Il
dialogo interreligioso è una delle maggiori sfide per la Chiesa del
terzo millennio. Il documento Domine Jesu, pubblicato nel
settembre 2000, che mette in guardia contro alcune derive della teologia
delle religioni, è stato considerato come un serio avvertimento riguardo
a un entusiasmo mal riposto e male illuminato del dialogo interreligioso
stesso conviviale. Anche se questo dialogo rappresenta, piuttosto, una
chance storica per il futuro del cristianesimo e per il futuro
dell’intera comunità umana, che potrebbe e dovrebbe diventare più.
In questo articolo, dopo una breve
introduzione sulla differenza tra dialogo interreligioso e dialogo
ecumenico, procederò in tre tappe. Comincerò con l’insistere sulla
novità del dialogo interreligioso, che coincide con l’era planetaria
dell’umanità. Cercherò, quindi, di riflettere più a lungo sui fondamenti
teologici del pluralismo religioso e, dunque, sul dialogo
interreligioso. In una terza parte, poi, mi auguro di far capire
l’urgenza del dialogo islamo-cristiano, che dovrebbe favorire la nostra
solidarietà nella difesa dei valori comuni, che sono di capitale
importanza per il futuro della comunità mondiale.
Introduzione: Dialogo ecumenico e dialogo
interreligioso
Riguardo al comandamento del Signore Gesù, il
dialogo interreligioso cerca l’unità visibile di tutti i cristiani
separati nei limiti di questa storia. Non una unità mitica delle
religioni, che non sarà possibile se non sacrificando la ricchezza
propria di ciascuna tradizione religiosa. Il dialogo ricerca, piuttosto,
una migliore conoscenza degli altri, un mutuo rispetto e una emulazione
reciproca.
La novità del dialogo interreligioso
Per la prima volta, dopo molti secoli, le
religioni sono pronte a superare le discussioni ancestrali per mettersi
al servizio delle grandi cause che sollecitano tutti gli uomini e le
donne di buona volontà. Dal Vaticano II, la Chiesa cattolica ha giocato
un ruolo di pioniera, affermando di non rigettare nulla di ciò che è
vero e santo nelle altre religioni (cfr. Nostra aetate, n. 2). Ma
la stessa volontà la si ritrova anche nelle altre religioni (cfr. la
Confe-renza mondiale delle religioni per la pace). Il dialogo più vivo,
però, è quello che contribuisce a una emulazione reciproca nella ricerca
della pace, nel combattere le ingiustizie del sistema economico
mondiale, nell’ostacolare il saccheggio delle risorse naturali, nella
difesa della vita e dei diritti umani, nella lotta contro tutte le forme
di fanatismo religioso.
Il dialogo interreligioso coincide con l’era
planetaria dell’umanità, la sua quarta era (E. Morin) e, per la prima
volta, l’umanità è cosciente di aver il proprio destino nelle sue mani.
Le religioni non sono, dunque, responsabili solo di una salvezza e di
una liberazione al di là della morte, esse rivelano la loro
responsabilità storica comune, di fronte al destino stesso della specie
umana sulla terra.
Nell’era della mondializzazione, si avverte
il bisogno di un’etica globale, che possa beneficiare sia delle risorse
morali delle grandi religioni, sia degli apporti dell’etica secolare. Le
religioni, in particolare, devono lasciarsi interrogare dal consenso
della coscienza universale concernente le aspirazioni legittime della
persona umana. E’ in questo contesto che bisogna comprendere la
possibilità e la necessità di un dialogo interreligioso.
Lontano dal condurre al relativismo, il
dialogo interreligioso ci aiuta a scoprire la singolarità del
cristianesimo e a insistere sul suo carattere dialogante. Per fondare
teologicamente il dialogo interreligioso, bisogna cominciare a
riflettere sul pluralismo religioso.
Il pluralismo religioso come questione
teologica
Se la Chiesa incoraggia il dialogo
interreligioso, è perché ha compreso che il pluralismo religioso è una
realtà storicamente insormontabile e che corrisponde, forse, a un
misterioso disegno di Dio. Così, la teologia delle religioni non è
soltanto una teologia della salvezza degli infedeli, ma una teologia del
pluralismo religioso che riflette sul significato del pluralismo delle
tradizioni religiose all’interno dell’unico disegno di Dio. In effetti,
è fin troppo semplice condannare i teologi che accettano di distinguere
un pluralismo religioso di fatto, da un pluralismo religioso di
principio.
