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n.5
settembre/ottobre 2013

 

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Mat’ Marija
Segnata dal miracolo della fede

 di Michelina Tenace

 

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La madre Maria, Mat’ Marija come la chiamano gli ortodossi, è una testimone contemporanea della misericordia di Dio. Una donna dalle molte vite e dai mille volti, una splendida figura di convertita che si dedica tutta alla carità fino al martirio. È una monaca ricordata insieme al suo passato turbolento (per questo prende il nome di santa Maria l’Egiziaca).

È convinzione particolarmente cara alla pietà russa che solo la misericordia di Dio è all’origine della santità, e perciò Dio si può manifestare meglio tramite i peccatori, gli umiliati, i feriti dalla vita. Anche nella sua “nuova vita” non smetteva di provocare. Si ritrae vestita da monaca con una sigaretta in mano, ma il vero motivo di scandalo era la sua “eccessiva” dedizione per i poveri di Parigi, soprattutto per i russi emigrati e per  gli ebrei. Per i russi, Mat’ Marija era non solo fondatrice di opere di carità, ma anche animatrice di riunioni di alta riflessione intellettuale. Con gli ebrei, si è fatta sorella, riparo, soccorso, protezione fino a essere per loro vittima della follia nazista. Una cristiana che vive fino in fondo la coerenza del “sacramento del fratello”, ecco l’espressione che meglio caratterizza la nuova santa russa, canonizzata nel 2004, vero gioiello della “provvidenziale” diaspora ortodossa del XX secolo. Come è tipico della tradizione ortodossa russa, la santità di Mat’ Marija è segnata dal miracolo per eccellenza, il miracolo della fede. Canonizzata come santa martire, fa risplendere nella sua morte l’immagine di Cristo crocifisso e salvatore.

La storia come rivelazione

Nella crisi storica che l’Europa attraversa fra le due guerre mondiali, questa santa ha saputo assumere la storia come rivelazione. Elisabeth Pilenko è nata a Riga nel 1891 da una famiglia aristocratica ucraina. Poetessa e pittrice amatoriale, è anche una donna impegnata presto in politica. Rimane coinvolta nel movimento rivoluzionario, tenta di applicare la sua passione per la giustizia mentre fa il sindaco nella sua città natale, Anapa, sul mare Nero. Accusata dall’armata bianca di nutrire simpatie bolsceviche e poco dopo, accusata dai bolscevichi di fomentare attività controrivoluzionaria, riesce a scampare dall’esecuzione e insieme a migliaia di suoi connazionali sceglie la via dell’esilio che la porta prima a Istanbul e poi a Parigi.

Un primo matrimonio l’aveva unita troppo giovane ad un avvocato, Dimitri Kouzmine-Karavaev. Ma nell’irrequieta Elisabeth, diventata madre di una bambina (Gayana), la forza della libertà e la passione per gli ideali del tempo la portano lontana da questo uomo che avrà poi per conto suo, una storia molto particolare. (Anche lui sceglierà la via dell’emigrazione, diventerà cattolico e gesuita, finendo la sua vita a Roma, al Collegio del Russicum dove muore nel 1959). Elisabeth si sposerà in seconde nozze con un ufficiale conosciuto durante il suo processo a Anapa, Danili Skobstov, dal  quale avrà due figli, Anastasia e Youri e del quale conserverà il cognome anche da monaca per questo è ricordata come Mat’ Marija Skobstov.

Vangelo incarnato nella carità

Donna che ha avuto più mariti, tre volte madre, artista, poeta, donna pratica con un vero dono per la vita politica, come è finita sugli altari canonizzata il 1° maggio 2004 a Parigi nella cattedrale ortodossa di Sant’Alessandro Nievski? Per Mat’ Marija la sofferenza è stata “maestra” di vita.Per primo, il dolore più tremendo che possa toccare ad una madre: vedere morire in pochi giorni la sua bambina per una meningite. Poi, la compassione acuta che afferra una donna sensibile alla condizione del suo popolo. Con l’esilio e l’emigrazione, Elisabeth viene a contatto con la miseria, la povertà, lo smarrimento di chi aveva lasciato in Russia terre, beni, persone care, un mondo culturale e religioso che rappresentava una sicurezza.

In Occidente, di tutto questo non trova più nulla, tranne la vita salva. La povertà e la sofferenza la interpellano, suscitano la sua compassione, la sua creatività, le sue risposte di carità.

