione particolare e non vengano emarginati. Stabilità e ordine
sociale sono spesso affidati a un consiglio di anziani o di capi
tradizionali. Ricorda poi il ruolo insostituibile degli uomini, ma si
sofferma a sottolineare le discriminazioni ancora presenti a danno delle
donne in Africa. Sono stati fatti progressi, ma la dignità e i diritti
della donna continuano a non essere pienamente riconosciuti né
apprezzati. La promozione e l’istruzione delle ragazze è meno favorita
di quella dei ragazzi. «Troppo numerose sono ancora le pratiche che
umiliano le donne e le avviliscono, in nome della tradizione ancestrale.
[...] In questo contesto, converrebbe che i comportamenti all’interno
stesso della Chiesa fossero un modello per l’insieme della società» (n.
56).
Una
particolare attenzione viene rivolta ai giovani e ai bambini, che in
Africa costituiscono la maggioranza della popolazione: un vero dono e
tesoro di Dio, anche se spesso i giovani si sentono frustrati e
nell’impossibilità di partecipare attivamente alla vita del proprio
popolo, anzitutto per la mancanza di opportunità e di occupazioni. Per i
bambini, oggetto di una particolare predilezione di Gesù, il Papa
aggiunge: «Come allora non deplorare e denunciare con forza i
trattamenti intollerabili inflitti in Africa a tanti bambini?» (n. 67).
Benedetto XVI elogia la visione africana della vita, che «viene
percepita come una realtà che ingloba e include gli antenati, i vivi e i
bambini che devono nascere, tutta la creazione e ogni essere» (n. 69). È
un’apertura del cuore che predispone gli africani ad ascoltare il
messaggio del Cristo per dare tutto il suo valore alla vita umana e alle
condizioni che la fanno fiorire in pienezza.
Ma
non mancano preoccupazioni per la mancanza di chiarezza etica che può
comportare valori contrari alla morale cattolica. In particolare i Padri
sinodali (cf
Propositio,
n. 20) avevano sottolineato la necessità di difendere la vita umana
anche in formazione, dal momento del concepimento, contro ogni forma di
aborto.
Ma
sulla vita umana in Africa pesano anche altre minacce, come quelle
legate ai disastri della droga e dell’abuso di alcool. Malaria,
tubercolosi e Aids decimano le popolazioni africane. «Il problema
dell’Aids, in particolare, esige certamente una risposta medica e
farmaceutica. E tuttavia questa è insufficiente, poiché il problema è
più profondo. È anzitutto etico. Il cambio di comportamento che esso
esige - ad esempio: l’astinenza sessuale, il rifiuto della promiscuità
sessuale, la fedeltà coniugale - pone in ultima analisi la questione
dello sviluppo integrale che richiede un approccio e una risposta
globali della Chiesa» (n. 72). Il Papa rivendica il diritto degli
africani di ricevere medicine in modo che siano accessibili a tutti.
La
difesa della vita comporta la lotta contro l’analfabetismo, che
rappresenta uno dei maggiori freni allo sviluppo, «un flagello simile a
quello delle pandemie» (n. 76). Non manca un appello a salvaguardare
l’ambiente, oggetto di gravi attentati che rischiano di desertificare il
continente minacciando l’intero ecosistema e la sopravvivenza
dell’umanità.
Cultura, solidarietà, dialogo
Il
Papa sottolinea il valore di una cultura che abbia a cuore il primato
del diritto, in cui libere elezioni costituiscano un luogo di
espressione della scelta politica di un popolo e siano un segno della
legittimità per l’esercizio del potere. «Il non rispetto della
Costituzione nazionale, della legge o del verdetto delle urne, là dove
le elezioni sono state libere, eque e trasparenti, manifesterebbe una
disfunzione grave nell’esercizio del governo e significherebbe una
mancanza di competenza nella gestione della cosa pubblica» (n. 81).
Benché allarmata dall’aumento della criminalità, la Chiesa si batte per
un sistema giudiziario indipendente in grado di punire e di rieducare i
colpevoli, rispettando la dignità umana dei carcerati. In particolare,
seguendo le proposte del Sinodo (cf
Propositio,
n. 55) il Papa aggiunge: «Attiro l’attenzione dei responsabili della
società sulle necessità di fare tutto il possibile per giungere
all’eliminazione della pena capitale» (n. 83).
