n. 12
dicembre 2004

 

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Perseveranti nell'ascolto
di Filippa Castronovo*

 

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Il nostro tema ci introduce nel quadro ideale della prima comunità per attingervi nuovi punti di riferimento per il nostro oggi, nelle nostre particolari situazioni, personali e comunitarie. La ‘perseveranza nell’ascolto’ costituisce la prima delle quattro fedeltà presentate dai tre sommari degli Atti degli Apo-stoli: 2,42-47; 4,32-35; 5,12-16. Questi sommari sono l’apostolica vivendi forma delle origini, che ci richiamano a quell’ideale di vita evangelica di cui la Chiesa primitiva ci dà testimonianza. Il primo contiene gli elementi descritti negli altri due, cioè la quadruplice fedeltà, vissuta nell’assiduità e perseveranza:

«Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nella preghiera... Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune... Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» (At 2,42ss).

Quattro fedeltà che appaiono come ideali (e lo sono!) da tenere presenti e conseguire, giorno dopo giorno, ma, nello svolgimento del testo, Luca ne mostra anche la prassi, con le sue luci e ombre1. Anche solo uno sguardo globale mostra le loro ricorrenze nel testo lucano.

Insegnamento degli apostoli o Parola (cfr. At 8,6; 10,22; 11,20-26; 13,7ss; 14,1; 15,7; 16,14; 17, 11-12; 22,15).

Unione fraterna (cfr. 2,46-47; 4,32-35),

Frazione del pane (2,46-47; 20,7-12),

Preghiera (1,23-25; 6,6; 13,3; 14,23; 4,23-31; 12,5.12).

I soggetti di questa quadruplice perseveranza «sono coloro che hanno accolto la Parola» (2,41) e in seguito sono chiamati credenti (2,44) e, finalmente, Chiesa (5,11). Queste quattro perseveranze indicano che la vita della comunità è fondata sulla Parola che crea comunità (unione fraterna) e sull’Eucaristia che si prolunga nella vita, rendendola culto vivente (Preghiera). La prima riguarda l’insegnamento degli apostoli, in altre parole, l’istruzione che consegue al primo annuncio. L’assiduità all’insegnamento degli apostoli è la prima ed essenziale caratteristica della comunità; è la condizione per capire e vivere la fede e per essere comunità nel e del Signore. E’ evidente che la vita della comunità inizia con la Parola e la confessione di fede. Non ci sono, in questo quadro, in primo luogo opere e organizzazioni apostoliche da portare avanti. Il fondamento è Lui e tutto parte da Lui, il Vivente, da ascoltare e rendere presente. Da questo fondamento nasce la gratuità dello stare insieme, per la consapevolezza fortissima e gioiosa che il Vivente fa dei molti una cosa sola. Questa presenza del Vivente si traduce nella coscienza della testimonianza che gli è dovuta, davanti al mondo.

 

L’insegnamento degli apostoli o Parola

L’assiduità all’ascolto2, primo aspetto di questa apostolica forma vivendi, è detta «erano attaccati alla didachè». Vale a dire, alla Parola - memoria degli apostoli, che ascoltavano, custodivano nel cuore, trasmettevano, e attualizzavano (cfr. At 11,20: il primo tentativo di attualizzare la fede nella cultura ellenistica!). Questa assiduità all’ascolto rifonda3 costantemente la fede nel Signore Gesù, morto e risuscitato, operante in mezzo a loro. La comunità, nell’ascolto, fa memoria delle parole e gesti di Gesù; rilegge l’AT alla luce di Gesù, per capire alla luce delle Scritture e di Gesù il proprio presente e la storia che stanno vivendo (cfr. At 17,11-12: Paolo a Berea fa lectio divina. Spiega l’AT alla luce di Gesù). Il testamento di Paolo agli anziani di Efeso testimonia che questo ascolto della Parola (cfr. At 20, 20) è caratterizzato:

·          dall’esortazione, incoraggiamento non pregiudizio sterile;

·          dall’istruzione, approfondimento, desiderio di crescita, di solidità, per non essere                                              sbattuti da ogni vento di dottrina (Ef 4,14);

·          ripetuto, cioè, sistematico perché tende alla profondità e completezza, per dare ragione della “propria speranza”. La Parola deve abitare in noi (Col 3,16), così come Cristo, deve essere come a casa sua nei nostri cuori (Ef 3,17). E Giovanni assicura che il rimanere nella Parola è rimanere in Gesù (Gv 15,7).

