Premessa
Ogni
anno nella solennità dell’8 dicembre gustiamo con profonda letizia
interiore quello che la liturgia ci fa celebrare: l’Immacolata
concezione1.
Lo spirito della celebrazione è così annunciato nell’antifona dell’Invitatorio:
«Celebriamo l’Immacolata concezione,
adoriamo suo Figlio, Cristo Signore».
Dalla lettura globale dei testi biblici della
Messa e della Liturgia delle Ore2 e dei testi eucologici
emerge che il Vangelo della celebrazione eucaristica (Lc 1,26-38)
fornisce la chiave di lettura della solennità: «Il brano
dell’Annunciazione non parla del concepimento di Maria, – precisa il
liturgista Corrado Maggioni – ma del concepimento di Cristo in Maria. La
scelta di questo episodio evangelico è preziosa, perché permette di
capire che è il Figlio a dar valore all’intera esistenza della Madre fin
dall’istante in cui nel segreto – noto solo a Dio – ella prendeva forma
di donna»3. «Si può comprendere Maria solo partendo da Cristo», diceva
il grande teologo K. Rahner. «La luce del Vangelo disegna pertanto un
movimento che va da Cristo a Maria, dal Santo (come Gesù è
chiamato dall’angelo al v. 35) alla Tuttasanta (come la
tradizione ecclesiale chiama Maria)»4.
La liturgia celebra dunque il momento
misterioso della concezione di Maria: con intervento potente e
misterioso di Dio fin dal primo istante della sua vita ella non è mai
stata sfiorata dal peccato e dal male. Dio l’ha preservata dalla colpa
originale e l’ha riempita dello Spirito di santità. Questo fatto è
avvenuto nella storia, ma trascende la storia, è un fatto di cui solo
Dio è a conoscenza.
Nel celebrare la solennità dell’Immacolata
siamo dunque chiamati a rendere lode alla Trinità per il dono riservato
alla Vergine e a posare lo sguardo non tanto su Maria, oggetto della
misericordia divina, ma su Dio che si china misericorde su di lei e
attraverso suo Figlio, Cristo Signore, opera in lei la vittoria sul
peccato. La liturgia celebra questo fatto prodigioso con il suo stile:
con gioia, meraviglia, stupore, riconoscenza, e usando espressioni e
immagini ricorrenti nella Bibbia.
Dalla riflessione meditativa sui testi
biblici ed eucologici emerge una varietà di temi che aiutano a
comprendere il significato liturgico della solennità. Ne abbiamo scelto
alcuni.
Un prodigio di grazia
L’evento che si celebra l’8 dicembre è uno
dei prodigi di grazia e di salvezza compiuti da Dio in favore di Maria e
del suo popolo. Con le parole del salmo responsoriale (Sal 97,1)
l’assemblea loda Dio per i prodigi che ha compiuto:
«Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto prodigi».
Il Salmo 97, cantico gioioso per il ritorno
d’Israele dall’esilio e per la ricostruzione di Gerusalemme, letto a
commento della prima lettura, che è la grande pagina del Protovangelo (Gn
3,9-15.20), chiamato così perché contiene il primo annuncio di salvezza,
e sullo sfondo del mistero dell’Immacolata, svela la sua intenzione
liturgica: celebrare i prodigi dell’amore potente e misericordioso di
Dio che ha preservato Maria dal peccato originale, fatto salvifico che
interessa tutto l’Israele di Dio.
Nell’antifona al Magnificat dei Imi
Vespri si proclama:
Tutti i secoli mi diranno beata:
l’Onnipotente ha fatto in me cose grandi.
In questa antifona la Vergine parla in prima
persona: «l’Onnipotente ha fatto in me cose grandi». Nel contesto
biblico le «grandi cose» (Lc 1,49) che il Signore ha fatto in Maria sono
da riferire alla sua missione di madre verginale del Verbo incarnato.
Invece, nel contesto liturgico dell’8 dicembre, tale espressione designa
prima di tutto il fatto di grazia del concepimento immacolato di Maria,
in vista appunto dell’incarnazione del Figlio divino.
Celebrare l’Immacolata vuol dire allora
lodare Dio per questo mistero di pura grazia, vuol dire riconoscere che
fin dal primo istante, il protagonista della vita di Maria è Dio: ella è
«santa» perché interamente santificata dallo Spirito del Padre, effuso
per mezzo del Figlio. «Isolare la verità mariana dall’opera del
Redentore significherebbe cadere nel buio dell’errore»5.
