n. 3
marzo 2012

 

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«Africae munus»
 

La responsabilità evangelizzatrice della Chiesa africana

GIANPAOLO SALVINI

 

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Nel corso del suo viaggio apostolico in Benin (18-20 novembre 2011), Benedetto XVI ha firmato l’Esortazione apostolica Africae munus,1 cioè il documento conclusivo della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi, svoltasi a Roma dal 4 al 25 ottobre 2009, e l’ha solennemente consegnata ai vescovi africani presenti e alle delegazioni che li accompagnavano. La firma al documento è stata apposta dal Papa nella basilica dell’Immacolata Concezione di Ouidah, una città situata a 40 chilometri dalla capitale Cotonou e tristemente nota perché era uno dei porti africani dai quali partivano le navi cariche di schiavi neri destinati ai mercati americani (circa 20.000 all’anno). Il mausoleo che lo ricorda si chiama significativamente «Porta del non ritorno». Ma da questa località è anche iniziata l’evangelizzazione della regione, nel 1861, quando arrivarono i primi missionari della Società delle Missioni Africane. Il Papa stesso ha voluto specificare che «la “Porta del non ritorno” ci spinge a denunciare e a combattere ogni forma di schiavitù».

L’arcivescovo Nikola Eterovic´, segretario generale del Sinodo dei vescovi, ha sottolineato in una breve introduzione i temi del Sinodo e quindi anche del documento: pace, giustizia, riconciliazione. Il Papa a sua volta ha aggiunto che «una Chiesa riconciliata al suo interno potrà diventare un segno profetico di riconciliazione a livello della società, di ciascun Paese e dell’intero Continente».

L’Esortazione apostolica

L’Africae munus comprende un testo di 136 pagine, nella consueta edizione a cura della Segreteria di Stato, suddiviso in 177 paragrafi. È composta da due parti. La prima, intitolata: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5), si divide a sua volta in due capitoli, che intendono esaminare le strutture portanti della missione per un’Africa che aspira alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace. Si esaminano poi tutti i vari settori nei quali è necessario impegnarsi perché queste parole si incarnino nella società e nella Chiesa. La seconda parte, intitolata: «A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune» (1Cor 12,7), comprende tre capitoli. In essi si elencano tutti i membri della Chiesa a cui questa missione è affidata, i principali campi di apostolato (educazione, salute e mondo della comunicazione), e si conclude con un’esortazione finale nella quale il Papa incoraggia l’Africa a farsi protagonista della propria rinascita trovando in se stessa, e nella propria fede in Cristo, la forza per riprendere il cammino.

L’intera Esortazione è di fatto un inno alla speranza che deve animare il continente africano senza lasciarsi tentare dallo scoraggiamento. L’accento è posto sin dall’inizio sulla riconciliazione, da porre come fondamento di una solida pace: «La pace degli uomini che si ottiene senza la giustizia è illusoria ed effimera. La giustizia degli uomini che non trova la propria sorgente nella riconciliazione attraverso la verità nella carità (cf Ef 4,15) rimane incompiuta: essa non è autentica giustizia» (n. 18). «Riconciliazione è un concetto pre-politico e una realtà prepolitica, che proprio per questo è della massima importanza per il compito della stessa politica» (n. 19).

L’Esortazione apostolica non scende ad analisi sociologiche o politiche, ma si mantiene su un livello molto spirituale, indicando le radici profonde dell’atteggiamento necessario: la riconciliazione ristabilisce la comunione tra Dio e l’umanità e quella tra gli uomini. «La costruzione di un ordine sociale giusto compete senza dubbio alla sfera politica. Tuttavia, uno dei compiti della Chiesa in Africa consiste nel formare coscienze rette e recettive delle esigenze della giustizia» (n. 22). Ma, «per diventare effettiva, questa riconciliazione dovrà essere accompagnata da un atto coraggioso e onesto: la ricerca dei responsabili di quei conflitti, di coloro che hanno finanziato i crimini e che si dedicano ad ogni sorta di traffici, e l’accertamento delle loro responsabilità. Le vittime hanno diritto alla verità e alla giustizia» (n. 21). La Chiesa è direttamente impegnata in questa incessante opera di formazione civica dei cittadini, accompagnandoli anche nei processi elettorali in vari Paesi.

