n. 11
novembre 2006

 

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La carità della verità

di Antonio Rizzolo *

 

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«Fate a tutti la carità della verità». Questa frase attribuita tra gli altri al beato don Giacomo Alberione, fondatore della Famiglia paolina, è in realtà comunemente usata e si può far risalire allo stesso apostolo Paolo, quando, nella lettera agli Efesini, invita a vivere «secondo la verità nella carità» (4,15). Tuttavia l’espressione, diventata ormai uno slogan, esprime bene lo spirito del fondatore dei paolini e delle paoline e la missione che sono chiamati a compiere nella Chiesa: una missione di annuncio agli uomini del nostro tempo, all’interno dell’odierna cultura della comunicazione, del Vangelo, di Cristo Maestro che è via, verità e vita. Lo stesso don Alberione paragona questo servizio per la verità e per il Vangelo alla carità verso i più poveri, parafrasando le parole di Pietro allo storpio della porta Bella del tempio (cfr. Atti 3,6): «Non ho né oro né argento, ma vi dono di quello che ho: Gesù Cristo: Via, Verità, Vita». In questo breve articolo vorremmo offrire una riflessione sull’attualità di «fare la carità della verità», anche alla luce della prima enciclica di papa Benedetto XVI, tutta incentrata sulla carità.

Due poli, carità e verità

I due poli dell’espressione, carità e verità, potrebbero sembrare antitetici e prestarsi a interpretazioni opposte. Se si accentua il polo della carità si corre il rischio di un facile irenismo che finisce col soffocare la radicalità del Vangelo per adattarlo alle mode e alle opportunità del momento. Un rischio ben presente oggi, con il trionfo del politically correct, di una falsa forma di rispetto dell’altro basata sul relativismo più assoluto: si finisce così per non avere più il coraggio e la franchezza dello stesso Cristo Gesù e per stemperare e annacquare la forza liberante del messaggio evangelico. Se però si accentua il polo della verità si corre il rischio di non tener presente l’essere umano al quale ci si rivolge e di comunicare non la verità liberante che è lo stesso Cristo Gesù, ma la propria durezza di cuore, il proprio attaccamento ai precetti e alle regole in quanto tali. Si rischia, insomma, di comunicare una verità che è pura astrazione, snaturata nella sua essenza, un’imposizione estrinseca e formale. Ricordiamo a questo proposito le parole di Gesù: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc 2,27).

Carità e verità vanno perciò sempre tenute insieme. E questo è possibile se siamo pienamente radicati in Cristo, che è la rivelazione dell’amore del Padre («Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna», Gv 3,16) ed è egli stesso la verità (cfr. Gv 14,6). Lo scrive anche Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est: «Il contatto vivo con Cristo è l’aiuto decisivo per restare sulla retta via: né cadere in una superbia che disprezza l’uomo e non costruisce in realtà nulla, ma piuttosto distrugge, né abbandonarsi alla rassegnazione che impedirebbe di lasciarsi guidare dall’amore e così servire l’uomo. La preghiera come mezzo per attingere sempre di nuovo forza da Cristo, diventa qui un’urgenza del tutto concreta. Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell’emergenza e sembra spingere unicamente all’azione. La pietà non indebolisce la lotta contro la povertà o addirittura contro la miseria del prossimo» (37).

Certamente il Papa si riferisce in primo luogo all’azione caritativa intesa nel modo solito, cioè come attenzione alle necessità materiali e alle sofferenze degli esseri umani, ma il discorso vale anche per quella particolare forma di carità che è il servizio alla verità. D’altra parte l’enciclica non è estranea a questo tema, anche se non lo presenta esplicitamente. Come ha scritto di recente monsignor Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, «non è possibile che questo variegato mondo di espressioni, dirette e indirette, della comunità ecclesiale faccia solo carità e non anche cultura della carità, cultura sociale, cultura delle relazioni umane, cultura dell’assistenza, cultura del malato, cultura dell’educazione, cultura del bisogno e così via. Tocchiamo qui un punto fondamentale della purificazione della giustizia, strettamente collegato con la dottrina sociale della Chiesa: la fede e la carità attuano anche una “carità della verità” nei confronti della ragione e della giustizia. Nella sua carità sociale la comunità cristiana non può non essere anche un soggetto culturale. Dato che la carità non è mai un agire per agire, ma un agire che porta con sé dei significati, operando si cambia anche la mentalità, si induce a riflettere in modo nuovo sui bisogni e sulle risposte ai bisogni stessi, vengono suscitate ed alimentate inedite comprensioni capaci di orientare l’agire caritativo stesso». Lo stesso esercizio tradizionale della carità esige, insomma, una cultura, una mentalità, e in particolare richiede la salvaguardia della piena verità sull’uomo, fatto non solo di anima ma anche di corpo, creato a immagine e somiglianza di un Dio unico che è comunione di tre persone, e dunque creato per l’amore, per la relazionalità, per la comunione.

