n. 6 giugno 2008

 

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Il matrimonio di Tuya

Leggiamo insieme il film

a cura di TERESA BRACCIO

 

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Dati tecnici

Titolo Originale: Tu ya de hun shi

Genere: Drammatico

Regia: Wang Quan An

 Interpreti: Yu Nan (Tuya), Bater (Bater), Sen Ge (Sen Ge), Zhaya (Zhaya), Peng Hongxiang (Baolier)

Nazionalità: Cina

Distribuzione: Lucky Red Distribuzione

Anno di uscita: 2007 Origine: Cina (2006)

 Soggetto e Sceneggiatura: LuWie, Wang Quan An

Fotografia: (Panoramica/a colori): Lutz Reitemeier

Musica: Mongolian Folk Song

Montaggio: Wang Quan An

Durata: 96'

Produzione: Yan Jugang

DVD: Euro 17.99

Note: Orso d'Oro e Premio della Giuria Ecumenica al 57mo Festival di Berlino (2007)

 

La trama

Il matrimonio di Tuya, di Quanan Wang, descrive una situazione paradossale ambientata nella sconfinata zona semi desertica della Mongolia cinese. A causa dell'espansione industriale, molti pastori sono costretti a lasciare la vita nomade per stabilirsi vicino ai centri abitati. Tra coloro che non vogliono abbandonare i pascoli c'è Tuya, donna bella e forte, che rifiuta di allontanarsi dalla sua terra e continua instancabile a vivere nella steppa con due figli, cento pecore e il marito Bater, rimasto infortunato nel tentativo di scavare un pozzo per l’acqua. L'uomo, cosciente della sua infermità, propone alla moglie il divorzio per offrirle la possibilità di risposarsi ed avere così qualcuno che possa aiutarla nei lavori faticosi. Con i figli da crescere, il gregge da portare tutti i giorni al pascolo, in casa c'è bisogno dell’aiuto di un uomo per risolvere anche il problema dell'acqua. Per una donna è molto difficile vivere se il pozzo dell’acqua dista 15 chilometri dall’abitazione e il cammello è l'unico mezzo per raggiungerlo. Ma Tuya non vuole lasciare il padre dei propri figli e, quando anche lei si ammala a causa del pesante lavoro, con una concretezza tutta contadina riconsidera la proposta: sposerà solo chi si farà carico anche del primo marito, perché lei non intende abbandonarlo. Molti pretendenti si presentano per chiedere la sua mano, ma per Tuya i problemi non avranno mai fine.

Per riflettere dopo aver visto il film

Il film riproduce, con grande cura di particolari, la vita degli abitanti della Mongolia interna, che l’industria neocapitalista cinese sta sradicando dal nomadismo e dalla pastorizia.

La storia, attraverso una struttura narrativa essenziale ci porta sulla soglia di una tragedia epocale, i ritmi lenti ed un umorismo dolce-amaro narrano la vita di un popolo che in nome del progresso vede stravolgere la propria identità. Le immagini, come una grande finestra aperta, ci proiettano su spazi sconfinati e brulle distese battute dal vento, dove sparuti raggruppamenti umani continuano a resistere in situazioni di indigenza e povertà estrema. Nelle riprese più che i personaggi parlano i primi piani e le espressioni dei volti, raccontando l’isolamento e le fatiche di tutti i giorni. I lineamenti dei volti, dai tratti senza tempo, riempiono la scena e coinvolgono lo spettatore in una tormentata e sofferta metafora. Un dramma tutto al femminile, che mette in evidenza l’impegno di conservare le tradizioni e la fatica del lavoro e della sopravvivenza.

Tuya, coraggiosa e forte, è costretta a divorziare dal marito invalido e risposarsi per assicurare un futuro alla sua famiglia. All’inizio del film, dopo un breve prologo della sua voce fuori campo, nel paesaggio desertico la vediamo arrivare su un cammello mentre incita un gregge di pecore. Non sappiamo ancora nulla di lei, ma leggiamo già sul suo viso il dramma di una donna divisa tra passato e presente, tra fatalità e amore. Tutto è narrato con intensa umanità che si scontra con la decisione dura e sofferta che Tuya e Bater sono costretti a prendere: per portare avanti la loro vita devono cessare di vivere, devono rinunciare al loro passato, al loro amore, ai loro legami, al loro futuro. Tuya rappresenta la simbolica incarnazione della forza femminile su cui poggia questo sperduto popolo come tanti altri popoli della terra.

Riflettiamo sulle parole

Del regista Wang Quan An.«Mia madre è nata nei pressi delle location di questo film nella Mongolia Interna. Per questo motivo, amo molto la vita mongola, i mongoli e la loro musica. Quando sono venuto a sapere che le forti espansioni industriali rendono i terreni da pascolo sempre più simili ad un deserto e che gli amministratori locali hanno obbligato i pastori a lasciare le loro terre, ho deciso di usare il cinema per documentare tutti questi avvenimenti, prima che si perdessero del tutto. Questo matrimonio particolare è tratto da una vera storia locale. La location di questo film è l'ultimo terreno da pascolo che non è stato abbandonato dai pastori mongoli. Gli attori principali sono per lo più pastori locali. La produzione del film ha incontrato molte difficoltà e quando abbiamo finito il film, tutta la gente e le case del film sono scomparse. I fieri mongoli che vanno a cavallo si sono trasformati in contadini che vivono vicino alla città, o venditori ambulanti che vendono frutta agli angoli delle strade. Per questo motivo i mongoli sono diventati gente ordinaria come noi. Questo mi ha molto rattristato: quando ripenso a tutti quei bellissimi volti mongoli pieni di gioia, tristezza e ferocia ripresi nel mio film, sento una sorta di pace nel cuore».

