n. 1
gennaio 2004

 

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Il carisma comunitario delle religiose
nella pastorale parrocchiale, oggi

di Antonio Ruccia *

 

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La comunità religiosa in parrocchia

Il dibattito sulla comunicazione del Vangelo – in questa società che tende a cambiare celermente – che nella Chiesa italiana si sta svolgendo a vasto raggio in quest’ultimo periodo, sia a livello teologico sia a livello pastorale pone, anzitutto, l’interrogativo sulla parrocchia e sul suo futuro. Non ci si può certo esimere, in questa vivacità di confronti e dibattiti, dal domandarci quale ruolo all’interno della vita parrocchiale dovranno avere le religiose e come saranno chiamate a svolgere il loro ministero nella vita della Chiesa del terzo millennio.

L’obiettivo da raggiungere per la vita parrocchiale appare chiaro: formare cristiani adulti nella fede, attraverso l’esperienza di itinerari di fede da viversi in maniera comunitaria. In altri termini: «cristiani con fede adulta, costantemente impegnati nella conversione, infiammati dalla chiamata alla santità, capaci di testimoniare con assoluta dedizione, con piena adesione e con grande umiltà e mitezza il Vangelo»1.

Per questo si sta cercando di trovare per la parrocchia, nell’attuale situazione socio-ecclesiale, un’evangelizzazione che persegua una proposta di Chiesa in missione. Una pastorale missionaria richiede un’evangelizzazione nuova, non attualizzando gli schemi evangelizzativi delle terre in cui si sta proponendo il Vangelo, ma un’evangelizzazione in cui la comunità parrocchiale cerca di incontrare gli uomini e le donne nei luoghi non comunemente facenti parte dell’attuale azione pastorale. In altri termini, bisogna superare la staticità di una parrocchia chiusa in sacrestia, per diventare una comunità che incarna il messaggio profetico di Gesù obbediente, povero e trasparente. La parrocchia diventa comunità se è obbediente al territorio, alle sue problematiche e raggiunge, soprattutto, quei nuclei familiari che restano ai suoi margini; diventa povera se opta per gli ultimi e per gli esclusi, tanto da entrare nella logica della con-divisione e con-partecipazione da parte di tutti; è trasparente, se in essa si coniuga la fede con la vita.

  

La parrocchia va in missione?

L’annuncio del Vangelo è la “vera” missione della Chiesa. «Predicando il Vangelo, la Chiesa dispone gli uditori alla fede e alla confessione della fede, li prepara al battesimo, li sottrae alla schiavitù dell’errore e li incorpora al Cristo, perché mediante la carità abbiano a crescere in lui fino alla pienezza. Con la sua attività fa sì che ogni germe di bene che si trova nel cuore e nella mente degli uomini o nei riti e nelle culture proprie dei popoli, non solo non vada perduto, ma sia purificato, elevato e portato a compimento per la gloria di Dio»2. Tuttavia, nella situazione attuale la parrocchia rischia di dimenticare che il destinatario della missione è l’umanità strettamente legata alle vicende del mondo. «La crisi oggi, prima che morale o dei valori, è antropologica, riguarda l’uomo. L’uomo contemporaneo detto postmoderno, coltiva e teorizza il pensiero debole: la verità oggettiva non c’è o non è raggiungibile, ognuno ha la sua verità e con questa deve vivere e agire»3. La Chiesa tende a difendersi piuttosto che a proporre; ad attendere piuttosto che ad essere in stato di missione e a rischiare nell’evangelizzazione. Alcune situazioni appaiono comuni:

• un laicato che rischia di scivolare nel clericalismo (dimenticando che il suo ruolo e la sua santificazione passano per le realtà umane), tanto da trovarsi di fronte a figure laicali che si limitano a semplici attività di culto;

una dicotomia con il mondo sociale, culturale ed economico, soprattutto dovuta all’indifferenza religiosa che attualmente si vive nelle famiglie4;

una fede tutta concentrata sulla sacramentalizzazione che non prevede itinerari di fede differenziati per età, ma si limita a scadenze determinate, secondo modelli scolastici e senza alcun rapporto con una pastorale delle famiglie;5

una partecipazione delle religiose viste con un ruolo di supplenza e non di parte integrante nella vita quotidiana della parrocchia.

