n. 12
dicembre 2004

 

Altri articoli disponibili

 

English

I fondamenti teologici del dialogo interreligioso
di Claude Geffrè*

 

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

Il dialogo interreligioso è una delle maggiori sfide per la Chiesa del terzo millennio. Il documento Domine Jesu, pubblicato nel settembre 2000, che mette in guardia contro alcune derive della teologia delle religioni, è stato considerato come un serio avvertimento riguardo a un entusiasmo mal riposto e male illuminato del dialogo interreligioso stesso conviviale. Anche se questo dialogo rappresenta, piuttosto, una chance storica per il futuro del cristianesimo e per il futuro dell’intera comunità umana, che potrebbe e dovrebbe diventare più.

In questo articolo, dopo una breve introduzione sulla differenza tra dialogo interreligioso e dialogo ecumenico, procederò in tre tappe. Comincerò con l’insistere sulla novità del dialogo interreligioso, che coincide con l’era planetaria dell’umanità. Cercherò, quindi, di riflettere più a lungo sui fondamenti teologici del pluralismo religioso e, dunque, sul dialogo interreligioso. In una terza parte, poi, mi auguro di far capire l’urgenza del dialogo islamo-cristiano, che dovrebbe favorire la nostra solidarietà nella difesa dei valori comuni, che sono di capitale importanza per il futuro della comunità mondiale.

 

Introduzione: Dialogo ecumenico e dialogo interreligioso

Riguardo al comandamento del Signore Gesù, il dialogo interreligioso cerca l’unità visibile di tutti i cristiani separati nei limiti di questa storia. Non una unità mitica delle religioni, che non sarà possibile se non sacrificando la ricchezza propria di ciascuna tradizione religiosa. Il dialogo ricerca, piuttosto, una migliore conoscenza degli altri, un mutuo rispetto e una emulazione reciproca.

 

La novità del dialogo interreligioso

Per la prima volta, dopo molti secoli, le religioni sono pronte a superare le discussioni ancestrali per mettersi al servizio delle grandi cause che sollecitano tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Dal Vaticano II, la Chiesa cattolica ha giocato un ruolo di pioniera, affermando di non rigettare nulla di ciò che è vero e santo nelle altre religioni (cfr. Nostra aetate, n. 2). Ma la stessa volontà la si ritrova anche nelle altre religioni (cfr. la Confe-renza mondiale delle religioni per la pace). Il dialogo più vivo, però, è quello che contribuisce a una emulazione reciproca nella ricerca della pace, nel combattere le ingiustizie del sistema economico mondiale, nell’ostacolare il saccheggio delle risorse naturali, nella difesa della vita e dei diritti umani, nella lotta contro tutte le forme di fanatismo religioso.

Il dialogo interreligioso coincide con l’era planetaria dell’umanità, la sua quarta era (E. Morin) e, per la prima volta, l’umanità è cosciente di aver il proprio destino nelle sue mani. Le religioni non sono, dunque, responsabili solo di una salvezza e di una liberazione al di là della morte, esse rivelano la loro responsabilità storica comune, di fronte al destino stesso della specie umana sulla terra.

Nell’era della mondializzazione, si avverte il bisogno di un’etica globale, che possa beneficiare sia delle risorse morali delle grandi religioni, sia degli apporti dell’etica secolare. Le religioni, in particolare, devono lasciarsi interrogare dal consenso della coscienza universale concernente le aspirazioni legittime della persona umana. E’ in questo contesto che bisogna comprendere la possibilità e la necessità di un dialogo interreligioso.

Lontano dal condurre al relativismo, il dialogo interreligioso ci aiuta a scoprire la singolarità del cristianesimo e a insistere sul suo carattere dialogante. Per fondare teologicamente il dialogo interreligioso, bisogna cominciare a riflettere sul pluralismo religioso.

 

Il pluralismo religioso come questione teologica

Se la Chiesa incoraggia il dialogo interreligioso, è perché ha compreso che il pluralismo religioso è una realtà storicamente insormontabile e che corrisponde, forse, a un misterioso disegno di Dio. Così, la teologia delle religioni non è soltanto una teologia della salvezza degli infedeli, ma una teologia del pluralismo religioso che riflette sul significato del pluralismo delle tradizioni religiose all’interno dell’unico disegno di Dio. In effetti, è fin troppo semplice condannare i teologi che accettano di distinguere un pluralismo religioso di fatto, da un pluralismo religioso di principio.