L’ascolto, messo al primo posto, così radicale e radicato, richiama la casa fondata sulla roccia, come risultato di un ascolto divenuto vita, carne, un “fare la Parola” divenendo Parola (Mt 7, 24-27).

 

Fate attenzione a come ascoltate (Lc 18):
i possibili livelli dell’ascolto e le sue sfide

Luca, nella sua prima opera, riportando la parabola del seminatore – contrariamente a Marco che scrive «Fate attenzione a che cosa ascoltate» (Mc 4,24), – scrive: «Fate attenzione a come ascoltate» (Lc 8,18). La qualità dell’ascolto, il come, è molto importante. Possiamo vivere, come anche l’esperienza umana ci indica, diversi livelli di ascolto, ognuno dei quali con delle sfide o possibilità,

Anzitutto la sensibilità, come stato d’animo emotivo superficiale, che può toccare la vulnerabilità umana, con le reazioni corrispondenti: fuga, paura, difesa. Se essa è predominante il nostro ascolto è superficiale, egocentrico, funzionale. La Parola, non raggiungendo la nostra profondità, si perde e vanifica. Cada come su di un marmo!

Abitudine, tarlo che fa credere di conoscere la Parola e le sue esigenze. E’ la tentazione di chi è abituato ad ascoltare la Parola, talmente abituato che ne ha già programmato le risposte. In questo caso, si dà un ascolto solo intellettuale, che non tocca il cuore e non salva. L’abitudine rende superficiali. L’esperienza di Paolo ad Efeso è significativa al riguardo: insegna che il sentire superficiale, il prurito di sentire (At 17,21) impedisce l’apertura di cuore alla Parola e alla conversione. Gli ateniesi hanno rifiutato la parola di Paolo, perché il “sentire con le sole orecchie” era per loro un “piacevole passatempo”, non un atteggiamento di ascolto e di apertura di cuore.

Attese personali. Questa terza sfida è molto frequente. Si verifica quando ci accostiamo alla Parola con attese e preoccupazioni per le quali abbiamo, in un certo senso, determinato la risposta. Quando prevalgano, il nostro ascolto è selettivo: prendiamo quello che ci piace e che coincide con le nostre idee, e ci scandalizziamo dei richiami alla conversione (cfr. Ger 42).

Finalmente, il luogo del cuore, che è lo spazio dove maturano le decisioni, lo spazio della disponibilità sincera e della libertà autentica. Con il cuore l’uomo ascolta. La preghiera di Salomone, che Dio gradisce è: «Concedi al tuo servo un cuore docile…» (1Re 3,9). Ma il cuore «E’ più fallace di ogni altra cosa, e difficilmente guaribile; chi lo può conoscere?» (Ger 17,9).

Ecco allora la preghiera di Davide: «Crea in me, o Dio, un cuore nuovo» (Sal 51,12).

 

La fede biblica è spiritualità dell’ascolto

Luca, nel proporre l’importanza dell’ascolto, non inventa nulla di nuovo della spiritualità biblica, perché essa è, essenzialmente, spiritualità dell’ascolto4. Il grido appassionato di Dio al suo popolo è: «Ascolta, Israele» (Dt 6,3. 4). Dio non si rivela attraverso le visioni, ma si fa conoscere attraverso la voce. Sul monte, dove Dio li ha condotti, vi era solo una voce (Dt 4,10-12). Di Lui si intravedono le spalle, cioè i segni del suo passaggio nella vita e nella storia (Es 33,32). Dio non si fa vedere, ma lo si può ascoltare. Dio si rivela non nelle immagini, ma nell’ascolto di un Tu ad un altro tu, che crea dialogo e comunione, per fare storia. L’ascolto richiede, perciò, la fiducia in colui che parla. Per questo l’ascolto è esperienza aperta, sempre nuova e il suo contenuto, per essere compreso, ha bisogno della realizzazione di quanto si è udito. Non esiste ascolto senza risposta e, quindi, senza responsabilità dinamica. La visione, al contrario, è qualcosa di chiuso e statico. A causa di questa via difficile, che è l’ascolto, Israele ha sempre patito la tentazione dell’idolatria, perché gli idoli sono da contemplare e non da ascoltare. Non mettono in crisi. Non fanno storia. Avere un Dio vicino manipolabile, perché non parla e non mette in crisi, era la grande tentazione di Israele (cfr. Sal 115,4-8). E’ il dramma della vita spirituale quando si basa sulle “pratiche da compiere”, anziché sulla relazione con un Tu che mi parla e al quale devo obbedienza! Dramma che ha caratterizzato la vita di Paolo nella sua esperienza farisaica, quando credeva di sapere tutto, di avere la volontà di Dio in tasca, da applicare e fare applicare (cfr. Fil 3,6), come un prontuario di regole ben definito.

