«Siate
misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso » (Lc 6,36).
Questa vetta evangelica, propria di Luca, è praticamente impossibile da
raggiungere, ma la grazia di Dio ci può dare almeno un barlume ed
educarci a sperimentarla. Solo nella contemplazione del mistero della
Trinità santa è possibile fissare lo sguardo sull’abisso della
misericordia del Padre!
Dalla fonte trinitaria
Il
card. Carlo Maria Martini, nella sua lettera pastorale
Effatà, apriti,
sulla comunicazione, così scriveva ai fedeli ambrosiani:
«Nell’incarnazione e nel mistero pasquale noi veniamo a conoscere quel
Figlio, che s. Ignazio di Antiochia chiama “Verbo procedente dal
silenzio”. Egli è colui nel quale il Padre (che è come il Silenzio, il
mistero nascosto che sta all’origine del comunicare) si esprime e si fa
conoscere. Gesù in tutta la sua vita non ha voluto fare altro che
rivelare il Padre: “Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini” (Gv 17,
6). Gesù, come Verbo procedente dal Padre, si comunica agli uomini e
alle donne di tutti i secoli fino ad oggi, inviando lo Spirito. Lo
Spirito può essere chiamato “l’Incontro”: incontro di Parola e di
Silenzio, di Dio Trinità con gli uomini. Per lui avviene in ciascuno di
noi il misterioso incontro con l’amore che il Padre ha per noi fin dal
silenzio eterno e che ci manifesta, nel tempo, in suo Figlio […]. Tutto
il mistero creativo e redentivo è dunque un grande atto del comunicare
divino, che ci manifesta un Dio unico in Tre persone che possono anche
essere designate come il Silenzio fecondo da cui nasce la Parola,
mediante la quale si realizza l’Incontro: e tutto ciò si avvera in
pienezza nella Croce»1.
La
misericordia del Padre si manifesta come Silenzio che accoglie, ascolta,
perdona, ama perdutamente tutti i suoi figli, pronunciando una sola ed
eterna Parola, il Figlio, il Verbo fatto carne. In Lui, lo Spirito Santo
rende il nostro silenzio e la nostra parola apertura all’Incontro, gioia
di una comunicazione che non ha bisogno di molte parole, che si nutre di
gesti piccoli ma concreti, che raggiungono quanti ci vivono accanto.
Così è a noi comunicato il mistero dell’amore Trinitario che si rivela
come instancabile misericordia.
Perdona al tuo fratello
Qualcuno ha detto che «il silenzio è misericordia quando non riveli le
colpe dei fratelli, quando perdoni senza indagare e recriminare, quando
non condanni ma intercedi nell’intimo». Per questo la comunità
religiosa, nell’umile fatica del quotidiano, può rendere visibile la
misericordia di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo: «La vita fraterna
intende rispecchiare la profondità e la ricchezza di tale mistero,
configurandosi come spazio umano abitato dalla Trinità, che estende così
nella storia i doni della comunione propri delle tre Persone divine»2.
Lo
sappiamo per esperienza, la vita fraterna in comunità non è opera delle
nostre mani ma dono che accogliamo con umiltà e gratitudine, come primo
ed essenziale annuncio del Vangelo: «Non si può comprendere la comunità
religiosa senza partire dal suo essere dono dall'Alto, dal suo mistero,
dal suo radicarsi nel cuore stesso della Trinità santa e santificante,
che la vuole parte del mistero della Chiesa, per la vita del mondo»3.
Infatti è l’esperienza di essere stati perdonati e graziati della
benevolenza del Padre che ci permette di accogliere il dono della
fraternità, come esorta l’Apostolo: «Siate benevoli gli uni verso gli
altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a
voi» (Ef 4,32). La misericordia ha il volto del perdono incondizionato,
perché è proprio in questo modo che siamo stati perdonati da Dio.
La
regola di Taizè così parla della misericordia nella vita comunitaria:
«Perdona al tuo fratello fino a settanta volte sette. Se temi di
alimentare l’orgoglio del fratello, scordando le sue offese, esortalo,
allora, ma sempre a tu per tu e con la dolcezza del Cristo. Se, per
conservare il tuo desiderio d’influenza o di popolarità presso alcuni
fratelli, ti astieni dall’esortare, sei nella comunità una causa di
regresso. […] Colui che vive nella misericordia non conosce né
suscettibilità né delusioni. Si dona semplicemente dimenticando se
stesso, gioiosamente con tutto il suo fervore, gratuitamente, senza
attendere alcuna ricompensa »4. Per vivere nella misericordia bisogna
essere disposti a perdere se stessi, altrimenti il tacere non è amore
vero, ma opportunismo che fa regredire la vita comunitaria.
