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Dati tecnici
Titolo
Originale: Tu ya de hun
shi
Genere:
Drammatico
Regia:
Wang Quan An
Interpreti:
Yu Nan (Tuya), Bater (Bater), Sen Ge (Sen Ge), Zhaya (Zhaya), Peng
Hongxiang (Baolier)
Nazionalità:
Cina
Distribuzione: Lucky Red
Distribuzione
Anno di
uscita: 2007 Origine:
Cina (2006)
Soggetto e
Sceneggiatura: LuWie, Wang Quan An
Fotografia:
(Panoramica/a colori):
Lutz Reitemeier
Musica:
Mongolian Folk Song
Montaggio:
Wang Quan An
Durata:
96'
Produzione:
Yan Jugang
DVD:
Euro 17.99
Note:
Orso d'Oro e Premio della Giuria
Ecumenica al 57mo Festival di Berlino (2007)
La trama
Il matrimonio di Tuya,
di Quanan Wang, descrive una situazione paradossale ambientata nella
sconfinata zona semi desertica della Mongolia cinese. A causa
dell'espansione industriale, molti pastori sono costretti a lasciare la
vita nomade per stabilirsi vicino ai centri abitati. Tra coloro che non
vogliono abbandonare i pascoli c'è Tuya, donna bella e forte, che
rifiuta di allontanarsi dalla sua terra e continua instancabile a vivere
nella steppa con due figli, cento pecore e il marito Bater, rimasto
infortunato nel tentativo di scavare un pozzo per l’acqua. L'uomo,
cosciente della sua infermità, propone alla moglie il divorzio per
offrirle la possibilità di risposarsi ed avere così qualcuno che possa
aiutarla nei lavori faticosi. Con i figli da crescere, il gregge da
portare tutti i giorni al pascolo, in casa c'è bisogno dell’aiuto di un
uomo per risolvere anche il problema dell'acqua. Per una donna è molto
difficile vivere se il pozzo dell’acqua dista 15 chilometri
dall’abitazione e il cammello è l'unico mezzo per raggiungerlo. Ma Tuya
non vuole lasciare il padre dei propri figli e, quando anche lei si
ammala a causa del pesante lavoro, con una concretezza tutta contadina
riconsidera la proposta: sposerà solo chi si farà carico anche del primo
marito, perché lei non intende abbandonarlo. Molti pretendenti si
presentano per chiedere la sua mano, ma per Tuya i problemi non avranno
mai fine.
Per riflettere dopo
aver visto il film
Il film riproduce, con grande cura di
particolari, la vita degli abitanti della Mongolia interna, che
l’industria neocapitalista cinese sta sradicando dal nomadismo e dalla
pastorizia.
La storia, attraverso una
struttura narrativa essenziale ci porta sulla soglia di una tragedia
epocale, i ritmi lenti ed un umorismo dolce-amaro narrano la vita di un
popolo che in nome del progresso vede stravolgere la propria identità.
Le immagini, come una grande finestra aperta, ci proiettano su
spazi sconfinati e brulle distese battute dal vento, dove sparuti
raggruppamenti umani continuano a resistere in situazioni di indigenza e
povertà estrema. Nelle riprese più che i personaggi parlano i
primi piani e le espressioni dei volti, raccontando l’isolamento e le
fatiche di tutti i giorni. I lineamenti dei volti, dai tratti
senza tempo, riempiono la scena e coinvolgono lo spettatore in una
tormentata e sofferta metafora. Un dramma tutto al femminile, che
mette in evidenza l’impegno di conservare le tradizioni e la fatica del
lavoro e della sopravvivenza.
