La
madre Maria, Mat’ Marija come la chiamano gli ortodossi, è una testimone
contemporanea della misericordia di Dio. Una donna dalle molte vite e
dai mille volti, una splendida figura di convertita che si dedica tutta
alla carità fino al martirio. È una monaca ricordata insieme al suo
passato turbolento (per questo prende il nome di santa Maria
l’Egiziaca).
È convinzione particolarmente cara alla pietà russa che solo la
misericordia di Dio è all’origine della santità, e perciò Dio si può
manifestare meglio tramite i peccatori, gli umiliati, i feriti dalla
vita. Anche nella sua “nuova vita” non smetteva di provocare. Si ritrae
vestita da monaca con una sigaretta in mano, ma il vero motivo di
scandalo era la sua “eccessiva” dedizione per i poveri di Parigi,
soprattutto per i russi emigrati e per
gli
ebrei. Per i russi, Mat’ Marija era non solo fondatrice di opere di
carità, ma anche animatrice di riunioni di alta riflessione
intellettuale. Con gli ebrei, si è fatta sorella, riparo, soccorso,
protezione fino a essere per loro vittima della follia nazista. Una
cristiana che vive fino in fondo la coerenza del “sacramento del
fratello”, ecco l’espressione che meglio caratterizza la nuova santa
russa, canonizzata nel 2004, vero gioiello della “provvidenziale”
diaspora ortodossa del XX secolo. Come è tipico della tradizione
ortodossa russa, la santità di Mat’ Marija è segnata dal miracolo per
eccellenza, il miracolo della fede. Canonizzata come santa martire, fa
risplendere nella sua morte l’immagine di Cristo crocifisso e salvatore.
La storia come rivelazione
Nella crisi storica che l’Europa attraversa fra le due guerre mondiali,
questa santa ha saputo assumere la storia come rivelazione. Elisabeth
Pilenko è nata a Riga nel 1891 da una famiglia aristocratica ucraina.
Poetessa e pittrice amatoriale, è anche una donna impegnata presto in
politica. Rimane coinvolta nel movimento rivoluzionario, tenta di
applicare la sua passione per la giustizia mentre fa il sindaco nella
sua città natale, Anapa, sul mare Nero. Accusata dall’armata bianca di
nutrire simpatie bolsceviche e poco dopo, accusata dai bolscevichi di
fomentare attività controrivoluzionaria, riesce a scampare
dall’esecuzione e insieme a migliaia di suoi connazionali sceglie la via
dell’esilio che la porta prima a Istanbul e poi a Parigi.
Un primo matrimonio l’aveva unita troppo giovane ad un avvocato, Dimitri
Kouzmine-Karavaev. Ma nell’irrequieta Elisabeth, diventata madre di una
bambina (Gayana), la forza della libertà e la passione per gli ideali
del tempo la portano lontana da questo uomo che avrà poi per conto suo,
una storia molto particolare. (Anche lui sceglierà la via
dell’emigrazione, diventerà cattolico e gesuita, finendo la sua vita a
Roma, al Collegio del Russicum dove muore nel 1959). Elisabeth si
sposerà in seconde nozze con un ufficiale conosciuto durante il suo
processo a Anapa, Danili Skobstov, dal
quale
avrà due figli, Anastasia e Youri e del quale conserverà il cognome
anche da monaca per questo è ricordata come Mat’ Marija Skobstov.
Vangelo incarnato nella carità
Donna che ha avuto più mariti, tre volte madre, artista, poeta, donna
pratica con un vero dono per la vita politica, come è finita sugli
altari canonizzata il 1° maggio 2004 a Parigi nella cattedrale ortodossa
di Sant’Alessandro Nievski? Per Mat’ Marija la sofferenza è stata
“maestra” di vita.Per primo, il dolore più tremendo che possa toccare ad
una madre: vedere morire in pochi giorni la sua bambina per una
meningite. Poi, la compassione acuta che afferra una donna sensibile
alla condizione del suo popolo. Con l’esilio e l’emigrazione, Elisabeth
viene a contatto con la miseria, la povertà, lo smarrimento di chi aveva
lasciato in Russia terre, beni, persone care, un mondo culturale e
religioso che rappresentava una sicurezza.
In Occidente, di tutto questo non trova più nulla, tranne la vita salva.
La povertà e la sofferenza la interpellano, suscitano la sua
compassione, la sua creatività, le sue risposte di carità.
Nel suo dare tutto, venire incontro a tutti, dedicarsi a tutti sente la
chiamata alla vita monastica, scopre che una certa “elezione” l’ha
sempre mantenuta viva e attenta ai segni dei tempi e alla sofferenza
degli altri. A Parigi, per l’autorità del vescovo Evloghij, responsabile
della comunità ortodossa russa sotto il Patriarcato di Constantinopoli,
Elisabeth Pilenko viene consacrata al Signore e riceve il nome di Marija.
