n. 6 giugno 2008

 

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Medicina e valori etici
Alcuni principi fondamentali della bioetica

di Angelo Amato

 

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Ricercare nella verità

Da profano, ritengo che una Facoltà universitaria di medicina1 abbia un duplice compito: la trasmissione aggiornata del sapere nelle varie discipline, mediante l’insegnamento e le pubblicazioni; e la ricerca per l’acquisizione di sempre nuove conoscenze, metodologie e tecniche utili a migliorare sempre più il servizio che il paziente si aspetta dal medico.

Ed è con grande gioia e stupore che si assiste oggi allo straordinario progresso della medicina in tutti i suoi campi. Non sto ad elencare gli innumerevoli benefici della ricerca medica in questi ultimi decenni. Tutti noi ne abbiamo esperienza positiva. Per questo noi ringraziamo gli scienziati per questa loro straordinaria fatica fatta con perseveranza, pazienza e amore al sapere e alla persona umana.

Munito di questo bagaglio tecnologico, il medico imita un gesto tipico di Gesù, il quale passava per i villaggi guarendo ogni sorta di infermità e di malanni. L’evangelista medico, san Luca (cf. Col 4,14), dice al riguardo che la fama di Gesù si diffondeva sempre più: "folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro infermità" (Lc 5,15). A ragione, quindi, Gesù viene chiamato medico delle anime e dei corpi.

Ci poniamo subito la domanda: come deve essere fatta questa ricerca per essere veramente umana? Ogni ricerca, come ogni azione umana, deve essere eticamente corretta. Come non si può separare la politica dall’etica, così non si può separare la ricerca medica dall’etica. Se la ricerca è un atto di apertura alla verità, la ricerca eticamente corretta è un atto di apertura e di accoglienza non solo del vero ma anche del bene. Il vero autentico è anche buono così come il bene autentico è anche vero.

Nella ricerca, oggi più che mai, c’è bisogno di questo approccio eticamente corretto, soprattutto nel campo della biotecnologia. Non si può negare come - nella cosiddetta cultura postmoderna - si abbia sfiducia nella verità. Non ci sarebbe una verità, ma solo opinioni tutte ugualmente valide, anche se sganciate dal vero e dal bene e contraddittorie tra di loro. Di conseguenza, non ci sarebbe più una natura data, da rispettare, ma solo materiale genetico, manipolabile a piacimento. In tal modo l’essere umano, ridotto a prodotto biologico, non è più inviolabile, non è più un mistero da rispettare nella sua trascendenza.

Il compito del magistero della Chiesa è quello di offrire un quadro di riferimento veritativo che promuova la ricerca del bene dell’uomo, senza farla naufragare nella falsità e nella disumanità.

Ma c’è una difficoltà: quella, cioè, di determinare ciò che è naturale da ciò che è culturale. Al riguardo, si danno due categorie interpretative antagoniste, quella cristiana della sacralità della vita e quella postmoderna della disponibilità della medesima.

Nella prospettiva della sacralità della vita l’imperativo assoluto è la difesa della vita, considerata sempre e comunque indisponibile.

Nella prospettiva della disponibilità, invece, la norma fondamentale sarebbe la difesa della cosiddetta "qualità" della vita. La qualità della vita, non la vita, sarebbe l’assoluto bioetico. Ma tale qualità non dipenderebbe da riferimenti etici, bensì dall’arbitrio individuale e soprattutto dalla biotecnologia. È la biotecnologia che si arroga oggi il diritto-dovere di fornire il metro di valutazione della identità. La difesa dell’identità umana è, quindi, il cuore del problema bioetico: <<"Infatti, ciò che le nuove possibilità tecniche della biomedicina giungono a mettere in questione, prima ancora che la sacralità o la dignità della vita, è l’identità stessa dell’essere dell’uomo, prima come identità biologica, organica, e poi, come identità antropologica. Qualora essa cada, qualora, cioè, cada la nostra identità, cade ogni ulteriore possibilità di problematizzazione etica. La norma fondamentale della bioetica è dunque la difesa dell’identità. È solo a partire dalla difesa dell’identità che è possibile operare per la difesa della dignità della vita".2

La bioetica garantisce la difesa dell’identità sia mediante la tutela generale della fisicità e del diritto a un patrimonio genetico non manipolato; sia mediante l’imposizione di specifici doveri, primo tra i quali la non alterazione dell’identità di altri soggetti sia viventi, attraverso la commercializzazione degli organi, che futuri, attraverso il divieto della clonazione. Il principio della difesa dell’identità opera anche in numerosi altri piani rilevanti bioeticamente: "È il caso dell’aborto volontario che va ritenuto illecito come forma di negazione aprioristica dell’identità umana del nascituro; il caso delle diagnosi prenatali, quando vengano finalizzate a favorire aborti selettivi".3