Il Papa denuncia come inaccettabile, perché immorale, «la confisca dei beni della terra da parte di una minoranza a scapito di popoli interi», affermando nello stesso tempo che «l’Africa è capace di assicurare a tutti gli individui e a tutte le Nazioni del Continente le condizioni di base, che consentano di partecipare allo sviluppo» (n. 24). Ma, ancora una volta, «la giustizia divina offre alla giustizia umana, sempre limitata e imperfetta, l’orizzonte verso il quale deve tendere per realizzarsi pienamente» (n. 25). A questo proposito il Papa cita l’episodio di Zaccheo, nel quale i presenti mormorano contro Gesù che entra in casa di un peccatore, con una critica che vuole essere espressione di amore per la giustizia, ma che ignora la giustizia dell’amore, che si apre sino all’estremo. La giustizia di Dio si compirà soltanto alla fine dei tempi, ma già ora si manifesta là dove i poveri sono consolati e ammessi al banchetto della vita.

Con la sua capacità di riconoscere il volto di Cristo in quello del bambino, del malato, del bisognoso, la Chiesa contribuisce a forgiare la nuova Africa. Ogni volta che i popoli gridano verso di essa, con la suggestiva immagine del profeta Isaia (cf Is 21,11): «Sentinella, quanto resta della notte?», la Chiesa vuole essere pronta a rendere ragione della speranza di cui è portatrice, indicando l’alba che spunta all’orizzonte.

I «cantieri» per la riconciliazione, la giustizia, la pace

Seguendo le indicazioni dei membri del Sinodo, Benedetto XVI si impegna a mettere nel cuore degli africani la volontà di impegnarsi effettivamente a vivere il Vangelo nella loro esistenza e nella società. La conversione si vive in particolare nel sacramento della riconciliazione, spesso trascurato dai cristiani africani, che sono invece molto scrupolosi nell’applicare i riti tradizionali di riconciliazione. Per questo il Papa, pur rivendicando il ruolo insostituibile del sacramento, ricorda che «sarebbe bene che i vescovi facessero studiare seriamente le cerimonie tradizionali africane di riconciliazione per valutarne gli aspetti positivi e i limiti» (n. 33), anche se le mediazioni pedagogiche tradizionali possono contribuire soltanto a ridurre lo strappo vissuto da alcuni fedeli, per aprirsi con maggiore profondità a Cristo. Questo della cristianizzazione degli aspetti accettabili delle religioni tradizionali è un tema che ricorre più volte nel documento pontificio. Del resto «le iniziative della Chiesa per l’apprezzamento positivo e la salvaguardia delle culture africane sono conosciute» (n. 38), ma occorre un discernimento approfondito per distinguere gli aspetti della cultura tradizionale che promuovono i valori del Vangelo da quelli che ne ostacolano l’incarnazione.

Il Papa ricorda poi il valore della famiglia, minacciata dalla cultura attuale (tipica del mondo occidentale, aggiungiamo noi) che distorce la nozione di matrimonio, banalizza l’aborto e svaluta la maternità, indulgendo al relativismo di una «nuova etica». Sottolinea come molto positivo il fatto che gli anziani siano circondati in Africa da una venerazione particolare e non vengano emarginati. Stabilità e ordine sociale sono spesso affidati a un consiglio di anziani o di capi tradizionali. Ricorda poi il ruolo insostituibile degli uomini, ma si sofferma a sottolineare le discriminazioni ancora presenti a danno delle donne in Africa. Sono stati fatti progressi, ma la dignità e i diritti della donna continuano a non essere pienamente riconosciuti né apprezzati. La promozione e l’istruzione delle ragazze è meno favorita di quella dei ragazzi. «Troppo numerose sono ancora le pratiche che umiliano le donne e le avviliscono, in nome della tradizione ancestrale. [...] In questo contesto, converrebbe che i comportamenti all’interno stesso della Chiesa fossero un modello per l’insieme della società» (n. 56).

