n. 5
maggio 2003

 

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Il dono di una vita!
Il servizio dell'animatrice vocazionale

di Antonia Castellucci

 

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«Ho visto un uomo che suonava un canto zigano su un violino di legno, con mani di carne. Nel violino si incontravano il suo cuore e la musica. Quelli che lo ascoltavano non avrebbero mai potuto indovinare che quel canto era difficile; che per molto tempo aveva dovuto seguire le gamme, rompersi le dita, lasciare che le note e i suoni si immergessero nelle fibre della sua memoria. Il suo corpo non si muoveva quasi, eccetto le dita, eccetto le braccia. Se aveva lavorato a lungo per possedere la scienza della musica, era la musica che adesso lo possedeva, che lo animava, che lo proiettava fuori di sé come un incantesimo sonoro. Sotto ogni nota che suonava si sarebbe potuto ritrovare una storia di esercizi, di sforzi, di lotta; e ogni nota se ne fuggiva come se il ruolo fosse finito quando aveva tracciato con un suono giusto, esatto, perfetto, il cammino a un’altra nota perfetta. Ogni nota durava quanto doveva. Nessuna iniziava troppo presto. Nessuna si attardava. Servivano a un soffio impercettibile e onnipotente» (M. Delbrêl).

 Ho scelto questa suggestiva immagine, quale metafora della nostra identità e missione di donne consacrate: uno ‘spazio vitale’ nel quale risuona senza forzature, né stonature la buona musica del Vangelo, musica che, ancor prima di proiettarci nell’annuncio missionario, ci possiede e continuamente ci anima. Solo quando le “note” del Vangelo pervadono la vita è possibile far cogliere il fascino della nostra vocazione di donne consacrate; diversamente l’annuncio risulta disarmonico, stonato, incapace di coinvolgere gli altri nella melodia, nella danza...

E’ proprio questo il compito delle animatrici vocazionali: essere donne attente alla melodia dello Spirito, disponibili a lasciarsi guidare nella sua danza, coinvolgendo anche i giovani che silenziosamente tendono la mano.

Per eseguire con fedeltà e creatività la melodia evangelica che ci è stata affidata, così che tutta la nostra esistenza risuoni vocazionalmente e sia un servizio alla vocazione dei giovani, è necessario anche per noi esercitarci con costanza, verificare e ripensare la nostra presenza di religiose nell’attuale contesto sociale, culturale, ecclesiale perché non ci sia alcuna dissonanza con il Vangelo della vocazione.

 

 Servire la vocazione

 In tal modo rispondiamo all’appello che il Santo Padre ci ha rivolto nel suo messaggio per la 40a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, invitandoci a fare della nostra vita un dono, che nasce e si esprime attraverso il servizio e che, quando è gratuito e totale, suscita anche negli altri la disponibilità a servire. Infatti – si dice nel messaggio – «servire è vocazione del tutto naturale, perché l’essere umano è naturalmente servo, … Servire è manifestazione di libertà dall’invadenza del proprio io e di responsabilità verso l’altro; servire è possibile a tutti, attraverso gesti apparentemente piccoli, ma in realtà grandi, se animati da amore sincero».

 Servire la vocazione – cioè la felicità – di ciascuna persona perché faccia della propria vita un dono è la missione prioritaria di una consacrata; è rendere efficace quella generatività che è propria di ogni vocazione e di ogni carisma.

Servire la vocazione significa adoperarsi - secondo le parole di Paolo VI - perché nessuno sia privato di ciò che deve sapere per rispondere alla propria vocazione.

Servire la vocazione significa sostenere i giovani nelle loro scelte, perché escano dall’indecisione paralizzante per aprirsi alla dimensione vocazionale della vita.

Servire la vocazione significa diffondere una mentalità a favore della vocazione dentro una cultura antivocazionale.

 Tale servizio alla vita e alla vocazione dei giovani esige alcune conversioni pastorali che ogni religiosa animatrice vocazionale deve assumere, affinché il dono della vita consacrata diventi affascinante e comprensibile e susciti vocazioni al servizio.

