n. 5
maggio 2003

 

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Madre Maria Domenica Mantovani
Cofondatrice e prima Superiora Generale dell'Istituto Piccole Suore della Sacra Famiglia
di Anna Trebbi

 

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Cenni biografici

A Castelletto, paesino affacciato sul Lago di Garda, ai piedi del Monte Baldo, nasce Madre Maria il 12 novembre 1862.

È battezzata con il nome di Domenica, ma tutti la chiamano “Meneghina”. Primogenita di quattro fratelli, cresce circondata dall’affetto dei genitori, Gian Battista Mantovani e Prudenza Zamperini. La sua fu una famiglia serena, laboriosa, povera come tante altre di quel tempo, ma ricca di valori umani e cristiani.

Riceve una solida educazione alla fede, tanto in casa che fuori, frequenta le prime tre classi della scuola elementare e percorre tutte le tappe dell’iniziazione cristiana.

È particolarmente attenta all’educazione catechetica parrocchiale, e diventa ella stessa un’assidua ed efficace catechista.

Nel 1877 Domenica incontra per la prima volta don Giuseppe Nascimbeni, prima curato e poi parroco di Castelletto, e tra i due sorge una profonda intesa spirituale che sarà poi lo strumento della Provvidenza per la fondazione dell’Istituto.

Intanto la ragazza progredisce spiritualmente. Sotto la guida sapiente del Nascimbeni diviene l’animatrice delle associazioni, del catechismo, della cura degli ammalati e dell’ornamento dell’altare. Erano queste attività a dare ali alla sua pietà e alla sua fede profonda e semplice. Nasceva, così, in lei il desiderio di una totale consacrazione a Dio e all’età di 24 anni emette il voto di verginità nelle mani del suo parroco.

Il suo esempio viene prontamente seguito da altre tre giovani: questo evento può essere l’inizio dell’Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia (6 novembre 1892).

Da questo momento ogni energia fisica, intellettuale, spirituale della Mantovani, sarà al servizio dell’Istituto, del quale è la Madre Cofondatrice insieme col Nascimbeni.

Come Figlia e Madre collabora attivamente con il Fondatore per lo sviluppo della nuova famiglia religiosa e s’impegna a incarnare, nella sua genuinità il carisma che il Padre aveva ricevuto dallo Spirito, per essere esempio luminoso per le figlie.

 Vi riesce ottimamente tanto che il Nascimbeni stesso nutre per lei profonda stima, soprattutto per la sua docilità e umiltà e la propone come modello da imitare.

L’Istituto trova immediatamente accoglienza a livello ecclesiale tanto che in poco più di trent’anni le Piccole Suore arrivano al migliaio.

Nel 1922 muore il Nascimbeni, per cui l’Istituto è nelle mani della Madre che in tal modo diventa la testimonianza e la memoria vivente del carisma originario.

 Per dieci anni dal 1924 al 1934 Madre Maria è ripetutamente eletta Superiora Generale e, come Madre, entra nella pienezza della vita il 2 febbraio 1934.

Da quel momento inizia una continuata memoria in benedizione.

 

 Dai proponimenti di Madre Maria

 Io sento una fame ardentissima della divina Parola. Desidero proprio saziarmi, imbevermi tutta e che tutte le istruzioni e meditazioni mi vadano in sangue allo scopo di diventare santa e presto santa.

Fra le tante virtù di cui intendo fare acquisto in questi santi esercizi, due principalmente voglio che siano le prime, cioè: una profonda massiccia, sincera umiltà e la mortificazione. Questo è quello che ardentemente desidero. (1894) Positio pg. 291,

 Sacrificherò volentieri il sonno e la quiete e con l’aiuto della Sacra Famiglia guarderò di essere tutta a tutti. (1895) Positio pg 293.

Vivrò come una bambina abbandonata nelle mani di Dio, lasciando a lui solo la cura della mia santificazione e quella dell’intero Istituto. (1910) Positio pg 296

 Prometto con la grazia di Dio di essere diligentissima nel fare le cose piccole e le farò col fervore massimo e pieno di fede. (1914) Positio pg 249

 Con l’aiuto della sacra Famiglia, prometto di amare tanto Gesù, non a parole, ma coi fatti facendo per amore di Gesù ogni cosa con grande diligenza. (1918) Positio pg 302.

  

Donna del Quotidiano

 Nulla di straordinario nella sua vita, se non il miracolo della quotidianità santamente vissuta (commissione dei Periti storici).

