n. 5 maggio 2001

 

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di Biancarosa Magliano

 
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C'è un brano nel libro dell'Esodo, al capitolo 18, fortemente attuale. Sicuramente umano. Decisamente ponderato. Frutto di accortezza e di perspicacia, ma anche di cautela e di prudenza. Si tratta di quella pericope in cui si narra che letro, sacerdote madianita, consiglia Mosè di decentrare il proprio potere e la propria mansione di giudice. In sintesi Mosè aveva riservato per se la soluzione di ogni contesa tra il popolo, e ciò gli risultava ben arduo e gravoso con il pericolo non virtuale di non essere sufficientemente preciso, giusto, oggettivo nel suo sentenziare. "Non è bene quello che fai..." esordisce il saggio vegliardo e continua: "Ora ascoltami e Dio sia con te!". Effettivamente, continuando con quel ritmo di vita, pensava letro, il genero sarebbe potuto cadere in un esaurimento. "Ti esaurirai, è troppo pesante per te". Mosè, convinto della saggezza di letro, ascolta e accondiscende. Suddivide il popolo in gruppi di migliaia, centinaia, cinquantine e decine e pone a ogni gruppo un capo che ascolti, discerna secondo coscienza, giudichi e pronunzi la propria sentenza con obiettività, senza finalità fiscali. Infatti dovevano "essere veritieri e odiare il guadagno". "Essi -continua il testo -giudicavano il popolo per tutto il tempo: le questioni importanti le portavano a Mosè, mentre essi stessi giudicavano tutte le questioni piccole".

       In questa pericope si nota un duplice movimento: da una parte Mosè, il capo e coordinatore di tutto e di tutti, colui che aveva ricevuto dal Signore il mandato di sottrarre il popolo alle angherie e ai soprusi degli egiziani. Egli aveva avuto Dio sempre dalla sua parte, ma non era autosufficiente ne autonomo, e lo sapeva; ne era consapevole e certo. Dio gli si era manifestato con un autopresentazione scioccante: "lo sono colui che sono". Mose, dunque, suddivide i compiti, decentra le proprie mansioni. Si fida e affida, assegna le mansioni ad altri, senza abdicare al proprio onere. Dall'altra i "capi", nella terminologia biblica, assumono le proprie responsabilità che sono disuguali e distinte e vi si dedicano con pienezza d'impegno. Ognuno, secondo le proprie possibilità, e sulla lunghezza d'onda delle responsabilità affidategli, ascolta, valuta, giudica e sentenzia.

E' interessante quanto si legge nella biografia di san Turibio de Mogrovejo, del secolo XVI, un giurista spagnolo, già laico inquisitore, anzi presidente del tribunale della Inquisizione a Granada prima, e poi vescovo di Lima in Perù, una diocesi tra il Pacifico e le Ande. l suoi biografi dicono che in quel territorio molto esteso egli fece sorgere le strutture adatte, i sinodi diocesani e provinciali, i seminari e una fitta rete di ospedali. Concretamente un santo dell'allora e, in parte anche oggi, Terzo Mondo, che difende i valori umani ed evangelici, che mai sono in contraddizione. Annuncia e organizza. Non assomma in se il potere decisionale ed esecutivo. Lascia il campo ad altri. Difende i poveri, i deboli, gli ultimi, quelli dei quali i conquistadores dubitano se abbiano un'anima, appellandosi al vangelo, concretamente alle parole di Gesù che "ha detto -questa la difesa del presule -lo sono la Verità". Ma non accentra; non aboca tutto a se. Certo potremmo anche richiamarci all'organizzazione dell'esercito e dell'impero romano. ..Ma qualche esempio non è mai di troppo!

La complessità del mondo attuale, dove la proliferazione delle comunicazioni e dei contatti ha abbattuto barriere, annullato distanze, contratto lo spazio e reso sempre più "reale" e paradossalmente inafferrabile il tempo, anche negli istituti è bene prendere sempre più coscienza delle proprie responsabilità. Ognuna/o delle sue. Senza sovrapposizioni, senza accentramenti, ma anche senza abdicazioni. Giovanni Paolo Il in Vita consecrata affermava che "chi esercita l'autorità non può abdicare al suo compito di primo responsabile della comunità, quale guida dei fratelli e delle sorelle nel cammino spirituale e apostolico". Mosè non avrebbe dovuto, o -potuto, recedere dal mandato richiestogli e affidatogli -direttamente dal Signore.

       Il discorso è applicabile, logicamente, a tutti, qualsiasi impegno si abbia all'interno della comunità, o nell'attività apostolica, anche se oggi, secondo quanto sostengono gli esperti, il mandato maggiormente in crisi è propriamente quello dell'autorità, per cui può anche succedere che si preferiscano, in aggiunta al compito di superiore, altri impegni maggiormente gratificanti.

Il disimpegno di chiunque nei propri servizi può far abortire anche i progetti comunitari o provinciali o di istituti meglio impostati. E' certo che le "politiche", i progetti istituzionali devono essere chiari e precisi, di ampio respiro, a breve, medio e lungo periodo, mai ingolfanti, e non al millimetro. E' certo che la ricerca, la formazione e la costruzione di progetti è importante, oggi più di prima. La comunità che ha un suo buon progetto, basato su linee essenziali, poche, ma concrete, può avere in esso una guida, linee di orientamento, basi per la verifica da farsi nei tempi e secondo modalità opportune. 

Ma è indispensabile che ognuno/a vi si attenga. Con libertà di cuore e potenza d'amore. Oggi, sempre a dire degli esperti, soffiano nelle comunità venti di individualismo, di asocialità, indifferenza, apatia, disinteresse; corrono correnti di stanchezza, una specie di anoressia. Ma il bene comune esige che tutti ci si sforzi di equilibrare diritti e doveri, vantaggi e responsabilità. La solidarietà ha le sue prime esigenze lì, in comunità, tra, con, per i fratelli e le sorelle della comunità. Insieme si dialoga sui disagi cui dare risposta e ognuno/a si impegna a cercarla, adirla e a darla. Così che tutti, tutte ci si sente in cammino, in cordata, perché la finalità è una sola, quella imposta dal carisma istituzionale. 

Nel processo di cambiamento cui, volenti o nolenti, siamo immersi, nella ristrutturazione delle opere, nelle scelte formative, nei dibattiti sulle attività più urgenti, e su quelle da lasciare, tutti ci si sente interpellati per offrire risposte sufficientemente ponderate. 

Ogni fiore è bello per se stesso e in se stesso, ma è oltremodo bello quando nel bouquet è posto al posto giusto e nella simpatica combinazione dei colori. Ogni nota musicale ha un suo timbro e risponde all'insieme se non è fuori delle regole I del pentagramma, e se vieoe suonata al momento e nell'intensità .giusta. Ognuno può essere come quel fiore o come quella nota. Ma bisogna starci costi quel che costi. Insieme l'armonia può essere estasiante, anche se faticosa. Tirarsi fuori è degenerazione. Lasciare ad altri le fatiche e le noie è sintomo di apatia.                                          

L'esserci, ognuno al suo posto, e qualcosa in più quando ciò non invade il campo altrui, serve a costruire una Chiesa "tutta bella, senza macchia ne ruga, santa e immacolata".

Come Maria. Ha detto sì e vi è rimasta fedele. Sino alla fine, nelle piccole vicende e nella grande martoriante awentura della passione e morte del Figlio. E infine ha vissuto e partecipato alla gloria della risurrezione.

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