A questo riguardo vorrei citare l’ottimo articolo dei prof. Giovanni Neri e Angelo Serra, sulla diagnosi prenatale oggi, pubblicato dalla rivista "La Civiltà Cattolica".4 Giustamente gli autori fanno notare un paradosso della diagnosi preimpianto, citando il biologo molecolare Craig Venter, che ha annunciato di aver completato l’analisi del proprio genoma ossia dell’intera sequenze del proprio DNA. Non ha esitato a riconoscere che in questa sequenza sarebbero presenti numerose varianti associate a rischio di alcolismo, comportamento antisociale, tabagismo, abuso di sostanze, infarto, malattia di Alzheimer: "Il minimo che se ne possa concludere – dicono giustamente gli autori – è che se queste varianti genetiche fossero state riscontrate in una diagnosi preimpianto, il grande scienziato Venter non sarebbe mai nato".5

L’uomo biotecnologico

Qui si apre l’importante capitolo del passaggio dall’uomo creatura di Dio all’uomo biotecnologico creatura dell’uomo. Nel contesto della postmodernità, che ha detronizzato l’idea di natura, le biotecnologie hanno assunto una importanza tutta particolare: "Nelle loro pressoché illimitate possibilità di ricostruire e reinventare il corpo, spostare Dna tra specie diverse, cancellare il passato genetico, e pre-programmare il futuro genetico, i nuovi genetisti danno alla biologia della vita un nuovo spirito proteiforme. La vita, a lungo pensata come opera di Dio, e più recentemente vista come un processo casuale guidato dalla mano invisibile della selezione naturale, viene ora ripensata e re-immaginata come uno strumento artistico dalle illimitate possibilità".6

Si tratta di un cambiamento significativo dell’identità dell’uomo: il passaggio, cioè, da una mentalità creazionistica ad una mentalità tecno-efficientista determinata dalla rivoluzione biotecnologica, con il risultato di considerare l’uomo non più come una creatura di Dio o come un risultato dell’evoluzione naturale, ma come un prodotto della biotecnologia.

La rivoluzione biotecnologica ha dischiuso la possibilità di modificare la stessa natura dell’uomo. Il testo genetico, il DNA, una volta decodificato, porta inevitabilmente a superare i limiti impostici dalla natura. Se Galileo aveva decifrato il linguaggio che Dio ha usato per creare il mondo, oggi si sta decifrando il linguaggio che Dio ha usato per creare la vita.

Alcuni biologi e filosofi hanno già annunciato il congedo da Dio e dalla sua presenza nel mondo in nome della tecnica, che avrebbe tolto la parola alla rivelazione divina. In tal modo si intende ghettizzare la fede e la teologia, assolutizzando il ruolo della scienza e della tecnologia.

L’uomo sarebbe ridotto alle sole connessioni sinaptiche, per cui le trasmissioni degli impulsi da un neurone all’altro permetterebbero l’emergere del senso di continuità necessario alla costituzione dell’identità personale. Insomma tutto quanto avviene nell’uomo sarebbe solo espressione di circuiti neuronali, generatori di fenomeni come ragione, emozione, immaginazione e spiritualità. In altre parole si azzera la coscienza e il libero arbitrio. Anche la teoria del neodarwinismo – che predomina nelle trasmissioni cosiddette scientifiche ma fortemente ideologizzate dei massmedia – concepisce gli esseri umani come animali evoluti. Tutto ciò porta a negare la libertà e l’amore, che sono le attitudini più specifiche dell’uomo.

La neurofilosofia pretende, poi, di spiegare la sfera dei sentimenti tramite la chimica; le qualità morali e personologiche tramite la neurologia; e la realtà spirituale tramite la fisica. La tesi secondo cui la chimica e la fisica spiegherebbero i processi spirituali ha spinto il microbiologo americano Dean Hamer a sostenere che il senso del divino avrebbe una sua base nel patrimonio genetico e che la spiritualità per gli adulti non sarebbe altro che un istinto biologico così come l’allattamento per i bambini.7