La
correzione fraterna
La
misericordia, infatti, ha anche il volto della correzione fraterna,
possibile solo quando siamo sufficientemente purificati dallo Spirito,
che scruta il nostro cuore e lo rende cosciente se interveniamo presso
il fratello o la sorella solo per amore. Doroteo di Gaza, con la
sapienza maturata nell’ascolto assiduo della Parola, così racconta la
sua esperienza di misericordia come superiore della comunità monastica:
«Se presiedi ai fratelli, abbi cura di loro con cuore severo e con
viscere di misericordia, insegna con parole e opere come debbano
comportarsi, insegna soprattutto con le opere, perché l'esempio è molto
più efficace. Se ti è possibile sii loro modello anche nelle fatiche del
corpo, se invece sei debole, sii loro modello per la bontà del tuo cuore
e per i frutti dello Spirito enumerati dall’apostolo: amore, gioia,
pace, benevolenza, affabilità, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé su
ogni passione (Gal 5,22). Non irritarti oltre misura di fronte ai
peccati, ma fa vedere, senza turbarti, il danno che ne deriva e se devi
rimproverare, fallo con un atteggiamento conveniente e al momento
opportuno»5.
E a
tutti i fratelli, Doroteo, che conosce bene i movimenti del cuore umano,
ricorda: «Non cercar di conoscere la malvagità del tuo prossimo, non
fidarti dei sospetti che nutri contro di lui. Anche se la nostra
malvagità li fa nascere, sforzati di trasformarli in pensieri di bene.
Rendi grazie in tutto e acquisterai la bontà e la santa carità»6.
Il continuo rendimento di grazie a Dio e ai fratelli, rende il cuore
libero dal ricordo malsano del peccato proprio e altrui e lo apre alla
misericordia. Nei detti dei Padri del deserto troviamo anche: “Un
fratello chiese al padre Poemen: «Che cos’è la fede?» E l’anziano a lui:
«Fede è vivere con umiltà e fare misericordia »7. E continua:
«Nell’ora in cui copriremo la colpa del nostro fratello, anche Dio
coprirà la nostra»8.
Frutto della lotta contro il male
È
evidente che la misericordia non è un dono di natura che alcuni credono
di avere per la pacatezza del carattere, ma il frutto di una diuturna
lotta spirituale che disciplina il cuore e lo rende aperto all’opera
dello Spirito che vuole ammorbidirlo e convertirlo. Per questo: «Il
vigilare, lo stare attenti a se stessi e il discernimento, queste tre
virtù sono guide dell’anima»9. Siamo chiamati a conoscere il
nostro cuore, ad essere consapevoli degli abissi che lo abitano, per
lasciare che la luce dello Spirito penetri sin nei recessi più oscuri e
impresentabili, sino a riconoscere il nostro bisogno di misericordia.
Allora conosceremo anche il cuore delle persone che il Signore affida
alle nostre cure e sapremo usare misericordia, verso gli altri e un po’
anche verso noi stessi.
San
Benedetto, padre dei monaci, così scrive nella sua
Regola,
ormai sperimentata da generazioni di monaci e monache da quindici
secoli: «I monaci si prevengano l'un l'altro nel rendersi onore;
sopportino con grandissima pazienza le rispettive miserie fisiche e
morali; gareggino nell'obbedirsi scambievolmente; nessuno cerchi il
proprio vantaggio, ma piuttosto ciò che giudica utile per gli altri; si
portino a vicenda un amore fraterno e scevro da ogni egoismo; temano
filialmente Dio; amino il loro abate con sincera e umile carità; non
antepongano assolutamente nulla a Cristo, che ci conduca tutti insieme
alla vita eterna»10.
E
noi che siamo discendenti spirituali di questi Padri, chiamati alla
comunione fraterna nella comunità religiosa, in questo tempo in cui
tutte le relazioni tendono a franare per l’incapacità a durare, propria
di questa società liquida, come possiamo rendere ragione della bellezza
e della solidità della misericordia? Come possiamo partecipare, dare il
nostro contributo al risanamento delle relazioni?
Il
primo passo è rispecchiarci nel mistero della Trinità santa, vivendo le
relazioni con misericordia, cioè nel Silenzio che ascolta proprio del
Padre, nella Parola risanatrice del Figlio, nell’Incontro gioioso e
paziente dello Spirito, che trasfigura ogni gesto del nostro povero
amore, nella potenza misericordiosa che guarisce e illumina. E riempie
di gioia duratura il cuore. Da questa Fonte scaturirà tutta la sapienza
necessaria a vivere immersi nella misericordia.
1
C.M. MARTINI, Lettera Pastorale 1990-1991,
Effatà, apriti!,
n. 25.
2
Vita
consecrata,
1996, n. 41.
3
La
vita fraterna in comunità,
1994, n. 8.
4
Regola di Taizè,
Brescia 1976, 47-51: «Misericordia».
5
DOROTEO DI GAZA,
Insegnamenti spirituali:
«A
quelli che presiedono ai monasteri e ai loro discepoli».
6
Idem
7 L.
MORTARI (a cura),
Vita
e detti dei padri del deserto,
IV edizione minima, Roma 2005: Poemen, 25, 378.
8
Idem
69,
389.
9
Idem,
Poemen, 35, 381.
10
SAN BENEDETTO,
Regola,
72.
Giuseppina Alberghina sjbp
Via
A. Traversari, 58 – 00152 Roma