n. 1
gennaio 2004

 

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"Rimanete in me"
Un cammino di liberazione umana e spirituale

di Paola Magna *

 

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La nostra libertà è “situata” nei molti condizionamenti interni ed esterni: il nostro temperamento e carattere, le difficoltà emotive ed affettive, i blocchi nelle relazioni interpersonali; la nostra età, il fattore tempo, l’ambiente da cui proveniamo, la famiglia di origine, gli studi e la formazione ricevuta, l’ambiente in cui siamo inserite nell’oggi…

Le scienze umane possono contribuire alla comprensione della libertà della nostra persona: ecco il valore dell’apporto della psicologia.

L’antropologia cristiana ci ricorda, tuttavia, che si tratta di una “libertà liberata” (cfr. Gal 5,1), che ha continuamente bisogno di liberazione mediante la vita della carità. Un pedagogista francese diceva: «Siamo liberi di liberarci» (Laberthonier).

E’ l’azione dello Spirito che dona la vera libertà: nella linea dell’Incarnazione, il Signore ci chiede di collaborare con Lui e con la Sua Grazia. Possiamo, quindi, intervenire attivamente per aumentare o diminuire la libertà che ci è stata data come esseri umani (= libertà ontologica): si tratta di collaborare perché cresca la capacità di fatto di realizzare le varie scelte con cuore libero. Da parte nostra possiamo diminuire i fattori principali di blocco della libertà effettiva: tra questi possiamo segnalare la conoscenza oggettiva e il possesso dei valori cristiani, ma soprattutto la capacità di lasciarci attirare affettivamente da essi (tra la conoscenza di un valore e la volontà di viverlo, c’è lo spazio importante del sentirsi attirate emotivamente a viverlo: allora possiamo dire «è bello vivere così, lo desidero nel profondo e con tutta me stessa!»)

Spesso, però, dobbiamo fare i conti con alcuni nostri conflitti psicologici, difficoltà di carattere, blocchi nelle relazioni con gli altri; ancora, con la nostra fragilità e debolezza umana… tutto questo riduce la nostra possibilità di rispondere alla vocazione all’Amore e di impegno richiesto dalla vita cristiana e religiosa.

Ci è chiesto di crescere nella libertà di andare al di là di noi stesse nelle scelte concrete per vivere atteggiamenti e comportamenti di effettivo dono totale di sé a Dio. Occorre però l’umiltà di usare gli strumenti che ci servono per essere aiutate in questo cammino di crescita1.

 

 Alcuni aspetti del contesto contemporaneo

 In Italia, come in altri Paesi della parte del mondo “più sviluppata”, siamo immersi nella cosiddetta società post-moderna.

Accanto a un’esaltazione dell’autonomia umana, fondata sulla ragione e sulla libertà, c’è una forte tendenza allo sganciamento da qualsiasi vincolo a una verità oggettiva. Se esistono ancora dei valori, sono soltanto soggettivi…

Alcune concezioni soggettivistiche rifiutano radicalmente, e in modo nuovo, l’antropologia cristiana dell’unità della persona e la visione della vita in Cristo (cfr. nuovi dualismi): la persona, per essere libera, dovrebbe negare qualsiasi dipendenza da Dio, dall’ordine della creazione e quindi anche dalla sua realtà corporea. Il rapporto tra la libertà della persona e la legge di Dio viene visto in modo conflittuale, anziché armonico.

In molte analisi sociologiche2 si parla di precarietà, transitorietà e vulnerabilità in quasi tutti gli ambiti della vita post-moderna; legami e unioni vengono vissute come “cose da consumare”; assistiamo alla crisi dell’idea di durata e di immortalità, alla caduta dei sistemi di valori di un tempo (p. e. la fedeltà non è più considerata un valore); frammentazione e soggettivismo caratterizzano la nostra vita…

 

Ricaduta sulla vita consacrata e sul vissuto dei voti

E’ urgente lasciarci interpellare da questo contesto, in cui siamo immerse anche noi, e le più giovani provengono proprio da quel mondo.

