n. 3
marzo 2010

 

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Un'oblazione a Dio gradita

di MARIAMARCELLINA PEDICO

 

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Senza dubbio l’insegnamento di Benedetto XVI, intenso e coinvolgente, suscita curiosità e stupore, provoca e interpella. Soprattutto esige un sostare calmo e meditativo su parole cariche di essenzialità e di forza evocativa. Si rileggano ad esempio le venti «catechesi» su san Paolo, pronunciate dal Papa durante l’anno dedicato al grande Apostolo (2 luglio 2008-4 febbraio 2009). Come gli ascoltatori raccolti nell’aula Paolo VI o in piazza San Pietro siamo interpellati a trovare opportune risposte agli interrogativi circa la nostra personale adesione a Cristo e al Vangelo. Di fatto, a mano a mano che riscopriamo Paolo attraverso le profonde lezioni del Santo Padre, riconosciamo in pari tempo i tratti inconfondibili che ci devono caratterizzare, sapendo di essere posti tra l’istanza dell’annuncio e l’urgenza della testimonianza. Uno di questi aspetti riguarda “il culto spirituale”, argomento svolto da Benedetto XVI nella catechesi di mercoledì 7 gennaio 2009. Riproporne alla nostra attenzione alcuni brani vuole essere un modo per ridare importanza, in questo anno sacerdotale, alla lezione liturgica che Paolo rilancia a tutta la Chiesa. Premesso che oggi si comprende meglio che l’Apostolo vede nella croce di Cristo una svolta storica, che trasforma e rinnova in modo radicale la realtà del culto, il Papa propone alla riflessione tre testi della Lettera ai Romani, dove appare la nuova visione del culto.

Nella Lettera ai Romani 3,25, dopo aver parlato della “redenzione realizzata da Cristo Gesù”, Paolo continua con una formula per noi misteriosa, precisa il Santo Padre: Dio lo «ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede nel suo sangue». Con questa espressione - strumento di espiazione - Paolo accenna al cosiddetto “propiziatorio”, cioè il coperchio dell'arca dell'alleanza custodita nel tempio. Era un oggetto intoccabile perché su di esso dimorava la Gloria di Dio ed era pensato come punto di contatto tra Dio e l’uomo. Un giorno all’anno il sommo sacerdote compiva il rito solenne di espiazione dei peccati del popolo, spargendo su di esso il sangue di un agnello. In tal modo veniva ristabilita la relazione piena tra Dio e Israele. San Paolo accenna a questo rito, espressione del desiderio che si potessero realmente mettere tutte le nostre colpe nell'abisso della misericordia divina e così farle scomparire. Ma con il sangue di animali non si realizza questo processo. Era necessario un contatto più reale tra colpa umana ed amore divino. Questo contatto ha avuto luogo nella croce di Cristo. Cristo, Figlio vero di Dio, fattosi uomo vero, ha assunto in sé tutta la nostra colpa. Egli stesso è il luogo di contatto tra miseria umana e misericordia divina; nel suo cuore si scioglie la massa triste del male compiuto dall'umanità, e si rinnova la vita. Rivelando questo cambiamento, san Paolo afferma:Con la croce di Cristo - l'atto supremo dell'amore divino divenuto amore umano - il vecchio culto simbolico e provvisorio è finito. Esso è sostituito dal culto reale: l’amore di Dio incarnato in Cristo e portato alla sua completezza nella morte sulla croce. Già prima della distruzione esterna del tempio, per Paolo l'era del tempio e del suo culto è finita. Paolo si trova qui in perfetta consonanza con le parole di Gesù, che aveva annunciato la fine del tempio ed annunciato un altro tempio “non fatto da mani d'uomo”, il tempio del suo corpo risuscitato (cf Mc 14,58;Gv 2,19ss).

«Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale». In queste parole della Lettera ai Romani 12,1 si verifica,sottolinea Benedetto XVI, un apparente paradosso: mentre il sacrificio esige di norma la morte della vittima, Paolo ne parla invece in rapporto alla vita del cristiano. L'espressione “presentare i vostri corpi”, stante il successivo concetto di sacrificio, assume la sfumatura cultuale di “dare in oblazione, offrire”. L'esortazione a “offrire i corpi” si riferisce alla persona concreta, nella sua interezza. Si tratta dunque di un culto che coinvolge l’uomo intero – non semplicemente il suo spirito, la sua interiorità – e attraverso l’uomo il mondo. Del resto, l'esplicito riferimento alla dimensione fisica del cristiano coincide con l'invito a “glorificare Dio nel vostro corpo” (1Cor 6,20): si tratta cioè di onorare Dio nella più concreta esistenza quotidiana, fatta di visibilità relazionale e percepibile.

Un comportamento del genere viene da Paolo qualificato come “sacrificio vivente, santo, gradito a Dio”. È qui che incontriamo appunto il vocabolo “sacrificio”. Nell'uso corrente questo termine fa parte di un contesto sacrale e serve a designare lo sgozzamento di un animale, di cui una parte può essere consumata dagli offerenti in un banchetto. Paolo lo applica invece alla vita del cristiano. Infatti egli qualifica un tale sacrificio servendosi di tre aggettivi. Il primo - vivente - esprime una vitalità. Il secondo - santo - ricorda l'idea paolina di una santità legata non a luoghi o ad oggetti, ma alla persona stessa dei cristiani. Il terzo – gradito a Dio - richiama la frequente espressione biblica del sacrificio “in odore di soavità” (cf Lev 1,13.17; 23,18). Un tale olocausto vivo non può che essere santo, e gradito a Dio infinitamente di più che gli animali offerti da Israele. Questo culto è definito da Paolo culto spirituale.

Paolo ripete così quanto aveva già indicato nel capitolo 3. Il tempo dei sacrifici di animali, sacrifici di sostituzione, è finito. È venuto il tempo del vero culto. Cristo, nella sua donazione al Padre e a noi porta realmente in sé l'essere umano, le nostre colpe ed il nostro desiderio; ci rappresenta realmente, ci assume in sé. Nella comunione con Cristo, realizzata nella fede e nei sacramenti, diventiamo, nonostante tutte le nostre insufficienze, sacrificio vivente: si realizza il “culto vero”.

«La grazia che mi è stata concessa da parte di Dio di essere “liturgo” di Cristo Gesù per i pagani, di essere sacerdote del vangelo di Dio perché i pagani divengano un’oblazione gradita, santificata nello Spirito Santo » (Rm 15,16). Benedetto XVI in questo terzo brano della Lettera ai Romani sottolinea due aspetti. «Innanzitutto, san Paolo interpreta la sua azione missionaria tra i popoli del mondo per costruire la Chiesa universale come azione sacerdotale. Annunciare il Vangelo per unire i popoli nella comunione del Cristo risorto è un’azione “sacerdotale”. L'apostolo del Vangelo è un vero sacerdote, fa ciò che è il centro del sacerdozio:prepara il vero sacrificio. E poi il secondo aspetto: la meta dell'azione missionaria è la liturgia cosmica: che i popoli uniti in Cristo - il mondo - diventino gloria di Dio, “oblazione gradita, santificata nello Spirito Santo”. Qui appare l'aspetto dinamico, l'aspetto della speranza nel concetto paolino del culto: l'autodonazione di Cristo implica la tendenza di attirare tutti alla comunione del suo Corpo, di unire il mondo. Solo in comunione con Cristo, il mondo diventa specchio dell'amore divino. Questo dinamismo è presente sempre nell'Eucaristia; questo dinamismo deve ispirare e formare la nostra vita».

