n. 12
dicembre 2004

 

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Significato liturgico dell'Immacolata concezione
di Maria Marcellina Pedico*

 

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Premessa

Ogni anno nella solennità dell’8 dicembre gustiamo con profonda letizia interiore quello che la liturgia ci fa celebrare: l’Immacolata concezione1. Lo spirito della celebrazione è così annunciato nell’antifona dell’Invitatorio:

«Celebriamo l’Immacolata concezione,
adoriamo suo Figlio, Cristo Signore».

Dalla lettura globale dei testi biblici della Messa e della Liturgia delle Ore2 e dei testi eucologici emerge che il Vangelo della celebrazione eucaristica (Lc 1,26-38) fornisce la chiave di lettura della solennità: «Il brano dell’Annunciazione non parla del concepimento di Maria, – precisa il liturgista Corrado Maggioni – ma del concepimento di Cristo in Maria. La scelta di questo episodio evangelico è preziosa, perché permette di capire che è il Figlio a dar valore all’intera esistenza della Madre fin dall’istante in cui nel segreto – noto solo a Dio – ella prendeva forma di donna»3. «Si può comprendere Maria solo partendo da Cristo», diceva il grande teologo K. Rahner. «La luce del Vangelo disegna pertanto un movimento che va da Cristo a Maria, dal Santo (come Gesù è chiamato dall’angelo al v. 35) alla Tuttasanta (come la tradizione ecclesiale chiama Maria)»4.

La liturgia celebra dunque il momento misterioso della concezione di Maria: con intervento potente e misterioso di Dio fin dal primo istante della sua vita ella non è mai stata sfiorata dal peccato e dal male. Dio l’ha preservata dalla colpa originale e l’ha riempita dello Spirito di santità. Questo fatto è avvenuto nella storia, ma trascende la storia, è un fatto di cui solo Dio è a conoscenza.

Nel celebrare la solennità dell’Immacolata siamo dunque chiamati a rendere lode alla Trinità per il dono riservato alla Vergine e a posare lo sguardo non tanto su Maria, oggetto della misericordia divina, ma su Dio che si china misericorde su di lei e attraverso suo Figlio, Cristo Signore, opera in lei la vittoria sul peccato. La liturgia celebra questo fatto prodigioso con il suo stile: con gioia, meraviglia, stupore, riconoscenza, e usando espressioni e immagini ricorrenti nella Bibbia.

Dalla riflessione meditativa sui testi biblici ed eucologici emerge una varietà di temi che aiutano a comprendere il significato liturgico della solennità. Ne abbiamo scelto alcuni.

 

Un prodigio di grazia

L’evento che si celebra l’8 dicembre è uno dei prodigi di grazia e di salvezza compiuti da Dio in favore di Maria e del suo popolo. Con le parole del salmo responsoriale (Sal 97,1) l’assemblea loda Dio per i prodigi che ha compiuto:

«Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto prodigi».

Il Salmo 97, cantico gioioso per il ritorno d’Israele dall’esilio e per la ricostruzione di Gerusalemme, letto a commento della prima lettura, che è la grande pagina del Protovangelo (Gn 3,9-15.20), chiamato così perché contiene il primo annuncio di salvezza, e sullo sfondo del mistero dell’Immacolata, svela la sua intenzione liturgica: celebrare i prodigi dell’amore potente e misericordioso di Dio che ha preservato Maria dal peccato originale, fatto salvifico che interessa tutto l’Israele di Dio. 

Nell’antifona al Magnificat dei Imi Vespri si proclama:

Tutti i secoli mi diranno beata:
l’Onnipotente ha fatto in me cose grandi.

In questa antifona la Vergine parla in prima persona: «l’Onnipotente ha fatto in me cose grandi». Nel contesto biblico le «grandi cose» (Lc 1,49) che il Signore ha fatto in Maria sono da riferire alla sua missione di madre verginale del Verbo incarnato. Invece, nel contesto liturgico dell’8 dicembre, tale espressione designa prima di tutto il fatto di grazia del concepimento immacolato di Maria, in vista appunto dell’incarnazione del Figlio divino.

Celebrare l’Immacolata vuol dire allora lodare Dio per questo mistero di pura grazia, vuol dire riconoscere che fin dal primo istante, il protagonista della vita di Maria è Dio: ella è «santa» perché interamente santificata dallo Spirito del Padre, effuso per mezzo del Figlio. «Isolare la verità mariana dall’opera del Redentore significherebbe cadere nel buio dell’errore»5.