La parrocchia, così com’è attualmente strutturata, è notevolmente distante da una ipotesi di comunità in missione in cui emerga un lavoro sinergico tra presbiteri, laici e religiosi/e. Appare in larga misura solo un’agenzia di sacramenti in cui, alcuni più volenterosi, preparano agli stessi. Al contrario, la parrocchia deve diventare una comunità di fede per tutti i credenti. «La fede realizza una sempre più intensa condivisione tra i credenti. Infatti è soltanto nella comunità – luogo privilegiato di questa condivisione, spazio predisposto da Dio per la salvezza – che la realtà del mondo può davvero venire trasformata e che i rapporti sociali possono davvero essere cambiati. E’ dunque essenziale per la fede cristiana che i singoli credenti non vivano isolati tra loro, ma uniti a formare un corpo. Potranno così intrecciare tutte le loro doti e possibilità, sottoporre nelle assemblee tutta la loro vita al giudizio del regno di Dio già presente, lasciarsi donare l’unanimità dell’agape. Allora la comunità sarà veramente il luogo in cui i segni messianici, promessi al popolo di Dio, possono risplendere ed esprimere la loro efficacia»6.

 Infatti la parrocchia deve sempre più assumere il ruolo di “Chiesa di frontiera”. Attraverso di essa la gente accede alla fede e può fare l’esperienza della vita comunitaria. Si tratta di fare un grosso passo: da una Chiesa di massa ad una Chiesa di comunità. «La Chiesa di massa è definita dalla rilevanza attribuita alle strutture e dall’attenzione a quell’area costituita da coloro che in qualche modo si dicono credenti, pur senza un sostanziale impegno con la vita ecclesiale. … La Chiesa di comunità invece, si propone con note specifiche quali la libera adesione nella decisione di fede e l’umanità, intesa come stile di rapporti nel segno della fraternità, scevra da autoritarismi e aliena da ogni struttura di dominio. Si propone perciò come luogo della libertà e impegno di emancipazione, in una fondamentale apertura a tutte le categorie di persone».7 Si tratta di trovare un nuovo modo di fare parrocchia, perché possa diventare una comunità e deve essere inquadrata in una struttura diversa da quella attuale, per collocarla a pieno titolo nella situazione della società attuale. La parrocchia non si rinnova con gesti straordinari o raduni assembleari, ma rivalutando la vita della comunità attraverso una serie di itinerari di fede, che siano in grado di far superare la logica dell’attuale sacramentalizzazione.

Gli itinerari di fede possono essere il modo con cui fondare la missione della Chiesa nella società attuale, sia attraverso una prima evangelizzazione, da attuarsi come risposta a quell’indifferenza religiosa penetrata metasticamente nelle famiglie, facendo si che spingessero la fede nella sfera del privato e del soggettivismo religioso, sia per una progettualità di nuova evangelizzazione, che sebbene, attualmente, non trova dei veri e propri riscontri nell’azione pastorale, tuttavia si propone di inserire più marcatamente la parrocchia nel tessuto territoriale e nelle situazioni vitali di ogni giorno8. La parrocchia ha il compito di coniugare all’interno del territorio sia la dimensione dell’evangelizzazione, sia la dimensione socio-culturale. Tutto ciò non fa altro che ribadire come la parrocchia non debba più essere né solamente una comunità di culto, né una super agenzia della carità, poiché essa crea una serie di relazioni quotidiane per la sua collocazione sia nel vicinato, sia per una serie di circostanze legate alla comunicazione della fede, alla celebrazione dei sacramenti e alla testimonianza della carità9.

