n. 9
settembre 2009

 

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La sapienza dello sguardo
Lo studio nella vita delle religiose

di NICLA SPEZZATI

 

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«Gli Istituti di vita consacrata hanno sempre avuto un grande influsso nella formazione e nella trasmissione della cultura. […]. Ma al di là del servizio rivolto agli altri, anche all'interno della vita consacrata c'è bisogno di rinnovato amore per l'impegno culturale, di dedizione allo studio come mezzo per la formazione integrale e come percorso ascetico, straordinariamente attuale, di fronte alla diversità delle culture.

Diminuire l'impegno per lo studio può avere pesanti conseguenze anche sull'apostolato, generando un senso di emarginazione e di inferiorità o favorendo superficialità e avventatezza nelle iniziative.

Nella diversità dei carismi e delle reali possibilità dei singoli Istituti, l'impegno dello studio non si può ridurre alla formazione iniziale o al conseguimento di titoli accademici e di competenze professionali.

Esso è piuttosto espressione del mai appagato desiderio di conoscere più a fondo Dio, abisso di luce e fonte di ogni umana verità.

Per questo, tale impegno non isola la persona consacrata in un astratto intellettualismo, né la rinchiude nelle spire di un soffocante narcisismo; è invece sprone al dialogo e alla condivisione, è formazione alla capacità di giudizio, è stimolo alla contemplazione e alla preghiera, nella continua ricerca di Dio e della sua azione nella complessa realtà del mondo contemporaneo.

La persona consacrata, lasciandosi trasformare dallo Spirito, diventa capace di ampliare gli orizzonti degli angusti desideri umani e, nello stesso tempo, di cogliere le dimensioni profonde di ogni individuo e della sua storia, al di là degli aspetti più vistosi ma spesso marginali.

Innumerevoli sono oggi i campi di sfida che emergono dalle varie culture: ambiti nuovi o tradizionalmente frequentati dalla vita consacrata, con i quali urge mantenere fecondi rapporti, in atteggiamento di vigile senso critico ma anche di fiduciosa attenzione verso chi affronta le difficoltà tipiche del lavoro intellettuale, specie quando, in presenza degli inediti problemi del nostro tempo, occorre tentare analisi e sintesi nuove». (VITA CONSECRATA 98)

L’acropoli dell’anima

La tradizione ci consegna, prima con Cicerone, poi con Tommaso d’Aquino, l’idea dello studio come applicatio mentis vehemens, espressione quest’ultima tradotta da Dante nel Convivio come l’applicazione dell’animo innamorato; ma già Platone nel Repubblica aveva espresso la necessità dell’applicazione a tenere l’acropoli dell’anima impegnata: «Altri appetiti, venuti su di soppiatto, per l'insipienza dell'educazione, si fanno molti e gagliardi nell’anima umana [...]. E infine, vistala vuota di dottrina e di nobili studi e veraci ragionamenti - che sono le migliori sentinelle e guardie nell'animo degli uomini cari agli Dei - si impadroniscono dell'acropoli dell'anima giovanile».1

Al vuoto dell’anima corrisponde una passività nella ricerca e nello studio della verità. La verità, definita aletheia (colei che non è nascosta), richiede un vivace movimento di avvicinamento, un cammino spinto dalla meraviglia, una nostalgia di rivelazione.

Aristotele e Teofrasto hanno plasmato un’immagine della verità “non nascosta”, ma rivelata come luce che sempre ci fascia e ci circonda. Le difficoltà nel raggiungimento di essa non dipendono dalla verità stessa, ma da noi uomini: l’occhio della nostra intelligenza è come l’occhio delle nottole, non riesce a vedere quando c’è troppa luce.2 Lo studio della verità, dunque, richiede un occhio interiore allenato, o meglio, che l’occhio interiore si alleni nella ricerca e nell’applicazione amorosa dell’anima in tale “lavoro fascinoso”.