Di fronte all’assemblea orante l’Immacolata
proclama l’incomparabile dono di essere stata graziata senza aver
assaporato la disgrazia del peccato. In ciò è la massima espressione
della potenza di Dio. L’aspetto negativo (esenzione dal peccato
originale) e l’aspetto positivo (pienezza dei doni dello Spirito) si
fondono in modo armonico e sono considerati elementi costitutivi di
un’unica realtà di grazia.
Ma il prodigio di grazia che Dio ha compiuto
in Maria va al di là della sua persona, la trascende, è anche intervento
di grazia in favore dell’umanità. Che siamo coinvolti in questo mistero
lo possiamo comprendere alla luce delle parole di Paolo nella seconda
lettura della Messa: «Dio Padre ci ha scelti in Gesù Cristo prima della
creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella
carità» (Ef 1,3-4). Tutti, dunque, siamo chiamati ad essere santi e
immacolati, è il nostro vero destino. Di fatto, il grande progetto di
Dio nel creare la Chiesa è proprio questo: un’umanità di santi e di
immacolati, un’umanità che gli possa, finalmente, comparire davanti,
senza più fuggire dal suo cospetto, come Adamo ed Eva dopo il peccato.
Un’umanità, soprattutto, che egli possa amare e stringere in comunione
con sé, mediante il Figlio suo, nello Spirito Santo.
Un evento di misericordia
Il prodigio di grazia concesso a Maria è
visto dalla liturgia come un evento di misericordia da parte di Dio. Al
riguardo basti considerare alcuni testi.
Nell’Ufficio delle letture, il responsorio
della 2a lettura prega in questi termini:
R. Celebrate con me il Signore: *
grande è stata per me la sua misericordia.
V. Ecco, tutte le
generazioni mi chiameranno beata:
R. grande è stata
per me la sua misericordia.
Il responsorio – una composizione ottenuta
attraverso la fusione dei Salmi 33,4, 85,13 con Luca 1,48 – richiama il
momento in cui all’elogio di Elisabetta (cfr. Lc 1,42.45) la Vergine
risponde rivolgendo all’Altissimo la lode: «L’anima mia magnifica il
Signore» (Lc 1,46a). Ora, nell’assemblea cultuale, ella, servendosi
della parola del salmista (Sal 33,4) invita gli oranti a glorificare con
lei il Signore: «Celebrate con me il Signore». Mentre nel Salmo 33,4 il
salmista invitava gli oranti a unirsi a lui nella lode per sottolineare
il carattere comunitario della preghiera di Israele, nella dinamica
liturgica, l’invito di Maria alla comunità orante sottolinea la
necessità che essa si unisca al suo ringraziamento-lode a Dio per un
dono di misericordia che riguarda non solo lei, ma anche Israele e tutta
l’umanità (cfr. Lc 1,54).
Il motivo di tale ringraziamento è ispirato
alle parole di Lc 1,48: riguarda la «grande misericordia» che Dio ha
riversato su Maria nel momento misterioso e inafferrabile del suo
affacciarsi all’esistenza, cioè nella concezione immacolata. L’amore
misericordioso di Dio, fedele e immutabile, tenero e salvifico, radicato
nel suo essere e unico ispiratore del suo agire, segna l’esistenza di
Maria.
Il tema della misericordia ritorna
nell’antifona di Terza:
«Viva il Signore!
In me ha compiuto la sua misericordia».
«Nell’antifona – commenta il liturgista I.
Calabuig – la voce è quella della Vergine, ma le sue parole non sono
pronunziate ovviamente nel “primo istante” della sua esistenza. Allora
Maria non aveva né coscienza di sé né voce per esprimerle. Nel contesto
liturgico sono parole di Maria, ma di Maria già glorificata in cielo:
volgendo uno sguardo retrospettivo alla sua vita ella riconosce nella
sua concezione senza macchia un evento di misericordia»6.
La fonte dell’antifona è biblica, rimanda al
libro di Giuditta, precisamente al capitolo 13,18, là dove l’eroina
ebrea invita gli abitanti a lodare il Signore per la vittoria su
Oleoferne, il nemico di Israele, grazie all’intervento misericordioso di
Dio. «In me adimplevit misericordiam suam», «In me ha compiuto la
sua misericordia», leggiamo nel brano, secondo la versione della
Vulgata. Soccorrendo Giuditta, Dio è stato fedele all’alleanza con
il suo popolo.