Di fronte al massiccio pluralismo religioso è legittimo interrogarsi sul volere misterioso di Dio, che benedice la molteplicità delle culture e, dunque, delle religioni. Anche se la Scrittura non offre risposte chiare a questa questione, è certo che il Nuovo Testamento testimonia della volontà universale di salvezza di Dio. Bisogna ricordare anche l’antica dottrina dei Padri della Chiesa, che affermavano la presenza dei semina Verbi lungo tutta la storia umana. E le intuizioni più originali del Vaticano II concernenti questo disegno misterioso di Dio il cui significato ultimo ci sfugge.

Il racconto della torre di Babele (Gn 11) è un aspetto negativo. Si tratta della confusione delle lingue come abbattimento dell’orgoglio degli uomini, che rivendicano una unità che appartiene soltanto a Dio, ma questo comporta anche un aspetto positivo. E’ il ritorno alla condizione originaria dell’uomo come creatura. E il Dio creatore è un Dio che benedice la molteplicità delle razze, delle lingue, delle culture e anche delle forme di religione nei loro elementi positivi. Il miracolo della Pentecoste al termine della Rivelazione ci manifesta che Dio assume la diversità delle lingue e delle forme religiose dell’umanità.

 

L’economia del Verbo incarnato

Il fondamento teologico di un pluralismo religioso, che legittima il dialogo interreligioso, è l’idea che l’economia del Verbo incarnato è il sacramento di una economia più vasta che coincide con la storia stessa dell’umanità. La storia tout court non è mai stata abbandonata a se stessa. Essa è da sempre una storia di salvezza che non cessa di essere un luogo di semina del Verbo incarnato e delle visite dello Spirito. Si tratta, dunque, di pensare la molteplicità delle voci verso Dio senza compromettere l’unicità della mediazione di Cristo e il privilegio unico del cristianesimo, che non ha senso se non in riferimento a Cristo, che è molto di più che un fondatore di religione.

Si incontra, qui, la maggiore difficoltà teologica del dialogo interreligioso per la Chiesa: come parlare di un dialogo su un piano di parità, quando già in partenza il cristianesimo è situato in una posizione di eccezione, poiché si rifà a un fondatore che non è un mediatore tra gli altri, ma il figlio stesso di Dio inviato come l’unico Salvatore del mondo?

La tentazione di alcuni teologi, al contatto con una grande religione come l’islam o l’induismo, è di relativizzare la salvezza donataci da Gesù Cristo, poiché è Dio solo che salva: si sarebbe tentati di dire che il Cristo è l’unico Salvatore per i soli cristiani.

Ora bisogna tener presente che, dal primo istante della creazione, Dio ha voluto legare il suo disegno universale di salvezza al Cristo, ma ciò non vuol dire che la mediazione del Cristo sia assolutamente esclusiva di altre voci di salvezza, a condizione di aggiungere subito che queste altre voci di salvezza non sono che delle mediazioni derivate, che non hanno la portata salvifica se non in riferimento al loro segreto legame con il mistero del Cristo stesso. E’ possibile, dunque, conciliare un cristocentrismo costitutivo con un pluralismo inclusivo. Si tratta, in effetti, di prendere sul serio i semi di verità, di bontà e la stessa santità presente nelle altre religioni e di non confondere l’universalità del mistero di Cristo con l’universalità del cristianesimo in quanto religione storica. Per evitare di fare del cristianesimo una religione imperialista, bisogna riflettere sul mistero dell’incarnazione e manifestare il carattere dialogante del cristianesimo.

 

Il carattere dialogale del cristianesimo

Se il cristianesimo può dialogare con le altre religioni è perché porta in se stesso i propri princìpi di limitazione. Lo si dimostrerà a partire dal paradosso dell’incarnazione, del mistero del Dio crocifisso e della dualità tra Chiesa e Israele.

 

Il paradosso dell’incarnazione. – E’ insistendo sulla particolarità storica di Gesù di Nazaret, vale a dire sull’uomo-Dio, come unità dell’assolutamente universale e dell’assolutamente concreto, che si è in grado di dis-assolutizzare il cristianesimo. Da venti secoli a questa parte, nessun cristiano può avere la pretesa di incarnare l’essenza del cristianesimo come religione della Rivelazione finale e definitiva del mistero di Dio. La Rivelazione, di cui è testimone il Nuovo Testamento, non può esaurire la pienezza della ricchezza del mistero di Cristo. La verità cristiana non è né esclusiva, né inclusiva delle altre verità di ordine religioso. Essa è singolare e relativa alla parte di verità di cui le altre religioni sono portatrici. A proposito di questi altri semi di verità, sarebbe meglio parlare di valori cristici più che di valori implicitamente cristiani. Essi troveranno il loro compimento nel mistero del Cristo alla fine dei tempi, nel modo che Dio solo conosce.