Ancora Platone nel Fedro ci ricorda che: «il motivo per cui le anime mettono tanto impegno per vedere la pianura della verità è che il nutrimento adatto alla parte migliore dell’anima proviene dal prato che è là, e la natura dell’ala con cui l’anima può volare si nutre proprio di questo».3

In un circolo di dedizione amorosa, dunque, l’uomo dedica se stesso alla ricerca che diventando ri-velazione, lo spinge a cercare nuovamente.

 

La sfida dello studio

Nell’animo vuoto, dunque, e passivo, c’è posto e dimora per ogni sorta di “appetito”, nel significato più viscerale del termine. Possiamo traslare e dire per noi, oggi, che nell’anima trovano dimora, nel tempo della fluidità liquida, moduli d’immagini in continuum, frammenti di un puzzle immaginifico, fascinoso e ipnotico.

Ci troviamo a vivere nell’eredità del post-moderno, nel tempo del sub-umano, orizzonte rammentato e civiltà complessa, a scacchi, perfettamente aderenti e solitariamente autistici. Nel tempo planetario, l’illusione della comunicazione virtuale rafforza la solitudine, alimenta il sogno dell’onnipotenza, accende la convinzione della visione globale, solidificando la visione di superficie.

Tutto sembra spiegabile e spiegato, leggibile e letto. L’effimero assurge a norma e moda, offre il gusto del momento e si spegne, come meteora nel buio.

Crediamo di vivere nel “nuovo” perché immagini ininterrotte sul megaschermo - acceso per noi dai network mondiali – ci tuffano in una fluidità da sogno, ci accarezzano e ci stimolano senza sosta. Noi siamo quelle immagini in continuum. Siamo, in superficie, piccoli schermi su cui scorrono le possibilità virtuali. Grande è la sfida che la nostra generazione ha da vivere. Una sfida potente alla vita consacrata sta abitando il millennio della prima decade. Lo smarrimento è uno scotto inevitabile da pagare: perdita d’identità e di storia; perdita di unità e di rotta; perdita di significato e di valori.

Una voglia incontenibile di ancoraggio ci assale e pertanto l’atto dello studium diventa necessità necessitante. Lo studio, come applicazione d’intelligente passione dedicata ai saperi, è per le religiose, nel tempo del virtuale, un imperativo d’intelligenza e d’anima. Necessità di apprendimento e di riflessione lunga, continua e sistematica per acquisire solidità e profondità; per acquisire strumentazione critica e capacità di decodificare i linguaggi della fluidità culturale quotidiana, il senso ultimo dell’andare, gli interrogativi profondi dell’identità umana. Necessità per ricercare nel frammento l’immagine ultima, nelle sollecitazioni e nel baluginio delle verità d’occasione, il rinvio verso la Luce e la Verità.

Per affinare lo sguardo

«Non ridere, né piangere, né detestare le azioni degli uomini, ma cerca di capire per scegliere (sed intelligere)»: così gli autores latini. Per leggere a fondo (intelligere) nei tratti della storia, in una civiltà che si proietta sugli schermi, occorre creare legami di comprensione per scegliere. Vivere, dunque, in attitudine di studio come conoscenza e discernimento.

Lo studio affina lo sguardo a riconoscere, al di là delle finzioni, la realtà umana, allenando, in tale processo ragione e cuore. Una dinamica di passione per l’umanità che s’impara per mezzo di una lunga familiarità con la storia e le discipline dell’umanesimo. Uno studio “matto e disperatissimo” - per dirla con Leopardi - che conduce alla conoscenza dell’uomo e del suo mistero: le sue scelte etiche, le passioni, le glorie, le virtù e i vizi; gli scontri titanici, le arti della guerra e le convivenze della pace; le costruzioni culturali e quelle artistiche; e anche la capacità di edificarsi nella polis e nel diritto; di filosofare tra dubbi, impasse e slanci verso la verità; di desiderare l’Infinito e di piegare le ragioni della ragione nell’umiltà della fede.