Amiche lettrici e cari lettori, il terzo numero del 2010 di Consacrazione e Servizio che avete tra mano si apre con la rubrica: «Figlie della promessa», affidata al biblista Tiziano Lorenzin, in sintonia con il tema annuale della Presidenza dell’USMI. Continua la riflessione sul cammino di Abramo che è invitato ad attendere con pazienza piena di fede che la parola di Dio si realizzi.

«Anno sacerdotale» e «Orizzonti». Nella prima rubrica Paola Bignardi intervista il diacono Davide Arcangeli - diventerà prete tra qualche mese - della diocesi di Rimini. È entrato in seminario dopo la laurea in ingegneria e dopo essere stato per due anni Presidente Nazionale della FUCI. La seconda rubrica arricchisce il numero con due contributi di genere diverso: il primo, della salesiana Bernadette Sangma, intende dare una risposta all’interrogativo: «A che punto sono i diritti delle donne?». Una domanda particolarmente pertinente quest’anno in cui si commemorano i 15 anni della Quarta Conferenza Mondiale sulla Donna svoltasi a Beijing nel 1995. Il secondo contributo, di Grazia Loparco, docente a Roma alla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”, presenta in maniera interrogativa un tema singolare: Le religiose italiane sono un mondo a parte in rapporto alla ricorrenza dei 150 anni dell’Unità d’Italia? La documentazione al riguardo le presenta come tessitrici di unità nazionale e in prima fila nelle emergenze. Purtroppo nulla di tutto questo appare nel Museo dell’Emigrazione italiana

allestito presso il Vittoriano a Roma.

Una parola particolare per il «Dossier». Sotto il titolo: «Il frutto dello Spirito è fedeltà», espressione tratta dalla Lettera ai Galati 5,22, sono raccolti sei studi come contributo della rivista in occasione dell’anno sacerdotale annunciato da Benedetto XVI il 16 marzo 2009, ed esplicitato nella frase: «Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote». Il Dossier si apre con essenziali proposte e provocazioni per la Chiesa da parte del direttore del Centro Nazionale Vocazioni (Nico dal Molin); prosegue con efficaci sottolineature sul perché il presbitero – mistero insondabile - è dono del Signore per la Chiesa (Corrado Maggioni); indugia in ambito liturgico sul sacerdozio di Cristo, dei ministri e del popolo cristiano (Pietro Sorci); individua lo specifico proprio della vita consacrata in rapporto alla ministerialità liturgica, in ragione della chiamata alla radicalità evangelica: quella di formare, di aiutare fratelli e sorelle a crescere nella competenza celebrativa (Antonella Meneghetti); prosegue con il presentare le svolte fondamentali nel rapporto sacerdoti e suore, svolte legate a mutamenti socio-culturali e socio-religiosi complessi e molteplici che toccano i singoli e la collettività (Marcella Farina). Chiudono il Dossier le riflessioni-risposte ad una domanda importante e inconsueta: Cosa chiedono i fedeli ai sacerdoti? Marina Corradi, inviato e editorialista di Avvenire, a questa domanda tanto complessa dà una sua personale risposta. Anche il presente Editoriale contribuisce ad ampliare il tema sull’anno sacerdotale.

Oltre alle consuete esplorazioni sui film (Teresa Braccio) e le segnalazioni di libri (Rita Bonfrate), va accennata la rubrica: «Facce di preti», affidata alla teologa Cettina Militello, che rilegge in maniera critica i romanzi classici sui preti. Dopo il celebre Diario di un curato di campagna del romanziere Georges Bernanos e il Don Camillo di Giova ni Guareschi, in questo numero viene presentato Il potere e la gloria dello scrittore Graham Greene.

La ricchezza dei contenuti con la varietà degli articoli, e la grafica accurata del fascicolo, fanno della rivista uno strumento formativo di piacevole lettura, come tanti ci hanno scritto o espresso a voce. L’augurio è allora: buona lettura.

Maria Marcellina Pedico
Serve di Maria Riparatrici
Via Monte Velino, 30 - 00141 ROMA
m.pedico@smr.it