Troppe volte, invece, la vita religiosa oggi appare incomprensibile e estranea alla vita dei giovani; si riscontra ancora un’evidente separazione tra la vita religiosa e la realtà circostante, che ci pone “ai margini della vita quotidiana”, per non dire “fuori dal mondo”; tale separazione certamente non favorisce la comunicazione del Vangelo della vocazione in un mondo che cambia, anzi costituisce un ostacolo. Si tratta dunque di individuare “vie nuove” per ristabilire efficaci canali di comunicazione dei valori vocazionali.

  

Un servizio che nasce dalla ricerca

 Dentro l’attuale contesto - caratterizzato dalla categoria del cambiamento - condizione indispensabile per servire la duplice fedeltà a Dio e all’uomo è l’atteggiamento della ricerca.

Per esercitare il servizio dell’animazione vocazionale è necessario dunque essere prima di tutto e soprattutto donne dal cuore interrogante, consapevoli che solo un cuore interrogante è capace di suscitare domande, specialmente in ambito vocazionale.

La nostra passione per Dio si misura dalla nostra ricerca: di fronte alle situazioni, talora così complesse, non possiamo accontentarci di risposte facili, scontate, superficiali; in quanto animatrici vocazionali prima ancora che suscitare domande, siamo chiamate a essere donne che se le pongono, che sanno stupirsi, che non entrano nell’abitudine del “si è sempre fatto così”, ma si interrogano continuamente sulla propria storia, su quella dell’Istituto di appartenenza, sulla vita dei giovani che Dio affida, sulla direzione verso la quale lo Spirito li sta conducendo…

La nostra vocazione di donne consacrate ci spinge ad andare “oltre”, “oltre” le apparenze, “oltre” il già detto e già fatto, oltre i confini delle nostre sicurezze, delle nostre strutture.

Solo mediante questo atteggiamento costante di ricerca, di lettura attenta dei segni dei tempi, di discernimento, saremo in grado di vivere una fedeltà dinamica a Dio che si rivela e ai fratelli che aspettano qualcuno che si metta al loro fianco. Vogliamo essere donne che, pur avendo chiaro l’orizzonte dentro il quale si muovono: identità carismatica, missione, ecc. non smettono di ascoltare, di cercare, e di cercare per sé e per gli altri.

 

Un servizio ai giovani che si fa prossimità

 In «un mondo che cambia», la nostra prima preoccupazione consisterà nell’ascolto delle attese, speranze, desideri che animano il cuore dell’uomo di oggi, in particolare dei giovani.

Siamo di fronte a giovani fondamentalmente soli, confusi, feriti “dal benessere”, incerti davanti alle scelte per il proprio futuro. Questa presa di coscienza della realtà giovanile ci interpella profondamente: per comunicare il Vangelo della vocazione oggi è necessario prima di tutto vivere la prossimità con i giovani, troppe volte lasciati soli dentro il disorientamento esistenziale. Solo ricollocando la nostra tenda in mezzo ai giovani, attraverso uno stile di presenza materno, potremo prenderci cura di loro e sostenerli nelle scelte, aiutandoli ad uscire dall’indecisione paralizzante e ad aprirsi alla dimensione vocazionale della vita.

Servire i giovani significa ancora mettersi al loro fianco nella ricerca, perché non si scoraggino, ma sappiano guardare con fiducia al futuro. Per utilizzare un’immagine: «Evangelizzazione: è un mendicante che va dire a un altro mendicante dove insieme possono trovare da mangiare». E’ questa la prima nostra missione.

 

 Un servizio al femminile secondo il progetto di Dio

 Il nostro servizio ai giovani poi si caratterizza per i tratti tipicamente femminili, che costituiscono la ricchezza della nostra vocazione e missione nella Chiesa. Per esprimerli occorre individuare quale strada Dio abbia scelto per rivelarsi alla donna e per mezzo della donna; consultando il dato biblico emergono alcune caratteristiche femminili di cui vogliamo riappropriarci perché la nostra esistenza di donne consacrate diventi autenticamente epifania di Dio.