Il
fenomeno delle migrazioni tocca pesantemente il continente africano, ma,
anziché suscitare compassione e solidarietà generosa da parte di tutti,
la situazione di precarietà di questi milioni di poveri fa nascere
spesso la paura e l’ansietà, trasformando la migrazione all’interno o
all’esterno del continente in un dramma dalle molte dimensioni che
disintegra e distrugge le famiglie. La Chiesa ricorda che l’Africa è
stata una terra di rifugio per la Santa Famiglia che fuggiva un potere
politico dispotico e sanguinario.
Quanto al fenomeno della globalizzazione, con le sue luci e le sue
ombre, la Chiesa auspica che la globalizzazione della solidarietà giunga
sino a inscrivere «nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la
logica del dono come espressione della fraternità» (n. 86).2 Questa
globalizzazione della solidarietà si manifesta però già negli aiuti
internazionali e nella mobilitazione internazionale e generosa che si
crea in occasione delle catastrofi, che la globalizzazione delle
informazioni fa conoscere immediatamente a tutto il mondo.
L’Esortazione apostolica ricorda la necessità del dialogo e delle
relazioni interreligiose, in particolare in campo ecumenico,3 per
rimediare allo scandalo di un cristianesimo diviso. In Africa sono sorte
innumerevoli denominazioni di comunità non cattoliche che spesso
derivano da Chiese e Comunità ecclesiali cristiane, ma adottano aspetti
delle culture tradizionali africane. In molti casi il loro sincretismo
rende difficile discernere se siano ancora di ispirazione cristiana o
nascano solo per l’infatuazione per un
leader.
Ma in Africa il confronto con gli adepti delle religioni tradizionali è
quotidiano e continuo, ed esse costituiscono l’humus
culturale e spirituale da cui proviene la maggior parte dei cristiani.
Sarebbe perciò necessario che tra i convertiti ci fossero persone ben
informate in grado di far comprendere quali elementi delle religioni
tradizionali sono conformi all’insegnamento cattolico e quali
rappresentano invece momenti di rottura. Come ben sanno i missionari, la
stregoneria conosce oggi una certa recrudescenza e molti cristiani
vivono una «doppia appartenenza» al cristianesimo e a queste religioni.
Determinare il significato profondo di queste pratiche, soprattutto di
stregoneria, definita «un flagello», è un compito importante per la
Chiesa.
Anche il confronto con l’Islàm, monoteista come il cristianesimo, è
importante in Africa. In alcuni Paesi le relazioni con i musulmani sono
buone, in altri i cristiani sono cittadini di secondo rango ed esiste
persino aggressività nei loro confronti. Pur nella stima per i
musulmani, la Chiesa rivendica la libertà religiosa, come via per la
pace.
I
settori di impegno
Nella seconda metà, più breve, l’Esortazione indica i principali ambiti
di impegno per la Chiesa in Africa e i protagonisti di questo impegno,
nella consapevolezza che non si è mai cristiani da soli.
Ai
vescovi il Papa ricorda il loro compito e raccomanda di non sprecare le
loro energie per rispondere a domande che non sono di loro competenza,
«o nei meandri di un nazionalismo che può accecare. Seguire questo
idolo, così come quello dell’assolutizzazione della cultura africana, è
più facile che seguire le esigenze di Cristo» (n. 102). Ai sacerdoti
ricorda gli impegni sacerdotali: il celibato nella castità e il distacco
dai beni materiali. Particolare gratitudine viene espressa ai missionari
stranieri venuti a condividere con gli africani la gioia della
Rivelazione. Al loro seguito, non pochi africani sono oggi missionari in
altri continenti.