Tuya,
coraggiosa e forte, è costretta a divorziare dal marito invalido e
risposarsi per assicurare un futuro alla sua famiglia. All’inizio del
film, dopo un breve prologo della sua voce fuori campo, nel paesaggio
desertico la vediamo arrivare su un cammello mentre incita un gregge di
pecore. Non sappiamo ancora nulla di lei, ma leggiamo già sul suo viso
il dramma di una donna divisa tra passato e presente, tra fatalità e
amore. Tutto è narrato con intensa umanità che si scontra con la
decisione dura e sofferta che Tuya e Bater sono costretti a prendere:
per portare avanti la loro vita devono cessare di vivere, devono
rinunciare al loro passato, al loro amore, ai loro legami, al loro
futuro. Tuya rappresenta la simbolica incarnazione della forza
femminile su cui poggia questo sperduto popolo come tanti altri
popoli della terra.
Riflettiamo sulle
parole
Del regista Wang Quan An.«Mia
madre è nata nei pressi delle location di questo film nella Mongolia
Interna. Per questo motivo, amo molto la vita mongola, i mongoli e la
loro musica. Quando sono venuto a sapere che le forti espansioni
industriali rendono i terreni da pascolo sempre più simili ad un deserto
e che gli amministratori locali hanno obbligato i pastori a lasciare le
loro terre, ho deciso di usare il cinema per documentare tutti questi
avvenimenti, prima che si perdessero del tutto. Questo matrimonio
particolare è tratto da una vera storia locale. La location di questo
film è l'ultimo terreno da pascolo che non è stato abbandonato dai
pastori mongoli. Gli attori principali sono per lo più pastori locali.
La produzione del film ha incontrato molte difficoltà e quando abbiamo
finito il film, tutta la gente e le case del film sono scomparse. I
fieri mongoli che vanno a cavallo si sono trasformati in contadini che
vivono vicino alla città, o venditori ambulanti che vendono frutta agli
angoli delle strade. Per questo motivo i mongoli sono diventati gente
ordinaria come noi. Questo mi ha molto rattristato: quando ripenso a
tutti quei bellissimi volti mongoli pieni di gioia, tristezza e ferocia
ripresi nel mio film, sento una sorta di pace nel cuore».
Di Gian Filippo Belardo de
L’Osservatore Romano. «Fortemente
radicato alla terra in cui è stato girato, la Mongolia, questo film
cinese assume una valenza universale oltre che per i valori trattati,
per il nitore espressivo e raggiunge in alcune sequenze i vertici della
poesia. Inno agli affetti familiari, scontro fra tradizione e modernità,
esaltazione della dignità e della forza della donna in una società
dominata dall'uomo: sono questi i punti cardine dell'opera. Il regista
ha portato sullo schermo una storia vera, ambientata ai nostri giorni in
un Paese dove è rapida la trasformazione dalla pastorizia
all'industrializzazione; una storia che acquista anche la rilevanza di
ultimo documento di una società arcaica in estinzione».
Utilizzo pastorale
Non è la prima volta che il regista
dissidente Wang Quan An ci offre un chiaro e intenso manifesto sui
primitivi raggruppamenti delle alture mongole. Questo film, cinese per
produzione ma mongolo per ambientazione, evidenzia una realtà fatta di
cose e comportamenti che agli occhi di uno spettatore distratto possono
risultare irrisori e fuori della logica comune. Una drammatica
normalità, raccontata sotto forma di metafora, ci accompagna negli usi e
costumi di una civiltà, ma anche nella distruzione inesorabilità di
un'epoca. Nella Mongolia contemporanea lo sviluppo industriale procede
inesorabile travolgendo le attività legate al passato, come il nomadismo
e la pastorizia, e spingendo le persone nelle anonime periferie di
città. Il matrimonio di Tuya descrive la fatica del vivere umano,
ma offre anche molti spunti di confronto tra tradizione e modernità. Una
denuncia dura, chiara, lineare e affascinante nello stesso tempo. Tuya è
una donna che vive in una società dominata dall’autorità indiscussa
degli uomini, in questa società e con questa autorità deve lottare per
difendere la propria dignità e quella del marito. Lo fa restando
attaccata alla terra e ai valori profondi della sua gente, alla povertà
esterna contrappone semplicemente la sua ricchezza interiore, che
diventa l’anima stessa del film. Il regista sceglie la formula narrativa
della favola per descrivere questa ricchezza e raccontarci la forza
della donna di fronte alle avversità della vita, ma anche la lotta
perenne contro la cupidigia e la sete di dominio dei propri simili. Le
sue lacrime hanno il sapore di una resa finale, ma sono la chiave che ci
consente di sentirla vicina, così vicina da condividerne il dolore e la
fatica. Sono le lacrime di ogni donna che lotta per vivere e amare.
