n. 3
marzo 2010

 

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I presbiteri
Un dono nella Chiesa

di CORRADO MAGGIONI

 

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Come tutti i doni di Dio, anche il sacerdote è un mistero insondabile. È dono del Signore per la vitalità del suo Corpo mistico, che è la Chiesa. Impossibile dire chi è il prete senza riferirsi al Cristo vivente nella Chiesa. Lo ricorda così il Vaticano II: «La funzione dei presbiteri, in quanto vincolata all’ordine episcopale, partecipa dell’autorità con la quale Cristo stesso fa crescere, santifica e governa il proprio Corpo» (Presbyterorum ordinis 2).

Ogni sacerdote è un dono

Il presbiterato è un dono sempre da riscoprire da parte di chi lo ha ricevuto immeritatamente. Ogni prete lo sa bene: non è la carne e il sangue che hanno prodotto il mistero che palpita nella sua persona, che passa attraverso le sue parole ed azioni, bensì la grazia che sgorga dal costato del Redentore. Nessuno diventa prete perché lo vuole lui! Lo ricorda nel rito di ordinazione la chiamata del Vescovo: ad essa chi è chiamato risponde eccomi, rendendosi disponibile a lasciarsi fare dal Cristo, docile al suo Spirito. Che sia un dono lo ricorda in particolare l’imposizione delle mani da parte del Vescovo, gesto con il quale il sacerdote viene “creato”. Nessuno se lo può dare questo dono, ma si può soltanto riceverlo con umiltà e

rendimento di grazie. L’imposizione delle mani per un prete è un po’ come l’adombrazione che avvenne per Maria a Nazaret: lo Spirito Santo effuso su di lei ha fatto davvero grandi cose nella sua piccola realtà umana.

Anche per i fedeli laici il sacerdote è un dono sempre da riscoprire, dal momento che la loro comunione con Cristo passa e si costruisce grazie al suo ministero. Chi può presumere di sentirsi unito a Cristo senza attingere tale comunione dai sacramenti, specialmente dall’Eucaristia? Ma non è data Eucaristia senza sacerdote: insieme sono stati voluti da Gesù la vigilia della sua Passione. Perciò nella messa vespertina del Giovedì Santo commemoriamo sia l’istituzione dell’Eucaristia sia quella dell’Ordine sacro. Il vincolo tra Eucaristia e sacerdote lo ha ricordato così Giovanni Paolo II: «L’assemblea che si riunisce per la celebrazione dell’Eucaristia necessita assolutamente di un sacerdote ordinato che la presieda per poter essere veramente assemblea eucaristica. D’altra parte, la comunità non è in grado di darsi da sola il ministro ordinato. Questi è un dono che essa riceve attraverso la successione episcopale risalente agli Apostoli» (Enciclica Ecclesia de Eucharistia 29).

Collaboratori di unità

Il presbiterato riguarda sì una persona concreta, senza tuttavia fermarsi soltanto ad essa. È un dono innestato in un flusso vitale che discende dal Cristo, passa per il ministero del Vescovo restando ad esso ancorato, ed ha come destinatario l’intero popolo di Dio, in ogni sua componente e stato di vita.

Che sia un dono elargito “nella” Chiesa e non al di fuori di essa né contro di essa, lo attesta il fatto che i presbiteri non si pongono in maniera autonoma in ciò che fanno e dicono, essendo i collaboratori dell’ordine episcopale: «Nelle singole comunità locali di fedeli essi rendono, per così dire, presente il Vescovo, cui sono uniti con animo fiducioso e aperto, condividono in parte le sue funzioni e la sua sollecitudine e le esercitano con dedizione quotidiana » (Lumen Gentium 28). Il riscontro evidente di tale relatività è il fatto che nella Preghiera eucaristica il presbitero nomina, dopo il Papa, il nome del Vescovo, segno che il suo ministero eucaristico-ecclesiale, necessario alla vita della Chiesa, è relativo a chi costituisce il fondamento della Chiesa. In effetti, «i sacerdoti non possono esercitare il loro ministero se non in dipendenza dal Vescovo e in comunione con lui» (Catechismo della Chiesa Cattolica 1567).

Che il presbitero respiri “nella Chiesa” lo attesta ancora il vincolo sacramentale con gli altri presbiteri, ragione del collegio presbiterale appunto: «I presbiteri, costituiti nell'ordine del presbiterato mediante l'ordinazione, sono tutti legati tra loro da un'intima fraternità sacramentale; ma in modo speciale essi formano un unico presbiterio nella diocesi al cui servizio sono ascritti sotto il proprio Vescovo. […]. Tutti lavorano per la stessa causa, cioè l’edificazione del Corpo di Cristo» (Presbyterorum Ordinis 8). Ciò è sottolineato nel rito di ordinazione dal fatto che anche i presbiteri presenti – dopo il Vescovo – impongono le mani sul capo dell’eletto.

