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n.6
novembre/dicembre 2013

 

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Annuncio e nuova evangelizzazione oggi

 di Giuseppe Morante

 

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Oggi non mancano delle perplessità circa le modalità dell’annuncio e sui percorsi di evangelizzazione, dal momento che si tratta d’impostare una “nuova pastorale” in un tessuto ecclesiale tradizionale. Se si ritorna sul tema è perché la traduzione pastorale delle “indicazioni ecclesiali” fa fatica ad attuarsi nelle comunità parrocchiali.

Nell’ambito di questo breve spazio non si possono fare elucubrazioni. Do per acquisito che oggi è necessario inventare un nuovo modo di annunciare il Vangelo di Gesù. Pertanto mi soffermerò brevemente ad analizzare alcuni criteri per rendere efficace tale missione della Chiesa nell’oggi della nostra storia. Occorre partire dal fatto che l’annuncio ha una sua connotazione “storica”, perché si colloca nei meandri della vita quotidiana (cultura come modo di vivere) e questa operazione richiede almeno due riscontri preliminari:

- prendere visione del modo di vivere della nostra gente riguardo alla vita cristiana (quello che pensano e vivono di essa, “in una cultura post-cristiana”);

- verificare il nostro linguaggio ecclesiale che appare molto lontano dalla comprensione di quello comune. Ne consegue che è necessario prendere coscienza che non si può continuare a gestire la vita ecclesiale come se “il mondo non fosse cambiato”.

Distanze tra vangelo e cultura

Come eliminare la distanza tra il Vangelo di sempre e la cultura di oggi? Già Paolo VI ci aveva avvertito che «il dramma del nostro tempo è la separazione del Vangelo dalla cultura» (Evangelii nuntiandi, 18). Dopo oltre quarant’anni questa separazione si è parecchio accentuata. Se la cultura è ciò per cui l’uomo diventa più uomo, se è quell’atmosfera spirituale all’interno della quale la persona vive e svolge la sua attività, deve diventare chiaro per i responsabili pastorali che la nostra salute spirituale dipende molto dalla qualità dell’aria culturale che si respira. Ci si deve domandare: Quali boccate d’aria nuova la comunità pastorale immette nel proprio ambiente, a proposito di “collegare la fede alla vita”?

Evangelizzare la cultura mira a far sì che il Vangelo impregni la realtà concreta della vita delle persone. «La pastorale deve assumere il compito di plasmare una mentalità cristiana nella vita quotidiana » (Ecclesia in Europa, 58). Non si tratta di fare proselitismo, né di convincere con accattivanti motivazioni o piacevoli iniziative occasionali. Occorre un impianto stabile che evidenzi il passaggio da uno stato di cristianità ad uno stato di missione, perché “il mondo è cambiato” (cf CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (30 maggio 2004).

Allora occorre che l’annuncio, per entrare nel cuore delle culture, deve essere preceduto da una preparazione del terreno: ascolto dei problemi umani veri, riflessione sui valori di sempre, anche se accostati con la mentalità attuale. Si tratta di entrare insieme in questa sorta di nuova visione di vita. Se il problema fondamentale della nostra gente è “l’indifferenza” nei confronti del Vangelo, il primo e irrinunciabile compito pastorale diventa quello di destare attenzione, suscitare interesse, studiando ed inventandosi i punti di ancoraggio concreto dove far attraccare l’annuncio del Vangelo.

Questo è il compito del Pastore, del Consiglio Pastorale, dei Responsabili adulti delle comunità e dei movimenti ecclesiali. Sorge perciò il bisogno di riflettere su questo nuovo modo di essere Chiesa oggi! Non ci sono ricette facili, ma bisogna “inventarsi le iniziative” utili a tentare questo avvicinamento del Vangelo alla vita della gente. Ma pare invece che per le parrocchie è difficile “inventare il nuovo”; è più facile “ripetere il vecchio”. Perciò si offrono orientamenti per una pastorale che aiuti la comunità cristiana locale a rispondere alla sfida della non credenza e dell’indifferenza religiosa, che caratterizza la cultura della gente nei primordi di questo terzo millennio.

Orientamenti pastorali

1°. Riflettere seriamente sul fatto che la mentalità della gente (anche cristiana) nei confronti del Vangelo è profondamente cambiata. Una prima implicazione nasce dall’aspetto globale e specifico della cultura, intesa come sistema acquisito. Si devono aiutare persone e gruppi di una data comunità cristiana locale, più o meno “distante” dalle indicazioni evangeliche, per accorciarne la distanza, attraverso iniziative culturali che evidenzino le attività, le scelte di vita, i comportamenti.

