Il
nostro tema ci introduce nel quadro ideale della prima comunità per
attingervi nuovi punti di riferimento per il nostro oggi, nelle nostre
particolari situazioni, personali e comunitarie. La ‘perseveranza
nell’ascolto’ costituisce la prima delle quattro fedeltà presentate dai
tre sommari degli Atti degli Apo-stoli: 2,42-47; 4,32-35;
5,12-16. Questi sommari sono l’apostolica vivendi forma delle
origini, che ci richiamano a quell’ideale di vita evangelica di cui la
Chiesa primitiva ci dà testimonianza. Il primo contiene gli elementi
descritti negli altri due, cioè la quadruplice fedeltà,
vissuta nell’assiduità e perseveranza:
«Erano assidui nell’ascoltare
l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella
frazione del pane e nella preghiera... Tutti coloro che
erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in
comune... Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano
il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore,
lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. Intanto il Signore
ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» (At
2,42ss).
Quattro fedeltà che appaiono come ideali (e
lo sono!) da tenere presenti e conseguire, giorno dopo giorno, ma, nello
svolgimento del testo, Luca ne mostra anche la prassi, con le sue luci e
ombre1.
Anche solo uno sguardo globale mostra le loro ricorrenze nel testo
lucano.
Insegnamento degli apostoli o Parola (cfr. At
8,6; 10,22; 11,20-26; 13,7ss; 14,1; 15,7; 16,14; 17, 11-12; 22,15).
Unione fraterna (cfr. 2,46-47; 4,32-35),
Frazione del pane (2,46-47; 20,7-12),
Preghiera (1,23-25; 6,6; 13,3; 14,23;
4,23-31; 12,5.12).
I soggetti di questa quadruplice perseveranza
«sono coloro che hanno accolto la Parola» (2,41) e in seguito sono
chiamati credenti (2,44) e, finalmente, Chiesa (5,11). Queste quattro
perseveranze indicano che la vita della comunità è fondata sulla Parola
che crea comunità (unione fraterna) e sull’Eucaristia che si prolunga
nella vita, rendendola culto vivente (Preghiera). La prima riguarda
l’insegnamento degli apostoli, in altre parole, l’istruzione che
consegue al primo annuncio. L’assiduità all’insegnamento degli apostoli
è la prima ed essenziale caratteristica della comunità; è la condizione
per capire e vivere la fede e per essere comunità nel e del
Signore. E’ evidente che la vita della comunità inizia con la Parola e
la confessione di fede. Non ci sono, in questo quadro, in primo luogo
opere e organizzazioni apostoliche da portare avanti. Il fondamento è
Lui e tutto parte da Lui, il Vivente, da ascoltare e rendere presente.
Da questo fondamento nasce la gratuità dello stare insieme, per la
consapevolezza fortissima e gioiosa che il Vivente fa dei molti una cosa
sola. Questa presenza del Vivente si traduce nella coscienza della
testimonianza che gli è dovuta, davanti al mondo.
L’insegnamento degli apostoli o Parola
L’assiduità all’ascolto2,
primo aspetto di questa apostolica forma vivendi, è
detta «erano attaccati alla didachè». Vale a dire, alla Parola - memoria
degli apostoli, che ascoltavano, custodivano nel cuore, trasmettevano, e
attualizzavano (cfr. At 11,20: il primo tentativo di attualizzare la
fede nella cultura ellenistica!). Questa assiduità all’ascolto rifonda3
costantemente la fede nel Signore Gesù, morto e risuscitato, operante in
mezzo a loro. La comunità, nell’ascolto, fa memoria delle parole
e gesti di Gesù; rilegge l’AT alla luce di Gesù, per capire alla
luce delle Scritture e di Gesù il proprio presente e la storia che
stanno vivendo (cfr. At 17,11-12: Paolo a Berea fa lectio divina.
Spiega l’AT alla luce di Gesù). Il testamento di Paolo agli anziani di
Efeso testimonia che questo ascolto della Parola (cfr. At 20, 20) è
caratterizzato:
·
dall’esortazione, incoraggiamento non
pregiudizio sterile;
·
dall’istruzione, approfondimento,
desiderio di crescita, di solidità, per non
essere sbattuti da ogni
vento di dottrina (Ef 4,14);
·
ripetuto, cioè, sistematico perché
tende alla profondità e completezza, per dare ragione della “propria
speranza”. La Parola deve abitare in noi (Col 3,16), così come Cristo,
deve essere come a casa sua nei nostri cuori (Ef 3,17). E Giovanni
assicura che il rimanere nella Parola è rimanere in Gesù (Gv 15,7).
