n. 4
aprile 2003

 

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di Biancarosa Magliano
 

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Ingredere mente cum laeta; sedet in limine pax. E’ una delle tante simpatiche frasi latine scritte sui portali di molti edifici del Nomentano in Roma. “Entra con l’animo sereno; sulla soglia ha la sua sede la pace”. Passa pure tranquilla attraverso questo uscio; ti imbatterai con la pace che lì ha posto la sua dimora. Non vi sta per un momento; non ha l'atteggiamento del pellegrino, del viandante; non è lì in piedi, di passaggio, pronta ad andarsene al minimo sentore di stanchezza propria o di rifiuto altrui. Essa ha determinato in quel punto il suo fermarsi; il suo attenderti.

 E torna alla memoria come per assonanza quel breve poema che è il salmo 121. Sono parole di consiglio, augurio, preghiera: «Domandate pace per Gerusalemme; sia pace a coloro che ti amano, sia pace sulle tue mura… Per i miei fratelli e i miei amici io dirò: “Su di te sia pace!”».

La pace è invocata come custode, al pari delle sentinelle, della città verso la quale i pellegrini ogni anno camminavano per goderne lo splendore, per adorarvi Jahvé nel tempio a lui dedicato e sua dimora. Verso questa città saliva effettivamente ogni anno anche Gesù, il figlio del falegname di Nazaret, anche lui invocando pace…

Le mura della città che avevano in quel tempo e in quel contesto una importanza enorme, totale, diventano sostegno e difesa non soltanto con la potenza materiale della loro impostazione, ma con la forza di qualcosa di più profondo e più umano: la pace. «Su di te sia pace!». E’ un augurio di una pregnanza straordinaria.

La pace vi è invocata come guardiana e come benedizione: «Su di te sia pace!». Sia lì a proteggerti, a custodirti, a difenderti.

 Da mesi in modo drammatico, persistente, continuativo, tutte, o quasi, le diplomazie del globo umano, si stanno muovendo, tessendo relazioni, interpretando e inviando messaggi di pace e di dialogo e si ascoltano, o leggono, altrettanti messaggi di frenesia spaventosa di guerra, di rotture, di distruzioni di massa. Quasi una brama di spazzare dal mondo chi, secondo la loro opinione, è causa di tragedie, esercizio di dittatura. E tutti, apparentemente, vogliono che, finalmente, sulla soglia del mondo sieda in modo perenne la pace. «Sedet in limine pax».

 Ma, come ha ammesso lo stesso cardinale Roger Etchegaray in occasione del primo conflitto del Golfo, or sono dodici anni, la pace è un bene vulnerabile; può essere sprecato, frantumato o addirittura, distrutto. Ammesso che esista sulla soglia, è possibile pestarlo, eluderlo. Non farci caso, ignorarlo.

 Abbiamo mai pensato che sulla soglia delle nostre case, delle nostre comunità debba trovarsi, seduta, la pace? Così che chi vi entra, respira accoglienza, disponibilità di tempo per l’ascolto, sororità, spirito autentico di servizio, dedizione, condivisione di momenti di preghiera? Percepisce una vita diversa da quella di sempre, avverte la presenza di testimoni di valori più alti? Vi scopre un rifugio per le proprie angosce, una soluzione per i propri tormenti? Capisce che le nostre comunità sono centri di irradiazione culturale?

Abbiamo mai pensato che sulla soglia del nostro cuore debba avere preso stabile dimora la pace? Quando in esso vi è accumulo di rancori, di frustrazioni, di gelosie, di invidie, di individualismi, di aggressività, vi è in sintesi disordine, la pace se ne è andata; ha imboccato altre strade.

 La pace vera ha una dimensione spirituale e radicale che si fonda su una vita evangelica vissuta senza mezzi termini. A questa pace ci si dispone, come è stato scritto in questi giorni, ‘con la conversione del cuore’. Ecco: far sedere sulla soglia del nostro cuore la pace… Essa aiuta a far risvegliare, perché prenda il sopravvento, la parte migliore, la più nobile, che esiste in ciascun uomo e in ciascuna donna. Essa è fonte di coraggio, di intraprendenza, perché è prova della presenza di Dio. La vera pace, quella che nessuno può turbare, viene soltanto da Lui. Facilita ed è allo stesso tempo principio e causa di un’esistenza autentica, nella verità, nell’onestà, nella giustizia.

Citiamo ancora una volta Etty Hillesum: «Il nostro unico obbligo morale è quello di dissodare vaste radure di pace in noi stessi, e di estenderle a poco a poco, finché questa pace non si diffonderà verso gli altri. Più pace ci sarà negli esseri, più ce ne sarà in questo mondo in fermento».

Non siamo utopiste. Non sogniamo l’impossibile. Vi possono essere striature nelle nostre comunità. Zone d’ombra e zone di luce. Zone bianche e zone nere. Le striature esistevano anche nella comunità primitiva, persino nel gruppo degli apostoli. Discutevano chi tra di loro fosse il primo, il più grande, il più degno di sedere alla destra del Maestro. Le fatiche, le animosità, le chiusure non sono esclusività della società e delle comunità di oggi. Per questo si è potuto sempre parlare, senza punto sbagliare, di conversione.

Sappiamo e ne abbiamo la prova che in tutte le nostre comunità le intercessioni a favore della pace si susseguono a scadenza continua. Senza intermittenza. Religiose partecipano a manifestazioni a favore della pace. Alcune si sono portate sino a Bagdad con l’intento di una presenza e di una parola pacificante. Il documento Ripartire da Cristo, esorta chiaramente a «non dimenticare i problemi della pace, spesso minacciata con l’incubo di guerre catastrofiche».

 Allora possiamo ripetere con fede nuova il salmo 121: sia pace sulle nostre case, sia pace nelle terre martoriate dove religiose e religiosi in fedeltà alla propria vocazione e missione con coraggio indiscusso rimangono per esservi ancora e sempre testimoni efficaci di pace.

 Riportiamo come conclusione quanto Sabatino Majorano scriveva sul n. 1 della nostra rivista a pagina 18:

In un contesto come il nostro in cui non manca chi si serve di Dio per dividere e contrapporre, la testimonianza delle persone e delle comunità consacrate dovrà essere caratterizzata da questa convinta diaconia di pace, a tutti i livelli, senza stancarsi mai. E’ in gioco il futuro del mondo secondo il disegno amoroso di Dio.

Nella stessa via su altro edificio di cui sopra è scritto: «Pax huic domui et omnibus habitantibus in ea». E’ l’augurio di tutte noi.

 

Roma 8 marzo 2003

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