Sorge una domanda: ha ancora senso una scelta per sempre, fondata su valori oggettivi?

Sembra che la scelta di fede cristiana, e ancor più della vita consacrata, sia sempre più controcorrente. La forza e il centro di tutto è per noi il Signore, che ci rivela e ci regala dei valori che non ci siamo inventate noi. Ce li ha donati perché siamo felici e abbiamo la vita in abbondanza.

Occorre però trovare un nuovo linguaggio per comunicare proprio al mondo di oggi ciò che abbiamo ricevuto e in cui crediamo, ciò per cui abbiamo rischiato la vita!

 

«Rimanete nel mio amore» (Gv. 15)

L’amore “folle” di Gesù. - Vorrei esprimere l’amore totale di Gesù, denominato da Maritain «amore folle», con una bella poesia di un anonimo brasiliano, che esprime il mistero della salvezza secondo la creatività unica dell’Amore. Anche se si parla di “uomo”, al maschile, è applicabile a ciascuna persona, uomo e donna che sia. Si intitola: La leggenda dell’Amore.

 

C’era una volta l’Amore…
L’Amore abitava in una casa pavimentata di stelle
e adornata di sole.
Un giorno l’Amore pensò ad una casa più bella.
Che strana idea quella dell’Amore!
E fece la terra, e sulla terra, ecco fece la carne
e nella carne ispirò la vita
e nella vita impresse l’immagine della somiglianza.
E la chiamò: uomo!
E dentro l’uomo, nel suo cuore,
l’Amore costruì la sua casa: piccola, ma palpitante,
inquieta, insoddisfatta come l’Amore.
E l’Amore andò ad abitare nel cuore dell’uomo
e ci entrò tutto là dentro perché il cuore dell’uomo è fatto di infinito.

 Ma un giorno… l’uomo ebbe invidia dell’Amore.
Voleva impossessarsi della casa dell’Amore, la voleva tutta per sé,
voleva per sé la felicità dell’Amore,
come se l’Amore potesse vivere da solo.
E l’Amore fu scacciato dal cuore dell’uomo.
L’uomo allora cominciò a riempire il suo cuore,
lo riempì di tutte le ricchezze della terra, ma era ancora vuoto.
Lo riempì di tutti i tesori della terra, ma era ancora vuoto.
L’uomo, triste, si procurò il cibo col sudore della sua fronte,
ma era sempre affamato e restava con il cuore terribilmente vuoto.

Un giorno l’uomo…
decise di condividere il suo cuore con le creature della terra.
L’Amore venne a saperlo…
si rivestì di carne e venne anche lui a ricevere il cuore dell’uomo.
Ma l’uomo riconobbe l’Amore e lo inchiodò sulla croce.
E continuò a sudare per procurarsi il cibo.
L’Amore allora ebbe un’idea: si rivestì di cibo
si travestì di pane e attese silenzioso.
Quando l’uomo affamato lo mangiò,
l’Amore ritornò nella sua casa, nel cuore dell’uomo.
E il cuore dell’uomo fu riempito di vita,
perché la vita è AMORE.”

La libertà dell’amore vero. - Con i voti di povertà, castità ed obbedienza, abbiamo confermato la nostra scelta battesimale di seguire il Signore Gesù con una consacrazione speciale. Siamo chiamate a vivere una relazione d’amore: è un sì all’Amore Infinito e questo richiede una libertà del cuore progressiva. Non si tratta innanzitutto di una rinuncia a qualcosa, ma una chiamata a tenerci libere e disponibili3: per Dio, il prossimo e la creazione.

Gesù ci chiede di essere attirate dal suo stile di vita: non è qualcosa di pratico in vista di un’attività apostolica precisa, ma di un modo di vivere, manifestare, testimoniare, tradurre nella nostra vita quotidiana la stessa vita della Trinità.4

Gesù ci invita a “rimanere”: per poter “restare” occorre pazienza, tempo… è un verbo che ci dice durata, capacità di essere presenti con tutte noi stesse, per questo occorre imparare a stare con le nostre emozioni e i nostri sentimenti, in silenzio.