Tematiche: Famiglia;
Matrimonio - coppia; Politica-Società Valutazione del CNVE:
Accettabile/problematico/dibattiti
Il film nella stampa
«Il matrimonio di Tuya
tematizza la ricerca di una nuova forma di convivenza familiare resa
necessaria dalle necessità della vita, questa volta non della vita
urbana, ma della vita contadina in mezzo al deserto della Mongolia
interna (la parte cinese della Mongolia). Lì abita la giovane pastora
Tuya con il marito disabile e due bambi-ni, e combatte ogni giorno per
garantire la sopravvivenza del suo piccolo nucleo familiare. Il
matrimonio di Tuya sembra un viaggio rallentato nello spazio: con
immagini tranquille e spaziose Wan Quan’an ci fa viaggiare con la
pastora Tuya nel paesaggio sublime della Mongolia dove il boom economico
non è ancora arrivato. Tuya, combattendo giorno per giorno per
l’esistenza, sembra essere lontana da dubbi, riflessioni e desideri
tipici dei “cittadini globali”. Questa donna, attraversando uno spazio
enorme con diversi mezzi di trasporto (a piedi, sul cammello, a cavallo,
in macchina, in camion), rappresenta più un principio vitale che
individualistico. Detto in altre parole la condizione umana in se
stessa». (Anne Preckel, www.schermaglie.it, 24 giugno 2007). «Nella pur
vasta produzione cinematografica cinese (ancorché tuttora reclusa ai
circuiti festivalieri), Il matrimonio di Tuya emerge come un
autentico gioiello. La sua ambizione è quella di raccontare una vicenda
umana, al riparo da facili sentimentalismi, da fascinazioni etnografiche
o da intenti moraleggianti. Tuya è un personaggio femminile memorabile
ed emblematico di una condizione attuale a più di una latitudine di
questo nostro vecchio mondo. Animata da una forza e da una
determinazione incrollabili è l'unica ad avere davvero a cuore il
destino della propria famiglia, in un universo maschile assente, gretto
e talvolta persino codardo. In questo modo però la solitudine profonda
di Tuya è ancora più evidente, come pure la sua indipendenza. Non c'è
bisogno di sottolineare il valore politico di una pellicola come questa
in un paese in cui la nascita di una bambina è vista come una disgrazia
e la situazione della donna non è ancora ottimale» (Mauro Corso,
www.filmup.com). «Tuya, il nuovo ritratto di una donna coraggiosa molto
classico nella forma, ma vero e leale. “Il Matrimonio di Tuya” ci
racconta una sorprendente storia di forza e resistenza tutta al
femminile. Una vicenda umana narrata con onestà e sincerità, catturando
sul viso di una donna coraggiosa la sofferenza della propria condizione
mista alla voglia di lottare e l’amore per la famiglia; la bellissima
Nan Yu indossa alla perfezione il ruolo di mamma modello e s’impone
sulla scena per l’espressività del suo sguardo e per la sua presenza.
Raccontando le gesta eroiche e comuni di una madre, il cineasta cinese
porta sullo schermo anche la difficile situazione politica della donna
in un paese pesantemente maschilista, dove i diritti delle donne sono
ancora lontani dall’essere riconosciuti come tali» (Antonio Fantasia,
www.cinelab.it).
A cura di Teresa Braccio
Via Castro Pretorio, 16 – 00186 Roma
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