Di fronte al massiccio pluralismo religioso è
legittimo interrogarsi sul volere misterioso di Dio, che benedice la
molteplicità delle culture e, dunque, delle religioni. Anche se la
Scrittura non offre risposte chiare a questa questione, è certo che il
Nuovo Testamento testimonia della volontà universale di salvezza di Dio.
Bisogna ricordare anche l’antica dottrina dei Padri della Chiesa, che
affermavano la presenza dei semina Verbi lungo tutta la storia
umana. E le intuizioni più originali del Vaticano II concernenti questo
disegno misterioso di Dio il cui significato ultimo ci sfugge.
Il racconto della torre di Babele (Gn 11) è
un aspetto negativo. Si tratta della confusione delle lingue come
abbattimento dell’orgoglio degli uomini, che rivendicano una unità che
appartiene soltanto a Dio, ma questo comporta anche un aspetto positivo.
E’ il ritorno alla condizione originaria dell’uomo come creatura. E il
Dio creatore è un Dio che benedice la molteplicità delle razze, delle
lingue, delle culture e anche delle forme di religione nei loro elementi
positivi. Il miracolo della Pentecoste al termine della Rivelazione ci
manifesta che Dio assume la diversità delle lingue e delle forme
religiose dell’umanità.
L’economia del Verbo incarnato
Il fondamento teologico di un pluralismo
religioso, che legittima il dialogo interreligioso, è l’idea che
l’economia del Verbo incarnato è il sacramento di una economia
più vasta che coincide con la storia stessa dell’umanità. La storia
tout court non è mai stata abbandonata a se stessa. Essa è da sempre
una storia di salvezza che non cessa di essere un luogo di semina del
Verbo incarnato e delle visite dello Spirito. Si tratta, dunque, di
pensare la molteplicità delle voci verso Dio senza compromettere
l’unicità della mediazione di Cristo e il privilegio unico del
cristianesimo, che non ha senso se non in riferimento a Cristo, che è
molto di più che un fondatore di religione.
Si incontra, qui, la maggiore difficoltà
teologica del dialogo interreligioso per la Chiesa: come parlare di un
dialogo su un piano di parità, quando già in partenza il cristianesimo è
situato in una posizione di eccezione, poiché si rifà a un fondatore che
non è un mediatore tra gli altri, ma il figlio stesso di Dio inviato
come l’unico Salvatore del mondo?
La tentazione di alcuni teologi, al contatto
con una grande religione come l’islam o l’induismo, è di relativizzare
la salvezza donataci da Gesù Cristo, poiché è Dio solo che salva: si
sarebbe tentati di dire che il Cristo è l’unico Salvatore per i soli
cristiani.
Ora bisogna tener presente che, dal primo
istante della creazione, Dio ha voluto legare il suo disegno universale
di salvezza al Cristo, ma ciò non vuol dire che la mediazione del Cristo
sia assolutamente esclusiva di altre voci di salvezza, a condizione di
aggiungere subito che queste altre voci di salvezza non sono che delle
mediazioni derivate, che non hanno la portata salvifica se non in
riferimento al loro segreto legame con il mistero del Cristo stesso. E’
possibile, dunque, conciliare un cristocentrismo costitutivo con un
pluralismo inclusivo. Si tratta, in effetti, di prendere sul serio i
semi di verità, di bontà e la stessa santità presente nelle altre
religioni e di non confondere l’universalità del mistero di Cristo con
l’universalità del cristianesimo in quanto religione storica. Per
evitare di fare del cristianesimo una religione imperialista, bisogna
riflettere sul mistero dell’incarnazione e manifestare il carattere
dialogante del cristianesimo.
Il carattere dialogale del cristianesimo
Se il cristianesimo può dialogare con le
altre religioni è perché porta in se stesso i propri princìpi di
limitazione. Lo si dimostrerà a partire dal paradosso dell’incarnazione,
del mistero del Dio crocifisso e della dualità tra Chiesa e Israele.
Il paradosso dell’incarnazione.
– E’ insistendo sulla particolarità
storica di Gesù di Nazaret, vale a dire sull’uomo-Dio, come unità
dell’assolutamente universale e dell’assolutamente concreto, che si è in
grado di dis-assolutizzare il cristianesimo. Da venti secoli a questa
parte, nessun cristiano può avere la pretesa di incarnare l’essenza del
cristianesimo come religione della Rivelazione finale e definitiva del
mistero di Dio. La Rivelazione, di cui è testimone il Nuovo Testamento,
non può esaurire la pienezza della ricchezza del mistero di Cristo. La
verità cristiana non è né esclusiva, né inclusiva delle altre verità di
ordine religioso. Essa è singolare e relativa alla parte di verità di
cui le altre religioni sono portatrici. A proposito di questi altri semi
di verità, sarebbe meglio parlare di valori cristici più che di valori
implicitamente cristiani. Essi troveranno il loro compimento nel mistero
del Cristo alla fine dei tempi, nel modo che Dio solo conosce.