Da quel giorno, per l’ambiente della diaspora russa, la monaca Mat’
Marija è il simbolo della carità e del Vangelo incarnato.
Madre dei sofferenti e sposa di Cristo
Negli anni ‘30, i poveri per lei sono i russi emigrati e smarriti. Con
la benedizione del vescovo e con il sostegno di alcune figure importanti
del l’emigrazione russa, Mat’ Marija fonderà una missione per i
senzatetto, per abbandonati ed emarginati. Sarà curatrice di anime,
amministratrice di case di accoglienza, cuoca, scrittrice, formatrice.
La casa a Parigi, in rue de Lourmel, irradiava speranza e creatività.
Nell’ortodossia, il monachesimo attivo e impegnato nelle opere sociali è
piuttosto recente. Mat’ Marija introduce da questo punto di vista una
novità. Considera un lusso, in tempi così difficili, fare il monaco
ritirandosi dal mondo. Scrive: «Oggi il monaco deve lottare per ciò che
è essenziale, per l’autentica anima del monachesimo, piuttosto che per
le astrazioni delle forme esterne di questa vita. Il monachesimo è
necessario soprattutto sulla strada della vita, nello stesso cuore della
vita. In realtà per il monaco o la monaca c’è solo il monastero del
mondo. Qui sta la novità del “nuovo monachesimo”, il suo significato, la
sua causa, la sua giustificazione! Ed è importante per il monaco
comprendere questo in modo immediato. Ci sono molti che devono,
nonostante ne abbiano paura, diventare degli innovatori. Ciò che qui c’è
di nuovo non lo è per brama di novità, ma perché è ineludibile… Come può
la Chiesa rifiutarsi di ricostruire questo mondo spiritualmente e di
trasfigurarlo? E il monachesimo è stato posto nella Chiesa come armata
potente, per essere di aiuto in questa trasformazione».
Come il monaco può aiutare il mondo a trasfigurarsi? Con una scelta
radicale di povertà e di “compassione” per rispondere all’urgenza di
“consolare il dolore del mondo”, questo per lei significava diventare
madre dei sofferenti e dunque “sposa di Cristo”.
Pane e vita per tutti
La breve ma intensa vita religiosa di Mat’ Marija, 12 anni dalla sua
professione monastica nel 1932 fino alla sua morte (31 marzo 1945) nel
campo di concentramento di Ravensbrück, fu segnata dalla sofferenza
personale e dal caos storico che precede la seconda guerra mondiale, la
depressione economica, l’occupazione nazista. In questo contesto essere
povero materialmente non è lo specifico del monaco perché tanti lo sono.
Per Mat’ Marija, il monaco è chiamato per voto a diventare povero in
spirito per essere al servizio della comunione, della giustizia. Il
monaco si fa povero della sicurezza che gli procura la cella e si fa
pane per tutti, offerta per tutti, vita per tutti, sacrificio per tutti.
In uno scritto sulla vita religiosa, la santa ribadisce come è facile
dimenticare che l’amore per Dio e l’amore per i fratelli sono la stessa
vita di Cristo, comandamento unico. Ora, per vivere questo unico
comandamento non c’è altra via della rinuncia a se stessi, perché non si
può vivere il comandamento dell’amore senza libertà assoluta, ossia
senza accettare di perdere la “propria” vita.
La santa mistica della carità non ha avuto tempo di fondare una comunità
monastica, ma ha fatto maturare accanto a se tante vocazioni. Sarebbe
ingiusto dire che Mat’ Marija è stata troppo presa dall’attività a
favore degli emarginati per impegnarsi in una fondazione monastica. Il
suo carattere indipendente e ribelle non le impedì di farsi accogliente,
paziente, ospitale, raccolta. Durante la liturgia colpiva il suo
atteggiamento orante, mentre nella conversazione sapeva con vivacità
dare consigli sapienti e pratici. I suoi incontri con la gente
avvenivano nei caffè, nelle stazioni, negli ospizi, nelle prigioni. Lo
spazio del suo monastero era “il deserto dell’anima umana”.
Dall’infelicità alla fede
Il senso dell’elezione che l’ha accompagnata tutta la vita porta un
altro tratto della sua santità: dall’infelicità ha lasciato sorgere la
fede, dalla vita di peccato ha lasciato la grazia trasfigurare la sua
vita in compassione per tutti i peccatori e i poveri, senza perdere
nessuna occasione di comunicare carità. Dall’infelicità alla fede, dal
peccato alla compassione, Mat’ Marija, come ogni mistica, andava sempre
oltre e chi l’accompagnava faceva spesso fatica a seguirla. La capacità
di prendere il largo fa vivere il santo in una dimensione infinita.