Diaconi permanenti e persone consacrate rivestono anche in Africa un
ruolo particolare. «La vita comunitaria manifesta che è possibile vivere
come fratelli o come sorelle ed essere uniti, anche là dove le origini
etniche e razziali sono diverse» (n. 117). Del resto l’Africa,
particolarmente in Egitto e in Etiopia, è stata la culla della vita
contemplativa cristiana, che nell’ultimo secolo si è diffusa anche
nell’Africa sub-sahariana. Una speciale menzione è riservata logicamente
ai seminaristi e ai catechisti i quali, nella storia della Chiesa in
Africa e nella prima evangelizzazione, hanno svolto un ruolo
particolarissimo: «Sono Africani che hanno evangelizzato degli Africani»
(n. 125) e costituiscono tuttora per un gran numero di comunità il volto
concreto del discepolo zelante nonché il modello della vita cristiana.
Infine il pensiero viene rivolto ai laici, che sono la grande
maggioranza dei cristiani anche in Africa, chiamati a testimoniare
Cristo nel mondo. La loro testimonianza sarà credibile solo se essi sono
persone competenti e oneste.
Il
testo ricorda i tre principali campi di apostolato:
a) il mondo dell’educazione,
cioè le scuole cattoliche, di cui si sottolinea l’importanza, ma anche
la necessità che assicurino «una giusta remunerazione al personale delle
istituzioni educative della Chiesa e all’insieme del personale delle
strutture ecclesiali» (n. 134). Si auspica la fondazione di nuove
università cattoliche, il cui ruolo è essenziale per la ricerca della
luce che viene dalla Verità e nelle quali «è indispensabile proporre
agli studenti una formazione alla Dottrina sociale della Chiesa» (n.
137);
b) il mondo della salute,
di cui la Chiesa si è occupata in ogni epoca;
c) il mondo dell’informazione e della comunicazione.
La
Chiesa ha già affermato più volte che i nuovi media non sono soltanto
strumenti di comunicazione, ma anche un mondo da evangelizzare. I media
infatti possono promuovere un’autentica umanizzazione, ma possono anche
comportare una disumanizzazione. Essi «non favoriscono la libertà né
globalizzano lo sviluppo e la democrazia per tutti semplicemente perché
moltiplicano le possibilità di interconnessione e di circolazione delle
idee» (n. 144). In ogni caso la Chiesa deve essere maggiormente presente
nei media, per renderli non soltanto strumento di diffusione del
Vangelo, ma anche un mezzo utile per la formazione dei popoli africani
alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace.
Uno
dei polmoni spirituali
Nell’ultimo capitolo il Papa esprime anche con maggiore forza l’idea
portante dell’intero documento, che viene successivamente ripresa anche
come conclusione generale, che cioè l’Africa non ha bisogno di un buon
samaritano che se la carichi sulle spalle per salvarla, quanto di
obbedire all’invito che Cristo ha rivolto al paralitico che giaceva al
bordo della piscina: «Alzati e cammina!». «Ripeto che non è di oro né di
argento che l’Africa ha bisogno innanzitutto; essa desidera mettersi in
piedi come l’uomo della piscina di Betzatà; desidera aver fiducia in se
stessa, nella sua dignità di popolo amato dal suo Dio» (n. 149). I mezzi
per acquisire questa consapevolezza, in un cammino cristiano, sono
evidentemente la Scrittura, di cui viene incoraggiato lo studio,
l’Eucaristia,4 la Riconciliazione, che nessun altro atto di
riconciliazione o alcun’altra paraliturgia può sostituire. «Le comunità
che non hanno sacerdoti [...] possono vivere il carattere ecclesiale
della penitenza e della riconciliazione attraverso forme non
sacramentali. I cristiani in situazione di irregolarità possono unirsi
così al cammino penitenziale della Chiesa» (n. 156). Si raccomanda di
celebrare ogni anno in ogni Paese africano un giorno o una settimana di
riconciliazione, anche a livello continentale, «per chiedere a Dio un
perdono speciale per tutti i mali e le ferite che gli esseri umani si
sono inflitti gli uni gli altri in Africa» (n. 157). Occorre favorire
tutto ciò che unisce, potenziando anche gli organismi che possono
aiutare un maggiore coordinamento, come il Sceam (Simposio delle
Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar).