Di fronte all’assemblea orante l’Immacolata proclama l’incomparabile dono di essere stata graziata senza aver assaporato la disgrazia del peccato. In ciò è la massima espressione della potenza di Dio. L’aspetto negativo (esenzione dal peccato originale) e l’aspetto positivo (pienezza dei doni dello Spirito) si fondono in modo armonico e sono considerati elementi costitutivi di un’unica realtà di grazia.

Ma il prodigio di grazia che Dio ha compiuto in Maria va al di là della sua persona, la trascende, è anche intervento di grazia in favore dell’umanità. Che siamo coinvolti in questo mistero lo possiamo comprendere alla luce delle parole di Paolo nella seconda lettura della Messa: «Dio Padre ci ha scelti in Gesù Cristo prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità» (Ef 1,3-4). Tutti, dunque, siamo chiamati ad essere santi e immacolati, è il nostro vero destino. Di fatto, il grande progetto di Dio nel creare la Chiesa è proprio questo: un’umanità di santi e di immacolati, un’umanità che gli possa, finalmente, comparire davanti, senza più fuggire dal suo cospetto, come Adamo ed Eva dopo il peccato. Un’umanità, soprattutto, che egli possa amare e stringere in comunione con sé, mediante il Figlio suo, nello Spirito Santo.

 

Un evento di misericordia

Il prodigio di grazia concesso a Maria è visto dalla liturgia come un evento di misericordia da parte di Dio. Al riguardo basti considerare alcuni testi.

Nell’Ufficio delle letture, il responsorio della 2a lettura prega in questi termini:

R. Celebrate con me il Signore: * grande è stata per me la sua misericordia.

V. Ecco, tutte le generazioni mi chiameranno beata:

R. grande è stata per me la sua misericordia.

Il responsorio – una composizione ottenuta attraverso la fusione dei Salmi 33,4, 85,13 con Luca 1,48 – richiama il momento in cui all’elogio di Elisabetta (cfr. Lc 1,42.45) la Vergine risponde rivolgendo all’Altissimo la lode: «L’anima mia magnifica il Signore» (Lc 1,46a). Ora, nell’assemblea cultuale, ella, servendosi della parola del salmista (Sal 33,4) invita gli oranti a glorificare con lei il Signore: «Celebrate con me il Signore». Mentre nel Salmo 33,4 il salmista invitava gli oranti a unirsi a lui nella lode per sottolineare il carattere comunitario della preghiera di Israele, nella dinamica liturgica, l’invito di Maria alla comunità orante sottolinea la necessità che essa si unisca al suo ringraziamento-lode a Dio per un dono di misericordia che riguarda non solo lei, ma anche Israele e tutta l’umanità (cfr. Lc 1,54).

Il motivo di tale ringraziamento è ispirato alle parole di Lc 1,48: riguarda la «grande misericordia» che Dio ha riversato su Maria nel momento misterioso e inafferrabile del suo affacciarsi all’esistenza, cioè nella concezione immacolata. L’amore misericordioso di Dio, fedele e immutabile, tenero e salvifico, radicato nel suo essere e unico ispiratore del suo agire, segna l’esistenza di Maria.

Il tema della misericordia ritorna nell’antifona di Terza:

«Viva il Signore!
In me ha compiuto la sua misericordia».

«Nell’antifona – commenta il liturgista I. Calabuig – la voce è quella della Vergine, ma le sue parole non sono pronunziate ovviamente nel “primo istante” della sua esistenza. Allora Maria non aveva né coscienza di sé né voce per esprimerle. Nel contesto liturgico sono parole di Maria, ma di Maria già glorificata in cielo: volgendo uno sguardo retrospettivo alla sua vita ella riconosce nella sua concezione senza macchia un evento di misericordia»6.

La fonte dell’antifona è biblica, rimanda al libro di Giuditta, precisamente al capitolo 13,18, là dove l’eroina ebrea invita gli abitanti a lodare il Signore per la vittoria su Oleoferne, il nemico di Israele, grazie all’intervento misericordioso di Dio. «In me adimplevit misericordiam suam», «In me ha compiuto la sua misericordia», leggiamo nel brano, secondo la versione della Vulgata. Soccorrendo Giuditta, Dio è stato fedele all’alleanza con il suo popolo.