Eppure, quell’infinito, la santa lo vedeva molto vicino, molto banale:
fare la carità non basta, può essere un modo di sbarazzarsi del
fratello. Bisogna accettarlo nel fastidio che dà: il vicino chiassoso,
l’ubriaco esuberante, l’alunno ottuso, la signora noiosa, il mendicante
insistente. Ecco “questo fa parte della mistica del dialogo con l’uomo”.
Nel concreto della vita quotidiana c’è la scelta della carità e dunque
anche un invito rinnovarsi, a cambiare per seguire la voce del
Signore. Mat’ Marija apre la sua casa e la sua protezione agli ebrei
nel clima della crescente persecuzione a Parigi. La sua comunità è
denunciata per favoreggiamento agli ebrei, con l’accusa di aver fornito
falsi certificati di battesimo che hanno permesso a molti ebrei di
ricevere un passaporto e allontanarsi da Parigi. La vita della casa di
via Lourmel è sorvegliata finché viene arrestato il cappellano Dimitri
Klépénine, e anche il figlio di Mat’Marija, Youri, che si preparava al
sacerdozio. Il 10 marzo del 1942 viene arrestata anche lei. La sequenza
degli eventi è conosciuta e simile a quella di migliaia di altri
detenuti nei campi di sterminio.
Nel febbraio 1944 muoiono Youri e il prete Dimitri Klépénine. Mat’
Marija muore il 31 marzo 1945 andando volontariamente nella camera a gas
al posto di una madre di famiglia che fu poi salvata. «Mi sottometto
totalmente a ciò che mi deve succedere»: sono le ultime parole che
riuscì a scrivere prima di morire.
Il 9 maggio 1945 finisce la guerra, un mese dopo la morte di Mat’ Mast’
Marija.
Nella libertà dello Spirito
Se nei confronti di questa donna nasce presto una vera e propria
venerazione è perché nell’orrore della storia la santa ha saputo essere
creativa, ha saputo esprimere la libertà dello Spirito. Ha conosciuto
Dio, ha conosciuto se stessa, “semplicemente e direttamente” e “al
deserto del monastero, la santa ha preferito il deserto dei cuori
umani”. Vivendo da monaca ortodossa “nel mondo”, ha indicato una via
nuova all’ortodossia. Anthony Bloom scrive che per questo è una santa
dei nostri giorni, perché non si è arenata nel tradizionalismo, neppure
nel modernismo, ha ascoltato la voce dei poveri e ha risposto,
scavalcando i limiti della sua storia, i limiti della tradizione, senza
andare mai oltre i limiti del Vangelo.
Il Vangelo, la preghiera, e la voce della Chiesa tramite il vescovo,
sono stati per lei legge, recinto, custode, pane e acqua, alimento di
santità e profezia di umanità unita. La fondatrice de Lourmel è un
modello di donna di fede che “assume un ministero attivo, senza
aspettare nessun riconoscimento ufficiale”. Mentre la Chiesa riconosce
la qualità della vita evangelica di Mat’ Marija, il Soviet Supremo
dell’URSS riconosce la sua testimonianza “quantificabile” conferendole
il 7 maggio 1985 la medaglia dell’«Ordine della grande guerra
patriottica per azioni eroiche». Basta ricordare in cifre la sua grande
attività: nel 1931 la creazione di una mensa-ristorante per disoccupati
(20.000 persone vi avevano preso pasti in 15 mesi); nel 1932 l’apertura
di una casa per donne in difficoltà e un’altra casa per disoccupati
senza tetto (45 letti, 250 pasti al giorni, servizio medico); nel 1933
l’organizzazione di un servizio medico per tutti; nel 1935 un centro di
Assistenza per i russi dell’emigrazione, dopo aver convinto il ministro
della sanità dell’epoca, di rendere gratuite le cure per i russi malati
di tubercolosi.
Il 1° maggio 2004 durante lo stesso rito, il santo sinodo del
Patriarcato Ecumenico ha canonizzato come santi della Chiesa ortodossa:
madre Marija Skobtsov, il prete Dimitri Klépénine, Youri Skobtsov, Ilya
Fondaminski, santi martiri della carità a favore dei fratelli ebrei in
Francia durante l’occupazione nazista. Quattro martiri testimoni della
verità in tempi di odio e di divisione. La santità dei martiri del XX
secolo e di altri innumerevoli testimoni ci ricordano che i santi e i
giusti delle chiese cristiane, quella Orientale e quella Occidentale,
costruiscono un’eredità e un tesoro comune che occorre imparare a
scoprire e a condividere.
Michelina Tenace
Centro Aletti
Via Paolina, 25 - 00184 Roma