L’ascolto, messo al primo posto, così
radicale e radicato, richiama la casa fondata sulla roccia, come
risultato di un ascolto divenuto vita, carne, un “fare la Parola”
divenendo Parola (Mt 7, 24-27).
Fate attenzione a come ascoltate
(Lc 18):
i possibili livelli dell’ascolto e le sue sfide
Luca, nella sua prima opera, riportando la
parabola del seminatore – contrariamente a Marco che scrive «Fate
attenzione a che cosa ascoltate» (Mc 4,24), – scrive: «Fate
attenzione a come ascoltate» (Lc 8,18). La qualità dell’ascolto,
il come, è molto importante. Possiamo vivere, come anche
l’esperienza umana ci indica, diversi livelli di ascolto, ognuno dei
quali con delle sfide o possibilità,
Anzitutto la sensibilità, come stato
d’animo emotivo superficiale, che può toccare la vulnerabilità
umana, con le reazioni corrispondenti: fuga, paura, difesa. Se essa è
predominante il nostro ascolto è superficiale, egocentrico, funzionale.
La Parola, non raggiungendo la nostra profondità, si perde e vanifica.
Cada come su di un marmo!
Abitudine,
tarlo che fa credere di conoscere la Parola e le sue esigenze. E’ la
tentazione di chi è abituato ad ascoltare la Parola, talmente abituato
che ne ha già programmato le risposte. In questo caso, si dà un ascolto
solo intellettuale, che non tocca il cuore e non salva. L’abitudine
rende superficiali. L’esperienza di Paolo ad Efeso è significativa al
riguardo: insegna che il sentire superficiale, il prurito di sentire (At
17,21) impedisce l’apertura di cuore alla Parola e alla conversione. Gli
ateniesi hanno rifiutato la parola di Paolo, perché il “sentire con le
sole orecchie” era per loro un “piacevole passatempo”, non un
atteggiamento di ascolto e di apertura di cuore.
Attese personali.
Questa terza sfida è molto frequente. Si verifica quando ci accostiamo
alla Parola con attese e preoccupazioni per le quali abbiamo, in un
certo senso, determinato la risposta. Quando prevalgano, il nostro
ascolto è selettivo: prendiamo quello che ci piace e che coincide con le
nostre idee, e ci scandalizziamo dei richiami alla conversione (cfr. Ger
42).
Finalmente, il luogo del cuore, che è
lo spazio dove maturano le decisioni, lo spazio della disponibilità
sincera e della libertà autentica. Con il cuore l’uomo ascolta. La
preghiera di Salomone, che Dio gradisce è: «Concedi al tuo servo un
cuore docile…» (1Re 3,9). Ma il cuore «E’ più fallace di ogni altra
cosa, e difficilmente guaribile; chi lo può conoscere?» (Ger 17,9).
Ecco allora la preghiera di Davide: «Crea in
me, o Dio, un cuore nuovo» (Sal 51,12).
La fede biblica è spiritualità
dell’ascolto
Luca, nel proporre l’importanza dell’ascolto,
non inventa nulla di nuovo della spiritualità biblica, perché essa è,
essenzialmente, spiritualità dell’ascolto4.
Il grido appassionato di Dio al suo popolo è: «Ascolta, Israele» (Dt
6,3. 4). Dio non si rivela attraverso le visioni, ma si fa conoscere
attraverso la voce. Sul monte, dove Dio li ha condotti, vi era solo una
voce (Dt 4,10-12). Di Lui si intravedono le spalle, cioè i segni del suo
passaggio nella vita e nella storia (Es 33,32). Dio non si fa vedere, ma
lo si può ascoltare. Dio si rivela non nelle immagini, ma nell’ascolto
di un Tu ad un altro tu, che crea dialogo e comunione, per fare storia.
L’ascolto richiede, perciò, la fiducia in colui che parla. Per questo
l’ascolto è esperienza aperta, sempre nuova e il suo contenuto, per
essere compreso, ha bisogno della realizzazione di quanto si è udito.
Non esiste ascolto senza risposta e, quindi, senza responsabilità
dinamica. La visione, al contrario, è qualcosa di chiuso e statico. A
causa di questa via difficile, che è l’ascolto, Israele ha sempre patito
la tentazione dell’idolatria, perché gli idoli sono da contemplare e non
da ascoltare. Non mettono in crisi. Non fanno storia. Avere un Dio
vicino manipolabile, perché non parla e non mette in crisi, era la
grande tentazione di Israele (cfr. Sal 115,4-8). E’ il dramma della vita
spirituale quando si basa sulle “pratiche da compiere”, anziché sulla
relazione con un Tu che mi parla e al quale devo obbedienza! Dramma che
ha caratterizzato la vita di Paolo nella sua esperienza farisaica,
quando credeva di sapere tutto, di avere la volontà di Dio in tasca, da
applicare e fare applicare (cfr. Fil 3,6), come un prontuario di regole
ben definito.