Un’ulteriore affermazione della mentalità tecno-efficientista sostiene che sarebbe possibile sia umanizzare i meccanismi artificiali sia robotizzare la sensibilità e la coscienza dell’uomo: "La rivoluzione biotecnologica sta cambiando la tecnologia del nostro corpo, mentre quella robotica finirà per produrre esseri che sono dei robot, non solo, ma esseri viventi artificiali. La conseguenza è che la distinzione fra noi e il robot sparisce: le macchine saranno come esseri umani e gli esseri umani come macchine".8

Siamo al cosiddetto transumanesimo di Kevin Warwick, professore di cibernetica all’università inglese di Reading, che crede nella trasformazione della razza umana in tanti cyborg. Per il transumanesimo l’uomo non sarebbe il prodotto finale della evoluzione, ma solo l’inizio, ponendo l’enfasi sulle potenzialità enormi del divenire dell’uomo. Si tratta di una riprogettazione tecnologica dell’umanità, che avrebbe come finalità l’eliminazione del processo di invecchiamento, della limitazione dell’intelletto umano e della sofferenza in generale.

Altre problematiche derivano dal cosiddetto "uomo on-line", che ha dilatato in modo inimmaginabile le capacità quantitative di elaborazione, di trasmissione e di conservazione delle informazioni, riducendo allo stesso tempo la sua capacità di valutazione; dall’uomo "chimera", e cioè degli incroci biologici uomo-animale; dall’uomo fotocopia mediante il processo biotecnologico della clonazione, apertamente ripudiato da una dichiarazione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, l’8 marzo del 2005.

Il richiamo etico

Come si vede queste innovazioni biotecnologiche implicano una ineludibile domanda etica, dal momento che le sue applicazioni fanno sì che la natura non sia più considerata come immutabile in se stessa ma manipolabile e modificabile dall’intervento tecnico. Si assiste al passaggio della tecnica come strumento, a tecnica come soggetto della storia, con il suo strapotere sull’uomo e sulla natura.

Di fronte a ciò il richiamo all’etica non solo è utile ma necessario. L’etica non è la proibizione della ricerca, dal momento che l’uomo è sempre aperto alla comprensione ogni volta più profonda della verità. Essa è piuttosto un sostegno della ragione per non umiliare l’umanità dell’essere uomo e per non eliminare i giudizi della sua coscienza morale nel perseguire la bontà esistenziale della sua vita. L’uomo, cioè, è più grande delle sue conquiste tecniche, che mai possono cogliere ed esaurire tutto il dinamismo spirituale e morale della sua libertà e della sua coscienza. Si tratta cioè di stabilire dei limiti provenienti dalla ragione illuminata dalla fede.

Affrontando un tema tanto ampio e complesso, è necessario anzitutto delimitarne i contorni. In questa sede, infatti, non si tratta di offrire un intervento circa i singoli problemi scientifici, che sono competenza degli esperti; non si tratta neppure di una presentazione della valutazione morale delle singole tecniche biomediche, che costituiscono l’ambito proprio degli scienziati cristiani e dei teologi moralisti.

Si intende invece presentare alcuni principi fondamentali della bioetica a partire dal Magistero della Chiesa, e cioè del Concilio Vaticano II (Costituzione Gaudium et spes), di Giovanni Paolo II (Catechismo della Chiesa Cattolica, Enciclica Evangelium vitae), di Benedetto XVI (Encicliche Deus caritas est e Spe salvi) e della Congregazione per la Dottrina della Fede (Istruzione Donum vitae), al fine di rispondere ad alcune critiche diffuse nella società contemporanea, delineando al contempo l’apporto positivo che anche sul piano umano e della legge naturale la dottrina della Chiesa offre alla comunità scientifica impegnata sulle nuove frontiere delle scienze biomediche.

Do spazio qui ad alcune obiezioni ricorrenti circa il rapporto tra magistero della Chiesa e la ricerca scientifica.

La morale e l’annuncio di Gesù Cristo

Il Magistero della Chiesa, secondo il giudizio di molti, parlerebbe troppo di morale, con un linguaggio molte volte autoritario e con proposte difficili da seguire.

Di fronte a questa obiezione, si deve anzitutto affermare che il cuore del cristianesimo, e quindi anche dell’annuncio della Buona Novella, non è la morale, ma la persona di Gesù Cristo, così come ha recentemente ricordato nella sua prima Enciclica papa Benedetto XVI: "All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva" (Deus caritas est, 1).