Lo studio delle religiose è segnato, oggi, dalla passione per l’umano e la sua storia? Oppure, scavalcando tale conoscenza, si accultura per settorialità, in vista di un servizio immediato? Viviamo in tempi nei quali si corre il rischio di smarrire il senso dello studio e di vederlo solo in maniera funzionale a un ministero. Certamente lo studio “serve” l’uomo e lo aiuta a “servire”, ma si rischia di vivere lo studio in maniera occasionale e funzionale, e non più come una forte e preziosa esperienza di vita e di umanesimo cristiano.

Dire che l’eredità, che ci è stata consegnata dal monachesimo, è segnata dal sigillo dell’humanitas significa raccontare storia nota. Suscitare la domanda circa gli studi che i religiosi, anche delle nuove generazioni, conducono e circa il tempo che dedicano a scrutare l’humanum e la sua storia può avviare una stimolante riflessione.

Soluzioni creative

La Chiesa, Sposa del Verbo incarnato, è indissolubilmente coniugata alla storia, in un continuo processo, che relaziona il suo paradigma di valori (assiologia) a strutture e forme culturali. Noi religiose in occidente siamo toccate dai numerosi significati dell’humanum venuti a maturazione e a successiva frantumazione. In primo piano va fatta memoria dell'esperienza della pluralità, della discontinuità e della particolarità come processo di progressiva differenziazione.

Siamo in una condizione di radicale pluralità.4 In questo nostro secolo il pluralismo acquista un’accelerazione esplosiva per la differenziazione dei modi di vivere, dei modelli di pensiero, dei sistemi di orientamento, delle modalità di azione, della massiccia marginalizzazione del fatto religioso.

L'attuale cambiamento culturale, come ha indicato Benedetto XVI, è spesso considerato una sfida al cristianesimo stesso, piuttosto che un orizzonte sullo sfondo del quale possono e devono essere trovate soluzioni creative: «La questione dell'uomo, e quindi della modernità, sfida la Chiesa a escogitare modi efficaci di annuncio alla cultura contemporanea del "realismo"

della propria fede nell'opera salvifica di Cristo. Il cristianesimo non va relegato al mondo del mito o dell'emozione, ma deve essere rispettato per il suo anelito a fare luce sulla verità sull'uomo, a essere in grado di trasformare spiritualmente gli uomini e le donne, e quindi a permettere loro di realizzare la propria vocazione nel corso della Storia».5

In occidente stiamo vivendo una mutazione simile a quella avvenuta agli inizi del XIX secolo, che con lo sviluppo delle congregazioni religiose, così dette di voti semplici, specie femminili, toccò in modo considerevole l’Europa. Le congregazioni si inserirono - come fermento spirituale, culturale, caritativo e come forma storica - nel tessuto sociale del continente antico.

In tale mutazione anche la forma storico-culturale della vita consacrata è entrata nel processo di rielaborazione, proprio di ogni realtà che, in grado di riappropriarsi della propria identità, riesce a diventare soggetto di trasformazione. Le nostre comunità si muovono su tale orizzonte di riferimento e vivono, con maggiore o minore consapevolezza tale crisi. L’attitudine allo studio-discernimento aiuta a prendere coscienza di tale situazione.

Il flusso delle culture; le evoluzioni antropologiche, sociali, comunicative sono spazi di rivelazione in cui bisogna entrare per discernere ed iniziare processi di elaborazione verso nuove sintesi. «Quante volte, anche la vita religiosa ha mancato a importanti appuntamenti con la storia per un eccessivo attaccamento all’esistente, ai consueti modi di fare, a una ripetitività acritica […]», ma anche la superficialità culturale è stata alla base «di alcune fughe in avanti, talvolta tributarie di una lettura dei segni dei tempi acriticamente troppo subordinate alla cultura e alle mode dominanti».6

Lo studio-discernimento collettivo (congregazionale e intercongregazionale) può essere luogo di accoglienza dello Spirito (cf Vita consecrata 52-53) come l’umiltà di uno studio corale, condotto dai religiosi/e, può spingere a confronti e nuove sintesi esigiti anche da orizzonti ecumenici: «Anche la conoscenza della storia, della dottrina, della liturgia, dell'attività caritativa e apostolica degli altri cristiani non mancherà di giovare ad un’azione ecumenica sempre più incisiva» (ivi 101).