I volti specifici e complementari
dell’ascolto
L’ascolto è comandamento per la vita (Dt
6,4-6); è vero culto, gradito a Dio (Sal 40,7), che rende la
persona orante per eccellenza e fa sì che la vita si trasformi in
liturgia: «Non hai voluto sacrificio e offerta, ma mi hai forato gli
orecchi». Il culto per eccellenza è l’ascolto attento di Dio,
possibilità unica per accoglierne la Sua volontà di bene verso di noi e
realizzarla compiutamente.
L’ascolto è “evento” ogni volta nuovo:
«Se ‘oggi’, voi, ascoltate la mia voce»… «Il Signore non ha stabilito
questa alleanza con i nostri padri, ma con noi qui oggi» (Dt 4,1;
5,3). Gesù, a Nazareth, riprende il valore vincolante di questo oggi
della Parola a cui bisogna aprire il cuore, senza pregiudizi (Lc 3,21).
C’è una profonda differenza, allora, tra
“sentire” e ascoltare! Il sentire è un ricevere messaggi più o meno
chiari, che possono piacere o disturbare, ma non toccano la vita.
Nell’ascolto prendo coscienza, in questo momento e situazione della mia
vita, di ciò che sento, quindi lo ascolto per cambiare vita.
La condizione inderogabile dell’ascolto:
«Fa’ silenzio e ascolta, Israele»
In senso biblico, il silenzio richiama il
deserto (midbar), dove tutto tace, dove la persona si trova sola
con se stessa, senza interferenze. Ma il midbar contiene la
radice di dabar - parola. Il silenzio si configura come deserto,
dal quale la Parola nasce e nel quale si ascolta e accoglie. «Quando si
ama, si vuole ascoltare l’altro, solo, senza che voci estranee ci
vengano a turbare» (M. Delbrêl).
Nel silenzio-deserto la Parola ha vissuto la
sua preparazione- gestazione (Lc 3,2). In questo luogo Dio conduce per
l’ascolto che rinnova il cuore e cambia la vita (Os 1,16). Questo luogo
o condizione permette a Dio di rivelare il suo progetto: «Si fece
silenzio in cielo per circa mezz’ora» (Ap 8,1). Dio si manifesta, quindi
il cielo tace. Solo così è possibile l’ascolto profondo del mistero di
Dio. L’ascolto nasce dal silenzio disponibile, attento, accogliente.
Solo così la Parola si incarna: «Mentre un profondo silenzio avvolgeva
la terra… la parola di Dio discese…» (Sap 18,14).
Ascolto e vita:
oh, se Israele mi ascoltasse! (Sal 81,
9)
E’ chiaro: l’ascolto è la via della vita (Dt
30 15-20). Nella lingua graza dire ascolto (akoe) e dire
obbedienza (hypakoe = ascolto sottomesso) è la stessa cosa! Da
questa relazione nasce la sequela (akoloutheo). A noi altro non tocca
che l’obbedienza della fede. «La fede nasce dall’ascolto» (Rom 10,17).
Ma anche la speranza nasce dall’ascolto e non dalla visione: «Se uno già
vede, come potrebbe ancora sperarlo?» (Rom 8,24). Ecco perché, quando ci
sarà la visione cesseranno fede e speranza. L’ascolto è l’obbedienza a
Dio che crediamo solido, fedele, incapace di mentire e tradire. Ciò non
proviene unicamente da una comprensione razionale e intellettuale, ma
per conoscenza del cuore che ascolta perché ama e si pone in cammino. I
padri antichi, a coloro che si rammaricavano di non capire,
rispondevano: «Metti in pratica! Vivi ciò che hai capito e capirai il
resto». Consiglio che attualizza Es 19,8
nell’originale ebraico: «Faremo quanto il Signore ci dirà»,
senza sapere in anticipo che cosa. Se fai, perché ami e ti
fidi, capisci! E viceversa: più capisci, più ascolti, più vivi facendo!