La tradizione cristiana vedrà nella figura di Giuditta una delle prefigurazioni di Maria. Nella stessa liturgia dell’8 dicembre la 2a antifona dei Secondi Vespri rivolge all’Immacolata l’elogio che il sacerdote Ioakim e il consiglio degli anziani indirizzarono all’eroina di Betulia:

«Tu gloria di Gerusalemme,
tu letizia d’Israele,
tu onore del nostro popolo».

La liturgia non dubita di porre la Tuttasanta, colei che non conobbe peccato, sotto il raggio della misericordia di Dio. Nello stesso tempo rivela che le «grandi cose» (cfr. Lc 1,49a) che Dio ha compiuto in Maria di Nazaret non sono solo in suo favore, ma anche di tutto il popolo, di tutta l’umanità: quell’atto di misericordia riguarda indistintamente ogni uomo e ogni donna.

Con sant’Agostino dobbiamo dire che la misericordia divina risplende nel buio della miseria umana, ma guardando la Vergine Immacolata dobbiamo dire con non minor forza che la misericordia di Dio rifulge in modo eccellente là dove sfolgora la luce massima della santità.

 

Motivo di gioia universale

La liturgia ritorna più volte sul tema della gioia, unito a sentimenti di lode e di ringraziamento per il misericordioso intervento del Signore nei confronti di Maria. Dai testi emerge che si tratta di una gioia universale. È gioia di Dio: «Su di te la compiacenza di Dio: tu sarai la gioia del Signore»7; è gioia della Vergine: «Esulto e gioisco nel Signore, l’anima mia si allieta nel mio Dio»8; è gioia della creazione: «Acclami al Signore tutta la terra, gridate esultate con canti di gioia»9; è gioia della Chiesa: «La gioia che Eva ci tolse ci rendi nel tuo Figlio e dischiudi il cammino verso il regno dei cieli»10; è gioia del mondo: «Con la tua immacolata concezione, Vergine Madre di Dio, un annunzio di gioia è venuto al mondo»11.

Nella celebrazione dell’8 dicembre la gioia messianica, espressa nell’antifona all’introito, che riprende Isaia 61,10, trova un primo e pieno compimento nell’annuncio di Gabriele a Maria: «Rallegrati, o piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,28). Maria ha motivo di gioire in quanto proprio lei, fin dall’alba della sua esistenza è kecharitomene, traboccante di grazia (cfr. Ef 1,3ss), cui si lega la fedele presenza del Signore in persona: presenza dell’On-nipresente, che si compiace in lei come in una «figlia prediletta» (Lumen Gentium 53), alla quale elargisce singolari doni di grazia; presenza del Verbo creante che prepara in lei la sua dimora, che sarà più sacra della tenda di Jhwh nel deserto (cfr. Es 40,34-35), dell’arca dell’alleanza, del tempio di Gerusalemme; presenza dello Spirito che la santifica e ne fa il suo santuario (Lumen Gentium 53).

Il «Rallegrati» rivolto a Maria, che richiama i testi dei gioiosi annunci messianici alla Figlia di Sion, situato nel particolare contesto dell’8 dicembre diviene saluto di tutta l’assemblea orante a Maria di Nazaret; o meglio: esprime il gioioso assenso della comunità dei fedeli al progetto di Dio sulla Vergine.

 

Festa della «Sposa»

Nella «grande opera» del concepimento immacolato di Maria la Chiesa in preghiera riconosce la realizzazione del progetto di Dio sul nuovo popolo messianico, nella sua espressione più alta, quella sponsale: Maria ne è il prototipo. Infatti con profondo intuito la liturgia dell’8 dicembre pone sulla labbra di Maria il cantico riconoscente della città sposa: ««Esulto e gioisco nel Signore [...], perché mi ha avvolto con il manto della giustizia, come una sposa adorna di gioielli»; glorifica Dio perché nella concezione immacolata la Vergine «ha segnato l’inizio della Chiesa, sposa di Cristo senza macchia e senza ruga, splendente di bellezza»12; rilegge, applicandola a Maria, Efesini 5,25-27, stupenda pericope sull’amore di Cristo sposo per la Chiesa: «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata»13. La liturgia, dunque, affermando che in Maria ha inizio il mistero della Chiesa Sposa, attribuisce alla Vergine concepita senza macchia una realtà e un valore sponsali. Nella sposa Maria inizia il mistero della sposa Chiesa.

