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n.1
gennaio/febbraio 2014

 

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L'esercizio della misericordia nella comunità religiosa

 di GIUSEPPINA ALBERGHINA

 

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«Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso » (Lc 6,36). Questa vetta evangelica, propria di Luca, è praticamente impossibile da raggiungere, ma la grazia di Dio ci può dare almeno un barlume ed educarci a sperimentarla. Solo nella contemplazione del mistero della Trinità santa è possibile fissare lo sguardo sull’abisso della misericordia del Padre!

Dalla fonte trinitaria

Il card. Carlo Maria Martini, nella sua lettera pastorale Effatà, apriti, sulla comunicazione, così scriveva ai fedeli ambrosiani: «Nell’incarnazione e nel mistero pasquale noi veniamo a conoscere quel Figlio, che s. Ignazio di Antiochia chiama “Verbo procedente dal silenzio”. Egli è colui nel quale il Padre (che è come il Silenzio, il mistero nascosto che sta all’origine del comunicare) si esprime e si fa conoscere. Gesù in tutta la sua vita non ha voluto fare altro che rivelare il Padre: “Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini” (Gv 17, 6). Gesù, come Verbo procedente dal Padre, si comunica agli uomini e alle donne di tutti i secoli fino ad oggi, inviando lo Spirito. Lo Spirito può essere chiamato “l’Incontro”: incontro di Parola e di Silenzio, di Dio Trinità con gli uomini. Per lui avviene in ciascuno di noi il misterioso incontro con l’amore che il Padre ha per noi fin dal silenzio eterno e che ci manifesta, nel tempo, in suo Figlio […]. Tutto il mistero creativo e redentivo è dunque un grande atto del comunicare divino, che ci manifesta un Dio unico in Tre persone che possono anche essere designate come il Silenzio fecondo da cui nasce la Parola, mediante la quale si realizza l’Incontro: e tutto ciò si avvera in pienezza nella Croce»1.

La misericordia del Padre si manifesta come Silenzio che accoglie, ascolta, perdona, ama perdutamente tutti i suoi figli, pronunciando una sola ed eterna Parola, il Figlio, il Verbo fatto carne. In Lui, lo Spirito Santo rende il nostro silenzio e la nostra parola apertura all’Incontro, gioia di una comunicazione che non ha bisogno di molte parole, che si nutre di gesti piccoli ma concreti, che raggiungono quanti ci vivono accanto. Così è a noi comunicato il mistero dell’amore Trinitario che si rivela come instancabile misericordia.

Perdona al tuo fratello

Qualcuno ha detto che «il silenzio è misericordia quando non riveli le colpe dei fratelli, quando perdoni senza indagare e recriminare, quando non condanni ma intercedi nell’intimo». Per questo la comunità religiosa, nell’umile fatica del quotidiano, può rendere visibile la misericordia di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo: «La vita fraterna intende rispecchiare la profondità e la ricchezza di tale mistero, configurandosi come spazio umano abitato dalla Trinità, che estende così nella storia i doni della comunione propri delle tre Persone divine»2.

Lo sappiamo per esperienza, la vita fraterna in comunità non è opera delle nostre mani ma dono che accogliamo con umiltà e gratitudine, come primo ed essenziale annuncio del Vangelo: «Non si può comprendere la comunità religiosa senza partire dal suo essere dono dall'Alto, dal suo mistero, dal suo radicarsi nel cuore stesso della Trinità santa e santificante, che la vuole parte del mistero della Chiesa, per la vita del mondo»3.

Infatti è l’esperienza di essere stati perdonati e graziati della benevolenza del Padre che ci permette di accogliere il dono della fraternità, come esorta l’Apostolo: «Siate benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi» (Ef 4,32). La misericordia ha il volto del perdono incondizionato, perché è proprio in questo modo che siamo stati perdonati da Dio.

La regola di Taizè così parla della misericordia nella vita comunitaria: «Perdona al tuo fratello fino a settanta volte sette. Se temi di alimentare l’orgoglio del fratello, scordando le sue offese, esortalo, allora, ma sempre a tu per tu e con la dolcezza del Cristo. Se, per conservare il tuo desiderio d’influenza o di popolarità presso alcuni fratelli, ti astieni dall’esortare, sei nella comunità una causa di regresso. […] Colui che vive nella misericordia non conosce né suscettibilità né delusioni. Si dona semplicemente dimenticando se stesso, gioiosamente con tutto il suo fervore, gratuitamente, senza attendere alcuna ricompensa »4. Per vivere nella misericordia bisogna essere disposti a perdere se stessi, altrimenti il tacere non è amore vero, ma opportunismo che fa regredire la vita comunitaria.