Es 24,7 è ancora più evidente e vincolante: «Tutto ciò che ha detto il
Signore, noi lo faremo e lo ascolteremo». Israele, figura del credente,
non pone a Dio condizioni preliminari. Si fida. Accetta tutto il rischio
di quel dono. «Noi lo faremo», ancora prima di conoscere che cosa dirà e
di ascoltarlo. Martin Buber parafrasa: «Noi faremo e ascolteremo», cioè
noi «faremo al fine di ascoltare». Al di là delle accentuazioni che
possiamo attribuire a queste frasi è evidente che nella Scrittura è
presente l’invito ad “ascoltare per fare” (Dt 5,27) e a “fare per
ascoltare” (Es 24,9). L’ascolto richiede di farsi prassi e questa è la
dimensione vitale in cui l’ascolto si situa, matura, si sviluppa e
cambia profondamente la vita. Di quest’attitudine, Gesù conia una
beatitudine dicendo: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di
Dio e la osservano!» (Lc 11,28; 8,15, dove ricorre il termine ascolto e
perseveranza).
Nel Salmo 119 è evidente che la Legge5,
che per noi corrisponde alla Parola, non è un codice astratto, ma il
modo privilegiato di entrare in rapporto con il Signore. Per questo la
Legge-Parola si ascolta, si studia, si osserva, si custodisce, si
discerne, si ricorda, si ama, si segue, si gusta6…
Di qui l’esperienza e la preghiera del
salmista: «Nella tua volontà è la mia gioia; mai dimenticherò la tua
parola»; «Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato il
mio cuore»; «Sono canti per me i tuoi precetti nella terra del mio
pellegrinaggio» (Sal 119,16 32.54).
L’amore, via privilegiata ed unica
dell’ascolto perseverante
L’amore è la via privilegiata per l’ascolto
profondo della Parola. L’ascolto coinvolge tutta la persona nella sua
totalità: «con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze» (cfr.
Dt 6,4-5). Amare Dio e ascoltarlo sono come le due facce delle stessa
medaglia, o quasi due formulazioni della stessa realtà. Ami quindi
ascolti, ascolti perché ami. I maestri dell’esegesi rabbinica
s’interrogano: Se è già con tutto il cuore, perché aggiungere l’anima e
le forze? Si rispondono: con tutta l’anima significa: «perfino se Egli
ti strappa l’anima», cioè fino al martirio; mentre l’aggiunta «con tutte
le forze» significa: «con tutti i tuoi beni». Niente di ciò che sei e di
ciò che hai è estraneo all’ascolto coinvolgente e trasformante in Colui
che ti parla.
Un’interpretazione stimolante perché vuole
radicare nell’esperienza di un ascolto profondo, perseverante e fedele,
che prende tutta la persona. Dio va amato con tutto il proprio essere
(cuore), ma anche con tutti i beni materiali (forza), fino al dono
totale della vita (anima).
L’esempio paolino
Cogliamo questa risonanza nel NT, attraverso
l’esempio di Paolo, tenendo conto di alcuni riferimenti delle sue
lettere e degli Atti degli apostoli. La vita di Paolo è tutta pervasa da
un ascolto (= obbedienza) totale e perseverante a Colui che lo amò (Gal
2,20), fin dal seno di sua madre (Gal 2,15) e lo inviò per ottenere
l’obbedienza della fede da tutte le genti (Rm 1,5). Dal giorno in cui
Cristo gli sbarrò la strada a Damasco (At 9,1ss) e Paolo gli domandò:
«Che cosa debbo fare, Signore?» ed Egli gli rispose: «Il Dio dei nostri
padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto
e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, perché gli sarai
testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito»
(At 22,15), Paolo intraprese un cammino di sequela, in ascolto
perseverante, amoroso, attento a Dio e ai fratelli nella missione, fino
al dono supremo della sua vita. La Parola ascoltata divenne Parola
vissuta, anzi Parola incarnata.
Con tutto il cuore: «ho servito il
Signore con tutta umiltà…» (At 20,19. 27); «Per me il vivere è Cristo» (Fil
1,21). Possiamo dire che questo è “ascolto casto”, nel senso di ascolto
concentrato, perché senza interferenze che distraggono e disperdono?
Con tutte le forze: «Non ho desiderato
né oro né argento, né la veste di nessuno» (At 20,33); «Tutto ho
considerato – e considero da quel giorno fino a questo momento – perdita
di fronte alla superconoscenza di Gesù, mio Signore» (Fil 3,7). Possiamo
definirlo “ascolto povero di se stessi”, per essere disponibile a Dio?