Nel suo dare tutto, venire incontro a tutti, dedicarsi a tutti sente la chiamata alla vita monastica, scopre che una certa “elezione” l’ha sempre mantenuta viva e attenta ai segni dei tempi e alla sofferenza degli altri. A Parigi, per l’autorità del vescovo Evloghij, responsabile della comunità ortodossa russa sotto il Patriarcato di Constantinopoli, Elisabeth Pilenko viene consacrata al Signore e riceve il nome di Marija. Da quel giorno, per l’ambiente della diaspora russa, la monaca Mat’ Marija è il simbolo della carità e del Vangelo incarnato.

Madre dei sofferenti e sposa di Cristo

Negli anni ‘30, i poveri per lei sono i russi emigrati e smarriti. Con la benedizione del vescovo e con il sostegno di alcune figure importanti del  l’emigrazione russa, Mat’ Marija fonderà una missione per i senzatetto, per abbandonati ed emarginati. Sarà curatrice di anime, amministratrice di case di accoglienza, cuoca, scrittrice, formatrice. La casa a Parigi, in rue de Lourmel, irradiava speranza e creatività.

Nell’ortodossia, il monachesimo attivo e impegnato nelle opere sociali è piuttosto recente. Mat’ Marija introduce da questo punto di vista una novità. Considera un lusso, in tempi così difficili, fare il monaco ritirandosi dal mondo. Scrive: «Oggi il monaco deve lottare per ciò che è essenziale, per l’autentica anima del monachesimo, piuttosto che per le astrazioni delle forme esterne di questa vita. Il monachesimo è necessario soprattutto sulla strada della vita, nello stesso cuore della vita. In realtà per il monaco o la monaca c’è solo il monastero del mondo. Qui sta la novità del “nuovo monachesimo”, il suo significato, la sua causa, la sua giustificazione! Ed è importante per il monaco comprendere questo in modo immediato. Ci sono molti che devono, nonostante ne abbiano paura, diventare degli innovatori. Ciò che qui c’è di nuovo non lo è per brama di novità, ma perché è ineludibile… Come può la Chiesa rifiutarsi di ricostruire questo mondo spiritualmente e di trasfigurarlo? E il monachesimo è stato posto nella Chiesa come armata potente, per essere di aiuto in questa trasformazione».

Come il monaco può aiutare il mondo a trasfigurarsi? Con una scelta radicale di povertà e di “compassione” per rispondere all’urgenza di “consolare il dolore del mondo”, questo per lei significava diventare madre dei sofferenti e dunque “sposa di Cristo”.

Pane e vita per tutti

La breve ma intensa vita religiosa di Mat’ Marija, 12 anni dalla sua professione monastica nel 1932 fino alla sua morte (31 marzo 1945) nel campo di concentramento di Ravensbrück, fu segnata dalla sofferenza personale e dal caos storico che precede la seconda guerra mondiale, la depressione economica, l’occupazione nazista. In questo contesto essere povero materialmente non è lo specifico del monaco perché tanti lo sono. Per Mat’ Marija, il monaco è chiamato per voto a diventare povero in spirito per essere al servizio della comunione, della giustizia. Il monaco si fa povero della sicurezza che gli procura la cella e si fa pane per tutti, offerta per tutti, vita per tutti, sacrificio per tutti.

In uno scritto sulla vita religiosa, la santa ribadisce come è facile dimenticare che l’amore per Dio e l’amore per i fratelli sono la stessa vita di Cristo, comandamento unico. Ora, per vivere questo unico comandamento non c’è altra via della rinuncia a se stessi, perché non si può vivere il comandamento dell’amore senza libertà assoluta, ossia senza accettare di perdere la “propria” vita.

La santa mistica della carità non ha avuto tempo di fondare una comunità monastica, ma ha fatto maturare accanto a se tante vocazioni. Sarebbe ingiusto dire che Mat’ Marija è stata troppo presa dall’attività a favore degli emarginati per impegnarsi in una fondazione monastica. Il suo carattere indipendente e ribelle non le impedì di farsi accogliente, paziente, ospitale, raccolta. Durante la liturgia colpiva il suo atteggiamento orante, mentre nella conversazione sapeva con vivacità dare consigli sapienti e pratici. I suoi incontri con la gente avvenivano nei caffè, nelle stazioni, negli ospizi, nelle prigioni. Lo spazio del suo monastero era “il deserto dell’anima umana”.