Una particolare attenzione viene rivolta ai giovani e ai bambini, che in Africa costituiscono la maggioranza della popolazione: un vero dono e tesoro di Dio, anche se spesso i giovani si sentono frustrati e nell’impossibilità di partecipare attivamente alla vita del proprio popolo, anzitutto per la mancanza di opportunità e di occupazioni. Per i bambini, oggetto di una particolare predilezione di Gesù, il Papa aggiunge: «Come allora non deplorare e denunciare con forza i trattamenti intollerabili inflitti in Africa a tanti bambini?» (n. 67).

Benedetto XVI elogia la visione africana della vita, che «viene percepita come una realtà che ingloba e include gli antenati, i vivi e i bambini che devono nascere, tutta la creazione e ogni essere» (n. 69). È un’apertura del cuore che predispone gli africani ad ascoltare il messaggio del Cristo per dare tutto il suo valore alla vita umana e alle condizioni che la fanno fiorire in pienezza.

Ma non mancano preoccupazioni per la mancanza di chiarezza etica che può comportare valori contrari alla morale cattolica. In particolare i Padri sinodali (cf Propositio, n. 20) avevano sottolineato la necessità di difendere la vita umana anche in formazione, dal momento del concepimento, contro ogni forma di aborto.

Ma sulla vita umana in Africa pesano anche altre minacce, come quelle legate ai disastri della droga e dell’abuso di alcool. Malaria, tubercolosi e Aids decimano le popolazioni africane. «Il problema dell’Aids, in particolare, esige certamente una risposta medica e farmaceutica. E tuttavia questa è insufficiente, poiché il problema è più profondo. È anzitutto etico. Il cambio di comportamento che esso esige - ad esempio: l’astinenza sessuale, il rifiuto della promiscuità sessuale, la fedeltà coniugale - pone in ultima analisi la questione dello sviluppo integrale che richiede un approccio e una risposta globali della Chiesa» (n. 72). Il Papa rivendica il diritto degli africani di ricevere medicine in modo che siano accessibili a tutti.

La difesa della vita comporta la lotta contro l’analfabetismo, che rappresenta uno dei maggiori freni allo sviluppo, «un flagello simile a quello delle pandemie» (n. 76). Non manca un appello a salvaguardare l’ambiente, oggetto di gravi attentati che rischiano di desertificare il continente minacciando l’intero ecosistema e la sopravvivenza dell’umanità.

Cultura, solidarietà, dialogo

Il Papa sottolinea il valore di una cultura che abbia a cuore il primato del diritto, in cui libere elezioni costituiscano un luogo di espressione della scelta politica di un popolo e siano un segno della legittimità per l’esercizio del potere. «Il non rispetto della Costituzione nazionale, della legge o del verdetto delle urne, là dove le elezioni sono state libere, eque e trasparenti, manifesterebbe una disfunzione grave nell’esercizio del governo e significherebbe una mancanza di competenza nella gestione della cosa pubblica» (n. 81).

Benché allarmata dall’aumento della criminalità, la Chiesa si batte per un sistema giudiziario indipendente in grado di punire e di rieducare i colpevoli, rispettando la dignità umana dei carcerati. In particolare, seguendo le proposte del Sinodo (cf Propositio, n. 55) il Papa aggiunge: «Attiro l’attenzione dei responsabili della società sulle necessità di fare tutto il possibile per giungere all’eliminazione della pena capitale» (n. 83).