Di Gian Filippo Belardo de L’Osservatore Romano. «Fortemente radicato alla terra in cui è stato girato, la Mongolia, questo film cinese assume una valenza universale oltre che per i valori trattati, per il nitore espressivo e raggiunge in alcune sequenze i vertici della poesia. Inno agli affetti familiari, scontro fra tradizione e modernità, esaltazione della dignità e della forza della donna in una società dominata dall'uomo: sono questi i punti cardine dell'opera. Il regista ha portato sullo schermo una storia vera, ambientata ai nostri giorni in un Paese dove è rapida la trasformazione dalla pastorizia all'industrializzazione; una storia che acquista anche la rilevanza di ultimo documento di una società arcaica in estinzione».

Utilizzo pastorale

Non è la prima volta che il regista dissidente Wang Quan An ci offre un chiaro e intenso manifesto sui primitivi raggruppamenti delle alture mongole. Questo film, cinese per produzione ma mongolo per ambientazione, evidenzia una realtà fatta di cose e comportamenti che agli occhi di uno spettatore distratto possono risultare irrisori e fuori della logica comune. Una drammatica normalità, raccontata sotto forma di metafora, ci accompagna negli usi e costumi di una civiltà, ma anche nella distruzione inesorabilità di un'epoca. Nella Mongolia contemporanea lo sviluppo industriale procede inesorabile travolgendo le attività legate al passato, come il nomadismo e la pastorizia, e spingendo le persone nelle anonime periferie di città. Il matrimonio di Tuya descrive la fatica del vivere umano, ma offre anche molti spunti di confronto tra tradizione e modernità. Una denuncia dura, chiara, lineare e affascinante nello stesso tempo. Tuya è una donna che vive in una società dominata dall’autorità indiscussa degli uomini, in questa società e con questa autorità deve lottare per difendere la propria dignità e quella del marito. Lo fa restando attaccata alla terra e ai valori profondi della sua gente, alla povertà esterna contrappone semplicemente la sua ricchezza interiore, che diventa l’anima stessa del film. Il regista sceglie la formula narrativa della favola per descrivere questa ricchezza e raccontarci la forza della donna di fronte alle avversità della vita, ma anche la lotta perenne contro la cupidigia e la sete di dominio dei propri simili. Le sue lacrime hanno il sapore di una resa finale, ma sono la chiave che ci consente di sentirla vicina, così vicina da condividerne il dolore e la fatica. Sono le lacrime di ogni donna che lotta per vivere e amare.

 Tematiche: Famiglia; Matrimonio - coppia; Politica-Società Valutazione del CNVE: Accettabile/problematico/dibattiti

Il film nella stampa

«Il matrimonio di Tuya tematizza la ricerca di una nuova forma di convivenza familiare resa necessaria dalle necessità della vita, questa volta non della vita urbana, ma della vita contadina in mezzo al deserto della Mongolia interna (la parte cinese della Mongolia). Lì abita la giovane pastora Tuya con il marito disabile e due bambi-ni, e combatte ogni giorno per garantire la sopravvivenza del suo piccolo nucleo familiare. Il matrimonio di Tuya sembra un viaggio rallentato nello spazio: con immagini tranquille e spaziose Wan Quan’an ci fa viaggiare con la pastora Tuya nel paesaggio sublime della Mongolia dove il boom economico non è ancora arrivato. Tuya, combattendo giorno per giorno per l’esistenza, sembra essere lontana da dubbi, riflessioni e desideri tipici dei “cittadini globali”. Questa donna, attraversando uno spazio enorme con diversi mezzi di trasporto (a piedi, sul cammello, a cavallo, in macchina, in camion), rappresenta più un principio vitale che individualistico. Detto in altre parole la condizione umana in se stessa». (Anne Preckel, www.schermaglie.it, 24 giugno 2007). «Nella pur vasta produzione cinematografica cinese (ancorché tuttora reclusa ai circuiti festivalieri), Il matrimonio di Tuya emerge come un autentico gioiello. La sua ambizione è quella di raccontare una vicenda umana, al riparo da facili sentimentalismi, da fascinazioni etnografiche o da intenti moraleggianti. Tuya è un personaggio femminile memorabile ed emblematico di una condizione attuale a più di una latitudine di questo nostro vecchio mondo. Animata da una forza e da una determinazione incrollabili è l'unica ad avere davvero a cuore il destino della propria famiglia, in un universo maschile assente, gretto e talvolta persino codardo. In questo modo però la solitudine profonda di Tuya è ancora più evidente, come pure la sua indipendenza. Non c'è bisogno di sottolineare il valore politico di una pellicola come questa in un paese in cui la nascita di una bambina è vista come una disgrazia e la situazione della donna non è ancora ottimale» (Mauro Corso, www.filmup.com). «Tuya, il nuovo ritratto di una donna coraggiosa molto classico nella forma, ma vero e leale. “Il Matrimonio di Tuya” ci racconta una sorprendente storia di forza e resistenza tutta al femminile. Una vicenda umana narrata con onestà e sincerità, catturando sul viso di una donna coraggiosa la sofferenza della propria condizione mista alla voglia di lottare e l’amore per la famiglia; la bellissima Nan Yu indossa alla perfezione il ruolo di mamma modello e s’impone sulla scena per l’espressività del suo sguardo e per la sua presenza. Raccontando le gesta eroiche e comuni di una madre, il cineasta cinese porta sullo schermo anche la difficile situazione politica della donna in un paese pesantemente maschilista, dove i diritti delle donne sono ancora lontani dall’essere riconosciuti come tali» (Antonio Fantasia, www.cinelab.it).

A cura di Teresa Braccio
Via Castro Pretorio, 16 – 00186 Roma

   

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