Accettare ed integrare le emozioni. La preghiera del cuore. - Quando stiamo in silenzio sentiamo di più tutto quello che vibra in noi: ecco emergere ciò che abbiamo vissuto in quel giorno, a volte ritornano dei ricordi sia di gioia sia di sofferenza e questo fa risentire le nostre ferite… Come donne poi, facilmente il nostro cuore è una cassa di risonanza: spesso è proprio la fatica ad affrontare tutto ciò che il silenzio provoca in noi a portarci ad abbreviare il tempo della preghiera, oppure a riempirlo di tante parole o di letture.

Un bel libro di Anna Bissi, intitolato Il battito della vita. Conoscere e gestire le proprie emozioni5, ci può aiutare a cambiare innanzi tutto la nostra valutazione sulle emozioni: non sono soltanto segno della nostra fragilità, non ci sviano necessariamente dagli ideali e dal vivere i valori, non ci portano a vivere superficialmente… Possono essere, appunto, “il battito della vita”, una ricchezza che dà profondità e spessore al nostro vivere quotidiano, alle nostre relazioni interpersonali e quindi anche al nostro rapporto con il Signore Gesù.

Possiamo essere aiutate in questo dalla contemplazione dell’umanità di Gesù. Sant’Ignazio di Loyola definisce così la contemplazione: «Guardare Gesù amandolo».

 In questa linea, padre Arrupe, allora Superiore Generale dei Gesuiti, scriveva così in una sua preghiera6: «Insegnami ad avere compassione di coloro che soffrono (…); mostrami come manifestavi le tue emozioni profondissime quando stavi per piangere o quando hai provato quell’angoscia che ti ha fatto sudare sangue nell’orto degli ulivi. Soprattutto voglio imparare il modo con cui hai espresso il tuo dolore supremo sulla croce, sentendoti abbandonato dal Padre».

Noi facciamo fatica nel vivere bene le nostre emozioni7, perché di solito ci spaventiamo di fronte alla loro potenza: così scatta in noi, senza volerlo, la difesa della rimozione, che sposta nel profondo di noi le emozioni, le toglie dalla nostra consapevolezza, soprattutto quelle emozioni che ci danno fastidio (vedi aggressività e ansia) oppure quelle che sono troppo intense. Però queste emozioni rimosse non possono essere eliminate e continuano a sopravvivere nel profondo di noi (inconscio). Quando meno ce l’aspettiamo fuoriescono in azioni esagerate, incontrollate e forti, che ci lasciano senza parole: si tratta di acting-out, cioè di espressione senza controllo (capita soprattutto nell’ambito dell’aggressività e della sessualità).

Ciò che ci aiuta nell’accettazione ed integrazione delle emozioni, invece, è l’espressione con controllo: avviene attraverso un processo a tappe successive. Inizia con la domanda che siamo invitate a porci: «Che cosa sto provando?». Con questa domanda cerchiamo di dare un nome alle diverse emozioni, impariamo a riconoscerle e a non stupirci della loro presenza in noi, a non innervosirci e arrabbiarci, né svalutare noi stesse, perché le stiamo provando (spesso le emozioni sono irrazionali!). Quest’atteggiamento ci porta, poco per volta, a prendere coscienza di noi stessi e delle nostre emozioni, ad accettarle, a permettere loro di “abitare” in noi.

Di solito non si segue questo iter, perché nel momento del riconoscimento della presenza di una emozione in me, la sento di più e allora ho paura che continui a crescere. La legge delle emozioni, invece, è diversa da questa previsione: dopo il primo momento di apparente amplificazione, si riduce un po’ e mi permette, allora, di essere più libera e di potermi domandare: «Che cosa faccio ora di questa emozione che sto provando?». In questo momento posso confrontarmi con i Valori in cui credo e cresce la libertà di esprimere o meno l’emozione che provo e di trovare il modo più efficace per agire.