Monsignor Crepaldi approfondisce la sua riflessione notando come «nella Deus caritas est l’elemento della carità della verità è senz’altro presente e si fonda teologicamente su questa affermazione: «Il Logos, la ragione primordiale, è al contempo un amante con tutta la passione di un vero amore» (n. 10), «Se il mondo antico aveva sognato che, in fondo, vero cibo dell’uomo – ciò di cui egli come uomo vive – fosse il Logos, la sapienza eterna, adesso questo Logos è diventato veramente per noi nutrimento, come amore» (n. 13). Dio che è amore è anche verità, per questo l’incontro con Lui «chiama in causa anche la nostra volontà e il nostro intelletto» (n. 17). Il paragrafo 28 della Deus caritas est è pieno di espressioni “visive”, ad indicare che la purificazione della ragione è una forma di carità della verità. Ora si parla di “formazione della coscienza”, che è, in fondo, un vedere meglio cosa fare; ora si parla della “percezione delle vere esigenze della giustizia… anche quando ciò contrastasse con l’interesse personale”, il che, ancora, è un vedere con maggiore chiarezza; ora si dice che mediante la purificazione della ragione le esigenze della giustizia diventano “più comprensibili” e che la Chiesa lavora per “l’apertura dell’intelligenza” alle esigenze del bene.

Servizio della verità, un gesto d’amore

Il servizio della verità è dunque una forma di carità, di amore concreto, un’opera di misericordia. Ed è particolarmente importante oggi, nella società della comunicazione, dove pur nel moltiplicarsi delle informazioni e dei messaggi la verità stenta a farsi largo, soffocata com’è da pressioni di parte, da nuove ideologie basate sul profitto. Ancora di più fatica ad emergere la verità del Vangelo: «Da questa galassia di immagini e suoni, emergerà il volto di Cristo? Si udirà la sua voce? Perché solo quando si vedrà il suo volto e si udirà la sua voce, il mondo conoscerà la buona notizia della nostra redenzione»1.

