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«Celebrare
l’Avvento significa saper attendere, l’attendere è un’arte che il nostro tempo
impaziente ha dimenticato. Il nostro tempo vuole cogliere il frutto maturo non
appena ha piantato un germoglio, ma gli occhi avidi sono ingannati in
continuazione, perché il frutto, all’apparenza così prezioso, al suo interno è
ancora acerbo, e mani irrispettose gettano via con ingratitudine ciò che le ha
così deluse. Chi non conosce l’acre beatitudine dell’attesa, cioè della mancanza
nella speranza, non sperimenterà mai nella sua interezza la benedizione
dell’adempimento».
Dietrich Bonhoeffer
Nell’Avvento noi attendiamo di
incontrarci con Dio, che viene in mezzo a noi rivestito di carne umana, sotto le
sembianze di un bambino, a Betlem di Giudea. Rivivendo nella nostra vita questo
grande mistero di salvezza, attendiamo anche il ritorno del Signore Gesù quando
verrà nella gloria, alla fine dei tempi. Tra questo incontro annuale,
temporaneo, natalizio, e quello definitivo, noi incontriamo il Cristo che viene
a noi ogni giorno nei sacramenti, nella Parola e nella vita quotidiana.
San Bernardo riassume tutta la
ricchezza di questo tempo liturgico in poche frasi: «Nella prima venuta… egli
venne nella debolezza della carne, in questa intermedia viene nella potenza
dello Spirito, nell’ultima verrà nella maestà della gloria. Quindi, questa
venuta intermedia è, per così dire, una via che unisce la prima all’ultima:
nella prima Cristo fu nostra redenzione, nell’ultima si manifesterà come nostra
vita, in questa è nostro riposo e nostra consolazione»1.
E’ proprio l’attesa che
caratterizza l’avvento: l’attesa del Dono che il Padre fa all’umanità; l’attesa
della venuta di Gesù in mezzo a noi, uno di noi; l’attesa di essere salvate/i;
l’attesa e il compimento di tutte le promesse antiche…
Per prepararci nel modo
migliore a questo incontro così importante, potremmo lasciarci guidare da alcune
parole pregne di significato e capaci di dare senso e consistenza alla nostra
preparazione e alla nostra attesa. Queste parole potrebbero essere, oltre al
termine attesa già considerato: vegliare, vigilare, convertirsi,
accogliere.
Vegliare, vigilare
E’ il Signore stesso che chiede
ai suoi discepoli, e quindi anche a noi, di vegliare e pregare per non cadere in
tentazione, perché lo spirito è pronto ma la carne è debole…(Mt 26,41).
Vegliare vuol dire non solo non
addormentarsi, non appesantirsi, non chiudere gli occhi, non lasciar cadere
l’attenzione a ciò che ci sta attorno e a quello che accade, ma vuol dire anche
vigilare, ossia porre attenzione, stare attenti, non distrarsi, non lasciarsi
“drogare” dal luccichio e dal “fumo” delle cose del mondo, per correre dietro
alle “farfalle”…, ma essere coscienti, avere sempre la consapevolezza di quello
che stiamo facendo e del motivo per cui lo facciamo. Solo se vegliamo e siamo
vigili possiamo accorgerci della presenza del Signore, che ci viene incontro
sotto le spoglie di sorelle e/o fratelli che hanno bisogno di noi, o di
avvenimenti che ci pongono in discussione, o di accadimenti che ci spingono a
ritrovare ogni giorno il senso e il significato della nostra esistenza nelle
piccole e ordinarie azioni di ogni giorno.
Il rischio di lasciarci andare,
di abbandonarci al tran tran quotidiano è forte e lo avvertiamo tutte. L’età
avanza, le malattie diventano sempre più numerose, le difficoltà si moltiplicano
e può venirci la tentazione di non impegnarci più al 100%, perché abbiamo già
“una certa età…” e tanto non possiamo cambiare le cose… e, forse, abbiamo fatto
più di quel che dovevamo…Questa, però, è una tentazione e lo sappiamo bene: il
Signore non ci chiede l’impossibile, ci chiede soltanto di fidarci e di
abbandonarci a Lui e di fare del nostro meglio per il Suo regno: vegliare e
pregare, per riconoscere il Signore che viene e che è sempre presente in mezzo a
noi, vigilare perché il nemico non semini zizzania in mezzo al buon grano,
vigilare per evitare il pericolo di allontanarci dal nostro posto, dalla nostra
fedeltà, dall’amore che il Signore Gesù ci chiede per sé e per il nostro
prossimo, vigilare… fino al suo ritorno.
