n. 1
gennaio 2004

 

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DARSI PACE

Osservare se stessi

di Marco Guzzi

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Più ci conosciamo in profondità e più ci diventa evidente la complessità delle nostre distorsioni interiori. Più ci osserviamo con onestà e più intricata ci appare la matassa emotiva delle nostre paure, delle nostre ostilità, e dei nostri mascheramenti. Più acquistiamo un certo distacco da noi stessi e dalle immagini di perfezione che ci illudiamo di rivestire, e più vediamo con crescente chiarezza in quante occasioni e quanto sottilmente noi non siamo autentici, né spontanei, ma agiamo e ci rapportiamo agli altri in modo falso e forzato, ostile anche se magari formalmente corretto, violando la nostra integrità e avvelenando il nostro cuore.

Questo esercizio di autoosservazione è la vera dinamo di ogni esperienza spirituale matura e realmente efficace, tesa cioè a un processo di trasformazione delle nostre profondità. Si tratta in sostanza di quel continuo esame di coscienza, che oggi va rinnovato e approfondito, portando la luce della consapevolezza ben al di là di tutto ciò che io posso immediatamente sapere di me stesso. Anzi, è proprio questo nostro io ordinario, questo modo di essere me stesso che finora ha dominato la mia vita, che adesso, a ogni nuova ora della mia giornata terrena, debbo imparare a vedere nelle sue più profonde e radicali distorsioni e, quindi, mettere in crisi.

Se ogni giorno non riconosco qualche nuovo tratto del mio abituale io distorto, se ogni giorno non identifico sempre meglio le mie molteplici strategie di attacco e di difesa, le mie chiusure interiori, le mie false accondiscendenze e vere esclusioni e condanne, come potrà mai fiorire in me la nuova figura di umanità che vuole appunto trans-figurarmi, e cioè ridisegnarmi in bella?

La vera pace non sgorga se non da questo reiterato confronto con tutte le forme di guerra che io continuo a produrre, spesso senza nemmeno rendermene conto. La vera pace è l’altro me che Dio sta estraendo dalle macerie di tutte le mie menzogne.

Ecco perché Gesù parlava della necessità, per entrare nel Regno di Dio, e quindi nella pace come ordine delle cose e delle persone in comunione, di una vera e propria rinascita “dall’alto”, di una ri-generazione a opera dello Spirito; ma a volte sembra che abbiamo dimenticato la radicalità di questo messaggio iniziatico, trasformando il mistero del (mio) ricominciamento da Dio in una rappresentazione estrinseca, in un teatro della rinascita sempre più insipido e, alla fine, del tutto incomprensibile.

Dovremmo, viceversa, riscoprire con forza e riannunciare con audacia che l’iniziazione cristiana non consiste primariamente nell’indurre il nostro io ad azioni più buone. Non si tratta cioè di un perfezionismo morale, spesso ancora più deleterio e falsificante della nostra ordinaria follia, ma di aprirci al miracolo della ri-generazione della nostra più profonda identità. La conversione autentica opera, cioè, sulla nostra forma mentis alla radice (meta-noia), dissolvendo progressivamente gli strati di paura, di odio, e di ignoranza di cui il nostro io (o uomo vecchio) è impastato.

Ma questa mirabile operazione dello Spirito santo, che distrugge e ricrea la nostra umanità, avviene e procede solo se noi vi collaboriamo liberamente e consapevolmente. Noi siamo chiamati, perciò, ogni giorno a riconoscere, alla luce dello Spirito, le forme radicatissime e molteplici del nostro mentire, a identificarle con cura per disidentificarci dal loro automatismo, affinché lo Spirito di Verità ci ispiri proprio lì la nuova parola, il nuovo lineamento del nostro essere, la piccola o grande risposta inedita e libera alle quotidiane provocazioni della vita.

 Dio dissolve solo le maschere che riconosciamo come tali.

Dio ci assolve soltanto dei peccati che riusciamo a vedere.

Dio ci guarisce soltanto delle malattie cui diamo il giusto nome.

Ecco perché è l’autoosservazione alla luce dello Spirito il punto di partenza cui ritornare ogni giorno, sempre più umili e poveri e felici. Santa Teresa scrive a tal proposito nel Castello interiore: «È assai utile, – anzi, utile in modo assoluto – che prima di volare alle altre mansioni, si entri in quelle del proprio conoscimento, che sono le vie per andare a quelle (…). Ma credo che non arriveremo mai a conoscerci, se insieme non procureremo di conoscere Dio». Conoscere se stessi e conoscere Dio sono, infatti, lo stesso itinerario di trasformazione in Dio, in quanto solo in Dio posso conoscere sempre meglio chi io sono, e parimenti solo diventando ciò che io sono, e cioè un figlio, una figlia, divino/a di Dio, io posso divenire capace di conoscere Dio, divenendo simile a Lui (1Gv.3,2), come precisa anche santa Caterina da Siena, quando, proprio all’inizio del suo Dialogo dice che si voleva abituare «ad abitare nella cella del conoscimento di sé, per meglio conoscere la bontà di Dio dentro se stessa, poiché dal conoscere segue l’amore, e l’anima amante cerca di progredire e di vestirsi della verità».

Dobbiamo infine ricordare che l’autoconoscimento più profondo richiede paradossalmente una grande accettazione di se stessi, un clima interiore di benevolenza e di dolcezza estrema, di ascolto misericordioso e di accoglienza materna. Dobbiamo imparare ad accogliere con amore le nostre parti infantili, immature e ferite, piene di paura e di vergogna e di sensi di colpa, altrimenti esse non si faranno mai vedere, continueranno a nascondersi e noi continueremo a mascherarci di false virtù, sempre più rigide e glaciali. Dobbiamo invece imparare ad amare veramente i tanti peccatori in noi, le prostitute e i ladroni che abitano dentro di noi. Solo così li potremo riconoscere senza paura come parti di noi da affidare al Signore, che ama i peccatori, perdona i nostri malfattori interiori, mangia con i nostri ladri e assassini, e guarisce tutte le nostre lebbrose abbandonate.

Ecco perché l’autoconoscimento richiede un cuore sempre più dilatato e materno, che solo un’intensa pratica meditativa, alimentata dallo Spirito dolcissimo e tenerissimo della Consolazione, può ogni giorno ricreare in noi.

Marco Guzzi

   

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