Cristo, infatti, rivela all’uomo in pienezza il suo mistero e la sua vocazione: "In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro, e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione" (Gaudium et spes, 22). Di conseguenza, la comunione con il Signore - nella fede, nei sacramenti e nella preghiera - comporta anche un nuovo modo di pensare e di vivere, una scelta di vita secondo il Vangelo. La Chiesa, quindi, annuncia Gesù Cristo e, all’interno di questo contesto cristologico ed antropologico, presenta la dottrina morale, che scaturisce dall’incontro con il Signore.

La morale e la scienza

Sovente viene anche avanzata una critica al Magistero della Chiesa, accusato di impedire il progresso e d’interferire nell’autonomia della scienza. In tal modo si rischierebbe una contrapposizione tra fede e ragione. Al riguardo si deve affermare che la Chiesa è stata ed è sempre favorevole al progresso della scienza. Prova ne sia il fatto che le Università sono nate nel seno della stessa Chiesa, che da secoli si impegna nel campo della formazione e della ricerca, gestendo Centri universitari in tutto il mondo, come è questa stessa prestigiosa Istituzione. Convinta che tra fede e ragione non c’è contrapposizione, dal momento che sono le due ali per volare verso la verità, la Chiesa riconosce l’autonomia della scienza, ma ribadisce l’importanza di rispettare le norme etiche che scaturiscono dalla natura umana.

In merito, conservano ancora attualità le parole del Vaticano II, quando nella Costituzione Apostolica Gaudium et spes (n. 36) afferma: "Se per autonomia delle realtà terrene si vuol dire che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una esigenza d'autonomia legittima: non solamente essa è rivendicata dagli uomini del nostro tempo, ma è anche conforme al volere del Creatore... Se invece con l'espressione "autonomia delle realtà temporali" si intende dire che le cose create non dipendono da Dio e che l'uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore, allora a nessuno che creda in Dio sfugge quanto false siano tali opinioni. La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce" (n. 36).

La Chiesa afferma l’importanza della formazione scientifica e tecnica, accompagnata da una dimensione etica, la quale garantisca che il progresso non distrugga l’uomo, ma favorisca il suo bene. Nell’intervista prima del suo viaggio in Germania (5/8/2006) Benedetto XVI affermava: "Il progresso può essere progresso vero solo se serve alla persona umana e se la persona umana stessa cresce… Penso che il vero problema della nostra situazione storica sia lo squilibrio fra la crescita incredibilmente rapida del nostro potere tecnico e quella della nostra capacità morale, che non è cresciuta in modo proporzionale. Perciò la formazione della persona umana è la vera ricetta, la chiave di tutto direi, e questa è anche la nostra via... Noi abbiamo bisogno di due dimensioni: ci vuole allo stesso tempo la formazione del cuore - se così posso esprimermi - con cui la persona umana acquisisce dei riferimenti e impara così anche ad usare correttamente la tecnica, che pure ci vuole".

Il secondo principio, quindi, a cui si attiene la Chiesa è il riconoscimento della giusta autonomia della scienza e della tecnica, ritenendo tuttavia che esse, per poter essere al servizio della persona, debbano seguire i criteri fondamentali della moralità.

La dignità di ogni essere umano

Questo principio spesso si scontra con la critica secondo la quale nel campo della bioetica il Magistero dice troppi "no", dichiarando illeciti numerosi interventi che sono tecnicamente possibili e in parte promettenti. Nell’assumere queste prese di posizione, invece, la Chiesa è guidata dalla difesa della dignità di ogni vita umana. "La vita umana è sacra perché, fin dal suo inizio, comporta l’azione creatrice di Dio e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente" (Donum vitae, Introduzione, n. 5).

Ciò vale anche per l’embrione umano: "Il frutto della generazione umana dal primo momento della sua esistenza, e cioè a partire dal costituirsi dello zigote, esige il rispetto incondizionato che è moralmente dovuto all’essere umano nella sua totalità corporale e spirituale. L’essere umano va rispettato e trattato come una persona fin dal suo concepimento e, pertanto, da quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviola-bile di ogni essere umano innocente alla vita" (Donum vitae, I, 1). Tale posizione ha un solido fondamento scientifico e filosofico: sono, infatti, le stesse conclusioni della scienza sull’embrione umano a fornire "un’indicazione preziosa per discernere razionalmente una presenza personale fin da questo primo comparire di una vita umana: come un individuo umano non sarebbe una persona umana?" (ivi). È pertanto moralmente accettabile ogni intervento che rispetti la vita e l’integrità dell’embrione, non comporti per lui rischi sproporzionati e sia finalizzato alla sua guarigione, al miglioramento delle sue condizioni di salute o alla sua sopravvivenza individuale (ad esempio: la diagnosi prenatale se non contempla l’eventualità dell’aborto; interventi con finalità terapeutica, ecc.).