Infatti, il ruolo della parrocchia non è quello della semplice organizzazione dei “vicini”, ma quello di raggiungere soprattutto i lontani, rivalutando la presenza attiva di Gesù nella storia10.

 

Da una pastorale organica a una pastorale d’insieme

La pastorale per la Chiesa-comunità deve far sintesi tra la pastorale d’insieme e quella organica. Poiché è immane ai nostri giorni il compito che è chiamata ad assolvere, non può certo bastare la parrocchia da sola. Per il rinnovamento delle parrocchie e per meglio assicurare la loro efficacia operativa si potrebbe pensare di favorire anche forme istituzionali di cooperazione tra le diverse parrocchie di un medesimo territorio.

L’agire pastorale non va inteso così in senso meccanico. Non riguarda solo il modo di riprogrammare le strutture, ma richiede una testimonianza che le animi. In tal modo è possibile tentare di superare il binomio Chiesa-mondo.

Attualmente è presente nella Chiesa una confusione tra i compiti da svolgersi sul territorio e quelli propriamente parrocchiali, che impediscono alla stessa parrocchia di essere profeticamente al servizio della società.

Questo significa che è necessario prospettare con chiarezza il ruolo della parrocchia all’interno della realtà sociale, se si vuole frenare l’attuale dispersione di energie e di impegni ecclesiali.

La pastorale d’insieme, unita a quella organica, deve offrire sul territorio “itinerari educativi” che aiutino a costruire opportune gerarchie nei bisogni umani; provocare in ciascuno motivazioni, significati e valori perché la parrocchia divenga protagonista nel rispondere ai propri e agli altrui bisogni; produrre attraverso segni profetici evangelici la crescita del senso di appartenenza alla comunità locale e, inoltre, elaborare strategie organizzative in risposta a particolari problemi della persona umana.

Perché si attui la sintesi tra la pastorale organica e la pastorale d’insieme sul territorio è fondamentale la comunione ecclesiale. Quest’ultima si configura più precisamente come una comunione organica, analoga a quella di un corpo vivo e operante. Essa è caratterizzata dalla competenza della diversità e della complementarità delle vocazioni e delle condizioni di vita, dei ministeri, dei carismi e delle responsabilità. Una più dettagliata ricerca rivela la non auto-sufficienza di molte comunità parrocchiali e l’esigenza che esse vivano di relazioni intraecclesiali feconde. L’unità è espressione non di fissità e fedeltà immobile, ma di dinamismo.

«Se è vero che la Chiesa è una comunione santa di uomini peccatori [e donne peccatrici] che tentano di vivere da fratelli [e sorelle] (e, quindi, comunitariamente) riuscendoci sempre poco, allora la parrocchia deve essere vista come una comunione trascendente (fondata sulla fede, sul battesimo, su di un minimo di appartenenza al corpo di Cristo dei suoi componenti), che si sforza – si deve sforzare – di diventare sempre più comunità, anche socialmente percepibile. La vitalità e il pregio di una parrocchia, delle sue domeniche, delle sue celebrazioni eucaristiche saranno desumibili dall’ampiezza, dall’efficacia, dalla generosità delle sue esperienze comunitarie»11.

 

Una proposta

Si tratta di una proposta che trova fondamento nei documenti conciliari, per attuare un modello di ecclesiologia di comunione della LG e in dialogo con il mondo della GS, perché ci sia un’attuazione di una comunità parrocchiale12 di stile missionario13.

Non si tratta di “unità pastorale”14, quanto piuttosto di ripensare a una comunità parrocchiale in stato di missione con queste caratterizzazioni:

- unica (superando la frantumazione delle parrocchie);

- incarnata nel territorio, anche se possono prevedersi più luoghi di culto (ma non votata esclusivamente alla sacramentalizzazione);

- organica, perché caratterizzata dalla valorizzazione dei capisaldi della pastorale e dai diversi carismi degli uomini15.

Questa dimensione pastorale, in cui la comunione è al centro di tutto, prevede un’unica parrocchia dislocata sul territorio, con più luoghi di culto, e guidata da un parroco in stretta collaborazione con altri sacerdoti, laici e religiosi/e.