Lo sguardo femminile

«È doveroso rilevare che la nuova coscienza femminile aiuta anche gli uomini a rivedere i loro schemi mentali, il loro modo di autocomprendersi, di collocarsi nella storia e di interpretarla, di organizzare la vita sociale, politica, economica, religiosa, ecclesiale» (ivi 57), così Vita onsecrata, apriva alla necessità del confronto.

Il maschile e il femminile nella Chiesa hanno da percorrere vie di reciprocità per fare storia comunionale (cf ivi 58). Lo sguardo femminile può alimentare uno studium come comprensione

“altra”. Alla donna, forse, viene chiesto un intelletto d’amore; uno sguardo che sappia “covare” le nuove nascite; che sappia “custodire” l’originaria bellezza; uno sguardo creativo che conduca la ragione a sapienza; uno sguardo pedagogico che sappia chinarsi nei cammini quotidiani e noti per accendere vita. Per scrutare la storia e per annunciare la resurrezione.

Nella Mulieris dignitatem, Giovanni Paolo II ricorda: «Nella nostra epoca i successi della scienza e della tecnica permettono di raggiungere in grado finora sconosciuto un benessere materiale che, mentre favorisce alcuni, conduce altri all'emarginazione. In tal modo, questo progresso unilaterale può comportare anche una graduale scomparsa della sensibilità per l’uomo, per ciò che è essenzialmente umano.

In questo senso, soprattutto i nostri giorni attendono la manifestazione di quel “genio” della donna che assicuri la sensibilità per l'uomo in ogni circostanza» (n. 30).

La saggezza nel servizio d’autorità

Negli andamenti critici delle culture, nei processi di mutazione, e di rifusione, che stanno ridisegnando l’umano, anche la tensione delle religiose che servono in autorità assume la valenza di studium. Studium come sguardo teso, in primo luogo alla persona consacrata, familiaris et soror: per dirigerla verso l’attitudine sapienziale di vita; per allenarla alla cultura dell’umano, condotto a pienezza cristiana; per permetterle l’esercizio della riflessione valoriale. E anche per aiutarla a custodire la sacralità dell’essere, affinché non si spenda in eccesso secondo i valori dell’adoperabilità e dell’utilità; per evitare che trasformi il “sapere cristiano” in una costellazione d’interventi efficaci.

Studium come incoraggiamento alla persona consacrata affinché s’impegni a cercare i fondamenti metafisici della condizione umana, laddove il Verbo, prendendo dimora, fa risplendere la sua Luce. La Chiesa esorta: «Una solida formazione intellettuale, che risponda alle finalità della vocazione e missione del proprio Istituto, è pure a base di una equilibrata e ricca vita di preghiera e di contemplazione. Perciò lo studio e l’aggiornamento sono raccomandati come fattori di un sano rinnovamento della vita religiosa, nella Chiesa e per la società dei nostri tempi (PC 2,c-d; ES II, 16): «Gli studi siano programmati non quasi fossero una male intesa realizzazione di sé, per raggiungere finalità individuali, ma affinché valgano a rispondere alle esigenze di progetti apostolici della stessa Famiglia religiosa in armonia con le necessità della Chiesa» (MR 26).7

Infine, studium come cura della “saggezza” nella propria persona, mentre si spende nel servizio d’autorità. Esperienza offerta come consiglio: «Se vorrai star bene, cura soprattutto la salute dell’anima, e poi quella del corpo, la la saggezza. Affido agli scritti consigli salutari, come se fossero ricette di medicine utili; ne ho sperimentato l’efficacia sulle mie ferite, che pur non essendo completamente guarite, tuttavia hanno cessato di estendersi».8

In dialogo con la vita e le culture

Da ultimo, riflettere sulla necessità di un «rinnovato amore per l'impegno culturale, di dedizione allo studio come mezzo per la formazione integrale e come percorso ascetico, straordinariamente attuale, di fronte alla diversità delle culture» (Vita consecrata 98), significa

necessariamente provocare a rinnovamento le comunità e l’intera Famiglia religiosa in ordine all’identità, alla vitalità carismatica e alle dinamiche formative poste in atto quotidianamente. Il carisma, qualsiasi sia la sua specificità spirituale e apostolica, per esprimersi in modo adeguato e vivo, ha sempre bisogno di far dialogare momento formativo e momento intellettuale, così come ha sempre bisogno di mantenere entrambi in dialogo con la vita e le culture del tempo.