Al contrario, è moralmente illecito ogni intervento che non rispetti la vita e l’integrità dell’embrione (esempi: diagnosi prenatale quando contempli l’eventualità di provocare un aborto; pillola abortiva, pillola del giorno dopo, ecc.), lo produca con una intenzione selettiva (ad esempio: secondo il sesso) oppure lo sfrutti come "materiale biologico" (esempio: creazione di embrioni per ottenere cellule stamina-li embrionali, con la conseguente distruzione dei medesimi embrioni; anche se l’intenzione può essere buona, vale il principio che il fine non giustifica i mezzi; occorre continuare la ricerca sulle cellule staminali adulte - del resto molto più promettente).

Giovanni Paolo II, nell’Enciclica Evangelium vitae affermava al riguardo: "La vita umana, dono prezioso di Dio, è sacra e inviolabile e per questo, in particolare, sono assolutamente inaccettabili l'aborto procurato e l'eutanasia; la vita dell'uomo non solo non deve essere soppressa, ma va protetta con ogni amorosa attenzione; la vita trova il suo senso nell'amore ricevuto e donato, nel cui orizzonte attingono piena verità la sessualità e la procreazione umana; in questo amore anche la sofferenza e la morte hanno un senso e, pur permanendo il mistero che le avvolge, possono diventare eventi di salvezza; il rispetto per la vita esige che la scienza e la tecnica siano sempre ordinate all'uomo e al suo sviluppo integrale; l'intera società deve rispettare, difendere e promuovere la dignità di ogni persona umana, in ogni momento e condizione della sua vita" (n. 81).

In questo senso si comprende anche il terzo principio, secondo il quale i "no" della Chiesa a certe pratiche sono in realtà un grande "sì" alla dignità di ogni essere umano, soprattutto di coloro che non hanno voce, che sono tra i più vulnerabili, che non vengono difesi da nessuno.

Il valore del matrimonio e dell’amore coniugale

In questo orizzonte si delinea anche la critica secondo la quale il Magistero della Chiesa, essendo contrario alla fecondazione in vitro, non ha compassione per le coppie sterili o altre persone non sposate che desiderano avere un figlio e potrebbero averlo tramite le tecniche di fecondazione in vitro…

In nome della salvaguardia e della promozione della dignità intangibile di ogni essere umano, invece, la Chiesa ha compassione per le coppie sterili e incoraggia le ricerche finalizzate a ridurre la sterilità umana. Gli sposi che, dopo aver esaurito i legittimi ricorsi alla medicina, soffrono di sterilità, "possono mostrare la loro generosità adottando bambini abbandonati oppure compiendo servizi significativi a favore del prossimo" (CCC, 2379).

La Chiesa ritiene quindi lecito ogni intervento medico che non è sostitutivo dell’atto coniugale, ma si configuri "come una facilitazione e un aiuto affinché esso raggiunga il suo scopo naturale" (Donum vitae, II, 6).

Conseguentemente, essa è contraria alle tecniche che provocano una dissociazione dei genitori, con l’intervento di una persona estranea alla coppia (dono di sperma o di ovocita, prestito dell’utero). Le tecniche di fecondazione eterologa ledono il diritto del figlio a nascere da un padre e da una madre conosciuti da lui e tra loro legati dal matrimonio. Tradiscono il diritto esclusivo degli sposi a diventare padre e madre soltanto l’uno attraverso l’altro. Il "no" della Chiesa alla fecondazione eterologa, quindi, è un "sì" al matrimonio e alla famiglia, cellula della società.

Ugualmente, la Chiesa è anche contraria alla fecondazione artificiale omologa, che, oltre ad essere sempre collegata con la distruzione di numerosi embrioni, dissocia l’atto sessuale dall’atto procreatore. L’atto che fonda l’esistenza del figlio non è più un atto con il quale due persone si donano l’una all’altra, bensì un atto che "affida la vita e l’identità dell’embrione al potere dei medici e dei biologi e instaura un dominio della tecnica sull’origine e sul destino della persona umana. Una siffatta relazione di dominio è in sé contraria alla dignità e all’uguaglianza che dev’essere comune a genitori e figli" (Donum vitae, II, 5). Il "no" della Chiesa alla fecondazione artificiale omologa, quindi, è in realtà un "sì" all’amore coniugale. Secondo la volontà di Dio, il figlio deve essere il frutto di un atto di amore e non di una procedura tecnica. Infatti, il figlio ha il diritto di essere "il termine e il frutto di un atto coniugale in cui gli sposi possono farsi cooperatori con Dio per il dono della vita a una nuova persona" (Donum vitae, II, 5).