Prima di tutto bisogna ricordare che il rispetto della verità è un presupposto fondamentale, una regola di riferimento per tutti gli operatori della comunicazione sociale, per i giornalisti in particolare. Nel Catechismo della Chiesa cattolica leggiamo parole molto chiare: «Nella società moderna i mezzi di comunicazione sociale hanno un ruolo di singolare importanza nell’informazione, nella promozione culturale e nella formazione. Tale ruolo cresce in rapporto ai progressi tecnici, alla ricchezza e alla varietà delle notizie trasmesse, all’influenza esercitata sull’opinione pubblica. L’informazione attraverso i mass-media è al servizio del bene comune. La società ha diritto ad un’informazione fondata sulla verità, la libertà, la giustizia e la solidarietà: “Il retto esercizio di questo diritto richiede che la comunicazione nel suo contenuto sia sempre vera e, salve la giustizia e la carità, integra; inoltre, nel modo, sia onesta e conveniente, cioè rispetti scrupolosamente le leggi morali, i legittimi diritti e la dignità dell’uomo, sia nella ricerca delle notizie, sia nella loro divulgazione” (Inter mirifica 5)» (2493-2494). Più avanti il catechismo è ancora più esplicito: «“È necessario che tutti i membri della società assolvano, anche in questo settore, i propri doveri di giustizia e di carità. Perciò si adoperino, anche mediante l’uso di questi strumenti, a formare e a diffondere opinioni pubbliche rette” (Inter mirifica 8). La solidarietà appare come una conseguenza di una comunicazione vera e giusta, e di una libera circolazione delle idee, che favoriscono la conoscenza ed il rispetto degli altri. […] Proprio per i doveri relativi alla loro professione, i responsabili della stampa hanno l’obbligo, nella diffusione dell’informazione, di servire la verità e di non offendere la carità. Si sforzeranno di rispettare, con pari cura, la natura dei fatti e i limiti del giudizio critico sulle persone. Devono evitare di cadere nella diffamazione» (2495.2497). Questo rispetto della verità nella carità, cioè nell’attenzione alle persone a cui ci si rivolge o a cui ci si riferisce, è addirittura fissato nella legge italiana sulla stampa (n. 69/1963, art. 2): «È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede. Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori». Parole molto chiare, che non sempre sono rispettate e non solo dai giornalisti, ma anche da quei politici, imprenditori, ecclesiastici, che chiedono giustamente il rispetto della verità dei fatti, ma vorrebbero al contempo negare la libertà d’informazione e di critica, magari con la scusa che “i panni sporchi si lavano in casa”. Non è nascondendo la verità che si fa il bene delle persone. I mezzi di informazione hanno invece una funzione di informazione, di denuncia, di approfondimento che sono indispensabili perché una società sia davvero democratica. Non a caso la prima mossa di ogni dittatore è quella di impadronirsi dei mezzi di comunicazione.

Elementi costitutivi della carità

Nell’enciclica Deus caritas est il Papa si chiede a un certo punto quali sono gli elementi costitutivi ed essenziali della carità cristiana ed ecclesiale, così da non confonderla con l’attività di altre organizzazioni assistenziali. Le risposte che egli enuclea mi sembrano adatte anche per chi fa della comunicazione della verità attraverso i mezzi di informazione il proprio particolare modo di esercitare la carità. Il Papa indica tre elementi. Il primo è la competenza professionale unita all’umanità: i cristiani «devono distinguersi per il fatto che non si limitano ad eseguire in modo abile la cosa conveniente al momento, ma si dedicano all’altro con le attenzioni suggerite dal cuore, in modo che questi sperimenti la loro ricchezza di umanità. Perciò, oltre alla preparazione professionale, a tali operatori è necessaria anche, e soprattutto, la “formazione del cuore”: occorre condurli a quell’incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l’amore e apra il loro animo all’altro» (31a). Il secondo elemento è l’indipendenza da partiti e ideologie: «Ad un mondo migliore si contribuisce soltanto facendo il bene adesso ed in prima persona, con passione e ovunque ce ne sia la possibilità, indipendentemente da strategie e programmi di partito. Il programma del cristiano – il programma del buon Samaritano, il programma di Gesù – è “un cuore che vede”. Questo cuore vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente» (31b). Infine, il terzo elemento è la gratuità: «Chi esercita la carità in nome della Chiesa non cercherà mai di imporre agli altri la fede della Chiesa. Egli sa che l’amore nella sua purezza e nella sua gratuità è la miglior testimonianza del Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare. Il cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l’amore». (31c)

Nella confusione di suoni e immagini del mondo di oggi si potrà scorgere il volto di Cristo? È un impegno al quale tutti noi cristiani e religiosi dobbiamo dare una risposta, in particolare se impegnati nel mondo dei media. La risposta è racchiusa nella frase “fare a tutti la carità della verità”, non nascondendo le esigenze e la forza liberante del Vangelo e avendo il coraggio di denunciare le ingiustizie e i soprusi contro i più deboli; offrendo nello stesso tempo questa verità nella carità, cioè con quell’umanità, quell’attenzione all’altro, quella gratuità che sono tipiche del cristiano, che non odia nessuno ma tutti accoglie e con tutti cerca sempre la via del dialogo.


*Direttore di Vita Pastorale. [Torna al testo]

1. Giovanni Paolo II, Messaggio per la 36° Giornata mondale delle comunicazioni sociali, p. 6. [Torna al testo]

 

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