L’ideale sarebbe se un sacerdote più giovane coordinasse il lavoro delle fasce di pre-adolescenti, dei giovani e dei diversi settori di carità e un sacerdote più anziano che aiutasse entrambi (parroco e viceparroco) nell’esperienza e nella direzione spirituale.

Secondo tale progetto, non ci sarebbe un aumento delle parrocchie, ma un lavoro diviso e coordinato su un determinato territorio, senza cadere nel rischio di impiantare movimenti che animino le supplenze sacerdotali.

In questo tipo di pastorale (che coniuga quella organica a questa d’insieme) è importante l’apporto che possono fornire “le comunità religiose” (maschili e femminili) che hanno l’opportunità di valorizzare il proprio carisma. I religiosi e le religiose, inserendosi in questa pastorale d’insieme, possono vivere lo specifico della vita religiosa come un vero ministero, rendendosi disponibili soprattutto verso i “più lontani” dalla comunità16.

Questo progetto è realizzabile da parte di tutti coloro che non intendono puntare esclusivamente sulla sacramentalizzazione, ma intendono far sintesi nell’agire pastorale, sia attraverso il metodo biblico, sia attraverso quello empirico-critico17.

Potrebbe essere applicato sia in aree urbane ben definite, sia in grossi centri di paese, sia in più paesi vicini tra loro, perché la parrocchia non sia un contenitore dei gruppi, ma una comunità aperta a Dio sul territorio.

 

Una Chiesa ministeriale e carismatica

La proposta di una Chiesa-comunità parrocchiale diventa il campo reale dove le religiose devono e possono inserirsi a pieno titolo, senza tradire i carismi dei rispettivi fondatori o fondatrici. Superando il binomio gerarchia/popolo e acquisendo quello di Chiesa/ministeri, si comprende come il ministero femminile della religiosa nella vita parrocchiale va vissuto e realizzato come un dono. Questo dono deve mirare a creare il senso della fraternità dell’intera comunità parrocchiale e nello stesso tempo essere una proposta alternativa. «Per le origini cristiane l’essere alternativi al mondo non è frutto di orgoglio e di disprezzo, ma di quella coscienza escatologica per la quale il popolo di Dio degli ultimi tempi deve risplendere come l’Israele messianico, per attrarre a sé il pellegrinaggio dei popoli»18.

La comunità parrocchiale è ministra dell’uomo nelle diverse realtà. L’idea di proporre esclusivamente il proprio carisma come modello di Chiesa è diametralmente opposto alla linea conciliare. Il carisma diventa l’espressione dell’agire in comunione con tutti i battezzati. «Il messaggio e la testimonianza che la Chiesa è chiamata a dare al mondo sono proprio quelli della comunione, della fraternità, della pace. E’ così che la Chiesa sarà segno sensibile e strumento efficace della presenza e dell’azione redentrice di Cristo, che ha tanto amato dando tutto se stesso e ha chiesto ai suoi discepoli di amarsi non solo come se stessi, bensì come Lui ci ha amato, amando gli altri più di noi stessi. Gesù ha così rivelato la vita intima di Dio, che è Uno perché Trino: Tre Persone talmente donate l’una all’altra da adorare come un solo Dio»19.

Le religiose sono chiamate ad attuare nel territorio il proprio carisma interagendo con i singoli battezzati per formare una Chiesa tutta ministeriale e carismatica. Gli stessi carismi sono doni di Dio alla comunità. Vanno riscoperti e riattualizzati continuamente attraverso le singole peculiarità. La diversità dei carismi permette a ciascuno di dare vita a una comunità più in stretta sintonia con le problematiche del territorio e a ridonare profeticità al Vangelo. Si dovrebbe finalmente spostare l’attenzione più decisamente sulla missione, sulla finalità della Chiesa, per evidenziare il binomio incarnazione-trascendenza20. Non è sufficiente essere presenti nelle diverse realtà, ma è urgente fare della realtà il luogo dove realizzare il regno di Dio, affinché ogni comunità parrocchiale diventi sintesi di tutte le forme di realizzazione dell’ecclesialità. Nessuno nella comunità, e tantomeno le religiose, è una classe “a parte”. Al contrario, nell’epoca dei fondamentalismi, la comunione ecclesiale deve essere esempio concreto della pastorale missionaria, oggi tanto invocata dai vescovi italiani21.