Ma
anche l’Africa deve sentirsi partecipe di quello che è il compito di
tutta la Chiesa per ciò che riguarda l’evangelizzazione: la
missio
ad
gentes,
e la nuova evangelizzazione verso coloro che non seguono più la prassi
cristiana, ricordando che nessun mezzo può e deve sostituirsi al
contatto personale, all’annuncio verbale, come pure alla testimonianza
di una vita cristiana autentica. Ed è tempo che la Chiesa che cammina in
Africa si senta chiamata alla nuova evangelizzazione nei Paesi
secolarizzati da cui in passato provenivano i missionari e che oggi
mancano di vocazioni.
«Possa la Chiesa cattolica in Africa essere sempre uno dei polmoni
spirituali dell’umanità, e diventare ogni giorno di più una benedizione
per il nobile Continente africano e per il mondo intero» (n. 177).
Speranza in cammino
L’Africae
munus
costituisce anzitutto un continuo inno alla speranza per l’Africa, della
quale in genere si conoscono più i drammi e i confitti che le grandi
possibilità, la cultura e la laboriosità della popolazione. Si può
considerarla un vero e proprio manuale pastorale per i prossimi decenni
in Africa. L’accento è decisamente più religioso e spirituale che
socio-economico, e anche l’aspetto umano è visto soprattutto alla luce
della fede. Benché tratti dell’Africa, essa è diretta alla Chiesa
universale nello spirito di comunione che la deve animare.
Chi
abbia letto anche superficialmente le
Propositiones
che
i Padri sinodali presentarono al Papa come conclusione del loro Sinodo
di due anni fa, non farà fatica a ritrovare nel documento continui
riferimenti di esse, a dimostrare che gli stimoli e i suggerimenti
espressi non sono andati dispersi. Molto numerose sono anche le
citazioni di altri documenti del Magistero e di testi specialmente degli
ultimi Papi e, ovviamente, del Concilio Vaticano II, che vogliono
inscrivere i nuovi accenti dell’Esortazione apostolica nel filone
costante di attenzione alla vita religiosa del continente africano. In
particolare si avverte il riferimento alla precedente Assemblea speciale
per l’Africa del Sinodo dei vescovi dell’aprile 1994, pure interamente
dedicata all’Africa e voluta da Giovanni Paolo II. L’Esortazione
apostolica post-sinodale
Ecclesia in Africa,
pubblicata il 15 settembre 1995, che ne segnò la conclusione, è citata
relativamente poche volte nelle 226 note del nuovo documento, ma ha dato
un grande impulso alla crescita della Chiesa nel continente. Si può
quindi dire che essa è molto presente come tappa di un cammino di una
Chiesa giovane e molto dinamica, nonostante i drammatici problemi del
continente. Si tratta della regione del mondo nella quale, del resto, il
numero dei cattolici cresce più rapidamente e che perciò è destinata a
essere un elemento determinante nel futuro del cattolicesimo.
Naturalmente questa considerazione, e anche lo stesso testo, benché
rivolto a tutta l’Africa (con qualche accenno all’Egitto o all’intero
continente), sembra riguardare in particolare l’Africa nera, cioè
subsahariana, dove il cristianesimo conosce una stagione particolarmente
vitale e molto promettente. Il Nord-Africa, per i suoi particolari
legami con il mondo arabo, richiede infatti un discorso a parte e si
evolve con caratteristiche differenti.
Non
sorprende l’insistenza sul tema della riconciliazione, visti i numerosi
conflitti passati e presenti nell’Africa attuale, dopo i drammi della
schiavitù e quello della colonizzazione. Del resto non sono certo gli
europei ad aver dato in passato il buon esempio. Se, dalla seconda
guerra mondiale in poi, almeno l’Europa occidentale sembra aver trovato
la via della crescita senza guerre, mirando all’unità e in
collaborazione tra i vari Stati, per quasi due millenni il nostro
«vecchio continente» ha offerto un desolante spettacolo di guerre
ininterrotte e sanguinose, talvolta presentate anche con motivazioni
religiose. La speranza è che l’Africa trovi ora un suo cammino di pace e
di collaborazione tra i 54 Stati che la compongono.
GianPaolo Salvini sj
Scrittore di
La Civiltà Cattolica
Via di Porta Pinciana, 1 - 00197 Roma