 

I volti specifici e complementari dell’ascolto

L’ascolto è comandamento per la vita (Dt 6,4-6); è vero culto, gradito a Dio (Sal 40,7), che rende la persona orante per eccellenza e fa sì che la vita si trasformi in liturgia: «Non hai voluto sacrificio e offerta, ma mi hai forato gli orecchi». Il culto per eccellenza è l’ascolto attento di Dio, possibilità unica per accoglierne la Sua volontà di bene verso di noi e realizzarla compiutamente.

L’ascolto è “evento” ogni volta nuovo: «Se ‘oggi’, voi, ascoltate la mia voce»… «Il Signore non ha stabilito questa alleanza con i nostri padri, ma con noi qui oggi» (Dt 4,1; 5,3). Gesù, a Nazareth, riprende il valore vincolante di questo oggi della Parola a cui bisogna aprire il cuore, senza pregiudizi (Lc 3,21).

C’è una profonda differenza, allora, tra “sentire” e ascoltare! Il sentire è un ricevere messaggi più o meno chiari, che possono piacere o disturbare, ma non toccano la vita. Nell’ascolto prendo coscienza, in questo momento e situazione della mia vita, di ciò che sento, quindi lo ascolto per cambiare vita.

 

La condizione inderogabile dell’ascolto:
«Fa’ silenzio e ascolta, Israele»

In senso biblico, il silenzio richiama il deserto (midbar), dove tutto tace, dove la persona si trova sola con se stessa, senza interferenze. Ma il midbar contiene la radice di dabar - parola. Il silenzio si configura come deserto, dal quale la Parola nasce e nel quale si ascolta e accoglie. «Quando si ama, si vuole ascoltare l’altro, solo, senza che voci estranee ci vengano a turbare» (M. Delbrêl).

Nel silenzio-deserto la Parola ha vissuto la sua preparazione- gestazione (Lc 3,2). In questo luogo Dio conduce per l’ascolto che rinnova il cuore e cambia la vita (Os 1,16). Questo luogo o condizione permette a Dio di rivelare il suo progetto: «Si fece silenzio in cielo per circa mezz’ora» (Ap 8,1). Dio si manifesta, quindi il cielo tace. Solo così è possibile l’ascolto profondo del mistero di Dio. L’ascolto nasce dal silenzio disponibile, attento, accogliente. Solo così la Parola si incarna: «Mentre un profondo silenzio avvolgeva la terra… la parola di Dio discese…» (Sap 18,14).

 

Ascolto e vita:
oh, se Israele mi ascoltasse!
(Sal 81, 9)

E’ chiaro: l’ascolto è la via della vita (Dt 30 15-20). Nella lingua graza dire ascolto (akoe) e dire obbedienza (hypakoe = ascolto sottomesso) è la stessa cosa! Da questa relazione nasce la sequela (akoloutheo). A noi altro non tocca che l’obbedienza della fede. «La fede nasce dall’ascolto» (Rom 10,17). Ma anche la speranza nasce dall’ascolto e non dalla visione: «Se uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo?» (Rom 8,24). Ecco perché, quando ci sarà la visione cesseranno fede e speranza. L’ascolto è l’obbedienza a Dio che crediamo solido, fedele, incapace di mentire e tradire. Ciò non proviene unicamente da una comprensione razionale e intellettuale, ma per conoscenza del cuore che ascolta perché ama e si pone in cammino. I padri antichi, a coloro che si rammaricavano di non capire, rispondevano: «Metti in pratica! Vivi ciò che hai capito e capirai il resto». Consiglio che attualizza Es 19,8 nell’originale ebraico: «Faremo quanto il Signore ci dirà», senza sapere in anticipo che cosa. Se fai, perché ami e ti fidi, capisci! E viceversa: più capisci, più ascolti, più vivi facendo! Es 24,7 è ancora più evidente e vincolante: «Tutto ciò che ha detto il Signore, noi lo faremo e lo ascolteremo». Israele, figura del credente, non pone a Dio condizioni preliminari. Si fida. Accetta tutto il rischio di quel dono. «Noi lo faremo», ancora prima di conoscere che cosa dirà e di ascoltarlo. Martin Buber parafrasa: «Noi faremo e ascolteremo», cioè noi «faremo al fine di ascoltare». Al di là delle accentuazioni che possiamo attribuire a queste frasi è evidente che nella Scrittura è presente l’invito ad “ascoltare per fare” (Dt 5,27) e a “fare per ascoltare” (Es 24,9). L’ascolto richiede di farsi prassi e questa è la dimensione vitale in cui l’ascolto si situa, matura, si sviluppa e cambia profondamente la vita. Di quest’attitudine, Gesù conia una beatitudine dicendo: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,28; 8,15, dove ricorre il termine ascolto e perseveranza).