La tradizione cristiana vedrà nella figura di
Giuditta una delle prefigurazioni di Maria. Nella stessa liturgia dell’8
dicembre la 2a antifona dei Secondi Vespri rivolge all’Immacolata
l’elogio che il sacerdote Ioakim e il consiglio degli anziani
indirizzarono all’eroina di Betulia:
«Tu gloria di Gerusalemme,
tu letizia d’Israele,
tu onore del nostro popolo».
La liturgia non dubita di porre la Tuttasanta,
colei che non conobbe peccato, sotto il raggio della misericordia di
Dio. Nello stesso tempo rivela che le «grandi cose» (cfr. Lc 1,49a) che
Dio ha compiuto in Maria di Nazaret non sono solo in suo favore, ma
anche di tutto il popolo, di tutta l’umanità: quell’atto di misericordia
riguarda indistintamente ogni uomo e ogni donna.
Con sant’Agostino dobbiamo dire che la
misericordia divina risplende nel buio della miseria umana, ma guardando
la Vergine Immacolata dobbiamo dire con non minor forza che la
misericordia di Dio rifulge in modo eccellente là dove sfolgora la luce
massima della santità.
Motivo di gioia universale
La liturgia ritorna più volte sul tema della
gioia, unito a sentimenti di lode e di ringraziamento per il
misericordioso intervento del Signore nei confronti di Maria. Dai testi
emerge che si tratta di una gioia universale. È gioia di Dio: «Su
di te la compiacenza di Dio: tu sarai la gioia del Signore»7; è gioia
della Vergine: «Esulto e gioisco nel Signore, l’anima mia si allieta
nel mio Dio»8; è gioia della creazione: «Acclami al Signore tutta
la terra, gridate esultate con canti di gioia»9; è gioia della Chiesa:
«La gioia che Eva ci tolse ci rendi nel tuo Figlio e dischiudi il
cammino verso il regno dei cieli»10; è gioia del mondo: «Con la
tua immacolata concezione, Vergine Madre di Dio, un annunzio di gioia è
venuto al mondo»11.
Nella celebrazione dell’8 dicembre la gioia
messianica, espressa nell’antifona all’introito, che riprende Isaia
61,10, trova un primo e pieno compimento nell’annuncio di Gabriele a
Maria: «Rallegrati, o piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,28).
Maria ha motivo di gioire in quanto proprio lei, fin dall’alba della sua
esistenza è kecharitomene, traboccante di grazia (cfr. Ef 1,3ss),
cui si lega la fedele presenza del Signore in persona: presenza
dell’On-nipresente, che si compiace in lei come in una «figlia
prediletta» (Lumen Gentium 53), alla quale elargisce singolari
doni di grazia; presenza del Verbo creante che prepara in lei la sua
dimora, che sarà più sacra della tenda di Jhwh nel deserto (cfr. Es
40,34-35), dell’arca dell’alleanza, del tempio di Gerusalemme; presenza
dello Spirito che la santifica e ne fa il suo santuario (Lumen
Gentium 53).
Il «Rallegrati» rivolto a Maria, che richiama
i testi dei gioiosi annunci messianici alla Figlia di Sion, situato nel
particolare contesto dell’8 dicembre diviene saluto di tutta l’assemblea
orante a Maria di Nazaret; o meglio: esprime il gioioso assenso della
comunità dei fedeli al progetto di Dio sulla Vergine.
Festa della «Sposa»
Nella «grande opera» del concepimento
immacolato di Maria la Chiesa in preghiera riconosce la realizzazione
del progetto di Dio sul nuovo popolo messianico, nella sua espressione
più alta, quella sponsale: Maria ne è il prototipo. Infatti con
profondo intuito la liturgia dell’8 dicembre pone sulla labbra di Maria
il cantico riconoscente della città sposa: ««Esulto e gioisco nel
Signore [...], perché mi ha avvolto con il manto della giustizia, come
una sposa adorna di gioielli»; glorifica Dio perché nella concezione
immacolata la Vergine «ha segnato l’inizio della Chiesa, sposa di Cristo
senza macchia e senza ruga, splendente di bellezza»12; rilegge,
applicandola a Maria, Efesini 5,25-27, stupenda pericope sull’amore di
Cristo sposo per la Chiesa: «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se
stesso per lei, per renderla santa, al fine di farsi comparire davanti
la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di
simile, ma santa e immacolata»13. La liturgia, dunque, affermando che in
Maria ha inizio il mistero della Chiesa Sposa, attribuisce alla Vergine
concepita senza macchia una realtà e un valore sponsali. Nella sposa
Maria inizia il mistero della sposa Chiesa.