La produzione artificiale di embrioni, del resto, ha creato una serie di ulteriori e gravissimi problemi etici: ad esempio, quello del congelamento di embrioni umani, della distruzione dei medesimi in molti Paesi dopo alcuni anni, della loro strumentalizzazione per scopi commerciali o di ricerca… Il dilemma etico circa la sorte degli embrioni congelati fa vedere la gravità della problematica della produzione artificiale di embrioni. In questo orizzonte di problemi di difficile soluzione, i "no" della Chiesa alle diverse tecniche di fecondazione artificiale sono in realtà un grande "sì" alla dignità del matrimonio e dell’amore coniugale, che non può essere sostituito dalla tecnica.

La Chiesa al servizio della società

Affermando questi principi fondamentali, ci si avvede come la Chiesa si ponga, in nome di Cristo, al servizio della società umana. Il primo compito dei Pastori, pertanto, è di annunciare il Vangelo di Gesù Cristo e quindi anche il Vangelo della vita (la dignità e i diritti di ogni essere umano) e il Vangelo dell’amore (il valore e i diritti del matrimonio e della famiglia). Un secondo e non meno impegnativo compito è costituito dall’impegno, secondo le possibilità di una società democratica e anzitutto tramite i laici impegnati nella vita politica, per la promulgazione di leggi giuste ed eque oppure per l’abrogazione di leggi ingiuste.

Al riguardo vale il seguente principio fondamentale: "Compito della legge civile è assicurare il bene comune delle persone attraverso il riconoscimento e la difesa dei diritti fondamentali, la promozione della pace e della pubblica moralità. In nessun ambito di vita la legge civile può sostituirsi alla coscienza né può dettare norme su ciò che esula dalla sua competenza; essa deve talvolta tollerare in vista dell'ordine pubblico ciò che non può proibire senza che ne derivi un danno più grave. Tuttavia i diritti inalienabili della persona dovranno essere riconosciuti e rispettati da parte della società civile e dell'autorità politica, perché tali diritti dell'uomo non dipendono né dai singoli individui né dai genitori e neppure rappresentano una concessione della società e dello Stato: "appartengono alla natura umana e sono inerenti alla persona in forza dell'atto creativo da cui ha preso origine". Fra tali diritti fondamentali bisogna a questo proposito ricordare: 1. il diritto alla vita e all'integrità fisica di ogni essere umano dal momento del concepimento alla morte; 2. i diritti della famiglia e del matrimonio come istituzione e, in questo ambito, il diritto per il figlio a essere concepito, messo al mondo ed educato dai suoi genitori" (Donum vitae, III).

Impegnandosi in questo senso, la Chiesa non impone alla società una morale "cattolica", ma offre un prezioso servizio all’umanità e difende quei valori che sono accessibili alla ragione e quindi condivisibili da tutti gli uomini di buona volontà. Oltre ad annunciare la Buona Novella, la Chiesa, attraverso gli strumenti democratici e anzitutto i laici impegnati nella vita politica, cerca quindi di promuovere legislazioni giuste nel campo della bioetica. Questo impegno è un grande "sì" ad un vero umanesimo. Oggi pare molto importante ribadire con forza che dietro ogni "no" del Magistero della Chiesa nel campo della bioetica rifulge, nella fatica del discernimento tra il bene e il male, un grande "sì" alla dignità di ogni singolo essere umano e al valore insostituibile del matrimonio tra un uomo e una donna: un "sì" che è riconoscibile non solo ai credenti, ma anche a coloro che con la ragione cercano la verità.

Angelo Amato
Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede
Piazza Città Leonina, 1 - 00193 Roma

NOTE

1. Conversazione tenuta agli studenti della Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma il 10 aprile 2008. Si tratta di problematiche altamente discusse e attuali oggi e alle quali anche le consacrate sono chiamate a dare il loro contributo di conoscenza e di testimonianza.

2. I. SANNA, L’identità aperta, Queriniana, Brescia 2006, 161.

3. Ibidem, 161.

4. G. NERI-A. SERRA, "La diagnosi prenatale oggi", in La Civiltà Cattolica, 158 (2007) IV, 453-463.

5. Ibidem, 459.

6. I. SANNA, L’identità aperta, 164.

7.Ibidem, 170.

8. Ibidem, 171.

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