Il primo tratto è la capacità della donna di accogliere il mistero. La donna è più vicina al mistero per il gioco di vita e di morte che porta nel suo grembo. Si tratta di accogliere il mistero della vita, di Dio, di colui che ci è davanti, senza la preoccupazione di comprenderlo e di impossessarsene, accogliere con gratuità, sapendo che è proprio dall’accoglienza del mistero che scaturisce la vita: le radici dell’albero stanno nella profondità della terra e quanto vive nella luce proviene dall’oscurità.

Annunciare il Vangelo al femminile significa ancora annunciare un Dio che vuole incontrare l’uomo non sulla strada della perfezione, ma piuttosto lungo i sentieri del suo abbassamento; un Dio che ha i tratti della benevolenza, della tenerezza, della misericordia; un Dio che ha viscere materne. In quanto donne siamo chiamate a dire a chiare lettere, attraverso la nostra esistenza, che Dio non ci salva in virtù della sua onnipotenza, ma in virtù della sua impotenza, cioè della sua misericordia.

 

 Un servizio inscritto nella nostra corporeità

 La nostra riflessione al femminile può essere spinta ancor più alla radice, nella consapevolezza che il primo annuncio del Vangelo della vocazione è inscritto nella nostra corporeità femminile, ossia nel significato, nella vocazione che Dio ha già inscritto nel nostro corpo.

Così, radicalmente, possiamo leggere tra le pieghe della nostra identità femminile il contenuto primo di un annuncio che Dio vuole che passi attraverso il nostro corpo di donne.

Il nostro corpo annuncia la relazionalità costitutiva della persona e che si esprime in modo eccelso nella donna attraverso la maternità, come capacità di fare spazio, di accogliere l’altro, di contenerlo, e poi via via lasciarlo vivere nella sua autonomia, aiutandolo a distaccarsi da sé.

E’ ancora nella maternità che emerge un tratto peculiare della vocazione femminile: la coscienza del limite. Una madre si sente chiamata interiormente a vivere l’infinita pazienza di chi ascolta il distillarsi della vita del figlio giorno per giorno nel proprio ventre. Di fronte alla vita dell’altro, nel nostro caso dei giovani, non bastano le competenze, i titoli, i progetti più o meno razionali; occorre ammutolire, attendere con pazienza, allargare gli spazi dell’intimità.

Strettamente connessa alla maternità è la cura della vita, - tratto tipicamente femminile - che si manifesta nelle sue diverse forme: l’attitudine a nutrire, a lenire le ferite e alleviare la sofferenza.

La cura della vita, si fa azione educativa attraverso l’accompagnamento, l’incoraggiamento, lo sguardo valorizzante, che sa dare fiducia e sostenere i passi incerti della crescita. Prendendosi cura dell’altro una donna sperimenta il suo essere dono e nello stesso tempo promuove nel figlio la capacità di donarsi.

Nella donna infine c’è un segno particolare, nel parto, di una sofferenza fisica strettamente legata alla generazione e quindi alla dimensione positiva della gioia.

Anche nell’educazione una madre rivive il travaglio del parto a piccole dosi quotidiane. Rigenerare significa accogliere in ogni momento la differenza dell’altro, anche quando questa accoglienza comporta la morte a se stesse1.

Alla luce dei significati racchiusi nel nostro corpo femminile diventa ancor più evidente la necessità di recuperare la ministerialità educativa che ci è propria per divenire accanto alle giovani in ricerca figure di riferimento e guide sapienti. La capacità intuitiva del genio femminile ci permetterà di dare un apporto decisivo nell’ambito del discernimento vocazionale femminile. Questo riappropriarci del carisma dell’accompagnamento, probabilmente segnerà una svolta nella pastorale vocazionale italiana.

Presa coscienza della ricchezza umana, spirituale, carismatica, contenuta nel genio femminile e nella vita consacrata, risuona con maggior forza l’invito di S. Agostino: Donna Consacrata, «diventa ciò che sei!».

 

Un servizio che esige conversione

Per concludere addito alcune conversioni personali e pastorali, senza le quali l’annuncio del Vangelo della vocazione al femminile rischia di essere vano, inadeguato, inefficace.