Per sollecitare e favorire tale dinamica non è sufficiente un gesto sporadico; qualche decisione o scelta operativa. Si tratta di avviare e sostenere un evento permanente che ha rapporto e incidenza sull’intera vita comunitaria e personale. Per questo motivo, si deve mettere a fuoco, con paziente attenzione, uno stile di vita che consenta di perseguire l’intento: dare forma ad un ambiente il cui clima abituale sia quello dello sguardo sapienziale, attento, amoroso alla vita, alle persone, sguardo volto a scoprire e a vivere le opportunità di crescita umana e spirituale.

Il respiro dell’intelletto, e del suo indagare amoroso e umile, potrà essere sostenuto: dall’approccio sapienziale alla Parola; dal senso dell’ascolto e del silenzio; dal senso del limite e dell’umiltà di fronte alla vastità del sapere; dalla condivisione semplice del frutto della propria fatica; dall’abitare il proprio spazio interiore; dal vivere la dimensione dello scavo e del discernimento; dalla passione per l’umano con le sue domande di senso e di sofferenza.

Dunque un insieme di attitudini, di scelte e di azioni da curare perché si edifichi un ambiente significativo e si testimoni lo stile carismatico dell’Istituto.

Conclusione

Lo studio come sapienza dello sguardo. Simone Weil ha un saggio di notevole spessore: «Riflessioni sull’utilità degli studi scolastici al fine dell’amore di Dio» che in verità andrebbe riletto per spunti utili. Lo studio, fine illuminazione dell’intelletto, viene vissuto come propedeutica all’intelletto d’amore. È il passaggio che può accadere per noi religiose, assaporando con umiltà il mistero divino scritto nella ricerca umana della verità.

Onorando l’intelligenza, alimentiamo con lo studio la sapienza del nostro sguardo per acquistare coscienza della preziosità e della dignità della persona umana e della sua vocazione alla vita: «Eppure tu l'hai fatto solo di poco inferiore a Dio, e l'hai coronato di gloria e d'onore» (Sal 8).

Vivere lo studio come attitudine contemplativa. Vivere lo studio come abilità alla elaborazione comunitaria ed ecclesiale dei dati storici. Vivere lo studio come pedagogia conviviale, aprendo le nostre comunità all’incontro, laddove uomini e culture possono riconoscere la propria identità di cercatori di Dio. Vivere lo studio come accoglienza della libera creatività dello Spirito Santo. Vivere lo studio con occhi di donna. Nella civiltà del frammento e della solitudine collettiva può significare tessere un filo rosso.

1 PLATONE, Repubblica, 560b.

2 Cf ARISTOTELE, Metafisica, II, 993° 30-b12.

3 PLATONE, Fedro, 127° 12-c 46.

4 Cf W. WELSCH, «Hegel und die analytische Philosophie», in Information Philosophie, 1 (2000).

5 BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti all’incontro dei rettori e docenti delle Università Europee. Un nuovo umanesimo per l’Europa, Città del Vaticano 2007, 25 giugno.

6 P. G. CABRA, «Uomini dello Spirito, generatori di santità e cultura», in CISM (ed.), Santità, Cultura, Impegno. I religiosi nel terzo millennio, Rogate, Roma 1996, 50-51.

7 CIVCSVA, La dimensione contemplativa della vita religiosa, Libreria Editrice Vaticana 2002, 19. Cf Vita consecrata 71.

8 SENECA, Lettere a Lucilio, 8, 2.

 

Nicla Spezzati
Responsabile della rivista
Sequela Christi CIVCSVA
Piazza Pio XII, 3 - 00193 Roma

 

 

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