Nel Salmo 119 è evidente che la Legge5, che per noi corrisponde alla Parola, non è un codice astratto, ma il modo privilegiato di entrare in rapporto con il Signore. Per questo la Legge-Parola si ascolta, si studia, si osserva, si custodisce, si discerne, si ricorda, si ama, si segue, si gusta6

Di qui l’esperienza e la preghiera del salmista: «Nella tua volontà è la mia gioia; mai dimenticherò la tua parola»; «Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato il mio cuore»; «Sono canti per me i tuoi precetti nella terra del mio pellegrinaggio» (Sal 119,16 32.54).

 

L’amore, via privilegiata ed unica dell’ascolto perseverante

L’amore è la via privilegiata per l’ascolto profondo della Parola. L’ascolto coinvolge tutta la persona nella sua totalità: «con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze» (cfr. Dt 6,4-5). Amare Dio e ascoltarlo sono come le due facce delle stessa medaglia, o quasi due formulazioni della stessa realtà. Ami quindi ascolti, ascolti perché ami. I maestri dell’esegesi rabbinica s’interrogano: Se è già con tutto il cuore, perché aggiungere l’anima e le forze? Si rispondono: con tutta l’anima significa: «perfino se Egli ti strappa l’anima», cioè fino al martirio; mentre l’aggiunta «con tutte le forze» significa: «con tutti i tuoi beni». Niente di ciò che sei e di ciò che hai è estraneo all’ascolto coinvolgente e trasformante in Colui che ti parla.

Un’interpretazione stimolante perché vuole radicare nell’esperienza di un ascolto profondo, perseverante e fedele, che prende tutta la persona. Dio va amato con tutto il proprio essere (cuore), ma anche con tutti i beni materiali (forza), fino al dono totale della vita (anima).

 

L’esempio paolino

Cogliamo questa risonanza nel NT, attraverso l’esempio di Paolo, tenendo conto di alcuni riferimenti delle sue lettere e degli Atti degli apostoli. La vita di Paolo è tutta pervasa da un ascolto (= obbedienza) totale e perseverante a Colui che lo amò (Gal 2,20), fin dal seno di sua madre (Gal 2,15) e lo inviò per ottenere l’obbedienza della fede da tutte le genti (Rm 1,5). Dal giorno in cui Cristo gli sbarrò la strada a Damasco (At 9,1ss) e Paolo gli domandò: «Che cosa debbo fare, Signore?» ed Egli gli rispose: «Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito» (At 22,15), Paolo intraprese un cammino di sequela, in ascolto perseverante, amoroso, attento a Dio e ai fratelli nella missione, fino al dono supremo della sua vita. La Parola ascoltata divenne Parola vissuta, anzi Parola incarnata.

Con tutto il cuore: «ho servito il Signore con tutta umiltà…» (At 20,19. 27); «Per me il vivere è Cristo» (Fil 1,21). Possiamo dire che questo è “ascolto casto”, nel senso di ascolto concentrato, perché senza interferenze che distraggono e disperdono?

Con tutte le forze: «Non ho desiderato né oro né argento, né la veste di nessuno» (At 20,33); «Tutto ho considerato – e considero da quel giorno fino a questo momento – perdita di fronte alla superconoscenza di Gesù, mio Signore» (Fil 3,7). Possiamo definirlo “ascolto povero di se stessi”, per essere disponibile a Dio?