 

Una teologia della kenosi di Dio. – Per esorcizzare ogni tentazione di totalitarismo, bisogna appellarsi a una teologia della Croce. La Croce sarà sempre il simbolo di una universalità legata al sacrificio di una particolarità. E’ la kenosi del Cristo nella sua uguaglianza con Dio che ha permesso la Risurrezione. Alla luce del mistero della Croce, noi comprendiamo meglio che il cristianesimo, lontano dall’essere una totalità esclusiva, si definisce nei termini di relazione, di dialogo e anche di mancanza.

 

La dualità di Israele e della Chiesa. Il Cristo è portato a compimento da tutta la preparazione dell’Antica Alleanza. Tut-tavia, occorre reinterpretare la nozione di completamento in un senso non totalitario. In funzione della teologia del giudaismo, soggiacente all’insegnamento del concilio ecumenico Vaticano II, bisogna asserire che Israele rappresenta un irriducibile che non si lascia integrare nella Chiesa durante il tempo della storia. E’ vero che Gesù Cristo è il completamento delle promesse dell’Antico Testamento, ma la Chiesa non si sostituisce a Israele. La Nuova Alleanza è l’allargamento a tutte le nazioni del privilegio unico di Israele. Il rapporto originale della Chiesa nascente rispetto al giudaismo è, quindi, esemplare di un rapporto attuale del Vangelo rispetto alle altre religioni. Come la Chiesa nascente non integrò né sostituì le ricchezze proprie del popolo di Israele, così il cristianesimo non può pretendere di integrare e sostituire le ricchezze autentiche delle altre religioni. E’ proprio nella loro differenza che esse saranno portate a compimento nel Cristo, alla fine dei tempi.

 

L’urgenza del dialogo islamo-cristiano

Di fronte agli effetti negativi della mondializzazione e ai rischi di frattura tra l’Occidente e il mondo arabo-musulmano, la convivialità tra cristiani e musulmani è la posta in gioco considerevole per la difesa dei valori comuni. Distinguerei successivamente il senso di un Dio sempre più grande, il rispetto dell’umanità autentica, la lotta per la giustizia e la salvaguardia del creato.

 

Un Dio sempre più grande. – La fede cristiana in Dio-Trinità deve lasciarsi interpellare dall’islam quando rischia di rifarsi a un monoteismo che sacrificherebbe l’unicità di Dio. Al contrario, i musulmani non hanno ancora finito di meditare sul Dio Padre di Gesù e sulla sua portata rivelatrice riguardo alla vera trascendenza di Dio.

 

La lotta per la giustizia. Le due religioni hanno una vocazione comune per lanciare un avvertimento profetico di fronte alle ingiustizie strutturali del mondo contemporaneo. Senza dubbio, non è necessario rifarsi a una religione per lottare a favore della difesa e della promozione dei diritti dell’uomo. Il fondamento immediato dei diritti umani è un certo consenso riguardo alla dignità inviolabile di ogni essere umano, ma la violazione permanente di questi diritti nel mondo tende a mostrare che la Carta di diritti dell’uomo ha bisogno di un fondamento più radicale. Questo fondamento della dignità inviolabile della persona umana è posto con la rivelazione biblica sulla creazione dell’uomo e della donna a immagine di Dio. Questa è l’eredità comune alla Bibbia e al Corano.

 

La salvaguardia del creato. Non è però sufficiente difendere i diritti della persona umana se poi, nello stesso tempo, non rispettiamo i diritti della Terra. Di fronte alla eventualità di una catastrofe ecologica di ordine planetario, noi risentiamo l’urgenza di una teologia della creazione che fornisca un fondamento radicale alla nostra fiducia nell’avvenire, nella vita, nell’essere. Cristiani e musulmani condividono un certo ottimismo, con la certezza che il disegno di Dio è la riuscita della creazione, e questa riuscita è stata affidata alla gerenza dell’essere umano. I cristiani e i musulmani avranno tutti i benefici a prestare una più grande attenzione al senso della bellezza e della stabilità del mondo creato, come testimonia anche il Corano.

 

*Responsabile per l’ecumenismo della Diocesi di Bruxelles.
Traduzione di A. De Rosa.

 

 

Torna indietro