Ma la condizione sponsale e filiale del nuovo
popolo di Dio, di cui Maria è personificazione e immagine profetica,
riguarda non solo la comunità ecclesiale in quanto tale, ma anche le sue
singole membra. Il formulario della Messa dell’8 dicembre propone
infatti la lettura di Efesini 1,3-6.11-12, secondo cui il Padre «ci ha
benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui
ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e
immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi
figli adottivi per opera di Gesù Cristo». Sotto questo profilo il
battesimo, immersione nella Pasqua di Cristo (cfr. Rm 6,3-5),
corrisponde, sul piano sacramentale, all’evento della concezione
immacolata di Maria. Nel fonte battesimale il fedele, illuminato dalla
luce di Cristo, diviene figlio adottivo del Padre; è innestato qual
tralcio nella Vite, quale membro nel Corpo mistico del Figlio; è
arricchito con i doni dello Spirito, che pone in lui la sua dimora, e lo
riveste della veste nuziale.
La redenzione anticipata
Per esprimere la peculiare azione di Dio, per
cui il concepimento di Maria avvenne senza macchia alcuna di peccato, i
testi della solennità dell’Immacolata si servono di vari verbi aventi il
prefisso pre. Il Messale Romano ad esempio ricorre ai verbi
preparare (Colletta, prefazio), prevedere (colletta),
preservare (colletta, prefazio, orazione dopo la comunione),
prevenire (colletta). Questi verbi indicano una serie di interventi
divini compiuti prima dell’evento salvifico dell’incarnazione del Verbo
e in vista di esso.
La colletta e il prefazio dell’Immacolata
presentano una concentrazione di verbi con tale prefisso pre.
Consideriamo la colletta:
«O Dio, che nell’immacolata concezione
della Vergine
hai preparato una degna dimora
per il tuo Figlio,
e in previsione della morte di lui
l’hai preservata da ogni macchia di peccato,
concedi anche a noi, per sua intercessione,
di venire incontro a te in santità e purezza di spirito.
Per il nostro Signore».
Commenta al riguardo il liturgista I.
Calabuig: «Il verbo preparare indica, in prospettiva remota, che
l’Antico Testamento, – le sue alleanze, le profezie, le istituzioni... –
è orientato verso il Nuovo e converge verso il suo punto culminante, la
Pasqua del Signore; in prospettiva prossima, indica che è imminente
l’incarnazione del Verbo, per cui occorre preparargli “una degna
dimora”». Tenendo presente che «lo sguardo di Dio abbraccia
simultaneamente l’intera storia della salvezza, il verbo prevedere
mette in luce lo stretto rapporto esistente tra l’effetto, la
concezione immacolata di Maria, e la causa, la morte
salvifico-pasquale del Figlio divino. Il verbo preservare,
divenuto un termine tecnico nella teologia dell’Immacolata, designa la
peculiare modalità dell’intervento divino: Dio non libera la Vergine dal
peccato originale già contratto, ma agisce in modo che ella non venga
sfiorata da colpa alcuna nel momento iniziale della sua esistenza»14.
In ogni caso, il pregio della colletta è
soprattutto nell’aver armonicamente raccordato l’evento della concezione
immacolata della Vergine con le due massime verità della rivelazione
cristiana: il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio (hai
preparato una degna dimora per il tuo Figlio) e il mistero pasquale
(in previsione della morte di lui). L’agente è Dio Padre il
quale, per una esigenza propria alla sua paternità divina e alla divina
condizione del Figlio, prepara per lui una degna dimora. Egli fa
dipendere la preservazione di Maria da ogni macchia di peccato dal
mistero pasquale del Figlio.
Conclusione
Nel momento primo dell’esistenza di Maria, la
concezione, in cui la Vergine è appena una «perla di sangue», come si
esprime David M. Turoldo in un inno liturgico dell’Immacolata15, c’è già
l’intero progetto di Dio su di lei. Perciò i testi liturgici dell’8
dicembre, pur senza perdere il vincolo con il mistero celebrato quel
giorno, si proiettano in avanti per contemplare con gioia e stupore la
fedeltà di Maria alla grazia, la sua maternità divina e verginale, la
cooperazione all’opera salvifica del Figlio, la maternità spirituale nei
confronti della Chiesa, la sua assunzione in corpo e anima al cielo, la
sua incessante intercessione e l’esemplarità escatologica.