Con tutta l’anima: «vado a Gerusalemme e non so che cosa mi accadrà… Lo Spirito mi attesta… Io sono pronto non soltanto a essere legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù» (At 20,22. 13); «E se anche il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e sull’offerta della vostra fede, sono contento, e ne godo con tutti voi» (Fil 2,13). Possiamo definirlo “ascolto obbediente”, in grado di regalare a Dio nella missione la propria libertà di autodeterminarsi?

 

L’esempio di Paolo, una delle grandi figure degli Atti degli apostoli, animatore e costruttore di comunità, con la sua esperienza di ascolto vitale, libero e decentrato ci conduce a “comprendere” e “gustare” la nostra vita religiosa come icona dell’ ascolto perseverante e fedele di colui che ci ha conquistato. Se il nostro amore al Signore ci rende persone di ascolto, che è fede ed obbedienza a Lui, prima che alle regole, allora la vita, riempita dalla sua Parola che purifica e salva, si fa comunicazione vivente di colui che ci ha catturato. Ne deriva che il nostro essere persone d’ascolto della parola di Dio farà sì che la nostra avventura evangelica, il nostro seguire il Signore, sarà “proposta” entusiasmante di vita anche per gli altri. Vedono, infatti, che la Parola illumina il nostro volto e dilata il nostro cuore. Negli Atti degli apostoli il Signore aggiungeva altre persone, ogni giorno. Era lui il primo animatore vocazionale!

 

Uno sguardo onesto alla nostra realtà concreta

Nei nostri Istituti spesso ci lasciamo prendere dalla preoccupazione del ‘fare’ le opere richieste dai nostri rispettivi carismi. E viviamo questa dimensione con impegno considerevole. Ma ascoltiamo sufficientemente la parola di Dio che ci giunge, oggi, dalla Bibbia ma anche attraverso le nuove domande di senso che la storia fa sorgere e che, per noi, sono parola di Dio, oggi? Coniughiamo ascolto della Parola-Vangelo e storia? L’assiduità della prima comunità all’insegnamento degli apostoli era assiduità all’ascolto della Parola-Persona che gli Apostoli avevano ‘visto’ e ‘toccato’, e che poi hanno tradotto e interpretato nel presente. Non dimentichiamo i Vangeli sono catechesi della comunità cristiana, da cui ogni Vangelo è nato e alla quale ritorna.

 

L’ascolto come formazione continua

L’ascolto, secondo Luca e il Deuteronomio, esige un impegno continuato, nell’assiduità. La frammentarietà non porta nulla, anzi disperde e rende superficiali e pressappochisti. Si capisce come non si è mai maestri nell’ascolto. L’ascolto rende perennemente discepoli, fino alla morte, quando pronunceremo il nostro ultimo sì all’ultimo ascolto: «Lo Spirito e la sposa dicono; “Vieni!”. E chi ascolta ripeta: “Vieni”» (Ap 22,17). L’attitudine all’ascolto può coincidere con ciò che oggi chiamiamo formazione continua, o continuo rinnovamento di vita, che si radica nell’ascolto della Parola. Il successo della prima comunità è legato, in primo luogo, a quest’assiduità (= formazione permanente) il cui primo passo è l’ascolto attento e amoroso della Parola, fatto insieme e dentro la vita, nell’attesa del Signore Gesù e nella sua testimonianza.

«Così concepita la formazione non è più solo tempo pedagogico di preparazione ai voti, ma rappresenta un modo teologico di pensare la vita consacrata stessa» (Ripartire da Cristo, n.15).

«Chiesa in Europa, entra nel nuovo millennio con il Libro del Vangelo! Venga accolta da ogni fedele l’esortazione conciliare “ad apprendere la sublime conoscenza di Cristo” (Fil 3, 8) con la frequente lettura delle divine Scritture. “L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo”. Continui ad essere la Sacra Bibbia un tesoro per la Chiesa e per ogni cristiano: nello studio attento della Parola troveremo alimento e forza per svolgere ogni giorno la nostra missione.

«Prendiamo nelle nostre mani questo Libro! Accettiamolo dal Signore che continuamente ce lo offre tramite la sua Chiesa (cfr. Ap 10,8). Divoriamolo (cfr. Ap 10,9), perché diventi vita della nostra vita. Gustiamolo fino in fondo: ci riserverà fatiche, ma ci darà gioia perché è dolce come il miele (cfr. Ap 10,9-10). Saremo ricolmi di speranza e capaci di comunicarla a ogni uomo e donna che incontriamo sul nostro cammino» (Ecclesia in Europa)

 

 

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