Con tutta l’anima: «vado a Gerusalemme
e non so che cosa mi accadrà… Lo Spirito mi attesta… Io sono pronto non
soltanto a essere legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome del
Signore Gesù» (At 20,22. 13); «E se anche il mio sangue deve essere
versato in libagione sul sacrificio e sull’offerta della vostra fede,
sono contento, e ne godo con tutti voi» (Fil 2,13). Possiamo definirlo
“ascolto obbediente”, in grado di regalare a Dio nella missione la
propria libertà di autodeterminarsi?
L’esempio di Paolo, una delle grandi figure
degli Atti degli apostoli, animatore e costruttore di comunità,
con la sua esperienza di ascolto vitale, libero e decentrato ci conduce
a “comprendere” e “gustare” la nostra vita religiosa come icona
dell’ ascolto perseverante e fedele di colui che ci ha conquistato. Se
il nostro amore al Signore ci rende persone di ascolto, che è fede ed
obbedienza a Lui, prima che alle regole, allora la vita, riempita dalla
sua Parola che purifica e salva, si fa comunicazione vivente di colui
che ci ha catturato. Ne deriva che il nostro essere persone d’ascolto
della parola di Dio farà sì che la nostra avventura evangelica, il
nostro seguire il Signore, sarà “proposta” entusiasmante di vita anche
per gli altri. Vedono, infatti, che la Parola illumina il nostro volto e
dilata il nostro cuore. Negli Atti degli apostoli il Signore
aggiungeva altre persone, ogni giorno. Era lui il primo animatore
vocazionale!
Uno sguardo onesto alla nostra realtà
concreta
Nei nostri Istituti spesso ci lasciamo
prendere dalla preoccupazione del ‘fare’ le opere richieste dai nostri
rispettivi carismi. E viviamo questa dimensione con impegno
considerevole. Ma ascoltiamo sufficientemente la parola di Dio che ci
giunge, oggi, dalla Bibbia ma anche attraverso le nuove domande di senso
che la storia fa sorgere e che, per noi, sono parola di Dio, oggi?
Coniughiamo ascolto della Parola-Vangelo e storia? L’assiduità della
prima comunità all’insegnamento degli apostoli era assiduità all’ascolto
della Parola-Persona che gli Apostoli avevano ‘visto’ e ‘toccato’, e che
poi hanno tradotto e interpretato nel presente. Non dimentichiamo i
Vangeli sono catechesi della comunità cristiana, da cui ogni Vangelo è
nato e alla quale ritorna.
L’ascolto come formazione continua
L’ascolto, secondo Luca e il Deuteronomio,
esige un impegno continuato, nell’assiduità. La frammentarietà non porta
nulla, anzi disperde e rende superficiali e pressappochisti. Si capisce
come non si è mai maestri nell’ascolto. L’ascolto rende perennemente
discepoli, fino alla morte, quando pronunceremo il nostro ultimo sì
all’ultimo ascolto: «Lo Spirito e la sposa dicono; “Vieni!”. E chi
ascolta ripeta: “Vieni”» (Ap 22,17). L’attitudine all’ascolto può
coincidere con ciò che oggi chiamiamo formazione continua, o continuo
rinnovamento di vita, che si radica nell’ascolto della Parola. Il
successo della prima comunità è legato, in primo luogo, a quest’assiduità
(= formazione permanente) il cui primo passo è l’ascolto attento
e amoroso della Parola, fatto insieme e dentro la vita, nell’attesa del
Signore Gesù e nella sua testimonianza.
«Così concepita la formazione non è più solo
tempo pedagogico di preparazione ai voti, ma rappresenta un modo
teologico di pensare la vita consacrata stessa» (Ripartire da Cristo,
n.15).
«Chiesa in Europa, entra nel nuovo millennio
con il Libro del Vangelo! Venga accolta da ogni fedele l’esortazione
conciliare “ad apprendere la sublime conoscenza di Cristo” (Fil 3, 8)
con la frequente lettura delle divine Scritture. “L’ignoranza delle
Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo”. Continui ad essere la Sacra
Bibbia un tesoro per la Chiesa e per ogni cristiano: nello studio
attento della Parola troveremo alimento e forza per svolgere ogni giorno
la nostra missione.
«Prendiamo nelle nostre mani questo Libro!
Accettiamolo dal Signore che continuamente ce lo offre tramite la sua
Chiesa (cfr. Ap 10,8). Divoriamolo (cfr. Ap 10,9), perché diventi vita
della nostra vita. Gustiamolo fino in fondo: ci riserverà fatiche, ma ci
darà gioia perché è dolce come il miele (cfr. Ap 10,9-10). Saremo
ricolmi di speranza e capaci di comunicarla a ogni uomo e donna che
incontriamo sul nostro cammino» (Ecclesia in Europa).