 Il vero miracolo di Madre Maria Domenica Mantovani (1862-1934), la cofondatrice delle Piccole Suore della Sacra Famiglia proclamata Beata il 27 aprile, sta nell’aver ottenuto il massimo con il minimo del clamore. A significare che la vera eccezionalità sta nell’essere sempre profondamente normale. E che la normalità può diventare un esempio, anche a distanza di tempo. Perché coerenza, umiltà, generosità, obbedienza sono caratteristiche che richiedono grande pazienza, e ai nostri giorni passano volentieri in secondo piano. Oggi, infatti, determinazione e ambizione vanno spesso insieme e mostrano solo la loro accezione negativa: accolte ed esibite come sinonimo di arrivismo, scalata sociale e protagonismo, piegano al calcolo sordo dell’amor proprio tanto le emozioni quanto i sentimenti.

Può sembrare ovvio, quindi, che quello che è stato definito “il modello ideale di suora” susciti ammirati encomi da parte di chi ne ha condiviso la scelta: per chi è chiamato alla vita religiosa, l’esempio di Domenica Mantovani è un punto di riferimento sicuro, un termine di paragone importante. Meno ovvio è, invece e soprattutto di questi tempi, che di lei ancora si parli. E che a parlarne con entusiasmo e partecipazione siano anche gli altri, quelli che non facevano parte del suo entourage e quelli che non l’hanno conosciuta. Perché, oggi come allora, «una buona e brava ragazza», come la definì il cardinale Giacomo Lercaro, che si batte strenuamente in un «succedersi di particolari modesti e spesso simili, quasi un ripetersi di piccole cose» riesce a suscitare la curiosità della gente, anche quella più lontana da Dio. Suona come una favola, come una parabola.

Ma favole e parabole, non bisogna dimenticarlo, prendono spunto dalla realtà e, proprio per la loro natura esemplificativa, alla realtà si rivolgono e si applicano. Solo che spesso la realtà supera la fantasia, e l’immaginario a volte è meno esemplare del reale. Ecco perché in tanti si sono “arresi” a colei che per il mondo era solo la “Meneghina”: perché era irresistibile e a portata di mano, le orecchie tese e il sorriso sulle labbra. Un bene impagabile per una comunità civile afflitta dagli stenti e dalle guerre. Un tesoro da coltivare nel profondo per chi, nella routine quotidiana, non trova pace. Specie se la pace viene da una figura “sommersa”, la cui bellezza interiore «è come il fulmine, turbina e non appare» per dirla con Eugenio Montale. Una bellezza consapevole che va a toccare proprio là dove il cuore nasconde le tribolazioni più profonde, anche quando l’anima si ostina a non voler parlare.

La vera spiritualità, scrive Monsignor Gianfranco Ravasi (Avvenire, 16 febbraio) «non è mai ostentata ma discreta e umile. Anche ai nostri giorni». Parole nate per rendere omaggio a Dino Buzzati nel trentennale della morte, ma che sembrano scritte per esaltare l’esemplarità di Madre Mantovani. Che a forza di semplicità, rispetto, dolcezza ha dato al mondo – la congregazione delle Piccole Suore della Sacra Famiglia conta oggi 145 filiali tra l’Italia e l’estero e 960 sorelle – la testimonianza più concreta e visibile della propria fede. Una fede coltivata in sordina, tra la gente, senza esibizionismo ma con costanza e creatività, fermezza ed energia. E – sulla scia del Fondatore il Beato Giuseppe Nascimbeni - con un tocco teneramente popolare, così efficace da convincere anche i più scettici. Come quel suo dialogare rigorosamente in dialetto per meglio cogliere l’essenza delle cose e porsi sullo stesso piano dell’interlocutore. Come il sacchetto appeso alla statua di San Giuseppe, eletto l’economo delle Piccole Suore, quando s’era in cerca di fondi per realizzare orfanotrofi e nuove case filiali. O quei fogliettini bianchi con su scritto solo il nome posati ai piedi della Vergine, per rafforzare la richiesta di una grazia o di perdono alla Madonna. O la costruzione della Grotta di Lourdes nella Casa Madre: un atto di venerazione, ma anche uno stimolo alla riflessione, un invito esplicito alla preghiera, da condividere con la comunità religiosa e parrocchiale, e da praticare «nella camera e chiusa la porta», come cita il Vangelo di Matteo.

Colpisce, poi, che, per essere vissuta in un’epoca che ormai si studia solo sulle pagine di storia, Madre Maria Mantovani spicchi per esser stata una delle rarissime donne a riuscire a coniugare gli impegni manageriali di un ruolo sempre più impegnativo come Superiora di un Istituto in costante crescita con i doveri di madre nei confronti delle sue tante “figlie”, sempre solerte nell’insegnamento, nell’ascolto, nell’orientamento. Nel XXI secolo una simile impresa sembra impossibile: riuscire a essere protagonista sui due fronti è un lusso che cede il passo a molti compromessi. A Madre Mantovani costò sicuramente molti sacrifici, cosa che pochi sono disposti ad accettare. Ma una vita in salita può arrivare molto in alto, addirittura in Paradiso. Il lieto fine esiste, soprattutto nella realtà.

 

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