Oggi
non mancano delle perplessità circa le modalità dell’annuncio e sui
percorsi di evangelizzazione, dal momento che si tratta d’impostare una
“nuova pastorale” in un tessuto ecclesiale tradizionale. Se si ritorna
sul tema è perché la traduzione pastorale delle “indicazioni ecclesiali”
fa fatica ad attuarsi nelle comunità parrocchiali.
Nell’ambito di questo breve spazio non si possono fare elucubrazioni. Do
per acquisito che oggi è necessario inventare un nuovo modo di
annunciare il Vangelo di Gesù. Pertanto mi soffermerò brevemente ad
analizzare alcuni criteri per rendere efficace tale missione della
Chiesa nell’oggi della nostra storia. Occorre partire dal fatto che
l’annuncio ha una sua connotazione “storica”, perché si colloca nei
meandri della vita quotidiana (cultura come modo di vivere) e questa
operazione richiede almeno due riscontri preliminari:
-
prendere visione
del
modo di vivere della nostra gente riguardo alla vita cristiana (quello
che pensano e vivono di essa, “in una cultura post-cristiana”);
-
verificare il nostro linguaggio ecclesiale
che
appare molto lontano dalla comprensione di quello comune. Ne consegue
che è necessario prendere coscienza che non si può continuare a gestire
la vita ecclesiale come se “il mondo non fosse cambiato”.
Distanze tra vangelo e cultura
Come
eliminare la distanza tra il Vangelo di sempre e la cultura di oggi? Già
Paolo VI ci aveva avvertito che «il dramma del nostro tempo è la
separazione del Vangelo dalla cultura» (Evangelii
nuntiandi,
18). Dopo oltre quarant’anni questa separazione si è parecchio
accentuata. Se la cultura è ciò per cui l’uomo diventa più uomo, se è
quell’atmosfera spirituale all’interno della quale la persona vive e
svolge la sua attività, deve diventare chiaro per i responsabili
pastorali che la nostra salute spirituale dipende molto dalla qualità
dell’aria culturale che si respira. Ci si deve domandare: Quali boccate
d’aria nuova la comunità pastorale immette nel proprio ambiente, a
proposito di “collegare la fede alla vita”?
Evangelizzare la cultura mira a far sì che il Vangelo impregni la realtà
concreta della vita delle persone. «La pastorale deve assumere il
compito di plasmare una mentalità cristiana nella vita quotidiana » (Ecclesia
in Europa,
58). Non si tratta di fare proselitismo, né di convincere con
accattivanti motivazioni o piacevoli iniziative occasionali. Occorre un
impianto stabile che evidenzi il passaggio da uno stato di cristianità
ad uno stato di missione, perché “il mondo è cambiato” (cf CEI,
Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia
(30
maggio 2004).
Allora occorre che l’annuncio, per entrare nel cuore delle culture, deve
essere preceduto da una preparazione del terreno: ascolto dei problemi
umani veri, riflessione sui valori di sempre, anche se accostati con la
mentalità attuale. Si tratta di entrare insieme in questa sorta di nuova
visione di vita. Se il problema fondamentale della nostra gente è
“l’indifferenza” nei confronti del Vangelo, il primo e irrinunciabile
compito pastorale diventa quello di destare attenzione, suscitare
interesse, studiando ed inventandosi i punti di ancoraggio concreto dove
far attraccare l’annuncio del Vangelo.
Questo è il compito del Pastore, del Consiglio Pastorale, dei
Responsabili adulti delle comunità e dei movimenti ecclesiali. Sorge
perciò il bisogno di riflettere su questo nuovo modo di essere Chiesa
oggi! Non ci sono ricette facili, ma bisogna “inventarsi le iniziative”
utili a tentare questo avvicinamento del Vangelo alla vita della gente.
Ma pare invece che per le parrocchie è difficile “inventare il nuovo”; è
più facile “ripetere il vecchio”. Perciò si offrono orientamenti per una
pastorale che aiuti la comunità cristiana locale a rispondere alla sfida
della non credenza e dell’indifferenza religiosa, che caratterizza la
cultura della gente nei primordi di questo terzo millennio.
Orientamenti pastorali
1°.
Riflettere seriamente sul fatto che la mentalità della gente (anche
cristiana) nei confronti del Vangelo è profondamente cambiata.
Una prima implicazione nasce dall’aspetto globale e specifico della
cultura, intesa come sistema acquisito. Si devono aiutare persone e
gruppi di una data comunità cristiana locale, più o meno “distante”
dalle indicazioni evangeliche, per accorciarne la distanza, attraverso
iniziative culturali che evidenzino le attività, le scelte di vita, i
comportamenti.