Dall’infelicità alla fede

Il senso dell’elezione che l’ha accompagnata tutta la vita porta un altro tratto della sua santità: dall’infelicità ha lasciato sorgere la fede, dalla vita di peccato ha lasciato la grazia trasfigurare la sua vita in compassione per tutti i peccatori e i poveri, senza perdere nessuna occasione di comunicare carità. Dall’infelicità alla fede, dal peccato alla compassione, Mat’ Marija, come ogni mistica, andava sempre oltre e chi l’accompagnava faceva spesso fatica a seguirla. La capacità di prendere il largo fa vivere il santo in una dimensione infinita. Eppure, quell’infinito, la santa lo vedeva molto vicino, molto banale: fare la carità non basta, può essere un modo di sbarazzarsi del fratello. Bisogna accettarlo nel fastidio che dà: il vicino chiassoso, l’ubriaco esuberante, l’alunno ottuso, la signora noiosa, il mendicante insistente. Ecco “questo fa parte della mistica del dialogo con l’uomo”.

Nel concreto della vita quotidiana c’è la scelta della carità e dunque anche un invito  rinnovarsi, a cambiare per seguire la voce del Signore.  Mat’ Marija apre la sua casa e la sua protezione agli ebrei nel clima della crescente persecuzione a Parigi. La sua comunità è denunciata per favoreggiamento agli ebrei, con l’accusa di aver fornito falsi certificati di battesimo che hanno permesso a molti ebrei di ricevere un passaporto e allontanarsi da Parigi. La vita della casa di via Lourmel è sorvegliata finché viene arrestato il cappellano Dimitri Klépénine, e anche il figlio di Mat’Marija, Youri, che si preparava al sacerdozio. Il 10 marzo del 1942 viene arrestata anche lei. La sequenza degli eventi è conosciuta e simile a quella di migliaia di altri detenuti nei campi di sterminio.

Nel febbraio 1944 muoiono Youri e il prete Dimitri Klépénine. Mat’ Marija muore il 31 marzo 1945 andando volontariamente nella camera a gas al posto di una madre di famiglia che fu poi salvata. «Mi sottometto totalmente a ciò che mi deve succedere»: sono le ultime parole che riuscì a scrivere prima di morire.

Il 9 maggio 1945 finisce la guerra, un mese dopo la morte di Mat’ Mast’ Marija.

Nella libertà dello Spirito

Se nei confronti di questa donna nasce presto una vera e propria venerazione è perché nell’orrore della storia la santa ha saputo essere creativa, ha saputo esprimere la libertà dello Spirito. Ha conosciuto Dio, ha conosciuto se stessa, “semplicemente e direttamente” e “al deserto del monastero, la santa ha preferito il deserto dei cuori umani”. Vivendo da monaca ortodossa “nel mondo”, ha indicato una via nuova all’ortodossia. Anthony Bloom scrive che per questo è una santa dei nostri giorni, perché non si è arenata nel tradizionalismo, neppure nel modernismo, ha ascoltato la voce dei poveri e ha risposto, scavalcando i limiti della sua storia, i limiti della tradizione, senza andare mai oltre i limiti del Vangelo.

Il Vangelo, la preghiera, e la voce della Chiesa tramite il vescovo, sono stati per lei legge, recinto, custode, pane e acqua, alimento di santità e profezia di umanità unita. La fondatrice de Lourmel è un modello di donna di fede che “assume un ministero attivo, senza aspettare nessun riconoscimento ufficiale”. Mentre la Chiesa riconosce la qualità della vita evangelica di Mat’ Marija, il Soviet Supremo dell’URSS riconosce la sua testimonianza “quantificabile” conferendole il 7 maggio 1985 la medaglia dell’«Ordine della grande guerra patriottica per azioni eroiche». Basta ricordare in cifre la sua grande attività: nel 1931 la creazione di una mensa-ristorante per disoccupati (20.000 persone vi avevano preso pasti in 15 mesi); nel 1932 l’apertura di una casa per donne in difficoltà e un’altra casa per disoccupati senza tetto (45 letti, 250 pasti al giorni, servizio medico); nel 1933 l’organizzazione di un servizio medico per tutti; nel 1935 un centro di Assistenza per i russi dell’emigrazione, dopo aver convinto il ministro della sanità dell’epoca, di rendere gratuite le cure per i russi malati di tubercolosi.

Il 1° maggio 2004 durante lo stesso rito, il santo sinodo del Patriarcato Ecumenico ha canonizzato come santi della Chiesa ortodossa: madre Marija Skobtsov, il prete Dimitri Klépénine, Youri Skobtsov, Ilya Fondaminski, santi martiri della carità a favore dei fratelli ebrei in Francia durante l’occupazione nazista. Quattro martiri testimoni della verità in tempi di odio e di divisione. La santità dei martiri del XX secolo e di altri innumerevoli testimoni ci ricordano che i santi e i giusti delle chiese cristiane, quella Orientale e quella Occidentale, costruiscono un’eredità e un tesoro comune che occorre imparare a scoprire e a condividere.

Michelina Tenace
Centro Aletti
Via Paolina, 25 - 00184 Roma

 

 

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