n. 9
settembre 2009

 

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Missionarie tra gli emigranti

di GRAZIA LOPARCO

 

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Molte missionarie operarono tra gli emigranti che, si diceva, nell’oceano perdevano la fede. Prima che le traiettorie dei viaggi cambiassero rotta, interpellando oggi le religiose in altra direzione, molti italiani salparono verso gli Stati Uniti in cerca di un futuro più degno.

Come la Chiesa e le congregazioni religiose femminili furono attente a questo fenomeno,che fu una reale emergenza sociale, con il loro impegno di carità? Non si trattava solo di prestare servizi di assistenza. L’intento di preservare alcuni valori umani, culturali, religiosi in un contesto così diverso, ebbe dei risultati? A quali condizioni? Come incise l’attività delle religiose nell’inserimento dei destinatari in una terra nuova? Facilitarono l’integrazione o il richiamo all’Italia giocò come fattore estraniante? E per le missionarie, caratteristiche dell’ambiente provocarono delle modifiche nella loro mentalità, nei processi decisionali e operativi? E nell’intera congregazione, nel governo centrale che le aveva inviate? È noto che in alcuni casi la realtà locale così differente provocò la separazione di una provincia dalla propria congregazione, facendone nascere una nuova. Per quali motivi e con quali conseguenze?

Domande avvincenti sia per la storia, sia per le religiose di ieri e di oggi, interessate a lavorare con gli occhi aperti, consapevoli del loro apporto al proprio tempo. La natura istituzionale della vita religiosa, che unisce un gruppo significativo di persone intorno a un comune progetto di vita, infatti, sottrae l’operato delle singole persone alla sfera privata e ne fa un’azione socialmente rilevante. Sebbene l’intraprendenza creativa o la sottomessa esecutività dipendano dalle persone e dalla formazione ricevuta, appare nondimeno che alcune condizioni ambientali e necessità sviluppano qualità che restano latenti in altre situazioni.

Una ricerca pionieristica

Grazie alla tenacia di alcune studiose è uscito un anno fa un testo ricco di stimoli: Sorelle d’oltreoceano. Religiose italiane ed emigrazione negli Stati Uniti: una storia da scoprire, a cura di Maria Susanna Garroni (Carocci, Roma 2008, 262 p.). Esso è il frutto di un cammino di collaborazione tra persone dedite alla ricerca e alcune congregazioni femminili, che hanno reso disponibile la propria documentazione storica. Così la sensibilità verso tematiche culturali ampie ha dato il giusto risalto a fonti che, spesso, non sembrano significative alle naturali depositarie e perciò rischiano di scomparire nella noncuranza. Sensibilità e risorse attivate in sinergia aprono a promettenti approfondimenti.

Nell’introduzione la curatrice prende atto: «Le attività delle suore nelle loro congregazioni e nelle terre di missioni stanno diventando soggetto storiografico imprescindibile per la ricomposizione della storia delle donne e di genere» (p. 7). Eppure, talora non resta traccia archivistica delle missionarie che operarono in USA. Dunque occorre riscattare dalla dimenticanza il loro operato, per sondare in particolare quanto «di Europa avessero trasferito in America» (p. 9), e nel contempo quanto cambiarono le religiose a contatto con la società americana che si stava formando nella sua connotazione specifica. Questa prospettiva sottende diverse chiavi interpretative e livelli di indagine.

La ricerca ha preso avvio con un gruppo di studiose interessate all’americanistica che, partendo dall’interesse per i processi intercultualie transnazionali, si sono imbattute nel contributo delle religiose e hanno colto che la loro presenza può essere letta su diversi piani. Susanna Garroni ha messo in evidenza come la Chiesa ebbe bisogno delle religiose negli USA per una presenza vicina alla gente. Questo chiama in causa gli interventi della Santa Sede, le richieste e mentalità dei vescovi, l’iniziativa delle congregazioni, la collaborazione in loco. L’ambiente americano, dove vigeva un regime di separazione tra Stato e Chiesa, diverso da quello italiano tra fine Ottocento-inizi Novecento, indusse le missionarie a un rapporto più stretto col mondo circostante, fino a sviluppare capacità imprenditoriali. Nel pluralismo religioso, dove la Chiesa doveva sostenere le proprie iniziative col contributo dei fedeli, esse dovettero scoprire capacità “finanziarie”, “abilità nel produrre, individuare e raccogliere risorse economiche per sostenere scuole, ospedali, parrocchie”. Le religiose contribuirono così “all’intera impalcatura sociale e istituzionale della Chiesa cattolica negli Stati Uniti” (p. 12).

L’asimmetria di genere, ossia il fatto che gli uomini abbandonarono prima la pratica religiosa, mentre le donne restarono più a lungo fedeli, fu correlata alla capillare azione delle suore tra le donne, i bambini, i malati, le famiglie.

L’apostolato come pedina di lancio

Le religiose si caratterizzarono per l’apostolato nei più diversi ambiti dove scorsero un’esigenza, innervandosi così nelle pieghe e piaghe sociali spesso trascurate dalle istituzioni statali. A differenza delle monache, che apparentemente vivono una vita “a parte”, la loro storia è inscindibile da quella sociale. La varietà dei carismi si combina con la complessità della storia statunitense nei primi decenni del Novecento e fa emergere innanzitutto la curiosità sulla quantità delle religiose distribuite nelle varie aree, sull’incremento e sulla curva vitale, sulla tipologia della collaborazione con religiosi, parroci e vescovi, laiche e laici, cattolici e non.