Questa “oggettivazione” indica che le risposte all’evangelizzazione
dipendono dall’insieme di atteggiamenti, scelte, decisioni e
comportamenti, sia delle persone che dei gruppi. Spiega inoltre perché
l’evangelizzazione non può limitarsi agli aspetti personali
dell’annuncio ma deve assumere, fin dagli inizi, una consapevole
dimensione culturale.
L’analisi critica riflessiva inoltre non potrà limitarsi agli aspetti
teorici della cultura, ma alle conseguenze pratiche che riguardano
l’esistenza quotidiana di quanti vivono all’interno di una stessa
società (giovani, anziani, lavoratori, ammalati, professionisti,
ambienti urbani, rurali...), rappresentando, in essa, una cultura
particolare.
2°.
Approfondire il rapporto fra cultura e persona, rapporto che non è
univoco, dipendendo da specifiche differenze ambientali.
In
ogni cultura esistono valutazioni diverse e atteggiamenti anche opposti
verso i sani, gli ammalati, i giovani, gli anziani, gli occupati, i
disoccupati, verso stranieri, istruzione, proprietà...
Questo pluralismo culturale spiega l’estrema difficoltà di ricondurre
una comunità parrocchiale ad un comune denominatore. L’esperienza
insegna che, davanti a questo ostacolo, il problema si risolve
limitandosi alla solita pastorale tradizionale offerta a tutti, ma
significativa per pochi.
3°.
Costante riferimento della cultura e delle sue funzioni alla società in
cui si vive e di cui si fa parte, anche inconsapevolmente
(per
tanti cristiani tradizionali). L’azione pastorale non deve apparire
distaccata dal modo di vivere della gente. Tra la società e la cultura
s’intrecciano continue relazioni e si scambiano influssi reciproci:
l’insieme dei modi di vita di un dato gruppo; dei modelli di
comportamento e dei valori condivisi dai membri di un gruppo o di una
società; la crescente complessità delle condizioni umane e sociali.
Chi
vuole evangelizzare è chiamato a discernere, collaborare, sviluppare
creatività verso i molteplici problemi sociali, passando in primo luogo
attraverso i modelli culturali di ogni specifica comunità locale. Ne
consegue che essa dovrà impegnarsi nei problemi e nelle situazioni
culturali della propria comunità, senza trascurare le altre comunità
culturali vicine o lontane. In altre parole, l’evangelizzazione verso le
parrocchie e i gruppi di ogni genere contribuisce ad evangelizzare la
società globale, purché sappia operare in modo significativo e adeguato
ai differenti contesti culturali, in base a un principio non di
imitazione, ma di analogia.
4°.
Attenzione al linguaggio religioso nella comunicazione del messaggio
evangelico.
È
innegabile oggi che il linguaggio comune è molto distante da quello
della fede. Spesso si ripetono formule astratte incomprensibili all’uomo
del nostro tempo. Anche la ritualità liturgica deve svestirsi dello
stile rigido del passato, diventando bello, sobrio, adatto a celebrare
la gloria del Signore, intelligibile nelle parole e nei gesti, che
parlino di per se stessi, senza bisogno di ulteriori spiegazioni.
Lo
stesso vocabolario catechistico deve essere tradotto in termini
comprensibili. Pastori, catechisti, educatori sono chiamati a fare uno
sforzo personale, prima ancora che esso arrivi dall’alto delle
istituzioni. Naturalmente senza tradirne il messaggio. C’è da compiere
un enorme lavoro di traduzione, soprattutto di inculturazione.
L’incontro tra “Parola e Vita” deve assumere lo stile dell’incarnazione
del Verbo. Il linguaggio deve essere
narrativo,
transculturale, perché non trasmette idee, ma racconta fatti noti a
tutti, che richiamano il corpo o l’ambito dell’esperienza comune: la
mano, il piede, l’occhio, la bocca, il nascere, il dormire, il morire,
l’acqua, il sole, la notte… In questo modo la comunità cristiana diventa
realizzazione visibile e udibile del Vangelo.
Per
concludere, invito a riflettere su due documenti: l’enciclica di
Giovanni Paolo II
Redemptoris missio
(7
dicembre 1990) e la Nota pastorale già richiamata della CEI
Il
volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia
(30
maggio 2004). Dalla lettura, riflessa alla luce dei criteri sopra
esposti, possono partire proposte pastorali di “nuova evangelizzazione”,
che nascono dalla base e coinvolgono nella realizzazione.
Giuseppe Morante sdb
Istituto Salesiano «Madonna di Lourdes»
Via Margherita di Savoia, 22
80058 Torre Annunziata (NA)