Il fenomeno delle migrazioni tocca pesantemente il continente africano, ma, anziché suscitare compassione e solidarietà generosa da parte di tutti, la situazione di precarietà di questi milioni di poveri fa nascere spesso la paura e l’ansietà, trasformando la migrazione all’interno o all’esterno del continente in un dramma dalle molte dimensioni che disintegra e distrugge le famiglie. La Chiesa ricorda che l’Africa è stata una terra di rifugio per la Santa Famiglia che fuggiva un potere politico dispotico e sanguinario.

Quanto al fenomeno della globalizzazione, con le sue luci e le sue ombre, la Chiesa auspica che la globalizzazione della solidarietà giunga sino a inscrivere «nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità» (n. 86).2 Questa globalizzazione della solidarietà si manifesta però già negli aiuti internazionali e nella mobilitazione internazionale e generosa che si crea in occasione delle catastrofi, che la globalizzazione delle informazioni fa conoscere immediatamente a tutto il mondo.

L’Esortazione apostolica ricorda la necessità del dialogo e delle relazioni interreligiose, in particolare in campo ecumenico,3 per rimediare allo scandalo di un cristianesimo diviso. In Africa sono sorte innumerevoli denominazioni di comunità non cattoliche che spesso derivano da Chiese e Comunità ecclesiali cristiane, ma adottano aspetti delle culture tradizionali africane. In molti casi il loro sincretismo rende difficile discernere se siano ancora di ispirazione cristiana o nascano solo per l’infatuazione per un leader. Ma in Africa il confronto con gli adepti delle religioni tradizionali è quotidiano e continuo, ed esse costituiscono l’humus culturale e spirituale da cui proviene la maggior parte dei cristiani. Sarebbe perciò necessario che tra i convertiti ci fossero persone ben informate in grado di far comprendere quali elementi delle religioni tradizionali sono conformi all’insegnamento cattolico e quali rappresentano invece momenti di rottura. Come ben sanno i missionari, la stregoneria conosce oggi una certa recrudescenza e molti cristiani vivono una «doppia appartenenza» al cristianesimo e a queste religioni. Determinare il significato profondo di queste pratiche, soprattutto di stregoneria, definita «un flagello», è un compito importante per la Chiesa.

Anche il confronto con l’Islàm, monoteista come il cristianesimo, è importante in Africa. In alcuni Paesi le relazioni con i musulmani sono buone, in altri i cristiani sono cittadini di secondo rango ed esiste persino aggressività nei loro confronti. Pur nella stima per i musulmani, la Chiesa rivendica la libertà religiosa, come via per la pace.

I settori di impegno

Nella seconda metà, più breve, l’Esortazione indica i principali ambiti di impegno per la Chiesa in Africa e i protagonisti di questo impegno, nella consapevolezza che non si è mai cristiani da soli.

Ai vescovi il Papa ricorda il loro compito e raccomanda di non sprecare le loro energie per rispondere a domande che non sono di loro competenza, «o nei meandri di un nazionalismo che può accecare. Seguire questo idolo, così come quello dell’assolutizzazione della cultura africana, è più facile che seguire le esigenze di Cristo» (n. 102). Ai sacerdoti ricorda gli impegni sacerdotali: il celibato nella castità e il distacco dai beni materiali. Particolare gratitudine viene espressa ai missionari stranieri venuti a condividere con gli africani la gioia della Rivelazione. Al loro seguito, non pochi africani sono oggi missionari in altri continenti.