Questo lavoro emotivo dentro di noi e nella nostra vita aumenterà la nostra capacità di «rimanere nel Suo amore», di collaborare all’azione della Sua Grazia.

 

Voi lo amate, pur senza averlo visto… (1Pt.1,8)

  Il cammino verso l’amore maturo: accettare sofferenza e solitudine. - L’amore vero non è facile: è frutto di impegno e di perseveranza, è capacità di ricevere oltre che di dare.

Sia per chi è sposato (che ha accanto fisicamente la persona che ama), sia per noi (che non vediamo Gesù) amare è difficile. Innanzi tutto l’amore maturo richiede di accettare la sofferenza e la solitudine.

«Dimorate in me, come Io dimoro in voi»… Gesù ci chiede che questa intimità con Lui non sia solo un momento particolare della nostra vita, ma sia qualcosa che duri. Accettando di dimorare in Lui possiamo attenderci di essere potate, ferite.

Occorre accettare di essere ferite, di vivere in un mondo ferito e che anche gli altri siano creature ferite. Accettare una felicità ferita, un linguaggio ferito, una comunicazione ferita, una comunione ferita… Non si può amare se non si accetta di amare male: se accettiamo questa ferita, allora possiamo vivere e la vita sgorga da noi più forte e più vera. Nel cammino della nostra vita terrena non c’è amore che non sia dolore, non c’è amore solamente felice. Per amare occorre accettare di essere potate, ferite. Nei nostri migliori progetti di servizio, di preghiera, di rapporto con gli altri, il Signore passa potando ciò che a noi forse pareva il meglio. Chi vorrà amare di più, dovrà passare attraverso la ferita della lotta con se stessi nel punto stesso in cui resiste al Signore.

Per amare davvero, e non usare l’altro per riempire il vuoto che portiamo inevitabilmente in noi, occorre imparare ad accettare la solitudine esistenziale8, sapere che niente e nessuno potrà mai soddisfarci completamente, perché il nostro cuore è fatto per l’Infinito.

Ci è chiesto di accettare di essere all’inizio del saper amare: ma Lui è con noi e questo ci basta!

  Il mondo del limite e del desiderio in noi. - La necessità di accettare la sofferenza e la solitudine per poter amare davvero, ci porta a considerare un profondo conflitto interiore, inevitabile in noi, in quanto persone, conflitto ancora più drammatico per la radice del peccato che è in ciascun essere umano. Lo descrive bene il concilio Vaticano II nel documento Gaudium et spes: «In verità gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo. E’ proprio all’interno dell’uomo che molti elementi si combattono a vicenda. Da una parte infatti, come creatura, sperimenta in mille modi i suoi limiti; dall’altra parte sente di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunciare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe (cfr. Rom 7,14ss). Per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società» (n.10).

In altre parole possiamo dire che viviamo al centro di movimenti e tendenze opposte: il limite e il desiderio9. E’ una tensione presente inevitabilmente in noi, in quanto persone umane: non possiamo sceglierla o rifiutarla, possiamo solo accoglierla.

Mondo del desiderio: movimento progressivo di espansione, è il mondo della continua ricerca, degli ideali, delle aspirazioni, dei valori…

Mondo del limite: movimento di restringimento progressivo, è il mondo dei limiti corporali, della fragilità, della sofferenza e della morte…

Questi due movimenti sono continuamente presenti dentro di noi, anche se nelle diverse tappe della vita possiamo notare la prevalenza di uno sull’altro: il processo di espansione, il mondo del desiderio è tipico dell’infanzia/adolescenza/giovinezza…, lo ritroviamo nel sentimento di onnipotenza tipico del bambino piccolo, che crede di poter avere tutto ciò che vuole… Di fatto l’esperienza del limite è già presente nella vita del bambino, anche se non ne è pienamente cosciente: per esempio, quando il bambino piange e la mamma non lo soddisfa come lui vorrebbe, oppure quando non corre subito da lui e gli provoca un’ansia di separazione…

Via via, nel corso della vita, vediamo accentuarsi l’altro movimento, quello del limite, pur essendo sempre presente nella vita della persona il mondo del desiderio: ecco l’esperienza della malattia, della sofferenza, delle proprie debolezze e fragilità, fino all’esperienza della morte.