Così il presbitero nasce ed opera nella Chiesa. Agisce in persona di Cristo Capo, ma opera anche a nome della Chiesa. Lo richiama il Catechismo della Chiesa Cattolica spiegando che «ciò non significa che i sacerdoti siano delegati della comunità. La preghiera e l'offerta della Chiesa sono inseparabili dalla preghiera e dall'offerta di Cristo, suo Capo. È sempre il culto di Cristo nella e per mezzo della sua Chiesa. È tutta la Chiesa, Corpo di Cristo, che prega e si offre, “per ipsum et cum ipso et in ipso” - per lui, con lui e in lui - nell'unità dello Spirito Santo, a Dio Padre. Tutto il Corpo, “caput et membra” – capo e membra - prega e si offre; per questo coloro che, nel Corpo, sono i ministri in senso proprio, vengono chiamati ministri non solo di Cristo, ma anche della Chiesa. Proprio perché rappresenta Cristo, il sacerdozio ministeriale può rappresentare la Chiesa» (n. 1553).

Una vita donata

Come il Vescovo, anche i preti sono ministri (servi) del Cristo vivente nelle membra del suo

Corpo. «Perciò i presbiteri nello svolgimento della propria funzione di presiedere la comunità devono agire in modo tale che, non mirando ai propri interessi ma solo al servizio di Gesù Cristo uniscano la loro opera a quella dei fedeli laici, comportandosi in mezzo a loro secondo l’esempio del Maestro, il quale fra gli uomini “non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita per la redenzione della moltitudine” (Mt 20,28). I presbiteri riconoscano e promuovano lealmente la dignità dei laici e il ruolo specifico che i laici ricoprono nella missione della Chiesa » (Presbyterorum ordinis 9).

Coinvolti al servizio del Cristo, maestro, sacerdote e pastore, i presbiteri ne prolungano dunque la missione. Volto a edificare l’unità dei credenti in un solo Corpo, il ministero presbiterale chiama in causa l’annuncio del Vangelo, la celebrazione dei sacramenti, la preghiera. Sono queste le istanze che risuonano ripetutamente nel rito di ordinazione, sia nell’omelia proposta, sia nell’assunzione degli impegni da parte degli eletti, sia nella preghiera di ordinazione. In questa il Vescovo chiede a Dio che «siano insieme a noi fedeli dispensatori dei tuoi misteri, perché il tuo popolo sia rinnovato con il lavacro di rigenerazione e nutrito alla mensa del tuo altare; siano riconciliati i peccatori e i malati ricevano sollievo. Siano uniti a noi, o Signore, nell’implorare la tua misericordia per il popolo a loro affidato e per il mondo intero».

Il sacerdozio è un dono di Dio che implica un’oblazione sincera a Dio, cioè ai suoi disegni di salvezza a beneficio dell’umanità, adesso e qui. In questo senso il darsi a Dio coincide con il donarsi agli altri, per gli altri, senza interessi particolari, ma con libertà e gratuità. E viceversa, spendendosi per il bene altrui, il prete dimostra la verità del suo amore per Dio. Sull’esempio di Cristo Gesù! In effetti il prete si dona a Dio non perché Dio ne abbia bisogno per sé, ma perché Dio vuole aver bisogno del sacerdote per elargire se stesso a tutti coloro che desiderano incontrarlo. Lo ha rammentato il Papa Benedetto XVI nell’omelia del Giovedì Santo del 2009: «Il sacerdote viene sottratto alle connessioni del mondo e donato a Dio, e proprio così, a partire da Dio, deve essere disponibile per gli altri, per tutti». Ecco perché nel ministero sacerdotale si incrociano la direzione verticale e quella orizzontale, lo sguardo al cielo e alla terra, la dedizione a Dio e all’uomo.

Il sacerdote è chiamato ad assomigliare al pane che consacra sull’altare per la vita della Chiesa: pane consacrato perché sacrificato. Pane spezzato per creare comunione. Pane donato per suscitare oblazioni. È difficile corrispondere degnamente a questa vocazione cristologico-ecclesiale, ogni giorno, tra incomprensioni di altri e proprie miserie. Perciò il prete ha bisogno della preghiera, del sostegno, dell’amicizia, della consolazione, della correzione, del perdono del suo popolo. Ogni giorno.

Corrado Maggioni cmm
Docente alla Pontificia Facoltà
Teologica Marianum
Via Romagna 44 - 00187 Roma

 

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