Diaconi permanenti e persone consacrate rivestono anche in Africa un ruolo particolare. «La vita comunitaria manifesta che è possibile vivere come fratelli o come sorelle ed essere uniti, anche là dove le origini etniche e razziali sono diverse» (n. 117). Del resto l’Africa, particolarmente in Egitto e in Etiopia, è stata la culla della vita contemplativa cristiana, che nell’ultimo secolo si è diffusa anche nell’Africa sub-sahariana. Una speciale menzione è riservata logicamente ai seminaristi e ai catechisti i quali, nella storia della Chiesa in Africa e nella prima evangelizzazione, hanno svolto un ruolo particolarissimo: «Sono Africani che hanno evangelizzato degli Africani» (n. 125) e costituiscono tuttora per un gran numero di comunità il volto concreto del discepolo zelante nonché il modello della vita cristiana. Infine il pensiero viene rivolto ai laici, che sono la grande maggioranza dei cristiani anche in Africa, chiamati a testimoniare Cristo nel mondo. La loro testimonianza sarà credibile solo se essi sono persone competenti e oneste.

Il testo ricorda i tre principali campi di apostolato:

a) il mondo dell’educazione, cioè le scuole cattoliche, di cui si sottolinea l’importanza, ma anche la necessità che assicurino «una giusta remunerazione al personale delle istituzioni educative della Chiesa e all’insieme del personale delle strutture ecclesiali» (n. 134). Si auspica la fondazione di nuove università cattoliche, il cui ruolo è essenziale per la ricerca della luce che viene dalla Verità e nelle quali «è indispensabile proporre agli studenti una formazione alla Dottrina sociale della Chiesa» (n. 137);

b) il mondo della salute, di cui la Chiesa si è occupata in ogni epoca;

c) il mondo dell’informazione e della comunicazione. La Chiesa ha già affermato più volte che i nuovi media non sono soltanto strumenti di comunicazione, ma anche un mondo da evangelizzare. I media infatti possono promuovere un’autentica umanizzazione, ma possono anche comportare una disumanizzazione. Essi «non favoriscono la libertà né globalizzano lo sviluppo e la democrazia per tutti semplicemente perché moltiplicano le possibilità di interconnessione e di circolazione delle idee» (n. 144). In ogni caso la Chiesa deve essere maggiormente presente nei media, per renderli non soltanto strumento di diffusione del Vangelo, ma anche un mezzo utile per la formazione dei popoli africani alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace.

Uno dei polmoni spirituali

Nell’ultimo capitolo il Papa esprime anche con maggiore forza l’idea portante dell’intero documento, che viene successivamente ripresa anche come conclusione generale, che cioè l’Africa non ha bisogno di un buon samaritano che se la carichi sulle spalle per salvarla, quanto di obbedire all’invito che Cristo ha rivolto al paralitico che giaceva al bordo della piscina: «Alzati e cammina!». «Ripeto che non è di oro né di argento che l’Africa ha bisogno innanzitutto; essa desidera mettersi in piedi come l’uomo della piscina di Betzatà; desidera aver fiducia in se stessa, nella sua dignità di popolo amato dal suo Dio» (n. 149). I mezzi per acquisire questa consapevolezza, in un cammino cristiano, sono evidentemente la Scrittura, di cui viene incoraggiato lo studio, l’Eucaristia,4 la Riconciliazione, che nessun altro atto di riconciliazione o alcun’altra paraliturgia può sostituire. «Le comunità che non hanno sacerdoti [...] possono vivere il carattere ecclesiale della penitenza e della riconciliazione attraverso forme non sacramentali. I cristiani in situazione di irregolarità possono unirsi così al cammino penitenziale della Chiesa» (n. 156). Si raccomanda di celebrare ogni anno in ogni Paese africano un giorno o una settimana di riconciliazione, anche a livello continentale, «per chiedere a Dio un perdono speciale per tutti i mali e le ferite che gli esseri umani si sono inflitti gli uni gli altri in Africa» (n. 157). Occorre favorire tutto ciò che unisce, potenziando anche gli organismi che possono aiutare un maggiore coordinamento, come il Sceam (Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar).

