n. 12
dicembre 2004

 

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di Tiziana De Rosa
 

 

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«Celebrare l’Avvento significa saper attendere, l’attendere è un’arte che il nostro tempo impaziente ha dimenticato. Il nostro tempo vuole cogliere il frutto maturo non appena ha piantato un germoglio, ma gli occhi avidi sono ingannati in continuazione, perché il frutto, all’apparenza così prezioso, al suo interno è ancora acerbo, e mani irrispettose gettano via con ingratitudine ciò che le ha così deluse. Chi non conosce l’acre beatitudine dell’attesa, cioè della mancanza nella speranza, non sperimenterà mai nella sua interezza la benedizione dell’adempimento».

Dietrich Bonhoeffer

Nell’Avvento noi attendiamo di incontrarci con Dio, che viene in mezzo a noi rivestito di carne umana, sotto le sembianze di un bambino, a Betlem di Giudea. Rivivendo nella nostra vita questo grande mistero di salvezza, attendiamo anche il ritorno del Signore Gesù quando verrà nella gloria, alla fine dei tempi. Tra questo incontro annuale, temporaneo, natalizio, e quello definitivo, noi incontriamo il Cristo che viene a noi ogni giorno nei sacramenti, nella Parola e nella vita quotidiana.

San Bernardo riassume tutta la ricchezza di questo tempo liturgico in poche frasi: «Nella prima venuta… egli venne nella debolezza della carne, in questa intermedia viene nella potenza dello Spirito, nell’ultima verrà nella maestà della gloria. Quindi, questa venuta intermedia è, per così dire, una via che unisce la prima all’ultima: nella prima Cristo fu nostra redenzione, nell’ultima si manifesterà come nostra vita, in questa è nostro riposo e nostra consolazione»1.

E’ proprio l’attesa che caratterizza l’avvento: l’attesa del Dono che il Padre fa all’umanità; l’attesa della venuta di Gesù in mezzo a noi, uno di noi; l’attesa di essere salvate/i; l’attesa e il compimento di tutte le promesse antiche…

Per prepararci nel modo migliore a questo incontro così importante, potremmo lasciarci guidare da alcune parole pregne di significato e capaci di dare senso e consistenza alla nostra preparazione e alla nostra attesa. Queste parole potrebbero essere, oltre al termine attesa già considerato: vegliare, vigilare, convertirsi, accogliere.

  

Vegliare, vigilare

E’ il Signore stesso che chiede ai suoi discepoli, e quindi anche a noi, di vegliare e pregare per non cadere in tentazione, perché lo spirito è pronto ma la carne è debole…(Mt 26,41).

Vegliare vuol dire non solo non addormentarsi, non appesantirsi, non chiudere gli occhi, non lasciar cadere l’attenzione a ciò che ci sta attorno e a quello che accade, ma vuol dire anche vigilare, ossia porre attenzione, stare attenti, non distrarsi, non lasciarsi “drogare” dal luccichio e dal “fumo” delle cose del mondo, per correre dietro alle “farfalle”…, ma essere coscienti, avere sempre la consapevolezza di quello che stiamo facendo e del motivo per cui lo facciamo. Solo se vegliamo e siamo vigili possiamo accorgerci della presenza del Signore, che ci viene incontro sotto le spoglie di sorelle e/o fratelli che hanno bisogno di noi, o di avvenimenti che ci pongono in discussione, o di accadimenti che ci spingono a ritrovare ogni giorno il senso e il significato della nostra esistenza nelle piccole e ordinarie azioni di ogni giorno.

Il rischio di lasciarci andare, di abbandonarci al tran tran quotidiano è forte e lo avvertiamo tutte. L’età avanza, le malattie diventano sempre più numerose, le difficoltà si moltiplicano e può venirci la tentazione di non impegnarci più al 100%, perché abbiamo già “una certa età…” e tanto non possiamo cambiare le cose… e, forse, abbiamo fatto più di quel che dovevamo…Questa, però, è una tentazione e lo sappiamo bene: il Signore non ci chiede l’impossibile, ci chiede soltanto di fidarci e di abbandonarci a Lui e di fare del nostro meglio per il Suo regno: vegliare e pregare, per riconoscere il Signore che viene e che è sempre presente in mezzo a noi, vigilare perché il nemico non semini zizzania in mezzo al buon grano, vigilare per evitare il pericolo di allontanarci dal nostro posto, dalla nostra fedeltà, dall’amore che il Signore Gesù ci chiede per sé e per il nostro prossimo, vigilare… fino al suo ritorno.