Non è agevole intrecciare studi su soggetti diversi e fonti differenti per ricavarne un mosaico unitario, piuttosto si può partire con spirito pionieristico e modestia da un saggio di piste pertinenti e percorribili, che incoraggiano a proseguire l’indagine e a coinvolgere altri protagonisti. Se finora si conosceva l’esperienza emblematica di santa Francesca Cabrini e diversi studi di Gianfausto Rosoli, ora si aggiunge qualche tassello.

Nel volume Sorelle d’oltreoceano, articolato in otto capitoli e altrettanti studiosi, dopo un saggio introduttivo di Matteo Sanfilippo sul Vaticano e l’emigrazione, io presento - con attenzione alla storiografia disponibile - le trasformazioni generali della vita religiosa femminile, la loro struttura e alcune componenti di una scelta che valorizza la soggettività come risposta a una chiamata liberante e responsabilizzante.

Peter D’Agostino analizza il caso particolare dello scioglimento delle Apostole del Sacro Cuore. Maria Susanna Garroni esamina quello delle suore Pallottine, entrando in alcuni dinamismi relazionali attivati dalla situazione di missione lontana dall’ambiente originario, dove era necessario saper difendere le proprie posizioni. Scontri di personalità furono inevitabili, per il prosieguo di attività intraprese come missione di carità. Essi sono letti alla luce delle categorie “genere e trasnazionalismo”, intendendo le missioni come “emigrazione di massa” di congregazioni religiose italiane in Nord America, segnate da difficili fasi di adattamento (p. 134).

Elisabetta Vezzosi indaga la professionalità crescente delle “suore immigrate”, per aiutare gli immigrati a divenire “leali cittadini americani” (p. 151). Con l’uso della terminologia attuale di social work, poco consona alle categorie di identificazione delle religiose del tempo, sottolinea il tema della preparazione culturale. Da una parte dovevano adeguarsi alle esigenze della società, d’altronde dovevano educarle, secondo i valori maturati in alcune esperienze italiane, ad es. a favore dei disabili. Marie Saccomando Coppola raccoglie testimonianze di suore italo-americane della parte occidentale di New York, accennando sia a dati quantitativi, che a conflitti etnici e personalità di spicco. Analizzando un testo letterario, Leonardo Buonomo esamina il diario di Sister Blandina Segale, mentre Caterina Ricciardi si concentra sulle suore irlandesi per i giovani italo-americani.

Ambiti da esplorare

Gli otto saggi del volume rappresentano dei contributi di storia americana e di storia della Chiesa da un’ottica particolare: quella delle religiose che, vivendo l’apostolato in dimensione universalistica, si aprirono al campo immenso delle missioni. Oltre che segno di generoso distacco, la missione divenne occasione di straordinarie esperienze che arricchirono le persone, gli istituti, la società. La composizione sempre più internazionale delle religiose mise in circolazione modelli, regolamenti, istituzioni, abitudini su cui si dovette riflettere nei capitoli generali o nelle visite delle superiore.

Le fonti esplorate hanno posto in luce soprattutto gli aspetti concreti del lavoro delle religiose, in risposta alle esigenze caritative, assistenziali, educative dei migranti emarginati. Affiora così l’apporto dato nello spazio pubblico, in ordine alla modernizzazione della presenza ecclesiale in USA. Trattandosi però di religiose e non di semplici operatrici sociali, non solo è lecito, ma necessario interrogarsi su motivazioni, mentalità religiosa, mondo interiore che sosteneva le suore nelle missioni. Così pure l’impatto e l’influsso che esercitarono le loro devozioni tra la gente e tra le ragazze, come ad esempio quelle al Sacro Cuore e alla Vergine Maria. Che cosa significarono in ordine all’educazione alla purezza, all’identità femminile, alle sue responsabilità familiari e sociali? C’è molto da esplorare.

Una ricca bibliografia italiana e anglofona aiuta a entrare in un soggetto complesso e affascinante. Le cultrici di storia delle donne e di storia americana hanno avvicinato le religiose a quest’orizzonte storiografico, con rispetto e fine interesse culturale. Ora sarebbe auspicabile attivarsi maggiormente come religiose, per arricchire questo quadro appena abbozzato, che merita di essere meglio conosciuto attraverso storie concrete. Non solo le missionarie eccezionali lasciarono traccia con la loro intraprendenza. Esse agirono in un tessuto comunitario, con altre sorelle, sia italiane che autoctone, con la fatica e la gioia di condividere un progetto di servizio alle persone, partendo da presupposti familiari e culturali molto differenti. La vita di queste comunità, i processi della permanenza di alcuni valori originari e al contempo le loro trasformazioni nella mentalità, possono essere esplorati con maggiore profondità da chi conosce dall’interno la vita religiosa. Il dialogo tra religiose e laiche è oltremodo necessario per ricomporre in modo più articolato questa bellissima storia di amore creativo, tanto attuale in una società multiculturale come era una volta quella nordamericana e come è diventata, a suo modo, anche quella italiana.

Grazia Loparco
Docente alla Pontificia
Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”
Via Cremolino, 141- 00166 Roma

 

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