Ma anche l’Africa deve sentirsi partecipe di quello che è il compito di tutta la Chiesa per ciò che riguarda l’evangelizzazione: la missio ad gentes, e la nuova evangelizzazione verso coloro che non seguono più la prassi cristiana, ricordando che nessun mezzo può e deve sostituirsi al contatto personale, all’annuncio verbale, come pure alla testimonianza di una vita cristiana autentica. Ed è tempo che la Chiesa che cammina in Africa si senta chiamata alla nuova evangelizzazione nei Paesi secolarizzati da cui in passato provenivano i missionari e che oggi mancano di vocazioni.

«Possa la Chiesa cattolica in Africa essere sempre uno dei polmoni spirituali dell’umanità, e diventare ogni giorno di più una benedizione per il nobile Continente africano e per il mondo intero» (n. 177).

Speranza in cammino

L’Africae munus costituisce anzitutto un continuo inno alla speranza per l’Africa, della quale in genere si conoscono più i drammi e i confitti che le grandi possibilità, la cultura e la laboriosità della popolazione. Si può considerarla un vero e proprio manuale pastorale per i prossimi decenni in Africa. L’accento è decisamente più religioso e spirituale che socio-economico, e anche l’aspetto umano è visto soprattutto alla luce della fede. Benché tratti dell’Africa, essa è diretta alla Chiesa universale nello spirito di comunione che la deve animare.

Chi abbia letto anche superficialmente le Propositiones che i Padri sinodali presentarono al Papa come conclusione del loro Sinodo di due anni fa, non farà fatica a ritrovare nel documento continui riferimenti di esse, a dimostrare che gli stimoli e i suggerimenti espressi non sono andati dispersi. Molto numerose sono anche le citazioni di altri documenti del Magistero e di testi specialmente degli ultimi Papi e, ovviamente, del Concilio Vaticano II, che vogliono inscrivere i nuovi accenti dell’Esortazione apostolica nel filone costante di attenzione alla vita religiosa del continente africano. In particolare si avverte il riferimento alla precedente Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi dell’aprile 1994, pure interamente dedicata all’Africa e voluta da Giovanni Paolo II. L’Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa, pubblicata il 15 settembre 1995, che ne segnò la conclusione, è citata relativamente poche volte nelle 226 note del nuovo documento, ma ha dato un grande impulso alla crescita della Chiesa nel continente. Si può quindi dire che essa è molto presente come tappa di un cammino di una Chiesa giovane e molto dinamica, nonostante i drammatici problemi del continente. Si tratta della regione del mondo nella quale, del resto, il numero dei cattolici cresce più rapidamente e che perciò è destinata a essere un elemento determinante nel futuro del cattolicesimo.

Naturalmente questa considerazione, e anche lo stesso testo, benché rivolto a tutta l’Africa (con qualche accenno all’Egitto o all’intero continente), sembra riguardare in particolare l’Africa nera, cioè subsahariana, dove il cristianesimo conosce una stagione particolarmente vitale e molto promettente. Il Nord-Africa, per i suoi particolari legami con il mondo arabo, richiede infatti un discorso a parte e si evolve con caratteristiche differenti.

Non sorprende l’insistenza sul tema della riconciliazione, visti i numerosi conflitti passati e presenti nell’Africa attuale, dopo i drammi della schiavitù e quello della colonizzazione. Del resto non sono certo gli europei ad aver dato in passato il buon esempio. Se, dalla seconda guerra mondiale in poi, almeno l’Europa occidentale sembra aver trovato la via della crescita senza guerre, mirando all’unità e in collaborazione tra i vari Stati, per quasi due millenni il nostro «vecchio continente» ha offerto un desolante spettacolo di guerre ininterrotte e sanguinose, talvolta presentate anche con motivazioni religiose. La speranza è che l’Africa trovi ora un suo cammino di pace e di collaborazione tra i 54 Stati che la compongono.

GianPaolo Salvini sj
Scrittore di
La Civiltà Cattolica
Via di Porta Pinciana, 1 - 00197 Roma

 

 

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