Questa tensione è dolorosa, può portare a soluzioni diverse:

- La persona tratta un bene finito come se avesse un valore assoluto (= formazione di idoli). Per es., il successo, l’estetica e la perfezione fisica, il partito politico, i soldi…

- La persona trova una soluzione religiosa: credere, amare, seguire Gesù Cristo. Non si elimina il problema, ma si trova una forza diversa e un senso per affrontarlo.

  La trascendenza dell’amore. - Tutte le persone sono chiamate ad amare e chissà quanti hanno già incontrato l’Amore che è Dio, senza saperlo! Il Vangelo ci dice che saremo giudicati sull’amore: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare…» (Mt 25).

L’amore vero è l’unica strada che ci aiuta ad andare al di là di noi per incontrare l’altro/a fino all’incontro finale con Dio nella Gloria.

 

Egli deve crescere e io invece diminuire (Gv 3,30)

  Chi non si possiede non può darsi… - Chi ama davvero è preso totalmente dalla persona amata e gli costa molto meno rinunciare a qualcosa per lei, diventa creativo nell’inventare i modi di amarla…

L’umiltà è la forma più alta dell’amore: Gesù si è “abbassato” e per questo è stato “innalzato” (cfr. inno ai Filippesi, cap. 2).

Umanamente, questo è possibile solo se una persona “si possiede”, ossia si conosce, sa chi è, ha scoperto i propri doni e i propri limiti, si è riconciliata col proprio passato… Questo chiarisce perché possiamo dire che “solo chi si possiede, può darsi”, altrimenti teme di “frantumarsi”, di “andare a pezzi”, di crollare. In questo caso vediamo le persone che sono molto concentrate su se stesse, incapaci di mettersi nei panni degli altri, presentano molte paure e, quindi, molte difese… Non fanno apposta a vivere così e non si tratta soltanto di poca fede o poco impegno nella vita spirituale. E’ una limitazione psicologica della loro personalità e vanno aiutate, per poter aumentare la libertà di andare al di là di se stesse.

Ognuno di noi ha la responsabilità di conoscersi a fondo, per poter essere più libera di donarsi con gioia a chi incontrerà sul suo cammino, nella costruzione del Regno di Dio.

  Il conflitto autonomia/dipendenza. - Tra gli aspetti importanti della conoscenza di sé, cerchiamo, ora, di chiarire il conflitto autonomia/dipendenza: esso è spesso alla base delle nostre difficoltà nei confronti dei legami con le persone, nei confronti delle figure di autorità, quindi entra direttamente nel modo di vivere il voto dell’obbedienza.

Nel cammino evolutivo di crescita, tutte abbiamo sperimentato una dipendenza per necessità, in cui eravamo accudite, sostenute, rassicurate, coccolate…, non potevamo sopravvivere senza una persona accanto che si prendeva cura di noi!

Poi, siamo passate alla fase dell’autonomia difensiva, cioè della proclamazione dell’io, tipica dell’adolescenza, ottenuta per contrasto e opposizione con gli altri, attraverso un’autosufficienza a volte eccessiva, il timore di perdere la propria libertà, il bisogno irrealistico di non avere vincoli, la ricerca di continui spazi personali…

Queste due fasi lasciano in noi un residuo inconscio, per cui continuano a sussistere nel nostro profondo, pronte a riemergere in momenti di regressione, di stress, di difficoltà, di malattia… Se qualcuna poi non ha superato bene una delle due fasi, ecco che deve fare i conti con una dipendenza affettiva nelle relazioni, oppure con un’autonomia difensiva che ostacola qualsiasi legame, in particolare affettivo, e che si oppone a qualsiasi relazione sentita come intrusiva, autoritaria, dominante… Entrambe possono ostacolare la nostra vita di consacrate: la prima tenendo chiusa la persona in un’immaturità relazionale che rende insoddisfatte e arrabbiate sia nei rapporti comunitari sia in quelli apostolici; la seconda, interferendo seriamente nelle relazioni con l’autorità, ostacola non solo l’obbedienza, ma anche le relazioni in comunità.