Questa “oggettivazione” indica che le risposte all’evangelizzazione dipendono dall’insieme di atteggiamenti, scelte, decisioni e comportamenti, sia delle persone che dei gruppi. Spiega inoltre perché l’evangelizzazione non può limitarsi agli aspetti personali dell’annuncio ma deve assumere, fin dagli inizi, una consapevole dimensione culturale.

L’analisi critica riflessiva inoltre non potrà limitarsi agli aspetti teorici della cultura, ma alle conseguenze pratiche che riguardano l’esistenza quotidiana di quanti vivono all’interno di una stessa società (giovani, anziani, lavoratori, ammalati, professionisti, ambienti urbani, rurali...), rappresentando, in essa, una cultura particolare.

2°. Approfondire il rapporto fra cultura e persona, rapporto che non è univoco, dipendendo da specifiche differenze ambientali. In ogni cultura esistono valutazioni diverse e atteggiamenti anche opposti verso i sani, gli ammalati, i giovani, gli anziani, gli occupati, i disoccupati, verso stranieri, istruzione, proprietà...

Questo pluralismo culturale spiega l’estrema difficoltà di ricondurre una comunità parrocchiale ad un comune denominatore. L’esperienza insegna che, davanti a questo ostacolo, il problema si risolve limitandosi alla solita pastorale tradizionale offerta a tutti, ma significativa per pochi.

3°. Costante riferimento della cultura e delle sue funzioni alla società in cui si vive e di cui si fa parte, anche inconsapevolmente (per tanti cristiani tradizionali). L’azione pastorale non deve apparire distaccata dal modo di vivere della gente. Tra la società e la cultura s’intrecciano continue relazioni e si scambiano influssi reciproci: l’insieme dei modi di vita di un dato gruppo; dei modelli di comportamento e dei valori condivisi dai membri di un gruppo o di una società; la crescente complessità delle condizioni umane e sociali.

Chi vuole evangelizzare è chiamato a discernere, collaborare, sviluppare creatività verso i  molteplici problemi sociali, passando in primo luogo attraverso i modelli culturali di ogni specifica comunità locale. Ne consegue che essa dovrà impegnarsi nei problemi e nelle situazioni culturali della propria comunità, senza trascurare le altre comunità culturali vicine o lontane. In altre parole, l’evangelizzazione verso le parrocchie e i gruppi di ogni genere contribuisce ad evangelizzare la società globale, purché sappia operare in modo significativo e adeguato ai differenti contesti culturali, in base a un principio non di imitazione, ma di analogia.

4°. Attenzione al linguaggio religioso nella comunicazione del messaggio evangelico. È innegabile oggi che il linguaggio comune è molto distante da quello della fede. Spesso si ripetono formule astratte incomprensibili all’uomo del nostro tempo. Anche la ritualità liturgica deve svestirsi dello stile rigido del passato, diventando bello, sobrio, adatto a celebrare la gloria del Signore, intelligibile nelle parole e nei gesti, che parlino di per se stessi, senza bisogno di ulteriori spiegazioni.

Lo stesso vocabolario catechistico deve essere tradotto in termini comprensibili. Pastori, catechisti, educatori sono chiamati a fare uno sforzo personale, prima ancora che esso arrivi dall’alto delle istituzioni. Naturalmente senza tradirne il messaggio. C’è da compiere un enorme lavoro di traduzione, soprattutto di inculturazione.

L’incontro tra “Parola e Vita” deve assumere lo stile dell’incarnazione del Verbo. Il linguaggio deve essere narrativo, transculturale, perché non trasmette idee, ma racconta fatti noti a tutti, che richiamano il corpo o l’ambito dell’esperienza comune: la mano, il piede, l’occhio, la bocca, il nascere, il dormire, il morire, l’acqua, il sole, la notte… In questo modo la comunità cristiana diventa realizzazione visibile e udibile del Vangelo.

Per concludere, invito a riflettere su due documenti: l’enciclica di Giovanni Paolo II Redemptoris missio (7 dicembre 1990) e la Nota pastorale già richiamata della CEI Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (30 maggio 2004). Dalla lettura, riflessa alla luce dei criteri sopra esposti, possono partire proposte pastorali di “nuova evangelizzazione”, che nascono dalla base e coinvolgono nella realizzazione.

Giuseppe Morante sdb
Istituto Salesiano «Madonna di Lourdes»
Via Margherita di Savoia, 22
80058 Torre Annunziata (NA
)

 

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