«Vigilate, dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all’improvviso, trovandovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!» (Mc 13,35-37).

 

Convertirsi

Nell’attesa del Signore, che sta per venire, ci è chiesto di convertirci, vale a dire di invertire la nostra rotta, anche di novanta gradi e più, se è necessario, per viaggiare nella direzione voluta dal nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo e, soprattutto, per fargli spazio nella nostra vita, nel nostro cuore.

Siamo tutti peccatori e peccatrici e tutte/i abbiamo bisogno di verificare il nostro cammino e la nostra direzione per indirizzarla secondo il volere del Padre. Se ritorniamo sulla retta via e andiamo con gioia incontro al Signore che viene, allora ci sarà più facile nutrire gli stessi sentimenti di Cristo Gesù e di conseguenza cambieranno non solo i nostri atteggiamenti e le nostre azioni, ma il nostro modo di pensare e di rapportarci col Padre e con le sorelle e i fratelli. Allora non faremo più nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di noi, in tutta umiltà, considererà le altre e gli altri superiori a sé e non cercherà il proprio interesse ma quello degli altri, come ben suggerisce l’apostolo delle genti ai Fil 2,1-4.

Ritornare al Signore della nostra vita e della nostra Storia, risceglierlo nuovamente come Signore del nostro cuore, fidarci totalmente di Lui, per abbandonarci al Suo amore creatore, ci aiuterà a vivere in pienezza la nostra vocazione di donne consacrate e, con l’aiuto dello Spirito, potremmo far nostro anche l’ammonimento di san Paolo: «Non regni più il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri; non offrite le vostre membra come strumenti di ingiustizia al peccato, ma offrite voi stessi a Dio come vivi tornati dai morti e le vostre membra come strumenti di giustizia per Dio…» (Rm 6, 2-13).

 

Accogliere

Accogliere il Signore che viene vuol dire riconoscere il dono che Lui è e che ci fa e aprirgli la porta non appena bussa al nostro cuore; accoglierlo significa riconoscerlo e riconoscerci: Lui è Dio, noi siamo le sue creature. Ogni vera accoglienza comporta, poi, l’ascolto: siamo chiamate ad ascoltare la parola del Signore con tutte noi stesse, come fece Maria di Magdala ai piedi del Maestro: un ascolto che coinvolge non solo l’orecchio, ma tutto l’essere interiore e che spinge a tradurre nella propria vita la Parola ascoltata e meditata, perché non resti infruttuosa.

Accogliere Dio, accogliere le nostre sorelle e i nostri fratelli richiede fiducia, finezza di spirito, attenzione, empatia, semplicità, calore umano: amore!

Accogliere l’Altro, accogliere gli altri, infatti, è consegnare loro le chiavi di casa, le chiavi del nostro cuore, perché possano entrare e uscire a piacimento, prendendo e lasciando senza dover chiedere e senza sentirsi obbligati!...

Chiediamo al Signore Gesù, che ancora una volta rinnova per noi il suo mistero di amore nel Natale che viene, di donarci il suo Spirito perché possiamo essere liete messaggere del suo amore nell’ambiente in cui viviamo: «Possa il mondo del nostro tempo che cerca, ora nell’angoscia ora nella speranza, ricevere il buon annuncio non da persone tristi, scoraggiate, impazienti, ansiose; ma da persone la cui vita irradi fervore, che abbiano per prime ricevuto in loro la gioia del Cristo e accettino di mettere in gioco la propria vita»2.

Buon Natale e gioioso Anno nuovo a tutte/i e a ciascuna/o.

 

1.       Bernardo di Chiaravalle, Discorso 5 sull’Avvento, 1-2.

2.       Paolo VI, Evangelii nuntiandi, n. 80.

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