Una teologia della kenosi di Dio.
– Per esorcizzare ogni tentazione di
totalitarismo, bisogna appellarsi a una teologia della Croce. La Croce
sarà sempre il simbolo di una universalità legata al sacrificio di una
particolarità. E’ la kenosi del Cristo nella sua uguaglianza con Dio che
ha permesso la Risurrezione. Alla luce del mistero della Croce, noi
comprendiamo meglio che il cristianesimo, lontano dall’essere una
totalità esclusiva, si definisce nei termini di relazione, di dialogo e
anche di mancanza.
La dualità di Israele e della Chiesa.
–
Il Cristo è portato a compimento da tutta la
preparazione dell’Antica Alleanza. Tut-tavia, occorre reinterpretare la
nozione di completamento in un senso non totalitario. In funzione della
teologia del giudaismo, soggiacente all’insegnamento del concilio
ecumenico Vaticano II, bisogna asserire che Israele rappresenta un
irriducibile che non si lascia integrare nella Chiesa durante il tempo
della storia. E’ vero che Gesù Cristo è il completamento delle promesse
dell’Antico Testamento, ma la Chiesa non si sostituisce a Israele. La
Nuova Alleanza è l’allargamento a tutte le nazioni del privilegio unico
di Israele. Il rapporto originale della Chiesa nascente rispetto al
giudaismo è, quindi, esemplare di un rapporto attuale del Vangelo
rispetto alle altre religioni. Come la Chiesa nascente non integrò né
sostituì le ricchezze proprie del popolo di Israele, così il
cristianesimo non può pretendere di integrare e sostituire le ricchezze
autentiche delle altre religioni. E’ proprio nella loro differenza che
esse saranno portate a compimento nel Cristo, alla fine dei tempi.
L’urgenza del dialogo islamo-cristiano
Di fronte agli effetti negativi della
mondializzazione e ai rischi di frattura tra l’Occidente e il mondo
arabo-musulmano, la convivialità tra cristiani e musulmani è la posta in
gioco considerevole per la difesa dei valori comuni. Distinguerei
successivamente il senso di un Dio sempre più grande, il rispetto
dell’umanità autentica, la lotta per la giustizia e la salvaguardia del
creato.
Un Dio sempre più grande.
– La fede cristiana in Dio-Trinità
deve lasciarsi interpellare dall’islam quando rischia di rifarsi a un
monoteismo che sacrificherebbe l’unicità di Dio. Al contrario, i
musulmani non hanno ancora finito di meditare sul Dio Padre di Gesù e
sulla sua portata rivelatrice riguardo alla vera trascendenza di Dio.
La lotta per la giustizia.
–
Le due religioni hanno una vocazione comune
per lanciare un avvertimento profetico di fronte alle ingiustizie
strutturali del mondo contemporaneo. Senza dubbio, non è necessario
rifarsi a una religione per lottare a favore della difesa e della
promozione dei diritti dell’uomo. Il fondamento immediato dei diritti
umani è un certo consenso riguardo alla dignità inviolabile di ogni
essere umano, ma la violazione permanente di questi diritti nel mondo
tende a mostrare che la Carta di diritti dell’uomo ha bisogno di un
fondamento più radicale. Questo fondamento della dignità inviolabile
della persona umana è posto con la rivelazione biblica sulla creazione
dell’uomo e della donna a immagine di Dio. Questa è l’eredità comune
alla Bibbia e al Corano.
La salvaguardia del creato.
–
Non è però sufficiente difendere i diritti
della persona umana se poi, nello stesso tempo, non rispettiamo i
diritti della Terra. Di fronte alla eventualità di una catastrofe
ecologica di ordine planetario, noi risentiamo l’urgenza di una teologia
della creazione che fornisca un fondamento radicale alla nostra fiducia
nell’avvenire, nella vita, nell’essere. Cristiani e musulmani
condividono un certo ottimismo, con la certezza che il disegno di Dio è
la riuscita della creazione, e questa riuscita è stata affidata alla
gerenza dell’essere umano. I cristiani e i musulmani avranno tutti i
benefici a prestare una più grande attenzione al senso della bellezza e
della stabilità del mondo creato, come testimonia anche il Corano.
*Responsabile per
l’ecumenismo della Diocesi di Bruxelles.
Traduzione di A. De Rosa.