E’ necessario perciò che ogni religiosa faccia emergere nella parrocchia tre elementi indispensabili :

- la femminilità;

- la maternità;

- la dolcezza.

La femminilità è indispensabile perché le religiose facciano emergere i tratti del loro essere donne, soprattutto negli ambienti poveri, dove la pastorale missionaria è di fondamentale urgenza. Le molte religiose che lavorano nei quartieri periferici delle nostre metropoli sono chiamate a progettare un’evangelizzazione concentrata sulla figura di Gesù. La centralità di Gesù Cristo è fondamentale, perché una comunità realizzi un itinerario di fede. Gesù è il Cristo, l’Unto, il mandato dal Padre che per mezzo del suo cruento sacrificio si è donato completamente agli uomini salvandoli indistintamente. La salvezza realizzata sulla croce, che si perpetua come memoriale nell’Eucaristia, non è un dono concesso a una “elite”, bensì è un dono per tutti. Dall’Eucaristia nasce la missione, poiché come è un dono il sacrificio di Gesù sulla croce, così l’oblazione, che diventa memoriale sull’altare, è un dono da realizzare per gli altri.

Questo perché le stesse religiose contribuiscano a creare comunità in stato di missione. Anzi, questa è la chiamata prioritaria per la comunità parrocchiale in questo primo scorcio del terzo millennio: l’annuncio di Gesù Cristo, Salvatore di tutti, va riproposto con strategie che siano in sintonia con i tempi. Per questo la comunità è con-vocata da Gesù e inviata per l’annuncio della salvezza in virtù del battesimo ricevuto. La Chiesa diventa davvero comunità parrocchiale quando decide di non attendere più i suoi parrocchiani, ma di incontrarli nei loro ambienti, nelle loro case, per le loro strade, con i loro tempi, con le loro sensibilità... Per ciascuno indica un itinerario di fede e lo propone sempre, perché sia vivificata l’esperienza cristiana a partire dal Vangelo.

La maternità è indispensabile perché le religiose sono chiamate a generare e fecondare la vita, soprattutto con l’attenzione verso i ragazzi e le nuove forme di povertà femminili. E’ in questa linea che si devono porre le numerose comunità religiose che devono lavorare in simbiosi con le parrocchie. La comunità cristiana sul territorio deve rimanere unica, senza tradire i carismi specifici di ciascuno.

La dolcezza è necessaria, perché le religiose contribuiscano al coordinamento della vita della comunità parrocchiale nell’essere ponte tra il parroco e la gente. Infatti, nel programmare la sintesi tra la pastorale organica e quella d’insieme, si può vivere la missione per proporre il Vangelo non con atteggiamenti sentimentalistici, ma reali.

  

Conclusione

La pastorale integrata a cui la Chiesa italiana si richiama, per superare la disaffezione alla fede e programmare la parrocchia in prospettiva missionaria, stimola tutti ad essere una “Chiesa con i piedi per terra” e, quindi, a camminare verso gli altri, vicini o lontani che siano. Il compito delle religiose, così, appare diverso da quello del passato. Fuori dalle grandi case e dai luoghi considerati istituzionalmente storici, le religiose dovranno, seppur rischiando, collaborare strettamente alla riuscita della vita comunitaria parrocchiale, rivalutando il senso del cammino cristiano e sforzandosi di essere testimoni coerenti del Vangelo. E’ la parrocchia che diventa comunità, che può generare anche le vocazioni alla vita consacrata e può aiutare a riattualizzare i carismi.

   

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