Occorre arrivare a una terza fase: è quella di una dipendenza per scelta e autonomia matura. Chi non sa dipendere, non sa amare; chi non sa vivere la solitudine, non sa camminare con le sue gambe, non sa amare.

  Riconciliarsi con se stessi, con la propria fragilità e il proprio passato, per essere libere di amare. - La riconciliazione con sé e con la propria debolezza è un dono da chiedere e un impegno mai completamente concluso.

Una parte importante ha la riconciliazione con il proprio passato: cercare di conoscerlo, di non coprirlo, permette di non ripeterlo senza saperlo. Questo prevede un approfondimento del tipo di relazione vissuta soprattutto nei primi anni di vita con le figure significative, in genere sono i genitori. E’ il riconoscimento delle trasferenze.

Il passato non è qualcosa che ci lasciamo dietro le spalle, ma delle radici che abbiamo sotto i piedi. Fare verità nella propria vita comporta, quindi, l’accettazione di questa realtà.

I primi anni di vita sono vissuti da ciascuno con un approccio alla realtà quasi esclusivamente emotivo: ogni esperienza, incontro, avvenimento ha lasciato in noi delle tracce anche se abbiamo dimenticato molti fatti del nostro passato. Queste tracce emotive continuano a influenzare l’oggi.

Il principio sottostante è questo: un’emozione una volta sperimentata tende più facilmente ad essere sperimentata di nuovo. Quando questo processo accade nei confronti delle persone, viene chiamato trasferenza, se invece capita nei confronti di cose, luoghi, fatti… viene denominata memoria affettiva10.

La somiglianza presente-passato può essere solo su basi soggettive, in questo caso c’è una relazione simbolica tra i due elementi11, che spesso è inconscia.

Operando nell’inconscio, le trasferenze e la memoria affettiva sono persistenti e difficilmente cambiano: le nuove informazioni attuali non riescono a far correggere le nostre valutazioni, proprio a causa di quei meccanismi inconsci.

Questi meccanismi interferiscono nella nostra vita attuale, ostacolando la nostra capacità di amare il Signore e gli altri, ci fanno soffrire e prendono molte delle nostre energie per poter controllare le forti emozioni che scatenano dentro di noi.

Se, invece, li sappiamo riconoscere, le emozioni scattano ancora, ma saranno meno intense, quindi più gestibili e sarà minore l’influenza sul nostro quotidiano: operare una chiara distinzione tra il mio passato e il mio presente è molto liberante, inoltre non confonderò le mie reazioni alle persone del mio presente con le reazioni avute nel mio passato con altre persone, non imputerò la colpa di alcune mie difficoltà sempre alle persone che mi stanno accanto, ma saprò da dove sono originate!

 

 Traccia per una riflessione personale

Mi metto in preghiera e contemplo l’umanità di Gesù, il suo modo di vivere le emozioni e i sentimenti, di vivere le relazioni con le persone che incontrava.

Poi torno a me e mi domando:

1. Quale giudizio e valutazione dò delle mie emozioni?

2. C’è qualche emozione che faccio più fatica ad accettare (p. e. l’ansia, l’aggressività, la tristezza, la paura, la simpatia, la gioia…)?

3. Sono contenta di essere una donna che segue Gesù? Che cosa apprezzo di più della mia femminilità? Che cosa invece faccio fatica ad accettare?

4. Come reagisco di solito quando mi sento più sola?

   

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