 Solo alcuni passaggi:

 La fedeltà al mondo che cambia e al Vangelo ci chiede di convertirci a uno stile pastorale ermeneutico: attraverso il quale mettere continuamente in rapporto la fede e la cultura dentro la quale la fede è chiamata a incarnarsi. Si tratta di far dialogare continuamente – prima di tutto nel nostro cuore di donne consacrate – le istanze che ci vengono dal mondo e il tesoro di fede e di grazia di cui siamo depositarie, scoprendo che le due realtà, se messe in dialogo, si arricchiscono reciprocamente. Il binomio fede e storia non deve mai disgiungersi a partire dalla nostra vita interiore ed apostolica.

 Assumere come habitus interiore ed esteriore un servizio gratuito a tutto campo alla vita dei giovani, facendo risuonare in ogni ambiente l’annuncio della vita come vocazione. Ciò significa vivere «vocazionalmente» ogni aspetto della nostra vita religiosa e della nostra azione apostolica, suscitando attorno a noi sensibilità e attenzione vocazionale: o si è vocazionalmente sempre o non si è vocazionalmente mai.

 Prendere coscienza che la nostra vocazione femminile ci deve portare a essere per le giovani figure di riferimento significative, personali e comunitarie, capaci di dare concretezza alla proposta di modelli oltre che di valori. Le giovani attendono chi sappia proporre stili di vita autenticamente evangelici e cammini di iniziazione ai grandi valori spirituali della vita umana e cristiana. Inoltre comunicare la nostra esperienza di vita ci permette di farne memoria e di riscoprirne in modo sempre nuovo la bellezza.

 Avere l’onestà e il coraggio di non arrendersi davanti alle evidenti sconfitte e alla difficoltà di trasmettere la bellezza di cui ci sentiamo eredi e testimoni, ma secondo l’augurio dei nostri Vescovi: «‘andare al largo’, salpare senza paura, non temere la notte infruttuosa, riprender con fiducia la pesca. Vogliamo soprattutto dare gloria a Dio ed essergli profondamente grati. Attraverso l’incarnazione di suo Figlio, egli infatti ha deposto nel grembo della Chiesa il seme di una speranza che non delude. E’ ciò, che umilmente e senza tentennamenti, vogliamo fare nel prossimo futuro». (CVmc, presentazione).

 Dio vuole ancora oggi rivelarsi ai giovani del nostro tempo e suscitare in loro la vocazione al servizio, attraverso la nostra vita di donne a lui consacrate. E’ come se risuonassero ancora oggi, per ciascuna di noi, quelle parole che Gesù duemila anni fa rivolse ai suoi discepoli quando una donna, con profumo di nardo prezioso, cosparse i suoi piedi:

 Lasciatela libera di fare quello che desidera, perché è l’amore che la ispira.

Lasciatela libera: lei mi conosce attraverso l’amore e sa ciò che desidero e ciò di cui ho bisogno.

Lasciatela libera di annunciarmi: è piena di amore e di entusiasmo…

Lasciatela libera: lei realizzerà con me soltanto opere di bellezza, opere che saranno un’effusione di amore. In realtà ho bisogno solo di questo ministero, un bisogno urgente. Perché il mondo per il quale io ho dato la vita muore senza festa e senza acqua, senza luogo di adorazione e senza canto, senza danza e senza colori, senza speranza e senza giardino.

E’ di questo ministero che ho bisogno: non avete letto che, mentre asciugava i miei piedi con i suoi capelli, tutta la casa si riempiva di profumo?

Ad essa ho inviato il mio Spirito perché mi chiami, mi desideri, perché attenda con ansia la mia venuta. Lasciatela, lasciatela libera di fare2.

 


1Per ulteriori approfondimenti: Attilio Danese e Giulia Paola Di Nicola, Lui e Lei (torna al testo).

2. cf Maria Teresa Porcile Santiso, La donna spazio di salvezza, EDB, Bologna 1996, 348-349 (torna al testo).

 

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