La correzione fraterna

La misericordia, infatti, ha anche il volto della correzione fraterna, possibile solo quando siamo sufficientemente purificati dallo Spirito, che scruta il nostro cuore e lo rende cosciente se interveniamo presso il fratello o la sorella solo per amore. Doroteo di Gaza, con la sapienza maturata nell’ascolto assiduo della Parola, così racconta la sua esperienza di misericordia come superiore della comunità monastica: «Se presiedi ai fratelli, abbi cura di loro con cuore severo e con viscere di misericordia, insegna con parole e opere come debbano comportarsi, insegna soprattutto con le opere, perché l'esempio è molto più efficace. Se ti è possibile sii loro modello anche nelle fatiche del corpo, se invece sei debole, sii loro modello per la bontà del tuo cuore e per i frutti dello Spirito enumerati dall’apostolo: amore, gioia, pace, benevolenza, affabilità, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé su ogni passione (Gal 5,22). Non irritarti oltre misura di fronte ai peccati, ma fa vedere, senza turbarti, il danno che ne deriva e se devi rimproverare, fallo con un atteggiamento conveniente e al momento opportuno»5.

E a tutti i fratelli, Doroteo, che conosce bene i movimenti del cuore umano, ricorda: «Non cercar di conoscere la malvagità del tuo prossimo, non fidarti dei sospetti che nutri contro di lui. Anche se la nostra malvagità li fa nascere, sforzati di trasformarli in pensieri di bene. Rendi grazie in tutto e acquisterai la bontà e la santa carità»6. Il continuo rendimento di grazie a Dio e ai fratelli, rende il cuore libero dal ricordo malsano del peccato proprio e altrui e lo apre alla misericordia. Nei detti dei Padri del deserto troviamo anche: “Un fratello chiese al padre Poemen: «Che cos’è la fede?» E l’anziano a lui: «Fede è vivere con umiltà e fare misericordia »7. E continua: «Nell’ora in cui copriremo la colpa del nostro fratello, anche Dio coprirà la nostra»8.

Frutto della lotta contro il male

È evidente che la misericordia non è un dono di natura che alcuni credono di avere per la pacatezza del carattere, ma il frutto di una diuturna lotta spirituale che disciplina il cuore e lo rende aperto all’opera dello Spirito che vuole ammorbidirlo e convertirlo. Per questo: «Il vigilare, lo stare attenti a se stessi e il discernimento, queste tre virtù sono guide dell’anima»9. Siamo chiamati a conoscere il nostro cuore, ad essere consapevoli degli abissi che lo abitano, per lasciare che la luce dello Spirito penetri sin nei recessi più oscuri e impresentabili, sino a riconoscere il nostro bisogno di misericordia. Allora conosceremo anche il cuore delle persone che il Signore affida alle nostre cure e sapremo usare misericordia, verso gli altri e un po’ anche verso noi stessi.

San Benedetto, padre dei monaci, così scrive nella sua Regola, ormai sperimentata da generazioni di monaci e monache da quindici secoli: «I monaci si prevengano l'un l'altro nel rendersi onore; sopportino con grandissima pazienza le rispettive miserie fisiche e morali; gareggino nell'obbedirsi scambievolmente; nessuno cerchi il proprio vantaggio, ma piuttosto ciò che giudica utile per gli altri; si portino a vicenda un amore fraterno e scevro da ogni egoismo; temano filialmente Dio; amino il loro abate con sincera e umile carità; non antepongano assolutamente nulla a Cristo, che ci conduca tutti insieme alla vita eterna»10.

E noi che siamo discendenti spirituali di questi Padri, chiamati alla comunione fraterna nella comunità religiosa, in questo tempo in cui tutte le relazioni tendono a franare per l’incapacità a durare, propria di questa società liquida, come possiamo rendere ragione della bellezza e della solidità della misericordia? Come possiamo partecipare, dare il nostro contributo al risanamento delle relazioni?

Il primo passo è rispecchiarci nel mistero della Trinità santa, vivendo le relazioni con misericordia, cioè nel Silenzio che ascolta proprio del Padre, nella Parola risanatrice del Figlio, nell’Incontro gioioso e paziente dello Spirito, che trasfigura ogni gesto del nostro povero amore, nella potenza misericordiosa che guarisce e illumina. E riempie di gioia duratura il cuore. Da questa Fonte scaturirà tutta la sapienza necessaria a vivere immersi nella misericordia.

 

1 C.M. MARTINI, Lettera Pastorale 1990-1991, Effatà, apriti!, n. 25.

2 Vita consecrata, 1996, n. 41.

3 La vita fraterna in comunità, 1994, n. 8.

4 Regola di Taizè, Brescia 1976, 47-51: «Misericordia».

5 DOROTEO DI GAZA, Insegnamenti spirituali: «A quelli che presiedono ai monasteri e ai loro discepoli».

6 Idem

7 L. MORTARI (a cura), Vita e detti dei padri del deserto, IV edizione minima, Roma 2005: Poemen, 25, 378.

8 Idem 69, 389.

9 Idem, Poemen, 35, 381.

10 SAN BENEDETTO, Regola, 72.

Giuseppina Alberghina sjbp
Via A. Traversari, 58 – 00152 Roma

 

 

 

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