Ma la condizione sponsale e filiale del nuovo popolo di Dio, di cui Maria è personificazione e immagine profetica, riguarda non solo la comunità ecclesiale in quanto tale, ma anche le sue singole membra. Il formulario della Messa dell’8 dicembre propone infatti la lettura di Efesini 1,3-6.11-12, secondo cui il Padre «ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo». Sotto questo profilo il battesimo, immersione nella Pasqua di Cristo (cfr. Rm 6,3-5), corrisponde, sul piano sacramentale, all’evento della concezione immacolata di Maria. Nel fonte battesimale il fedele, illuminato dalla luce di Cristo, diviene figlio adottivo del Padre; è innestato qual tralcio nella Vite, quale membro nel Corpo mistico del Figlio; è arricchito con i doni dello Spirito, che pone in lui la sua dimora, e lo riveste della veste nuziale.

 

La redenzione anticipata

Per esprimere la peculiare azione di Dio, per cui il concepimento di Maria avvenne senza macchia alcuna di peccato, i testi della solennità dell’Immacolata si servono di vari verbi aventi il prefisso pre. Il Messale Romano ad esempio ricorre ai verbi preparare (Colletta, prefazio), prevedere (colletta), preservare (colletta, prefazio, orazione dopo la comunione), prevenire (colletta). Questi verbi indicano una serie di interventi divini compiuti prima dell’evento salvifico dell’incarnazione del Verbo e in vista di esso.

La colletta e il prefazio dell’Immacolata presentano una concentrazione di verbi con tale prefisso pre. Consideriamo la colletta:

 

«O Dio, che nell’immacolata concezione della Vergine
hai preparato
una degna dimora per il tuo Figlio,
e in previsione della morte di lui
l’hai preservata da ogni macchia di peccato,
concedi anche a noi, per sua intercessione,
di venire incontro a te in santità e purezza di spirito.
Per il nostro Signore».

Commenta al riguardo il liturgista I. Calabuig: «Il verbo preparare indica, in prospettiva remota, che l’Antico Testamento, – le sue alleanze, le profezie, le istituzioni... – è orientato verso il Nuovo e converge verso il suo punto culminante, la Pasqua del Signore; in prospettiva prossima, indica che è imminente l’incarnazione del Verbo, per cui occorre preparargli “una degna dimora”». Tenendo presente che «lo sguardo di Dio abbraccia simultaneamente l’intera storia della salvezza, il verbo prevedere mette in luce lo stretto rapporto esistente tra l’effetto, la concezione immacolata di Maria, e la causa, la morte salvifico-pasquale del Figlio divino. Il verbo preservare, divenuto un termine tecnico nella teologia dell’Immacolata, designa la peculiare modalità dell’intervento divino: Dio non libera la Vergine dal peccato originale già contratto, ma agisce in modo che ella non venga sfiorata da colpa alcuna nel momento iniziale della sua esistenza»14.

In ogni caso, il pregio della colletta è soprattutto nell’aver armonicamente raccordato l’evento della concezione immacolata della Vergine con le due massime verità della rivelazione cristiana: il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio (hai preparato una degna dimora per il tuo Figlio) e il mistero pasquale (in previsione della morte di lui). L’agente è Dio Padre il quale, per una esigenza propria alla sua paternità divina e alla divina condizione del Figlio, prepara per lui una degna dimora. Egli fa dipendere la preservazione di Maria da ogni macchia di peccato dal mistero pasquale del Figlio. 

 

Conclusione

Nel momento primo dell’esistenza di Maria, la concezione, in cui la Vergine è appena una «perla di sangue», come si esprime David M. Turoldo in un inno liturgico dell’Immacolata15, c’è già l’intero progetto di Dio su di lei. Perciò i testi liturgici dell’8 dicembre, pur senza perdere il vincolo con il mistero celebrato quel giorno, si proiettano in avanti per contemplare con gioia e stupore la fedeltà di Maria alla grazia, la sua maternità divina e verginale, la cooperazione all’opera salvifica del Figlio, la maternità spirituale nei confronti della Chiesa, la sua assunzione in corpo e anima al cielo, la sua incessante intercessione e l’esemplarità escatologica.

 

 

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