«Vigilate, dunque, poiché non
sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al
canto del gallo o al mattino, perché non giunga all’improvviso, trovandovi
addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!» (Mc 13,35-37).
Convertirsi
Nell’attesa del Signore, che
sta per venire, ci è chiesto di convertirci, vale a dire di invertire la nostra
rotta, anche di novanta gradi e più, se è necessario, per viaggiare nella
direzione voluta dal nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo e, soprattutto, per
fargli spazio nella nostra vita, nel nostro cuore.
Siamo tutti peccatori e
peccatrici e tutte/i abbiamo bisogno di verificare il nostro cammino e la nostra
direzione per indirizzarla secondo il volere del Padre. Se ritorniamo sulla
retta via e andiamo con gioia incontro al Signore che viene, allora ci sarà più
facile nutrire gli stessi sentimenti di Cristo Gesù e di conseguenza cambieranno
non solo i nostri atteggiamenti e le nostre azioni, ma il nostro modo di pensare
e di rapportarci col Padre e con le sorelle e i fratelli. Allora non faremo più
nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di noi, in tutta
umiltà, considererà le altre e gli altri superiori a sé e non cercherà il
proprio interesse ma quello degli altri, come ben suggerisce l’apostolo delle
genti ai Fil 2,1-4.
Ritornare al Signore della
nostra vita e della nostra Storia, risceglierlo nuovamente come Signore del
nostro cuore, fidarci totalmente di Lui, per abbandonarci al Suo amore creatore,
ci aiuterà a vivere in pienezza la nostra vocazione di donne consacrate e, con
l’aiuto dello Spirito, potremmo far nostro anche l’ammonimento di san Paolo:
«Non regni più il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi
desideri; non offrite le vostre membra come strumenti di ingiustizia al peccato,
ma offrite voi stessi a Dio come vivi tornati dai morti e le vostre membra come
strumenti di giustizia per Dio…» (Rm 6, 2-13).
Accogliere
Accogliere il Signore che viene
vuol dire riconoscere il dono che Lui è e che ci fa e aprirgli la porta non
appena bussa al nostro cuore; accoglierlo significa riconoscerlo e riconoscerci:
Lui è Dio, noi siamo le sue creature. Ogni vera accoglienza comporta, poi,
l’ascolto: siamo chiamate ad ascoltare la parola del Signore con tutte noi
stesse, come fece Maria di Magdala ai piedi del Maestro: un ascolto che
coinvolge non solo l’orecchio, ma tutto l’essere interiore e che spinge a
tradurre nella propria vita la Parola ascoltata e meditata, perché non resti
infruttuosa.
Accogliere Dio, accogliere le
nostre sorelle e i nostri fratelli richiede fiducia, finezza di spirito,
attenzione, empatia, semplicità, calore umano: amore!
Accogliere l’Altro, accogliere
gli altri, infatti, è consegnare loro le chiavi di casa, le chiavi del nostro
cuore, perché possano entrare e uscire a piacimento, prendendo e lasciando senza
dover chiedere e senza sentirsi obbligati!...
Chiediamo al Signore Gesù, che
ancora una volta rinnova per noi il suo mistero di amore nel Natale che viene,
di donarci il suo Spirito perché possiamo essere liete messaggere del suo amore
nell’ambiente in cui viviamo: «Possa il mondo del nostro tempo che cerca, ora
nell’angoscia ora nella speranza, ricevere il buon annuncio non da persone
tristi, scoraggiate, impazienti, ansiose; ma da persone la cui vita irradi
fervore, che abbiano per prime ricevuto in loro la gioia del Cristo e accettino
di mettere in gioco la propria vita»2.
Buon Natale e gioioso Anno
nuovo a tutte/i e a ciascuna/o.
1.
Bernardo di Chiaravalle,
Discorso 5 sull’Avvento, 1-2.
2.
Paolo VI, Evangelii nuntiandi, n. 80.
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